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Autore: Mirya    13/03/2012    31 recensioni
Ogni volta che Hermione Granger passava per un corridoio, qualche imbecille a cui aveva rifatto una schifezza di compito sempre pronto a portarle i libri e raccoglierle gli appunti, ogni volta che si affacciava alla Sala Grande, quei due cagnolini che aveva più volte salvato da invocabile morte per abbandono e stupidità sempre pronti a scodinzolare al suo fianco e ringhiare in sua difesa, ogni volta che entrava in una classe, i professori che aveva infinocchiato con qualche parolona e un po’ di mnemotecnica sempre pronti a tessere le sue nauseabonde lodi e dedicarle la lezione.
Ogni volta lui si sentiva invisibile.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
- Questa storia fa parte della serie 'Succo di zucca'
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Introduzione

 

La storia è nata perché a volte le storie nascono e basta ed è un prequel a Succo di zucca ed ai suoi seguiti; non tiene dunque conto di ciò che è accaduto dopo Harry Potter e l’Ordine della Fenice.

Dal punto di vista narrativo, non è nemmeno una storia. Da altri punti di vista, è la storia.

 

 

 

 

 

INVISIBILE

 

 

 

 

Ogni volta che Hermione Granger passava per un corridoio, qualche imbecille a cui aveva rifatto una schifezza di compito sempre pronto a portarle i libri e raccoglierle gli appunti, ogni volta che si affacciava alla Sala Grande, quei due cagnolini che aveva più volte salvato da invocabile morte per abbandono e stupidità sempre pronti a scodinzolare al suo fianco e ringhiare in sua difesa, ogni volta che entrava in una classe, i professori che aveva infinocchiato con qualche parolona e un po’ di mnemotecnica sempre pronti a tessere le sue nauseabonde lodi e dedicarle la lezione.

Ogni volta lui si sentiva invisibile.

Manciate di odio come chiodi conficcati nelle sue carni, odio per ciò che lei faceva – menzogne -, per ciò che lei diceva – menzogne - , per ciò che lei era – menzogne.

Lei era un teatrino di virtù impossibili edificato per gli allocchi ciechi e sordi che veneravano tutto ciò che produceva come reliquie di una divinità di dubbia fede, ma lui – lui che se ne intendeva di messinscene e odore rancido di santità -, lui solo sapeva che sotto quegli strati di polvere pirica e quei frammenti luccicanti di specchietti per le allodole c’era tutto il marciume del suo sangue sporco, della sua anima sporca, dei suoi pensieri sporchi.

Doveva esserci, quel marciume, perché a quel marciume lui doveva crocifiggerla insieme a tutti i suoi proclamati e stucchevoli sentimenti, perché altrimenti si sarebbe ritrovato crocifisso lui, con quei chiodi d’odio che già gli perforavano lo stomaco, sul legno roso dalle termiti di tutta una fetta di vita sprecata nel disprezzo, soffocata nel livore, insozzata di rabbia.

E invisibile.

Lui che progettava di distruggerla ogni giorno, come quel giorno, per quello che fingeva di essere e per quel seguito assurdo di facce inebetite che trasalivano d’ammirazione sciocca al suo nome, lei che si sforzava teatralmente di guardare aldilà di lui, le braccia colme di pergamene, la testa piena di formule, le dita imbrattate di ingredienti magici.

Ma lui solo sapeva che erano tutti inutili oggetti di scena, lui solo capiva che non c’era alcuna magia in lei, per il suo sangue, sì, ma anche per le sue menzogne, lui solo comprendeva che lei era vuoti artifici retorici, banali trucchi da saltimbanco, retorica affabulatrice di marionette, lui solo vedeva tutto il suo marciume ma non riusciva a mostrarlo agli altri, perché anche ai loro occhi, quando compariva lei, lui diventava invisibile.

Per tutta la scuola che non lo considerava come avrebbe meritato, per il suo sangue il suo valore le sue capacità il suo acume le sue competenze la sua eccezionalità, tutta la scuola che brucava come un gregge di pecoroni ottusi quel prato di trite frottole e diffusa vanità su cui lei era invece tanto visibile, tutta la scuola che si voltava al loro passaggio, seguendo quello di lei, scartando quello di lui, tutta la scuola tranne quei pochi sani di mente che avevano ben afferrato, ben intuito, ben giudicato, sani di mente come Tiger e Goyle.

Strinse la mascella, appoggiandosi al muro, mentre il noto malessere che provava sempre a quell’ora del giorno lo ghermiva lentamente.

Tra pochi minuti sarebbe di nuovo stato invisibile e in quegli istanti i chiodi sarebbero tornati a penetrargli più addentro le viscere, ma lui non poteva rinunciare a questa tortura quotidiana autoinflitta, non poteva volgere altrove la sua esistenza senza privare quell’esistenza di uno scopo.

Invisibile.

Eppure a volte c’era riuscito, a farsi vedere da lei, e serbava un ricordo dolcissimo di quegli episodi in cui la sua missione gli si era finalmente rivelata come un’epifania.

Quando l’aveva definita esattamente per ciò che era, additando a tutti la verità della sua natura abietta che nessuna tecnica o perizia avrebbe mai nobilitato.

Nessuno ha chiesto il tuo parere, sporca Mezzosangue.

Quando l’aveva indotta a colpirlo, scoprendo a chiunque l’essenza infida di tutti i suoi annunci di bontà con un semplice accenno ad uno dei suoi infimi protetti.

Avete mai visto una cosa così patetica? E dovrebbe essere il nostro insegnante!

Quando aveva evidenziato l’orrore delle sue apparenze, facendo allungare in quella bocca immonda le zanne dell’animale che era.

Densaugeo!

L’avevano scorto pietrificarsi e credevano che qualcosa lo avesse turbato, quelle volte, che vederla in lacrime e sofferente e angosciata lo avesse impietosito, ma non avevano capito nulla.

Lui ne era stato deliziato.

Così deliziato che per qualche istante non aveva più saputo cosa fare, perché non aveva in effetti pensato ad altro, da molto tempo, che distruggere lei. E magari anche la gente vicina a lei. E l’idea di esserci riuscito, di averla atterrata e umiliata e ingiuriata, di aver segnato un punto e conquistato qualche adepto alla sua causa lo aveva galvanizzato, inebriato, sopraffatto ma anche svuotato, lasciandolo quasi privo di una direzione da seguire, di un fine da perseguire, di una vita sua, sempre che quella vita fosse mai stata sua, sempre che non avesse solo ruotato orrendamente e vanamente attorno a quella di lei.

E si era riscosso da quel sospetto atroce solo convincendosi che il male che le aveva inflitto quelle volte dimostrava che lei l’aveva visto sempre, a dispetto dei suoi tentativi di fingersi superiore, lei doveva averlo visto sempre e sempre doveva averlo odiato e quell’odio Draco si rigirava tra i pensieri, accarezzandolo come un gioiello di ricordi incastonato nella sua anima.

Perché quell’odio testimoniava al mondo ciò che lei realmente era – menzogne e marciume – e lo assolveva come un crociato immolato alla giustizia.

E allora altri imbecilli sarebbero andati da lui a farsi correggere i compiti, allora altri cagnolini avrebbero cercato salvezza da lui, allora altri professori si sarebbero fatti infinocchiare da lui.

Allora Draco sarebbe divenuto come lei.

Visibile.

Come lei.

Aveva sognato di ucciderla, eliminare dal mondo la sua perniciosa esistenza e ripulirlo dell’immondizia che lei proferiva e scriveva su quei suoi fogli stracolmi sempre di ovvietà, aveva sognato di tenerla precariamente in vita per guardarla stillare gocce nere di sangue e d’inchiostro additata finalmente da tutti come la spazzatura che era, aveva anche sognato di usarle violenza e di quel sogno gli restava un’eco fumosa nel cervello – un ventre piegato su un banco traballante, un sussurro sdolcinato e fuori luogo come erano sempre le sue parole – e un fastidio intollerabile nel lombi.

Eppure quelle immagini oniriche non erano state disgustose come altre ben più agghiaccianti che popolavano le sue notti e che gli mormoravano l’efferatezza della sua crocifissione.

Lui che la affiancava, che la scalzava, che la sostituiva.

Il desiderio di averla non era inaccettabile quanto il desiderio di essere lei.

Il malessere si fece più intenso mentre rialzava lo sguardo davanti a sé, dove la Mezzosangue stava svoltando verso la biblioteca e verso di lui, come ogni giorno a quell’ora, carica di volumi, come ogni giorno a quell’ora, da sola, come ogni giorno a quell’ora, e lui era lì ad aspettarla, come ogni giorno a quell’ora, e a provocarla, come ogni giorno a quell’ora.

Fumava nel corridoio – oh, tu puzzi molto di più di questa sigaretta e vali molto meno della cenere in cui la ridurrò, ma a differenza sua non meriti di stare sulle mie labbra nemmeno per bruciarti via.

La ostacolava o spintonava – a terra, come l’essere inferiore e sudicio che sei, indegna persino di leccarmi la suola delle scarpe, non puoi occupare i miei spazi, non puoi appestare la mia aria, non puoi vivere nel mio mondo.

La derideva – sei sempre sola perché nessuno ti considera se non ha bisogno di te, ti stanno accanto solo per ottenere qualcosa ma chi ti difenderà quando sarai tu ad aver bisogno, chi ti tallonerà ancora quando non avrai più la tua nomea ad attirare consensi?

Le strappava i libri di mano – nessuno scarabocchio ti renderà una vera strega, nessun titolo reale o falsificato ti elargirà la vera conoscenza magica, l’unico potere che ti resta è quello di aprire le gambe e farai meglio a sbrigarti, se vuoi davvero creare qualcosa.

La insultava - superba sputasentenze, pudica puttana, rifiuto d’arte e d’umanità, ipocrita manipolatrice, despota tediosa, senza talento alcuno.

Ma da qualche tempo lei proprio non reagiva più, non si fermava più, non pareva vederlo più.

Invisibile.

Lei rallentò in prossimità della sua sagoma, la testa alta e le iridi puntate in avanti, tentando di non mostrare che si stava preparando a sostenere l’ennesima aggressione.

Lui rimase con le spalle appoggiate alla parete e le braccia conserte, guardandola sfilare con un sorriso sardonico sul volto e una pacatezza simulata a dare bella mostra di sé e a celare il livore che gli ribolliva dentro. Stavolta non avrebbe fatto nulla. Le persone sono più fragili quando credono di essere finalmente al sicuro. Le avrebbe dato modo di rilassarsi e abbassare le difese e poi avrebbe ricominciato a sferrare attacchi sempre più violenti, fino a quando lei non l’avesse visto di nuovo.

Invisibile.

Lei gli passò davanti senza voltarsi, indugiò ancora un attimo con passo incerto e poi si affrettò il più lontano possibile da lui.

Goditi la tua torre dorata, Mezzosangue.

Presto o tardi te ne farò pagare il prezzo.

E allora sarai tu a diventare come me.

Invisibile.

Come me.

 

 

 

 

 

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Di carne e di carta è stata revisionata e pubblicata. La trovate su Amazon qui e su Goodreads qui.

Ad esso va ad aggiungersi il mio nuovo libro, totalmente inedito, Trentatré. Lo trovate su Amazon qui e su Goodreads qui.

 

 

 

Grazie

 

A chi sa ringraziare e a chi sa farsi ringraziare

 

Grazie

 

 

Dedicato

a tutti coloro che sono stati, sono e saranno come lei

 

 

 

Citazioni:per il suo sangue’ richiama la mia storia omonima, di cui sono anche citati gli avvenimenti del sesto capitolo nella visione: ‘un ventre piegato su un banco traballante, un sussurro sdolcinato e fuori luogo come erano sempre le sue parole’; vengono rispettivamente da Harry Potter e la camera dei segreti, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, Harry Potter e il calice di fuoco le frasi ricordate da Draco: ‘Nessuno ha chiesto il tuo parere, sporca Mezzosangue’, ‘Avete mai visto una cosa così patetica? E dovrebbe essere il nostro insegnante!’, ‘Densaugeo!’.

 

 

 

 

 

 

   
 
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