Scrivere sul libro che mi ha fatta
crescere e che mi affascina ogni anno (cioè, ogni volta che lo riprendo in
mano) è qualcosa che mi imbarazza, perché è una storia così perfetta e così ben
scritta che sicuramente rovinerò tutta la magia che l'impregna. Però eccomi
qui, umile e devota ammiratrice di sir Tolkien, per togliermi lo sfizio di vivere
nella Terra di Mezzo e rimediare ad un piccolo dettaglio - che tanto piccolo
non è - per cui ho versato lacrime a fiumi - libro e film compreso.
E a proposito, la seguente fanfiction farà riferimento principalmente ai fatti narrati
dal libro, dalle appendici e da quant'altro Tolkien abbia scritto, ma ci
saranno anche piccoli avvenimenti ripresi dal film, perché saranno più
congeniali per il corso della storia.
Spero di non fare un completo disastro.
Un'ultimissima cosa: ho già scritto 80
pagine, per nove capitoli. Mi rendo conto che saranno lunghissimi, ma non
potevo fare altrimenti.
La storia non è ancora conclusa e
scriverla mi prende tempo e dedizione, ma, come il resto delle mie storie, avrà
una fine. Promesso.
Buona lettura!
Betulla
01.
26 Febbraio 3019 T. E.
Non fu il dolore fisico che gli procurò
quello strazio assordante, né la carezzevole consapevolezza che sarebbe morto
in pochi minuti. Morire significava liberarsi dal peso opprimente di un
fardello che non era riuscito a sopportare e che ora lo stava schiacciando, per
lasciarlo finalmente libero dalle angosce e dai tormenti. Aveva sempre
immaginato la sua morte e sapeva che sarebbe stato in battaglia. Sarebbe caduto
da soldato, davanti le mura della sua amata città, per difendere con onore il
suo popolo dalle armate nemiche che giungevano come un'ombra da Est. La sua
morte sarebbe servita per salvare le terre che lo avevano visto crescere, per
dare una possibilità alle future generazioni di vivere una vita lontana dalle
tenebre e dalle paure.
Ma che onore poteva esserci in lui,
dopo quello che aveva fatto? Aveva infangato il suo nome, calpestato quello di
suo padre e della famiglia intera. Non c'era onore in lui. Solo tradimento,
vergogna, arroganza.
Sarebbe morto lì, contro quell'albero
anonimo, lontano dalla sua terra che aveva servito per quaranta lunghi anni con
amore, orgoglio e forza. Nessuno avrebbe narrato la storia di Boromir il
Traditore, se non per maledirlo oltre la morte, poiché la rovina della Terra di
Mezzo era sulle sue stanche spalle e la speranza che i suoi consanguinei
potessero rivedere la luce di un'alba senza più terrore e sangue svaniva di
minuto in minuto.
Chiuse gli occhi, Boromir. E ripensò
alla sua Città di Pietra, che gli era sempre parsa come un'antica e altera
regina bianca, ritta e fiera davanti al crescere dell'Ombra, inflessibile
nonostante le innumerevoli cadute, eppure buona con chiunque fosse un amico in
cerca del conforto di un luogo familiare. Avrebbe voluto rivedere la
magnificenza di Minas Tirith quando il suo legittimo Re fosse salito su quel
trono che troppo a lungo era stato vuoto, e lo avrebbe servito come il primo
dei suoi alleati, come fratello e amico; avrebbe voluto mostrare a Merry e
Pipino i luoghi della sua infanzia e condividere con loro le gioie e le pene
che quella sua città gli aveva regalato; avrebbe voluto riabbracciare il suo
amato fratello e subire le ire del suo severo padre quando gli avrebbe
raccontato del suo fallimento.
Eppure, ora l'unica sua speranza era
che se ne andasse in fretta, che nessuno dei suoi amici lo trovasse ancora
cosciente, per non dover sopportare i loro sguardi di disprezzo e odio. L'unico
rammarico era che non fosse riuscito a salvare gli Hobbit. Aveva tentato di
difenderli, in quell'ultimo e disperato gesto, perché si era realmente
affezionato a quei piccoli con l'animo forte di un vecchio saggio. Aveva
tentato, eppure aveva fallito, ancora una volta. Aveva richiesto aiuto suonando
per tre volte il Corno di Gondor, eppure nessuno era giunto. E ora il clamore
terribile degli Uruk-hai si era allontanato così com'era giunto e aveva
lasciato i due piccoletti nelle mani di chissà quale tormento Saruman gli
avrebbe inflitto per il suo sollazzo.
La sgradevole sensazione degli occhi
brucianti dalle lacrime lo fece singhiozzare e un rivolo di sangue gli bagnò le
labbra e il mento. Strinse le palpebre e si concentrò sul suono delle trombe
d'argento che segnavano l'inizio di una battaglia, o quelle festanti per la
vittoria. Rivide lo stendardo di Gondor sventolare impazzito al fresco vento
dell'Ovest quando conficcò il legno della bandiera tra le pietre di una
riconquistata Osgiliath e gli parve di poter contare le piccole gemme preziose
che disegnavano l'Albero Bianco. Boromir sorrise. Sentì le grida dei suoi
uomini che osannavano il suo nome con un orgoglio e una gioia che gli riempì il
cuore di fierezza. Non rimpiangeva un singolo istante della sua vita, ma
avrebbe voluto essere più forte di spirito piuttosto che di fisico per superare
quell'ardua prova che era stata gettata sul suo cammino.
Tentò di prendere un respiro profondo,
ma un dolore lancinante al polmone perforato lo fece gemere a denti stretti. Se
solo l'avessero finito avrebbe riposato in pace, finalmente.
Sentì il leggero fruscio di passi sulle
foglie secche di quel pavimento naturale e pensò fosse Legolas, giunto
silenzioso a vedere la sua fine. Così temette che anche Aragorn fosse con lui e
che sentisse le sue parole di condanna prima di lasciare la Terra di Mezzo.
Eppure nessuna voce gli parlò con risentimento né nessuno pose fine alle sue
sofferenze come inconsciamente aveva sperato. Avvertì una mano sulla fronte e
l'altra che tastava il petto spostando il tessuto impregnato del suo stesso
sangue per controllare forse l'entità delle ferite. La sua voce fu più bassa di
un sibilo per l'assenza di fiato e forze.
«Aragorn...»
Ma l'Uomo non gli rispose. Non fu
neanche tanto sicuro che si trattasse di lui. Aprì a stento gli occhi e non
vide altro che una sagoma sfuocata china sul suo corpo. Il sangue che aveva
perduto gli stava annebbiando la vista, così come gli provocava fastidiose
vertigini, nonostante avesse la schiena poggiata contro l'albero.
Il rumore di passi più pesanti e di più
persone giunse ovattato alle sue orecchie e gli sembrò che qualcuno richiamasse
il suo nome.
«Boromir!»
Aragorn arrivò di corsa, seguito da
Legolas e Gimli che si fermarono a qualche metro di distanza, addolorati e
sgomenti per la vista del valoroso soldato di Gondor in fin di vita. Il Ramingo
si chinò sul suo compagno e amico, gli occhi grigi lucidi per le lacrime. Fu
solo in quel momento che si accorse della persona giunta prima di lui e nel suo
sguardo gli amici videro passare stupore, tristezza e rabbia.
«Aragorn... mi dispiace.»
Il Dùnadan rivolse la sua attenzione
nuovamente all'Uomo morente e scosse il capo. «Non sprecare le tue poche
energie per dispiacerti, Boromir. Conservale finché il tuo corpo te lo
consente.»
Boromir scosse il capo, tossendo
sangue. «Per cosa dovrei preservare energie? Hanno preso i piccoletti... Frodo,
dov'è Frodo?»
«L'ho lasciato andare... Sam è con
lui.»
Le mani di Aragorn vennero bloccate da
quelle dell'Uomo di Gondor, in un gesto repentino e incredibilmente forte per
le condizioni in cui verteva.
«Lasciami morire. Non merito di vivere.
Ho tentato di prendergli l'Anello, Aragorn... ho tradito la Compagnia, ho
tradito tutti voi. Minas Tirith cadrà e l'Ombra invaderà la nostra terra. Ho
pagato per il mio errore. Non merito la vita, né la tua pietà.»
«E non sarà la mia pietà che avrai, ma
solo l'amore che provo nei confronti di un amico.»
«Un amico...»
Boromir tossì ancora, l'ombra di un
sorriso sulle labbra sporche di sangue, e l'estraneo incappucciato tenne ferme
le mani dell'Uomo, mentre faceva un gesto eloquente con il capo, indicando le
frecce che ancora martoriavano quel corpo.
«Ti avrei seguito ovunque, fratello
mio.» sussurrò. «Ti avrei seguito come amico... e suddito, mio Re.»
Lacrime bagnarono il viso di Aragorn,
ma rimase freddo e calmo quando estrasse una delle frecce, sordo al gemito di
dolore e frustrazione del ferito. Boromir si lamentò e tentò con le poche forze
rimaste di sottrarsi a quella tortura. Perché non lo lasciavano semplicemente
morire? Non poteva sopportare il peso di quelle angosce che non lo avrebbero
abbandonato fino alla fine dei suoi giorni, né la compassione di chi aveva
tradito.
Voleva solo riposare.
«Gli Hobbit, Aragorn. Salvali, te ne
prego. Non perdere il tuo tempo qui.»
Il Ramingo, aiutato dallo straniero,
fece cadere le altre frecce e spogliò della tunica e della cotta di maglia il
suo amico. Sollevò lo sguardo sull'incappucciato e con poco del suo garbo
parlò. «Hai foglie di athelas con
te?»
Quello annuì, prendendo un sacchetto
appeso alla cinghia che stringeva il mantello alla vita. «Ne porto sempre con
me, Aragorn.»
Legolas e Gimli si stupirono nel
sentire quella voce sottile come quella di una donna. Poiché si accorsero che
proprio di una donna si trattasse quando il cappuccio le scivolò sulle spalle e
poterono vedere il suo volto, deturpato tra quattro profonde cicatrici. Tuttavia
non capirono chi fosse, né il motivo per cui Aragorn sembrava tanto in collera
con lei.
«Aragorn, promettimi che salverai i
piccoletti...»
Grampasso tornò a guardare il suo
amico, mentre la donna preparava la medicina e le bende. Prese le mani del suo
amico e gliele strinse. Boromir si sentì riscaldare da quel contatto
confortante.
«Ti giuro sul sangue di Elendil e
Isildur che scorre nelle mie vene che troverò Merry e Pipino. Non lascerò che
il tuo sacrificio sia vano, né che i nostri amici patiscano le sofferenze più
atroci. E ti giuro, fratello mio, che non lascerò che Minas Tirith cada, né che
il nostro popolo muoia con essa. Tu vivrai per vedere la gloria di Gondor e
sarai al mio fianco quando attraverserò le porte della Città Bianca per
prendere il trono che mi spetta.»
Boromir ricambiò la stretta del
compagno e provò sollievo nel sentire il suono di quel giuramento e il profumo
delle foglie terapeutiche che gli inebriò i sensi. «Va', dunque. Saranno già
lontani.»
La consapevolezza che dovesse correre
più velocemente degli Uruk-hai per salvare gli Hobbit gli diede la forza di
alzarsi, ma Aragorn non riuscì a muoversi subito verso Legolas e Gimli.
Guardava quell'Uomo distrutto dal dolore fisico e interiore, e sapeva che non
avrebbe potuto lasciarlo solo nei suoi tormenti. L'Ombra lo aveva quasi preso
una volta e non era sicuro che fosse del tutto in salvo, neanche una volta che
si fosse ripreso dalle ferite del corpo.
Ma Boromir non era solo, almeno non
completamente. Osservò la donna con risentimento e un nodo alla gola gli si
chiuse per un vecchio ricordo che sembrava lontano come il tempo della sua
felicità. Guardandola si domandò se potesse fidarsi e lasciare il suo amico
nelle sue mani. Poi convenne che non potesse fare altrimenti. «Prenditi cura di
lui, mentre starò via. Se dovesse succedergli qualcosa per una tua mancanza, ti
prometto che porterò a termine ciò che non fece Halbarad.»
La donna chinò il capo, senza guardarlo
negli occhi se non per un breve istante. «Lo farò, mio signore.»
Aragorn strinse involontariamente la
mascella, infastidito da quell'appellativo. Ma non aggiunse altro. Salutò con
un ultimo sguardo Boromir, poi voltò le spalle ai due e diede inizio alla
caccia. L'Elfo e il Nano lo seguirono senza esitazione, eccitati
dall'inseguimento.
La medicina che la donna aveva
velocemente preparato rilassò l'Uomo e i suoi muscoli tesi. Bevve fino
all'ultima goccia, aiutato da lei perché le braccia erano troppo intorpidite
per trovare la forza di muoversi. In religioso silenzio si fece medicare e
fasciare, nonostante fosse contrario a quel gesto di pietà. Non aveva chiesto
di continuare a vivere, invocava invece la morte! Ma forse le Aule di Mandos
non accoglievano i traditori, neanche per poco tempo, cosicché il Valar avesse
deciso di ritardare la sua ora.
Cadde in un sonno senza sogni, grazie
alla bevanda lenitiva e alla sua incredibile stanchezza, e non seppe
quantificare le ore che trascorsero dal suo risveglio. Ricordò solo alcuni
momenti di veglia, quando sentiva qualcuno scuoterlo e risvegliarlo per fargli
bere ancora quella tisana rilassante, ma nient'altro. Il primo pensiero che
ebbe appena aprì gli occhi fu piuttosto confuso. Non seppe dire se fosse vivo o
morto, perché non sentiva niente che gli facesse capire se provasse dolore o
insensibilità. Il suo sguardo incontrò le chiome mosse da un leggero venticello
e qualche raggio di sole, prima del tramonto, che a fatica riusciva a baciare
il terreno di foglie su cui era steso. Gli vennero in mente gli alberi di Bosco
Grigio, alle pendici del Monte Mindolluin, che spesso visitava nei momenti di
pace con il fratello, a cavallo e a piedi. Faramir amava raccontargli storie su
quei posti magici come le foreste, canzoni lette nei pomeriggi spesi in
biblioteca, o ascoltate dalla bocca di Gandalf; lui lo interrompeva spesso,
perché mai si era interessato ai racconti elfici, né riusciva a memorizzare
tutti quei nomi stranieri, cosicché perdesse facilmente il filo del discorso.
Ah, quale pazienza aveva suo fratello nel ripetere nuovamente tutto!
Sorrise nel pensare a Faramir e si
domandò come stesse. Gli mancava il suo fratellino.
Poi, con la velocità e il frastuono di
un fulmine, tutti gli avvenimenti di quel giorno gli rivennero alla mente e si
sentì ancora una volta sprofondare nelle colpe e nella vergogna. Era una
sensazione orribile, che lo frustrava e lo soffocava. Si sarebbe mai liberato
di quel peso, o almeno alleggerito un poco?
Un movimento alla sua sinistra attirò
la sua attenzione e pensò che non sarebbe sopravvissuto quella volta a un altro
attacco degli Orchi. Aveva a mala pena la forza per sollevare un braccio, ma
non certo quella per brandire una spada e difendersi. Eppure non udì grida
terrificanti, né il frastuono di quei piedi pesanti che battevano il terreno
sotto il loro cammino. Vide invece quella figura sconosciuta che ricordava
prima di svenire; ricordava quella sagoma sfuocata e quattro graffi
cicatrizzati che martoriavano il viso. Non gli aveva parlato in quei momenti di
dormiveglia, né prima che si addormentasse dopo che Aragorn se ne fu andato.
Aveva compiuto veloci e pratici gesti curativi, aveva bendato le ferite e lo
aveva coperto con il suo mantello per non fargli prendere freddo. Prima che si
addormentasse ricordava che si fosse seduta a pochi metri da lui, su una radice
sporgente e scomoda, e lì era rimasta a rimuginare su qualcosa. Ignorava la sua
identità, ma era probabile che conoscesse il Ramingo.
La donna si accorse del suo risveglio e
si chinò su di lui per tastargli la fronte. La febbre era calata, ma non del
tutto. «Come ti senti? Riesci a respirare senza problemi?»
Boromir annuì. Era incredibile pensare
che fino a qualche ora prima avesse in corpo una freccia che aveva rischiato di
perforargli un polmone e ora potesse inspirare senza gemere dal dolore ogni
volta. Era ancora indolenzito, ma niente era paragonabile a ciò che aveva
provato in quei momenti. Inoltre non aveva intenzione di lamentarsi con una
donna.
Una donna!
Aveva perso l'onore con il gesto di
follia nei confronti di Frodo, e ora quel poco di dignità rimasta veniva
calpestata dal fatto che una donna gli avesse salvato la vita. Lui, che aveva
sempre rifiutato le cure dei Guaritori, che aveva medicato le sue stesse ferite
da solo, era ora in balia di una donna.
«Muovi le gambe e le braccia.»
Una donna, che ora gli impartiva
persino degli ordini.
Ma non aveva la forza fisica né mentale
di farle notare che fosse lui l'uomo della situazione, non viceversa; per di
più gli aveva salvato la vita. Non sapeva se essere felice di poter continuare
a camminare sul mondo o maledirla per non averlo lasciato al suo destino, ma
per il momento poteva unicamente ringraziarla.
Fece come gli aveva detto e anche lui
si accorse che potesse muovere gli arti senza particolari problemi. Si sentiva
solo infinitamente stanco per la battaglia e per il sangue perso, ma non aveva
ferite così gravi da compromettere i suoi movimenti.
Lei si chinò e rimase in ascolto per
qualche minuto, con l'orecchia premuta sul terreno, senza quasi fiatare. Poi
tornò a guardarlo. Aveva penetranti occhi grigi.
«Devo chiederti lo sforzo di spostarci
da qui.» gli disse. «Le rovine del Seggio della Vista non sono molto distanti e
offrono un riparo migliore di questo. Non sento la presenza di altri Orchi in
questa sponda del fiume, ma è meglio allontanarsi per la notte. Chiunque abbia
l'ardire di avvicinarsi, lì, sarebbe scorto con preavviso.»
L'Uomo le fu grato che avesse dato per
scontato che si sarebbe alzato e per non avergli chiesto se se la sentisse di
muoversi, sebbene quella mancanza di tatto potesse sembrare una scortesia. Non
voleva sentirsi un peso da trasportare come un sacco di patate, né avrebbe
ingoiato facilmente il fatto che avrebbe potuto esserlo realmente. Accettò
comunque la mano che gli offrì e senza aggiungere una parola la donna si portò
il braccio sulle spalle. Boromir si chiese quanti passi avrebbero potuto fare
prima di cadere, lui senza forze e lei sopraffatta dal peso dell'Uomo. Ma la
donna era più temeraria e ostinata di quanto non pensasse e, con lentezza,
s'incamminarono verso l'antica torre di guardia. Il viaggio, seppur breve, non
fu affatto semplice, perché il terreno in salita e dismesso da pietre e radici
rallentava molto ogni loro passo. Ma Boromir non si lamentò, se non per
imprecare a denti stretti quando inciampò e rischiò di cadere. Ripercorrere
quel tratto di foresta gli ricordò la lotta con Frodo e non riuscì a trattenere
una lacrima di pentimento con la stessa forza con cui camminava.
«Coraggio, siamo quasi arrivati.»
L'Uomo sollevò lo sguardo e vide il
grande Seggio, maestoso nonostante ormai fosse inutilizzato e sopraffatto dalla
corrosione del tempo e della natura. Superarono il cerchio di pietre che
recintava l'area, e dopo aver scartato un blocco intagliato caduto durante
qualche tormenta, si ritrovarono sotto il Seggio, sorretto da quattro imponenti
colonne. Boromir si stese contro una di queste e lì rimase, finché la donna non
tornò con il suo scudo, la spada e il Corno di Gondor, ormai diviso in due.
«Mi dispiace che sia rotto.» disse lei,
consegnandoglielo con cautela.
Boromir si lasciò sfuggire un sospiro addolorato,
e accarezzò quello strumento di gloria e guerra che riempiva di gioia il suo
cuore e di timore il nemico. «Mio padre me lo consegnò quando raggiunsi la
maggiore età. Ed egli a sua volta lo ebbe in eredità da mio nonno, Ecthelion II.
E così via per secoli, da Vorondil il Cacciatore in poi, per vent'otto
generazioni. Ahimè, mai più le mie genti udranno il suo suono. Anche di questa
disgrazia mi sono sporcato le mani.»
«Non disperarti per meri oggetti che
possono essere ricostruiti o riparati.»
«Questo mero oggetto racconta la storia
di Gondor, nessun altro può sostituirlo.» rispose seccato.
«Anche Narsil, la lama che fu spezzata,
ha visto nuova vita in Andúril e ora è anche più tagliente, da quanto so.»
Non c'era un vero e proprio rimprovero
in quelle parole, ma Boromir ne fu colpito comunque. Osservò la donna con più
attenzione e notò che somigliasse molto ad Aragorn. E non per i suoi corti capelli
scuri e gli occhi grigi, piuttosto per la fierezza che tradiva le parole rispettose
pronunciate poco prima. Pareva saggia seppur giovane, e vestita alla maniera
dei Dúnedain, con un mantello grigio trattenuto da una spilla a forma di stella
sulla spalla sinistra. E poi c'era il mistero e l'orrore di quelle cicatrici
sul volto che un tempo doveva essere stato bello; quattro graffi profondi, che
partivano dall'occhio sinistro e affondavano fino alla guancia opposta, rossi
quasi come se si fossero appena rimarginati. Quale creatura avrebbe potuto
infliggere un tale colpo, sciupando la sua bellezza?
«Chi sei?» le chiese.
La donna afferrò l'arco che tendeva
sulle spalle e incoccò una freccia. Immobile fissò qualcosa oltre il cerchio di
pietre. Poi lasciò andare il dardo, che uccise una lepre. Gli rispose solo
quando tornò con l'animale sanguinante in una mano. «Il mio nome è Brethil
figlia di Aeglos, al tuo servizio.»
«Boromir figlio di Denethor, Capitano
della Torre Bianca, al tuo. Ti devo la vita, dama Brethil, anche se per certi
versi avrei preferito che mi lasciassi morire.»
«Non sono una dama. E non avrei potuto
lasciarti morire neanche se mi avessi supplicato. Ho un codice da onorare,
Capitano della Torre Bianca, come tu hai il tuo. E gli amici di Aragorn sono
anche amici miei.»
«Dunque lo conosci.»
«Sì, anche se lui ormai non conosce più
me.» disse in un sussurro che quasi l'Uomo non udì. «Abbiamo combattuto
numerose battaglie insieme, al nord.»
«Sei una discendente di Númenor?»
Brethil annuì.
Boromir si sistemò meglio contro la
colonna, ormai deciso a conoscere qualcosa di più sulla sua salvatrice, mentre
lei scuoiava la loro cena con un coltello di fattura elfica. Notò che fosse ben
armata, ma la faretra sulle spalle era per metà vuota, segno che anche lei
aveva dovuto combattere prima di raggiungerlo. La domanda gli sorse genuina
alle labbra. «Non sei capitata su questi colli per sbaglio, né il suono del
corno ha permesso al villaggio più vicino di inviare soccorsi. Come hai fatto a
trovarci?»
«La volontà dei Valar mi ha condotta
qui, nient'altro. Mi trovavo nell'Emnet Orientale e
ho udito il tuo richiamo. I cavalli di Rohan sanno essere molto lesti quando
necessiti di urgenza.»
Boromir non seppe capire se le sue
parole fossero veritiere o se avesse omesso qualcosa. Non poteva essere solo
pura coincidenza, né voleva credere alla storia dei Valar, poiché era
fermamente convinto che nessun Uomo fosse un burattino nelle mani di quelle
divinità. «Perché una donna avrebbe dovuto trovarsi sola in una landa desolata
come quella? Un tempo vi pascolavano le mandrie dei Rohirrim, ora non vi sono
più neanche quei pochi e temporanei villaggi di allevatori.»
«Non ti chiederò perché tu e Aragorn e
quella strana coppia di amici vi trovaste lì. Desidererei che anche tu facessi
ugualmente.»
«Perdonami, non era mia intenzione
offenderti.»
«Nessuna offesa.»
Brethil si alzò per cercare un po' di
legna da ardere. Erano in alto, nel mezzo degli alberi, non vi era pericolo
alcuno che potessero scorgere le fiamme di un piccolo falò per cuocere una
lepre magra come quella. Mentre la carne arrostiva, inebriando i sensi di un
affamatissimo Boromir, la donna preparò ancora quella saporita tisana e degli
impacchi per le lesioni. Con molta delicatezza aiutò l'Uomo a spogliarsi degli
abiti superiori, disinfettò le ferite con l'athelas
e le bendò nuovamente.
«Si cicatrizzeranno in fretta, con
quest'erba, ma non compiere movimenti bruschi in questi primi giorni, o si
riapriranno.» disse Brethil. «Sei un uomo forte, Boromir, figlio di Gondor.
Molti sarebbero caduti dopo la prima freccia.»
«Non potevo arrendermi all'inizio. Non
senza aver prima tentato.»
Brethil lo osservò con attenzione. «Tentare
cosa?»
«Di salvare i piccoletti.»
Boromir chiuse gli occhi e ripensò agli
sguardi sconcertati di Merry e Pipino quando era caduto in ginocchio, proprio
davanti a loro. Vedeva la disperazione nei loro occhi, la paura di non
potercela fare e di vederlo morire ai loro piedi. Ma lui non doveva cadere; e
non per salvare la sua vita, ma per salvare la loro. Doveva difenderli a
qualsiasi costo, andando contro Orchi, frecce e la Morte stessa, finché ne
avesse avuto la forza, finché avesse avuto un filo di aria nei polmoni.
«Il tuo è stato un atto onorevole.»
«Ma non cancellerà l'orrendo gesto che
commisi solo qualche momento prima. Se solo non avessi aggredito Frodo...»
«Frodo?»
Riaprì gli occhi lucidi e si ricordò di
avere un'estranea come interlocutrice. Fu costretto a tacere per non raccontare
oltre, poiché non sapeva se fosse a conoscenza dell'Anello e della loro
missione, sebbene sembrasse all'oscuro di tutto. «Un amico... un Hobbit. Ho
tentato di prendere con la forza qualcosa che non mi apparteneva. E che
continuo a desiderare ardentemente, nonostante tutto.»
«Ma non ti sei spinto oltre.»
«No, mai.»
«Anche questo ti rende onore, se può
consolarti. Sei riuscito a fermarti prima che fosse tardi.»
Boromir scosse il capo. «Mi sono
fermato perché sono stato colto alla sprovvista. Non credo sarei riuscito ad
arretrare la mano, una volta tesa.»
«Ti sei comportato come un Umano, che
ha le sue debolezze e le sue forze. E le hai dimostrate entrambe.»
«Tu
non capisci, non sai cosa ho provato! Avrei potuto... sì, avrei potuto uccidere
pur di averlo per qualche istante.»
Un tremendo dolore al petto gli fece
capire la nefandezza di quelle parole. E la vergogna lo assalì nuovamente,
portandolo a nascondere il viso tra le mani, come se potesse occultare tutta
l'oscurità che aveva invaso il suo cuore. Provava un tale ribrezzo per se
stesso, per quel mostro che era diventato, da nausearlo. Con che coraggio
avrebbe potuto far ritorno alla sua città? Come avrebbe potuto vivere con un
rimorso così grande, quando il mondo intero sarebbe crollato per causa sua? Se
non fosse stato accecato dalla bramosia di difendere il suo popolo con ogni
mezzo, forse Frodo non sarebbe partito da solo; avrebbe avuto ancora la guida
di Aragorn e il suo scudo a proteggerlo, verso una terra in cui la morte e il
terrore erano invocati in ogni suo angolo; Merry e Pipino avrebbero ancora
allietato le loro pesanti giornate con i loro modi paciosi e allegri; e, a
discapito di quello che continuava a ripetere dal momento della loro partenza,
avrebbe accompagnato il Portatore fino al Monte Fato, perché distruggere
l'Anello avrebbe significato anche difendere l'amata Gondor. Che persona
orribile era diventato?
Brethil non poté dire cosa stesse
pensando, ma vide il tormento nei suoi occhi e gli afferrò un braccio. «Non
torturarti per le tue colpe. Non puoi cancellare ciò che è stato, ma devi
prenderne atto e imparare dai tuoi errori. Morire, se è questo che
desidereresti in momenti come questi, non ti libererà da ciò che hai fatto,
anzi. Il tuo è un desiderio egoista.»
«Cosa ne puoi sapere tu, ragazzina?
Cosa ne sai degli errori che potrebbero cambiare le esistenze di tutti? Cosa ne
sai del tradimento di persone che hai imparato ad amare come amici e fratelli,
che si fidavano di te al punto di mettere le loro vite nelle tue mani?»
«Purtroppo so molto di sbagli del
genere, Uomo di Gondor, più di quanto non abbia mai desiderato. Non sono senza
peccato, e anzi, forse ciò che feci una volta fu una follia che ci condannerà
tutti, proprio come hai rischiato tu. E so bene cosa significhi tradire un
amico, tradirlo fino in fondo tanto da accettare anche il suo rifiuto pur di
non doverlo guardare negli occhi.»
Boromir rimuginò su quelle parole in
silenzio, osservando la carne ormai quasi pronta. «Come hai superato i tuoi
sensi di colpa, qualunque sia stato il crimine che hai commesso?»
La freddezza nella risposta di lei
venne tradita dai gesti turbati che seguirono quella domanda. La vide
morsicarsi più volte le labbra, in preda a chissà quali ricordi, e Boromir
provò pietà per quella creatura che, a discapito di quanto avesse immaginato,
aveva sofferto e soffriva quanto lui.
«Non li ho mai superati.» ammise,
chinando il capo. «Dovrei dirti che un giorni dimenticherai questo momento buio
della tua vita e che vivrai senza pensieri di sorta, perché solo il tempo
guarisce certe ferite. Eppure non me la sento di mentirti, perché so quello che
stai provando. Non dimenticherai, ma convivrai con i sensi di colpa, tanto che
diverranno una scomoda abitudine. Non so se svaniranno una volta che tutto sarà
sistemato, se mai dovesse accadere, ma so solo che il tempo non cancella, bensì
cicatrizza. Una ferita può non dolerti più da anni, ma le tracce rimangono e ti
porteranno inesorabilmente a ricordare. Devi solo trovare la forza di convivere
con essi. È questa la parte più difficile. Ma tu sei forte e non ti sei
macchiato di qualcosa di irreparabile. L'ho visto in queste poche ore, e saprai
quale strada percorrere senza imboccare quella errata. Non fare come me, non
fuggire da tutto. Non è questo il modo migliore di affrontare il problema, ma è
una scorciatoia per i codardi. Tu non lo sei.»
«Le cicatrici di cui parli sono...»
tentò l'Uomo, osservandole il volto martoriato.
Brethil portò una mano al viso,
sfiorando uno di quei solchi indelebili, e un sorriso amaro le distorse le
labbra. «C'è chi può mascherare le proprie colpe con l'abitudine e il tempo. Io
invece devo mostrarle al sole, per sentirmi meno colpevole. È una piccola
condanna che non è niente in confronto alla perdita di fiducia di chi ami, e
sono pronta a sopportarla per il resto dei miei giorni. Nascondermi dietro un
cappuccio e un pezzo di tessuto calato sul volto servirebbe solo a farmi
strisciare nell'ombra, come un'ombra.»
Doveva esserci un segreto terribile
dietro quelle cicatrici, qualcosa di così doloroso che lo faceva rabbrividire.
Eppure cosa mai avrebbe potuto commettere una donna come lei per addossarsi
tutto quel danno? Avrebbe voluto sapere da dove provenissero quelle ferite, ma
così come lui non avrebbe confessato facilmente ciò che aveva fatto a Frodo,
così non immaginava che lei avrebbe trovato il coraggio di parlarne, se fosse
stata forzata.
Era la prima pausa che si concedevano
da quando erano partiti dai Colli di Amon Hen per inseguire gli Orchi e gli Uruk-hai che avevano
preso in prigionia gli Hobbit, e la Luna era sorta già da parecchie ore in
cielo. Non avevano molto tempo a disposizione per riposarsi, perché sapevano
bene che i rapitori non si fermavano che per pochi momenti per consumare un
pasto veloce - e il più delle volte si rivelava essere la carne di uno di loro,
che aveva osato sfidare gli ordini e la frusta del capo. Inoltre era probabile
che avessero fiutato la loro presenza alle calcagna, così da accelerare la loro
già rapida marcia.
Legolas fu il primo a montare la
guardia, poiché era il Ramingo che doveva mantenersi lucido e attivo per
ricercare le tracce e possibili indizi sul loro cammino, che facessero ben
sperare sulla sorte dei loro due piccoli amici. Si accordarono per un'ora di
sonno ciascuno e fu il Nano a russare per primo appena toccò terra con il capo.
Aragorn nonostante la stanchezza fisica, aveva troppi pensieri che gli impedivano
di riposare. Quella era stata la giornata più pesante e difficile che aveva
dovuto affrontare dopo la caduta di Gandalf a Khazad-Dûm. Da
quel momento in poi aveva dovuto prendere lui il comando della Compagnia, lui aveva
dovuto guidarli attraverso i pericoli che quel cammino nascondeva, ma non aveva
idea di cosa Gandalf avesse in mente una volta lasciate le miniere di Moria, né
lui aveva ben chiaro quale strada avrebbe dovuto affrontare. I giorni trascorsi
a Lothlórien erano serviti per trovare pace mentale e ragionare in un luogo
familiare e protetto, ma nonostante l'accoglienza degli Elfi e i consigli
enigmatici di Dama Galadriel, aveva ancora seri dubbi su come si sarebbe dovuto
comportare. Da un lato voleva seguire Boromir verso Minas Tirith per preparare
l'imminente guerra e difendere la sua città; dall'altro lato non poteva
lasciare a Frodo l'arduo compito di portare quel fardello da solo e senza la
sua guida, sebbene nessun vincolo di giuramento lo legasse al destino dello
Hobbit. Quando la situazione era precipitata Aragorn non aveva avuto il tempo
di esitare ulteriormente. Aveva lasciato andare Frodo per la sua strada, che
aveva deciso di lasciare la Compagnia dopo il tentato tradimento di Boromir, e
l'unico pensiero che lo rassicurava era che Sam fosse con lui. Caro Sam, non
poteva trovare guida migliore di un amico fedele e devoto come lui. Poi
Meriadoc e Peregrino erano stati catturati dagli Orchi di Saruman,
probabilmente pensando che uno o l'altro avesse l'Anello del Potere, e Boromir
aveva rischiato la sua stessa vita pur di difenderli, recuperando il suo onore.
Boromir. Era il pensiero dell'Uomo a
tormentarlo, ora. Non Frodo e l'Anello, non Merry e Pipino che avrebbero
raggiunto a costo di non camminare più per il resto della vita, ma Boromir.
L'aveva visto torturarsi in pensieri oscuri da quando l'Unico aveva iniziato a
parlargli, infondendo quelle voci malvagie nella sua testa già troppo affollata
di preoccupazioni; aveva combattuto con coraggio fino a quel momento di
debolezza ed era rimasto quasi ucciso per aver teso la mano.
Non avrebbe voluto lasciarlo indietro,
non in quel momento delicato come il filo teso al limite della resistenza.
Aveva bisogno di un amico con cui confidarsi, a cui raccontare le sue paure per
togliersi il peso della sofferenza e delle colpe che avrebbe deciso di
addossarsi. Ma Aragorn sapeva che il suo compito ora era concentrarsi sugli
Hobbit, che tanto erano cari ad entrambi, e gli aveva promesso che li avrebbe
ritrovati vivi. Non poteva diventare uno spergiuro, anche a costo di morire
nell'impresa.
E poi era accaduto l'inaspettato,
ancora più sorprendente dei guai di quel lungo e stancante giorno. Era stato in
grado di combattere orde di Orchi, di scegliere finalmente che direzione
seguire da quel momento in avanti, ma non era ancora pronto per affrontare lei.
Quella donna riportava alla mente parte del suo passato, parte della vita di
Ramingo che aveva vissuto nell'ombra prima di rivelarsi per quello che era
realmente. E gli ricordava eventi lieti eppure spiacevoli, così lontani nel
tempo eppure così vividi da fargli ancora del male.
Aragorn si girò sull'altro fianco,
insofferente.
«Questo dovrebbe essere il momento del
riposo, Aragorn. Non del cruccio.»
L'Uomo si mise a sedere, in un sospiro
pesante. «Non troverò riposo né pace fintanto che le mie preoccupazioni non
saranno dissipate almeno in parte.»
«Sei in pena per Boromir, vero? Non
temere, mi pare che l'abbia lasciato in buone condizioni.» chiese Legolas. «Ma
mi domando chi sia quella donna, Aragorn? Mi è sembrato di vedere ostilità nei
tuoi modi, eppure non hai esitato a lasciare nelle sue mani la vita del nostro
amico, che tanto ti è caro.»
«È vero, temo per la sua vita, ma non
temo le frecce che lo hanno colpito. Quella donna sa curare ferite anche ben
più gravi e io stesso le ho insegnato come fare.»
«L'Anello è lontano da noi e da lui,
non rappresenta più un pericolo.»
«Ma seppur distante il suo effetto non
svanirà facilmente. Lui più di tutti noi è stato contagiato dal Male e dovranno
passare molti anni prima che possa liberarsi dalla tentazione e dalla speranza
di poterlo rivedere, un giorno.»
«Comprendo i tuoi timori, ma non
evadere le mie domande, Aragorn.» disse l'Elfo, sorridendo.
Il Ramingo diede una veloce occhiata a
Gimli, profondamente addormentato e apparentemente noncurante delle loro
chiacchiere.
«Mi chiedi chi sia, eppure dovresti
ricordarti di lei.» disse Aragorn. «Tuttavia forse solo tuo padre e qualche
altro della tua stirpe la conosce. Era un'amica fidata, seconda solo a Halbarad
per affetto.»
«Era?»
Aragorn strinse gli occhi, riportando
alla memoria avvenimenti che pensava di aver rimosso con leggerezza, seppur all'inizio
con grande difficoltà. «Credimi, Legolas, quando ti dico che difficilmente riusciresti
a riconoscere una persona quando questa ti ha deluso oltre misura.»
«C'è dolore nelle tue parole e nel tuo
sguardo, così come ho visto vergogna nei suoi occhi. Di quale torto e delusione
parli affinché non si meriti più la tua fiducia?»
«Si è macchiata di tradimento. Ancora
oggi mi chiedo che cosa la spinse a fare ciò che fece, ma non trovo risposta.»
disse Aragorn. «Più di dodici mesi sono trascorsi dal nostro addio e mai più la
rividi. Non so per quale strano scherzo del destino sia tornata, proprio quando
ne avevo più bisogno.»
Legolas sorrise. «Forse ha udito le tue
angosce, perché ancora c'è un filo che vi lega e che le ha permesso di
trovarti.»
Sì, forse era così. Rivederla era stato
un grande conforto eppure un dolore immenso. Aveva dovuto combattere tra
l'istinto di abbracciarla come faceva un tempo e quello di cacciarla lontano.
Lei era lì, davanti ai suoi occhi, per aiutarlo, come sempre faceva comparendo
al suo fianco senza che lui avesse il bisogno di chiamarla. Ma non poteva
dimenticare, né perdonarla così facilmente, neppure dopo tutto quel tempo;
poiché le conseguenze di ciò che fece avevano ancora ritorsioni sulla Terra di
Mezzo e, soprattutto, sul destino del Portatore dell'Anello.
«Aragorn, riposa ora.» disse Legolas.
«E non angustiarti anche per la sua storia. Boromir ugualmente ha sbagliato,
eppure noi tutti siamo decisi a perdonarlo, perché non ha colpe per ciò che ha
fatto. Oppure bisogna rimproverarlo di essere troppo Umano? Avrai il tempo e il
modo di capire le sue ragioni e solo allora potrai condannarla o dimenticare i suoi
sbagli.»
Il Ramingo annuì, stendendosi e
osservando le stelle. Poi chiuse gli occhi e finalmente si addormentò.
*
Note: il titolo è la
semplice traduzione del nome Brethil.
Brethil era anche il nome di una foresta della Prima Era, nella regione del Beleriand dell'Ovest, un tempo (forse) parte del Doriath, con cui confinava a Nord.
Spero
che i personaggi rimangano quanto più IC e che la mia creatura femminile vi
piaccia. Secondo voi che ha combinato di così grave da deludere persino
Aragorn?
A
presto!
Marta