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Autore: _Alcor    03/05/2024    4 recensioni
Gli emersi – invasori dimensionali che appaiono all’improvviso e senza apparente regolarità – hanno già devastato una delle province del paese e minacciano ogni giorno di causare nuove morti.
In risposta, l’umanità ha creato le armature d’assalto CHIMERA, l’unica speranza di combattere ad armi pari contro individui che sembrano poter piegare la natura al loro volere con un movimento della mano.
Eppure ci sono forze che vogliono che il testing delle armature venga interrotto e sembrano disposte a tutto: aggressioni, minacce e attentati…
Perché?
{aggiornamenti in pausa fino al 15 giugno 'cuz impegni personali | Terzo capitolo della serie Chimere | ispirato all'esperimento di Milgram&Kamen Rider}
Genere: Angst, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Chimere'
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II.

[Tae Maeda]





8 ORE 27 MINUTI ALLA PRIMA APPARIZIONE DELLA PARATA DEL FUMO



Pianto il piede sul cornicione della finestra, i complottisti sono un mare di colori confusi e cartelloni sull’ingresso. Non sembrano essersi accorti del pennacchio di fumo grigio che si alza sopra il profilo degli edifici.

Al lavoro. «C06, attivazione.»

«C02, attivazione,» fa eco Glenn.

L’innesto nel petto formicola, si scalda fino a diffondere un piacevole tepore lungo gli arti. C’è sempre un delay di cinque-sei secondi tra il comando vocale e l’effettivo responso dell’armatura, un tempo un po’ troppo lungo quando si parla di situazioni dove ogni istante conta. C’è da sperare che appianino presto i problemi.

Gli scomparti dei bracciali scroccano. Esagoni metallici scivolano fuori e mi risalgono la pelle, si saldano nell’armatura argentea. Sullo schermo del casco si accendono le solite icone, la scritta CHIMERA 02 appare sotto Allen.

La porta della stanza si spalanca, Logan stringe un paio di cremini in una mano. Strabuzza gli occhi, passa lo sguardo da me all’armatura nera di Glenn. «Che state facendo? Abbiamo il colloquio da finir–» barbetta un paio di frasi incomprensibili. «Insomma, no! Non potete!»

Ha i nervi in pezzi da secoli questo ragazzo, dovrò costringerlo a spiegarmi qual è il problema che lo tormenta.

Congiungo le mani davanti al viso. «Emergenza, dobbiamo andare.»

CHIMERA 02 si illumina. «Dopo torno per il colloquio.» Il lieve ritardo tra la voce di Glenn accanto a me e la trasmissione metallica del casco stride. Prendo un respiro, tra un attimo non farà differenza.

Lancio un ultimo sguardo ai complottisti sotto di noi, giusto un volto in mezzo alla folla si è alzato verso di me.

Mi lancio dalla finestra; il calore alle caviglie cresce, i propulsori mi sostengono a mezz'aria con un ronzio degno di un centinaio di api arrabbiate. Bene, mi servono giusto due secondi per abituarmi, poi devo partire.

Glenn salta dopo di me, compie una parabola che lascia alle sue spalle una scia elettrica. Batte i piedi contro il muro del palazzo di fronte e schizza avanti, rimbalza da un albero al balcone successivo come una pallina da pinball impazzita.

Mi viene il mal di mare a guardarlo.

Prendo quota e volo verso il pennacchio di fumo, strade trafficate si susseguono l’una dietro l’altra. La circolazione in questa zona non è stata ancora bloccata, mi sa che abbiamo a che fare con un emerso poco mobile.

Allen si illumina. «L’emerso è un umanoide, crea barriere di cristallo o vetro senza apparente limitazione.»

Che abbia un aspetto umano è positivo, quelli veramente pericolosi sono bestie di solito.

Glenn schiocca la lingua. «Limitazione in che senso?»

«Diciamo che ha usato uno dei suoi trucchetti per tranciare una camionetta a metà. Per ora non ci sono feriti ma… onestamente, temo cosa succederebbe se dovessimo mandare l’unità di soppressione da sola contro di lui.»

L’immagine di una persona che viene tagliata per il lungo da un pannello di vetro mi fa girare lo stomaco.

Un blocco di macchine ferme ingombra le viuzze, diverse persone stanno smontando dai sedili e vanno in direzione opposta al pennacchio di fumo a passo tranquillo. Altrettante si sono affacciate alle finestre, attirate dall’ultimo disastro del giorno.

Una camionetta grigia con lo stemma della Kaiser è girata di traverso in fondo alla strada in modo da occupare entrambe le corsie, un paio di soldati in armatura standard la affiancano per impedire a quattro matti armati di telefonini di passare la linea di demarcazione. Il resto della squadra è posizionata a ventaglio nell’incrocio, le armi spianate contro l’emerso di turno. Glenn atterra tra di loro, stringe la mano sull’elsa della spada legata alla sua vita.

Inchiodo a mezz’aria.

Il fumo viene da una strada poco distante; la carcassa dell’autovettura in fiamme fa da sfondo all’invasore dimensionale: un ragazzo dai capelli biondi legati in una treccia. Trascina il braccio sinistro – gonfio come un tronco e viola – a terra, stringe la mano normale sulla maschera nera che gli copre occhi e naso.

Ringhia.

Una lastra trasparente si materializza dal nulla e trancia a metà uno dei bidoni che costeggia il marciapiede, lattine schiacciate e cartacce rotolano a terra. Qualcuno spara un paio di volte, i proiettili rimbalzano su una barriera a un soffio dall’essere e si infrangono sul muro di un palazzo, portandosi via un pugno di mattoni.

Il soldato più alto lì in mezzo abbassa lo scudo antisommossa e abbaia un paio di ordini incomprensibili ai colleghi.

Maschera Nera allunga il collo e ruggisce, è così forte che mi trema la cassa toracica.

Allen si illumina. «Procedete. L’obiettivo è neutralizzarlo entro quindici minuti, e se possibile detenerlo. Quello è il limite tollerabile, un secondo oltre e la squadra di soppressione dovrà unirsi per tentare di limitare i danni a persone ed edifici.»

Con la differenza che loro non hanno la protezione offerta dalla nostra strumentazione, quindi rischierebbero la vita infinitamente più di noi.

«E poi,» aggiunge, «non ho bisogno di dirvelo ma la vostra sicurezza ha priorità su tutto.»

Sorrido. «È un piacere sentirselo dire.» Stringo i pugni, una coppia di lame energetiche si delineano dal polso con una leggera curvatura fino al gomito.

Glenn piega le dita come artigli e congiunge le mani; scintille elettriche appaiono ai piedi di Maschera Nera, formano i denti di una gigantesca tagliola che scatta su di lui. Scavano nella coppia di barriere che sono apparse a protezione, ma vanno entrambe in pezzi prima che possano colpirlo.

Mi lancio su di lui con un calcio ad ascia, la mano umana mi afferra la caviglia e sbatte a terra. Un lampo di dolore mi esplode nella schiena, nulla di insopportabile ma diamine… Una lastra di cristallo corre verso il mio collo, la intercetto con la lama del braccio. Lo stridio di due colpi che si scontrano è assordante, nessuno dei due prevale sull’altro.

Glenn gli arriva addosso con il fodero della spada, Maschera mi molla e gli tira un pugno sulle costole prima di essere colpito. Dal punto di contatto si accendono decine di esagoni verde acqua che coprono tutta l’armatura, le gambe gli tremano. Quello deve aver fatto male.

Mi alzo con un colpo di reni e pianto le lame energetiche nel braccio deforme, l’emerso tira un rantolo dolorante. Una coppia di lastre di vetro si frappongono tra di noi, la superficie trema come uno specchio d’acqua quando ci lanci dentro un sasso. Si riempiono di spuntoni aguzzi, uno mi sfiora la gola.

Salto indietro; anche Glenn ha preso distanza, dalla linea arriva il suo respiro pesante.

Schiocco la lingua. «Tutto bene?»

Mi mostra il pollice alzato.

Maschera Nera si tiene il braccio da cui cola una grossa macchia di liquido verde, rimane inerte come se non fosse in grado di muoverlo. Ruggisce, le barriere piene di spunzoni schizzano in nostra direzione.

Ho la squadra di soppressione alle spalle, se lo schivassi–

Incasso la testa e tiro una spallata contro la barriera aguzza, gli aghi si frantumano senza sfondare nulla ma sento il braccio addormentarsi per il rinculo del colpo. Mi si affloscia come se non riuscisse a reggere nemmeno il proprio peso.

La macchia viola risale il collo di Maschera Nera: i muscoli si gonfiano come palloncini, il viso si allunga e mette in mostra una doppia fila di denti irregolari. Rantola, venature verdi gli segnano la pelle.

Anche se lo riuscissimo a fermare, ha passato il limite. Non tornerà normale.

CHIMERA 02 lampeggia. «La Guardiana ci risparmi, sembra entrato nella sua seconda fase.» Si schiarisce la gola. «Scusate, non avrei dovuto dirlo.»

Allen sospira. «Tenete la concentrazione alta.»

La maschera salta a terra, rivela un paio di occhi celesti che si rimpiccioliscono e diventano neri man mano che il volto si deforma in un muso conico. Un paio di canini arcuati spuntano dalle labbra.

È diventato un cinghiale.

Una lastra di un paio di metri si condensa accanto a lui, si allunga con una traiettoria obliqua verso uno dei palazzi. Che sta facendo…?

Con un suono di risucchio, la lama trasparente penetra il muro fino a sbucare dall’altra parte, dividendo in due l’edificio. Oh no.

La parte alta scivola sul vetro verso di noi, giro i tacchi e attivo i propulsori. Glenn schizza in una scia elettrica prima di me, placca un paio di soldati e li trascina fuori dall’ombra imponente.

Solo il capitano armato di scudo è ancora sotto la traiettoria, e la sensazione di intorpidimento al braccio non vuole saperne di sparire. Grosso com’è lui, trascinarlo via sarebbe impossibile.

Lo placco a terra e gli salgo sulla schiena per fargli da scudo.

Le mura cedono in una pioggia di mattoni e detriti, espando la barriera energetica dell’armatura perché avviluppi entrambi: esagoni verdi si dispongono in una semisfera intorno a noi. Una pianta ci si spappola contro e cade giù, trascinata dal peso del vaso. Lo schermo di un computer si sfracella a terra, viene schiacciato da una scrivania dall’aria costosa. Stringo gli occhi.

I colpi continuano incessanti finché non rimaniamo sepolti vivi.

Un’icona di allarme segnala che sto utilizzando la batteria interna a una velocità allarmante; fino ad ora avevo visto solo nei documenti da studiare quel simbolo.

Allen lampeggia. «Tae! Batti un colpo.»

«C06, faretti.» Un fascio di luce parte dal casco, illumina i capelli biondo platino del soldato-gigante. Il petto si muove, sta respirando. Non avevo idea se spingerlo di prepotenza avrebbe creato danni peggiori. «Ditemi che l’edificio era stato evacuato…»

«Tranquilla, non c’era nessuno!» Ha la voce un po’ troppo stridula, per uno che mi sta dicendo che va tutto bene. «Pensa a uscire da lì.»

Trovarmi persone schiacciate come api sul parabrezza è il problema davanti a me per ora, rassicurami meglio, per favore! Urla vengono seguite da decine di spari, mi mordo il labbro, la squadra di soppressione si è iniziata a muovere. «Glenn?»

«Sto bene!»

Pianto le mani a terra, attivo tutti i propulsori dell’armatura contemporaneamente e scatto verso l’alto. Le macerie fanno a malapena resistenza, sbuco fuori, lasciandomi sotto di me una voragine circolare.

Volo in cerchio sull’area.

L’emerso sta correndo verso l’edificio distrutto, zampilla liquido verdastro dalle decine di fori di proiettili che gli hanno martoriato braccia e busto.

Glenn è a poche falcate di distanza da lui, inarca le dita come artigli. Un’altra tagliola energetica si chiude sul emerso, che genera quattro barriere per bloccare uno dei morsetti e pianta la mano sull’altro. Lo strappa da terra.

Scatto, riattivo la lama del braccio e gliela pianto sul fianco. Gli giro intorno per allargare lo squarcio ma un pugno a martello mi stampa sul marciapiede, il dolore mi fa vedere le stelle.

Col cavolo che mi arrendo ora. Gli abbraccio le caviglie. «Stai fermo!»

Un sibilo taglia l’aria, Glenn atterra oltre l’emerso con la spada sfoderata: la testa dell’essere mi cade vicino alla faccia, una zanna sporca di quel liquido verdastro. Il corpo mi stramazza addosso con il peso di un carrarmato, stringo gli occhi. Oltre il danno la beffa.

Tempo di un battito di ciglia: muso e corpo si sfaldano in polvere che mi scivola tra le dita. Lascia solo una pietra a forma di stella macchiata di azzurro e viola; la stringo, questa deve essere consegnata al dottor Havel.

Glenn ripone la spada nel fodero e mi tende la mano. «Stai bene?»

Gliela afferro, mi tira su come se fossi fatta di carta. «Sono stata meglio. Piuttosto, il gigante di prima–»

Mi giro, i colleghi del soldato lo stanno aiutando ad uscire dal varco che ho creato nelle macerie. Mi scappa una risata che non trattengo: ridere è utile, aiuta a fingere che le mani non tremino per la paura. A ritornare nel presente dove siamo solo dei tester che devono solo assicurarsi che le armature funzionino e siano apprezzate dai cittadini.

Stasera nelle pagine dei trending ci sarà un video sfocato di noi due che combattiamo, ci scherzerò sopra con Kaho. Se ho fortuna i miei genitori non lo vedranno.

Saltello sulle macerie sporgenti fino al gruppetto di soldati, Glenn mi affianca. «Noi abbiamo finito, se non c’è altro ci ritiriamo.»

Il gigante lancia un’occhiata alle fiamme ancora alte che lambiscono la camionetta rotta, si tocca l’orecchio e sillaba chiama a uno dei suoi che non ha ancora abbassato il blaster. Si avvicina con falcate enormi e tira una pacca sulla schiena di entrambi.

«Grazie per il vostro lavoro.» Ha una voce estremamente gentile. «Ora toglietevi quegli affari, prima che vi diano problemi.»

Non siamo più nel primo anno di testing, le armature hanno smesso da tempo di andare a pezzi per mancanza di sufficiente energia. Tiro le labbra.

«Non sia così pessimista,» mormora Glenn.

L’uomo accenna un sorriso, alza la mano come se volesse arruffargli i capelli ma non lo tocca. «Va bene. Visto che un veicolo è rimasto integro, vi riportiamo alla Kaiser noi.»

La prospettiva mi piace, dopo il combattimento non ho voglia di distruggermi lo stomaco di nuovo con una terza sessione di volo. «Grazie.»

Glenn poggia le mani sul pomolo dell’elsa. «Potete lasciarmi vicino a Porta degli Aster? Ho il colloquio ancora da iniziare…»

«Nessun problema.»

E anche questa giornata di lavoro è andata bene.

  
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