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Autore: Cladzky    04/05/2024    1 recensioni
Leggendo l'Eneide l'autore si addormenta e finisce in un terribile oltretomba scritto in terzine ma anti-Dantesco, dove non sono i morti a essere puniti, ma i suoi peccati letterari. Il buon Virgilio, come al solito, recupera la sua funzione di guida in questo inferno laico, traghettandolo da un'anima furiosa all'altra, pronta a randellarlo. Un'opera per ridere, ma anche di riflessione interiore e soprattutto di insulti, piena di personaggi storici.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CANTO XXVII - La stanza dell'accidia.


Convien ch’io spieghi il mio ultimo verso:

La madre di mia madre, di tutti i miei germi,

La madre ch’è qui da tempo ormai perso


Prima di quest’era del consumismo da vermi,

Prima della nuova Repubblica e dello scandalo,

Prima di quel periodo fra due blocchi fermi,


Prima del nuovo Genserico, nuovo vandalo,

E il sacco di Roma che decretò il declino,

Prima della corona che al franco sandalo


Deve Sadowa, Sedan e Solferino,

Prima del corso che ci diè Cisalpina,

Prima degli stranieri regimi sul latino,


Prima della comunanza guelfa e ghibellina,

Prima dei franchi, Bisanzio e longobardi,

Prima ch’Odoacre segga alla reggia palatina,


Prima che Ravenna e Mediolano furo tardi

Nova Roma, Nova urbe e novo mondo,

Sotto dittatori valenti e codardi,


Sotto Maggioriano, Onorio meditabondo,

Sotto Teodosio e Graziano ambrogino,

Sotto Giuliano e Costante saggitabondo,


Sotto lo triplice santo, il Costantino,

E Diocleziano, burocrate e statalista.

Sotto Caracalla e il suo editto cittadino,


Giù per Traiano, Tito e lunga lista,

Fino ad Augusto, Antonio e il Giulio,

Pompeo, Crasso e Catone uticista,


I tre Scipioni, Quinto Fabio e Aùlio

Publio Valerio e Lucio Ginio Bruto

I tre Orazi morti per Ostilio Tùlio


Dei sette coronati del latino statuto,

Prima d’essi e prima dei lucani,

Gli etruschi, i sanniti e il viaggio compiuto


Per divina voluttade dei superbi troiani:

Te dico, Italia! Tu ventre europeo,

Da sempre assillata da questi insani;


Dacché fosti erede del Partenopeo,

(Probo figlio d'Atlanta e vergine puro)

Nei fasti dorati di Crono Uranèo,


Presti ora orecchio a un distorto Epicuro

Per i mali consigli di questa gente tutta

E s'io non concordo e faccio un muro


Con la morale cristiana, essa combutta

Con la mia oggi perché miro e rimiro

Quella turba che negli anni ti fece sì brutta.


Roberto di Parma, dall'austriaco ritiro,

Rapito, era appeso, il duca rapace

Che sempre godette di oro e porfiro


Lamentando il regno e la perduta pace.

Gli fa compagnia il Vittorio di Savoia

Che a ben altro duce delegar piace


I destini nostri e non si diè noia

Di battagliar li teppisti col fez in capo.

Non avean sembianze di chi muoia


Seppur a una seconda volgean lo scapo

Delle lor ali, ivi imprigionate

E avean compagnia di tanti Bindi e Lapo


Che pria di nomarli mi obnubilerebbe Ate.

E quindi, così vivi e nervosi come al podio

Non sucitavan ribrezzo o la pietate


Che potesse ammansire il mio sordido odio.

“Oh tu” Io gridai “Venerato dai monarchisti,

Son finiti i giorni che io mi rodo e rodio


Al sentir scannare i tuoi figli, quelle cisti

Della nostra repubblica democratica e laica,

Per un titolo che non vale i vostri misti


Piagnistei per una successione arcaica.”

E quei rimbrottò “A che mi avveleni?

Per il mio tradimento alla gente ebraica


E l'Italia tutta, potete stare sereni

Che già pagai e pago il mio leso.

Ma curate piuttosto i vostri stessi beni


Che ancora sono insidiati da quel Creso

Fattosi ibero nell'esilio e ben disse Fedro

Di non dare al re di legno tanto peso:


La natrice morde più del ciocco di cedro.”

E il Roberto dalla sua gabbia “Garzone,

Il suo parlare è confuso e poliedro


Che, se desse ragione a Clistene e Solone,

Per il manco governo perché borbotta?

Avrebbe preferito che noi cadetti Borbone


Governassimo sulla sua bella Pilotta?”

“Dio ce ne scampi e maledica i monarchi!

Io nacqui, graziato, dopo la vostra rotta


E non servirò le frecce ai vostri archi:

Io ti rimprovero, parmigiano, la cupidigia

Di viver di rendita, godendo ville e parchi


E farti appellare erede di Maria Luigia.

Che hai ceduto mai alla Sardegna

Se non gli impegni e la carica ligia?”


“Poni il cuore in pace e disimpegna”

Disse il duca mio ma il francese udì

“Cos'è questa favella di volgo pregna?


Dimentichi ch'io fui re di Francia e Mezzodì.

Offendi quanto garba quei sovrani iniqui

Ma lascia perder chi nacque a Poissì.


Gimo ora, pria che la missione deliqui.”

   
 
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