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Autore: Serpentina    07/05/2024    1 recensioni
Londra, 2037
Il verdetto sulla morte di Aisling Carter, giudicata come tragico incidente, non convince Frida Weil, che nei misteri ci sguazza per passione e sospetta possa trattarsi di omicidio. Decide quindi di "ficcanasare", trascinando nella sua indagine non ufficiale William Wollestonecraft, forse perchè le piace più di quanto non voglia ammettere...
Un giallo con la nuova generazione dell'Irvingverse. 😉
Dal capitolo 5:
"–È vero che sei la figlia di Faith Irving, la patologa forense?
–Così è scritto sul mio certificato di nascita- fu la secca risposta di Frida, che storse il naso, a far intendere che quelle domande insulse la stavano indisponendo, e fece segno ad Andrew di risedersi.
–Ho voluto questo incontro perché, se ho ben capito, sostieni che tua madre abbia liquidato un po’ troppo frettolosamente la morte di mia sorella. Che razza di figlia non si fa scrupoli a sputtanare sua madre?
–Una dotata di un cervello funzionante. Meine liebe Mutter è fallace come qualunque essere umano, e i vincoli parentali sono nulla, in confronto al superiore interesse della giustizia. Ma non siamo qui per parlare di me. Se avete finito con le domande stupide, ne avrei una io. Una intelligente, tanto per cambiare: perché siete qui?"
Genere: Mistero, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Cari lettori, ci siamo. Il momento che (credo) stavate aspettando è finalmente arrivato: la storia sta per concludersi, spero degnamente.

Complimenti a chi ha azzeccato l’identità del colpevole, a voi la medaglia di detective in erba!

Senza tediarvi oltre, e senza rischiare spoiler, anticipo che sono stata particolarmente sadica coi miei personaggi e, di riflesso, voi. Se arriverete alla scritta “THE END” col magone, saprò di aver fatto bene il mio lavoro.

Mille grazie a tutti per il tempo e l’attenzione dedicata a questo piccolo esperimento, che spero di poter considerare riuscito. * lancia baci e caramelle *

Quasi dimenticavo: colonna sonora consigliata 1 e 2, da ascoltare rigorosamente in questo ordine.

 

Una sporca faccenda

 

I mostri sono reali e anche i fantasmi sono reali. Vivono dentro di noi e, a volte, vincono”.

Stephen King

 

Due ore prima (minuto più, minuto meno)

Andrew Carter, negli strascichi del piacevole stordimento che segue un rapporto sessuale appagante, si rese conto di starsi abituando alla presenza - nella sua casa e nella sua vita - del moretto da fascino bohemien che al momento giaceva nudo accanto a lui a insudiciargli le lenzuola con cenere di sigaretta. Ne fu terrorizzato: a parte l’ingiustificata ossessione di essere immeritevole dell’affetto di qualcuno, un rapporto che andasse al di là di una scopata occasionale non rientrava tra le sue priorità, poiché rischiava di distrarlo dai propositi che si era prefisso di portare a compimento.

“Non posso. Non posso permettermelo. Lo devo ad Aisling”.

Al “moretto dal fascino bohemien”, all’anagrafe Kevin Cartridge, non sfuggì l’espressione pensosa. Tirò un’ultima boccata di fumo, si girò su un fianco e ridacchiò –In caso te lo stessi chiedendo, sei stato super!

Incapace di forzare una risata, Andrew scrollò le spalle, per poi dirigersi alla finestra e fingere di osservare il traffico che scorreva nella strada sottostante, intenso e pulsante come sangue nelle vene. Quando ritenne di non poter ignorare l’altro più a lungo, mormorò –Non me lo stavo chiedendo. In realtà, ecco… stavo pensando a mia sorella.

Il primo pensiero che sovvenne a Kevin fu “Quale?”, ma le parole che lasciarono la sua bocca furono ben diverse, nonché più numerose.

–Pensi a tua sorella dopo averlo fatto con me? O sei più depravato di quanto immaginassi, oppure sono io meno bravo di quanto immaginassi!

Neppure stavolta Andrew cedette all’ilarità; al contrario, si passò le mani tra i capelli, emettendo un sospiro mesto da poeta maledetto, dopodiché, assecondando l’ennesimo repentino mutamento del suo umore, ballerino come un segnavento, tornò a sedersi sul letto, allungando una mano verso Kevin, che nel frattempo si era steso supino con entrambe le mani sotto la testa, in una posa che voleva apparire sensuale senza riuscirci.

–Per favore, puoi provare ad essere serio per un minuto?- replicò, stizzito, prima di virare nuovamente sul depresso andante. –Sono triste, ok? Di una tristezza a cui non c’è rimedio. Con la morte di Ling, ho perso l’unica sorella che mi era rimasta; l’altra è praticamente un vegetale, per me è come fosse già defunta da anni. Avevamo le nostre divergenze, ovvio, però le volevo bene, e non riesco a perdonarmi di averla delusa.

–Sono sicuro che Aisling sia tutto meno che delusa da te- lo rassicurò Kevin, carezzandogli la guancia con infinita dolcezza.

Incredibilmente, riuscì nell’intento di distrarre Andrew, il quale, avendo notato il tatuaggio nuovo di zecca sul polso, lo afferrò - con maggiore veemenza del necessario - chiedendo spiegazioni.

–Che roba è?

–Un tatuaggio- rispose Kevin con semplicità. –L’ideogramma giapponese per “Yume”, cioè “sogno”. All’inizio avevo pensato di tatuarmi l’ideogramma per “Umi”, “mare”, visto che sogno da sempre una casa sul mare e lunghe passeggiate sulla spiaggia insieme al mio cane, ma…

–“Sogno”? Ne sei assolutamente certo?- domandò scettico Andrew, interrompendo bruscamente il monologo. –E se saltasse fuori che si tratta dell’ideogramma per, che so, “zuppa” o, peggio, “vaffanculo”?

La risposta suonò alle sue orecchie come una babele di suoni gutturali malamente accozzati.

–Come, prego?

Con un sorriso a trentadue denti, l’altro spiegò, con aria supponente da maestrina –Ho appena detto “ne sono assolutamente certo” in perfetto giapponese.

Piccato, Andrew serrò la presa, incurante del sommesso gemito di dolore di Kevin, e sentenziò –Tocca crederti sulla parola. Comunque, non mi piace. C’era proprio bisogno di insozzare il tuo corpo con questo lerciume?

–Pare di sentire mia madre. Il suo spirito si è impossessato di te? Serve un esorcismo? Uh, a proposito di mia mamma: aspetta solo che lo veda; potrebbe essere la volta buona che la stronca un infarto!

–Fulgido esempio di amore filiale, il tuo!

–Se conoscessi mia madre, terresti in fresco una bottiglia di champagne per il giorno in cui tirerà le cuoia!

La banderuola dell’umore di Andrew cambiò ancora una volta direzione, lasciando spazio a gelosia e risentimento. Sibilò, con velenoso astio –La tengo in fresco per il giorno in cui avrò il - discutibile - piacere di incontrarla. O è un’esclusiva per VIP come Alex Guitar Heroine?

Kevin, seccato da quell’ennesima frecciatina da fidanzato geloso, si divincolò dalla presa e sbottò –Questo non te lo concedo! Va bene un pizzico di gelosia, sono lusingato, ma con tutta la popolazione maschile del pianeta a tua disposizione, ti fai film mentali su me e Alex? Ficcatelo bene in testa: sono gay, Andrew, gayssimo, nemmeno bendato riuscirei a farmi una ragazza! Semplicemente, sono un cagasotto che lascia credere alla propria famiglia di stare insieme a una sua amica che si presta al gioco perché, appunto, si caga sotto all’idea di confessare che preferisce i maschietti! Senza offesa, ma tra noi l’unico ad avere diritto a simili paranoie sono io! E, ti prego, non usarmi come capro espiatorio per i tuoi tormenti interiori!- ignorò le proteste a mezza voce di Andrew e aggiunse –Oh, chiudi il becco! Per chi mi hai preso? Non possiedo il genio di Frida, ma non per questo sono scemo! L’ho capito, sai, che hai volutamente dirottato l’attenzione su di me e il mio tatuaggio per nascondere la tua vulnerabilità. Lo fai ogniqualvolta si entra nel campo minato della tua famiglia. Allora, le cose sono due: o siamo due persone che si trovano reciprocamente attraenti e scopano - e in quel caso non hai il diritto di essere geloso di me - oppure siamo due persone che desiderano costruire un’intimità che travalica il letto. A te la scelta.

Dopo un silenzio talmente lungo e pensante da sembrare eterno, Andrew si decise ad aprir bocca.

–Ho fatto una promessa a Ling, prima che morisse, ma non ho avuto il coraggio di mantenerla. Faccio schifo.

Sebbene morisse dalla curiosità, Kevin si astenne dal pressarlo per ottenere ulteriori informazioni in merito. Andrew si era finalmente aperto con lui, bastava e avanzava. Tuttavia, ciò non implicava accondiscendere ai suoi tentativi di annegare nel mare dell’autocommiserazione senza opporre resistenza; decise quindi di “svegliarlo” con una sana dose di brutale onestà.

–Fammi il piacere!- sbraitò. –Bastasse così poco, faremmo tutti schifo! Prendi me: sei anni fa promisi a mia sorella Kaori di farle visita a Tokyo, appena fossi stato in grado di viaggiare da solo. Secondo te, sono mai andato da lei? No! Riesco comunque a dormire la notte? Purtroppo no, ma per altri motivi.

Punto sul vivo, Andrew rimarcò che non poteva osare porre le loro promesse disattese sullo stesso piano, dal momento che la sua era di livello molto, ma molto superiore rispetto a un “misero” viaggio intercontinentale.

–Inoltre, tu hai ancora modo di rimediare, io no: mia sorella è morta, pezzo di cretino!

–Senza offesa, non è una buona ragione per piangerti addosso senza agire: quanta gente fa promesse ai cari estinti? Mica possono vedere se le mantengono o no! La tua è soltanto una scusa per non fare qualcosa che non ti va di fare- si alzò dal letto e si rivestì. –Medita su questa perla di saggezza, mentre sono alle prove.

Andrew, celando il proposito che andava formandosi nella sua mente, colse l’occasione per cambiare argomento.

–Prove?

–Il concerto di Natale è dietro l’angolo, esigo una performance da Royal Opera House!

–Ti vedo particolarmente gasato- osservò, abbozzando un sorriso. –È il tuo primo concerto?

–Da primo violino sì!- trillò Kevin. –Non vedo l’ora! Ah, se non hai altri impegni, Nate e Kim si sono offerti di coprirci coi miei. Ora, però, devo proprio andare. A stasera!

Andrew si limitò a scuotere il capo, posare sulle labbra di Kevin un bacio fugace e sussurrargli –Mi mancherai.

 

***

 

Rispetto alla media degli adolescenti, William Wollestonecraft era tutto sommato tranquillo, un bravo ragazzo che mai aveva dato ai suoi genitori grattacapi più seri di una mezz’oretta di ritardo sul coprifuoco… finora.

“La fiera dell’illegalità: sono seduto in un’auto tecnicamente rubata, in compagnia di una detective dilettante fuori di melone, che sta guidando senza patente per andare a stanare un pluriomicida. Se non mi uccide lui, lo farà papà, sicuro!”

Chiuse gli occhi, atterrito al solo pensiero. Non poteva morire prima della maggiore età, e, soprattutto, prima di essere riuscito nell’impresa titanica di espugnare la fortezza di Frida Weil, in quel momento chiusa in religioso silenzio, totalmente concentrata nell’eseguire la manovra di sorpasso più azzardata della storia (tanto per non incrementare le probabilità che entrambi perissero quel giorno). Dominic Toretto sarebbe stato fiero.

Una volta al sicuro nella corsia di sinistra, l’australiano, che nemmeno si era accorto di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo, emise un profondo e ben udibile sospiro di sollievo.

Infastidita dalla mancanza di fiducia nelle sue abilità al volante da parte del suo socio investigativo, Frida ringhiò –Was passiert, Liam? Dubitavi di me?

Colto in fallo, presagendo una sfuriata della ragazza, balbettò, agitando le mani come il personaggio di un anime –Chi, io? No, no!

–Allora perché quel sospiro e quella faccia?

“Merda, mi ha sgamato!”

–Beh, ecco… stiamo andando ad affrontare il lupo nella tana. È normale essere nervosi, no? Voglio dire, quel tizio ha fatto fuori la moglie e la nipote senza battere ciglio; non esiterà a far fuori anche noi, se messo alle strette.

In un inatteso slancio di empatia, Frida gli chiese –Hai paura?

–Per essere un genio, fai domande decisamente stupide. Certo che ho paura! Tu no?

Nein.

Esterrefatto, William strabuzzò gli occhi: aveva imparato a conoscere Frida e le profondità degli abissi di geniale follia nei quali poteva cadere, ma questo… era decisamente troppo!

Entschuldigung, non ti credo- ammise.

Warum nicht?- rispose lei. –Se i miei calcoli sono corretti, Wilhelm dovrebbe aver già scoperto che gli ho sottratto le chiavi della macchina e, di conseguenza, allertato Hans oder Tante Serle, che con ogni probabilità sono alle nostre calcagna.

A William non sfuggirono i termini probabilistici, perciò si affrettò a rinfacciarle che stava scommettendo sulle loro vite. La Weil dismise le sue preoccupazioni con un elegante movimento della mano e il poco rassicurante –La vita in sé è una scommessa. Inoltre, conoscendo Hans und meine Tante, la cavalleria giungerà in tempo per garantire la nostra incolumità. A noi la gloria e la gioia sadica di averlo messo in quel posto meiner Tante, a lui la promozione a detective e la gioia sadica di averlo messo in quel posto seiner Mutter. Non abbiamo nulla da temere.

–Onestamente, Weil, se avessi un penny per tutte le volte che mi hai assicurato non ci fosse nulla da temere, quando invece c’era eccome, nuoterei in un deposito di monete d’oro come Paperon de’ Paperoni. Da quando ti conosco vivo nel timore!

–Esagerato! E poi, non vorrai lasciare quel porco a piede libero!

–Assolutamente no!- ruggì con la determinazione di chi è nel giusto. –Quel bastardo merita di marcire in galera!

L’asserzione che seguì, pronunciata in tono tagliente, glaciale, gli fece perdere nuovamente il poco colore che aveva riacquistato sulle gote.

–Non finirà in galera.

William non ebbe il coraggio di indagare sulla questione, preferendo cullarsi nella convinzione che, con quella frase, la Sherlock in gonnella intendesse dire che ad un uomo in età avanzata avrebbero quasi certamente concesso gli arresti domiciliari.

–Beh, ovunque finisca rinchiuso, si chiuderà con lui questa sporca faccenda.

Contro ogni previsione, Frida reagì mettendosi a ridacchiare come una bambina alla sua prima marachella.

Entschuldigung- esalò tra le risate –Mi è sovvenuto il ricordo di una imbarazzante conversazione mit meiner Mutter.

–Quanto imbarazzante?

“–Mutti, perché fai sesso mit meinem Vater?

Tale lo stupore, Faith spezzò lo stelo del calice di vino rosso che stava assaporando dopo una giornata di lavoro particolarmente impegnativa. Incredula, si disse che doveva aver sentito male, ma, proprio quando stava cominciando a crederci, ecco che sua figlia quindicenne ripeté la domanda, incalzandola a fornire una risposta esaustiva.

Neppure la necessità di medicare la ferita alla mano indusse Frida a desistere: non avrebbe mollato l’osso finché non fosse stata soddisfatta; doveva sapere, punto e basta.

Analizzato il quesito, Faith rimase perplessa: Frida, alla quale si era rifiutata di rifilare frottole su cavoli e cicogne, non le aveva chiesto il come, le aveva chiesto il perché. Strana domanda, ma d’altronde sua figlia era una strana ragazza; da lei c’era da aspettarsi di tutto, specie l’impensabile.

Tentato, invano, di mettere insieme una risposta decente, chiese di rimando –In che senso, scusa?

Ich wollte… volevo capire che senso ha fare… roba, se non per figliare.

Beh, ecco, il sesso in una coppia è un modo per esprimere il proprio amore, oltre che una piacevole alternativa all’esercizio fisico per ottenere legalmente una botta di endorfine.

E fuori dalla coppia?

È una piacevole alternativa all’esercizio fisico per ottenere legalmente una botta di endorfine.

Frida arricciò il naso, come suo solito, quando sospettava le si stesse mentendo, o non riusciva a raccapezzarsi di qualcosa (il che accadeva raramente).

Quindi a te piace fare sesso, ho capito bene?

Sì- ammise Faith, la quale, se da un lato sperava che la discussione morisse lì, dall’altro stava morendo dalla curiosità di scoprire i complessi meccanismi del machiavellico cervello di sua figlia. –E mi avvalgo della facoltà di non rispondere finché non mi avrai spiegato da quale cilindro hai pescato quest’assurda domanda.

La risposta fu al contempo più e meno contorta di quanto pensasse.

Non so se dovrei dirtelo- pigolò Frida, spostando le sguardo sui propri piedi. –Facciamo che te lo dico senza nomi, ja? Eine Freundin mi ha confidato di averlo fatto col suo ragazzo, descrivendo l’esperienza come fastidiosa, peggio del trapano del dentista- Faith intuì immediatamente a chi si riferiva, ma tenne la bocca chiusa. –Siccome anche lui è mio amico, mi ha raccontato in confidenza la stessa cosa, in maniera diametralmente opposta; a sentire lui sembra che il sesso sia il top, perfino meglio che gustare la Schwarzwälder Kirschtorte di Papi spaparanzata sul divano facendo binge watching dell’ultima stagione di “Night Hunter” dopo una dura sessione di allenamento in palestra!

–“Night Hunter” sarebbe la serie sui cacciatori di demoni per cui sei in fissa, giusto?

Ja. Ora, da quel che ho appreso sulla meccanica dell’atto- ignorò il flebile “Oh, Signore!” della madre e proseguì –Posso comprendere perché le loro versioni siano contraddittorie, da qui la domanda: se è una tale seccatura, perché perseverare?

Oh, Signore!”, ripeté Faith nella sua testa. “Coraggio, donna, puoi farcela. Se Frida è venuta su così è anche colpa tua, perciò pedala! Un bel respiro e via!”

Vedi, cucciola, l’inesperienza può effettivamente rendere il tutto… sgradevole, però col tempo, approfondendo la conoscenza reciproca e facendo, beh, pratica, si migliora.

Sembra che parli di una performance sportiva.

I-In un certo senso… in fondo, sempre di attività fisica si tratta.

Per te è stato sgradevole?

In tutta sincerità, no. Confesso, però, di non essermi, ecco, goduta appieno le primissime volte perché soffrivo di ansia da prestazione: lui era più, ehm, esperto, mi preoccupava più non sfigurare che… spassarmela, ecco.

Ich verstehe1- mormorò Frida, assorta nei propri pensieri.

Faith, intuendo quale fosse il problema, decise di smettere di girarci attorno e andò dritta al punto.

Hai paura possa essere sgradevole pure per te, cucciola?

Vielleicht1- pigolò la figlia evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo. –Anche se, in realtà, più che sgradevole, ho paura possa disgustarmi: sembra una roba così… poco igienica! Meine Freundin si è ritrovata della… roba… addosso! Che schifo!

Eh, tesoro mio, se parti da questi presupposti, morirai vergine!”

Spiacente di disilluderti, cucciola: qualsiasi azione preveda frizioni varie e scambi di fluidi corporei, per definizione non può essere pulita; ergo, il sesso è una sporca faccenda. Parlo di mera biologia, eh, lungi da me fare moralismi!

A salvarla da un destino di castità totale provvidero i suoi cugini il giorno seguente: estorta mediante tattiche intimidatorie da Peaky Blinders la ragione del suo evidente malumore, scoppiarono a ridere senza ritegno, dopodiché Ernst, sempre sghignazzando, le fece notare, dandosi arie da grande saggio (quando in realtà era più vecchio di lei di soli due anni) –Tante hat Recht, Cousinchen2: il sesso è una sporca faccenda. Non scartarlo a priori, però: innanzitutto, è una piacevole attività ricreativa, fidati; e poi, se persino quel pulitino dagli irrealizzabili standard igienici di Hans scopa, non vedo perché non possa farlo anche tu.

Wenn du älter wirst- puntualizzò Wilhelm. –Viel älter3.

Sconvolta dalla notizia, che minava l’aura di perfezione del suo cugino preferito, Frida, coloratasi di rosso papavero, replicò –Cosa ne sapete voi Dummköpfe4 che Hans fa, ehm, quella, uhm, roba?

Ha venticinque anni e una ragazza stupenda- osservò Wilhelm. –Cosa dovrebbe farci, secondo te?

Ah, non illuderti abbia aspettato Sonja in monacale astinenza- rincarò Ernst. –Unsere lieber Bruder6 ci dà dentro da quando aveva la mia età!

Come fai a saperlo?

Lo sappiamo e basta- risposero in coro gli altri due, scambiandosi occhiate nauseate. –Sappiamo anche troppo.

Per la prima e ultima volta in vita sua, la giovane Weil rinunciò a indagare oltre.”

–Wow! E io che credevo avessi ereditato la stramberia dal lato Weil!- esclamò William, sforzandosi di non ridere. –Invece, più conosco tua madre, più il resto della tua famiglia mi appare normale - il che, credimi, è tutto dire - e meglio capisco come mai sei venuta su… così.

Ignorando la premessa, Frida si offese eccome. Avesse potuto, l’avrebbe scaraventato fuori dall’abitacolo, ma fu costretta a trattenersi, limitandosi ad un astioso –Così come?

Compreso di rischiare la perdita di parti del corpo di cui avrebbe sentito la mancanza, l’australiano abbozzò un patetico –Così, ehm… particolare. Unica. Un unicorno!

“Infernale”, aggiunse tra sé e sè.

–Ringrazia non lo sia per davvero- sputò lei con acrimonia, accelerando pericolosamente. –O con il corno ti avrei infilzato. Ora bando alle ciance, abbiamo un assassino da braccare!

 

***

 

–Ciao, Rory, come stai?

Aurora Carter pensò che la vita era davvero ingiusta: lei era bloccata a letto, un inerme vegetale umano, mentre quel deficiente di suo fratello era libero di vagare per il mondo blaterando cavolate del calibro di domandare come stesse a una persona non in grado di parlare. Avesse potuto, avrebbe ammesso senza vergogna di aver desiderato molte volte fosse morto lui al posto di Aisling, la dolce sorella che l’aveva sempre coccolata e protetta dall’astio di Andrew; la dolce sorella che non l’aveva abbandonata e, nei limiti del possibile, si era prodigata per non farle mai mancare affetto e momenti di svago, l’unica ad essersi impegnata nella ricerca di un metodo - alternativo - di comunicazione, riuscendo nell’impresa.

Ignaro di ciò che le passava per la testa, Andrew si batté il palmo della mano sulla fronte, esclamando –Dio, che scemo! Ti ho chiesto come stai, quando non potresti rispondere neppure volendo!

Il monitor dell’apparecchio che monitorava i parametri vitali segnalò un incremento della frequenza cardiorespiratoria, segnale che Andrew (male) interpretò come gioia per la sua visita inaspettata; invece, si trattava di rabbia: Aurora avrebbe venduto l’anima, pur di avere l’occasione di prenderlo a schiaffi! Sfortunatamente, le era impedito.

Mutò radicalmente opinione sulla venuta del fratello nel momento in cui lo vide riempire una siringa con una dose palesemente letale di morfina, prima di sedersi al suo capezzale.

–Ti ho sempre odiata, lo sai? Dal giorno in cui sei nata. Eri una spina nel fianco, una rivale in più per le - scarse - attenzioni di mamma e papà, prima, e dei nonni, poi; e quando sei cresciuta, per qualche assurda ragione, mi schivavi ogni volta che provavo ad abbracciarti. Aisling no; soltanto io. Credo sia per questo che mi sono rifiutato finora di fare le veci di Ling per aiutarti a trovare pace: mi dava un perverso piacere saperti invalida a letto, bloccata nel tuo stesso corpo, lo consideravo una sorta di vendetta karmica. Bella merda di fratello ti è capitato! Puoi perdonarmi?- sospirò, carezzandole una guancia. –Puoi perdonarci, sia me che Ling, per non aver avuto il coraggio di andare fino in fondo, nonostante te l’avessimo promesso? Tranquilla, però: ho intenzione di rimediare, qui e adesso, fosse l’ultima cosa che faccio.

Udì un fruscio alle sue spalle, il suono del cane di una pistola che veniva arretrato e una voce al contempo familiare e aliena.

–Lo sarà, se non ti allontani subito da lei.

Trasalì, voltandosi lentamente, nella segreta quanto vana speranza che le sue orecchie lo avessero tradito.

–Nonno?

–Getta via la siringa, o giuro che ti sparo in mezzo agli occhi! Non permetto a nessuno di portarmela via, neppure lei stessa, capito?- continuò a sbraitare l’uomo, sordo alla litania di “Non capisco” del nipote, che alternava lo sguardo dagli occhi iniettati di sangue, privi di ogni traccia di umanità, all’arma puntata verso il suo torace, all’altezza del cuore. –Nessuno! Ho fermato quella piccola bastarda, fermerò anche te! Lei è mia! La mia Aurora, la mia bambina, la luce dei miei occhi! Il mio… tesoro.

 

***

 

L’intera situazione era talmente surreale che il suo povero cervello era andato in cortocircuito, disconnettendosi dal resto del corpo, rendendolo un guscio vuoto, un automa in balia del nonno, incapace di ribellarsi mentre veniva condotto alla medesima finestra dalla quale era precipitata sua sorella. Non che avesse effettive rivoltarsi, con una pistola puntata contro la schiena.

Riuscì comunque a riacquistare sufficiente sangue freddo da chiedere –Quella dove l’hai presa? È troppo nuova per venire dall’armeria.

Con sua grande sorpresa, ottenne una risposta.

–Tua sorella pensava di usarla per un tragico omicidio-suicidio tra sorelle. In questo, devo ammettere di preferire il tuo stile: la mia Aurora merita di meglio di un colpo in testa. Imbrattare di sangue e cervella quel volto celestiale e quei capelli da principessa sarebbe un crimine, non trovi? Il solo pensiero mi dà il voltastomaco!

–Aspetta- esalò Andrew, sorpreso dalla prontezza dei propri neuroni (non tra i più brillanti). –Quando alla commemorazione ti beccai a rovistare qui dentro, stavi cercando la pistola.

–Forse sei un po’ meno ottuso di quanto sembri. Forse.

–E tu sei più merda di quanto sembri.

– E tu, a quanto pare, hai pure più spina dorsale di quanto sembri- replicò Evan Conworthy con un pizzico di ilarità nella voce. –Quasi mi dispiace che te ne andrai soffrendo, cosciente fino alla fine, al contrario di Aisling. Sfortunatamente - per te, s’intende - non ho altra scelta.

–Sì che ce l’hai- gnaulò Andrew in preda al panico: scorgere il vuoto che lo separava dal terreno portò alla mente la tetra consapevolezza di essere a un passo dal fare la stessa fine di Aisling, che in quel vuoto aveva trovato la morte. –Lasciarmi andare! Sono tuo nipote! Non significa niente per te? E.. e poi... non vorrai finire i tuoi giorni, in galera! Perché è lì che finirai, se mi lasci precipitare!

–In galera?- ridacchiò l’altro. –Perché mai? È ancora legale tentare, senza successo, di sventare i propositi suicidi del proprio nipote, afflitto per la perdita dell’amata sorella… cioè quanto riferirò alla polizia.

–E tu credi davvero se la berranno?

–Parliamo degli stessi geni che hanno liquidato la morte di Aisling come suicidio. Posso dormire sonni tranquilli… e tu il sonno eterno- ringhiò Evan, prima di tentare di defenestrare Andrew, il quale, però, spinto dal naturale istinto di sopravvivenza, stavolta oppose resistenza, aggrappandosi alla traversa della finestra e a Evan stesso, minacciandolo di trascinarlo con sé.

–Se proprio devo finire all’inferno, ci andrò accompagnato- disse.

–Perché devi sempre fare il difficile?- sbraitò il più anziano. –Da bravo, su, cadi! Cadi, cazzo! Mi piange il cuore, ma davvero non ho scelta! Non posso lasciarti in vita, libero di andare in giro a spifferare i miei affari privati. Lo capisci, sì?

–Non proprio- rispose Andrew, per poi aggiungere, cercando di guadagnare altro tempo per provare ad escogitare qualcosa che lo traesse d’impaccio. –Di quali affari parli?

–Te l’ho già detto: affari privati, che tali devono restare. Una volta liberatomi di te, sarò finalmente al sicuro. Perciò, presto raggiungerai quella piccola bastarda di tua sorella e quella povera stolta di tua nonna. Come te, anche lei era meno ottusa di quanto sembrasse; e dire che l’avevo sposata proprio per garantirmi una prole stupenda e una moglie che non facesse storie! Ma è brutto parlar male dei morti, vero?

–Spiacente, continuo a non capire. Potresti spiegarti meglio, per favore? Almeno morirò sapendo il perché.

Una melodia salvifica echeggiò nella stanza, prima ancora che Evan potesse aprire bocca.

–Il perché è molto semplice e altrettanto disturbante: il tuo caro nonnino… è un pedofilo.

 

***

 

William non era abbastanza altruista da gioire per aver salvato la pelle di quel lombrico alla moda di Andrew Carter a costo di finire sotto tiro attirando l’attenzione del nonno killer (appellativo col quale, ci avrebbe scommesso, sarebbe salito agli onori della cronaca) su se stesso e Frida.

Nel trovarsi dal lato “sbagliato” di un’arma da fuoco per la prima - e, sperò, ultima - volta in quasi diciotto anni di vita, dopo aver maledetto il brutto vizio della Weil di ficcanasare e il suo brutto vizio di assecondarla, formulò due pensieri; nell’ordine: si pentì di non aver redatto testamento, in modo da tenere i suoi (miseri) averi lontano dalle grinfie degli avvoltoi figli del nuovo marito di sua madre, e si chiese quanto avrebbe speso in psicoterapia, putacaso ne fosse uscito vivo. Ad acuire il terrore che lo attanagliava, l’irritante sorrisetto di Frida, apparentemente calma e tranquilla, come se si trovasse in salotto a discorrere del tempo sorbendo elegantemente tè col mignolo sollevato a mo’ di baionetta, invece che a un passo dalla morte.

Non riusciva a capacitarsi di un tale sprezzo del pericolo, perché lui, invece, avvertiva eccome sul collo l’alito del cupo mietitore, arrivando addirittura a pregare, in preda alla disperazione, che il vecchio si decidesse in fretta e avesse una buona mira. Agognava, se proprio era destino, un trapasso rapido e il meno doloroso possibile; non avrebbe sopportato di agonizzare, annaspando, mentre i contorni del pezzetto di mondo circostante si facevano sempre più sfocati.

Per poco non si vomitò addosso quando la Sherlock in gonnella ebbe l’ardire di sghignazzare –Spero abbia aggiunto un terzo proiettile, Herr Conworthy: so per certo che Aisling ne aveva caricati soltanto due - uno per lei, uno per Aurora - e sarebbe disdicevole, oltre che grottesco, mettersi a fare la conta per scegliere chi vive e chi muore.

Ostentando una sicurezza che lo stava abbandonando, Evan la minacciò.

–Se ti preoccupa tanto, posso farti fuori per prima, petulante ragazzina!

Es ist mir egal7. Prima, però, posso avere la soddisfazione di, per citare le sue parole, spiattellare i suoi affari privati? Andrew ha il diritto di sapere perché non vedrà l’alba di domani e io di andarmene con la consapevolezza di essere la miglior detective al mondo.

William batté il palmo della mano sulla fronte, esterrefatto da cotanta tracotanza, mentre Andrew, visibilmente sollevato di essere fuori tiro, strabuzzò gli occhi e si morse il labbro, ansioso di conoscere una verità che, non fosse stato per la testardaggine della Weil, sarebbe rimasta sepolta.

Evan, divertito, segnalò con un brusco movimento della mano che, se ci teneva, aveva facoltà di ricoprire il ruolo della cantastorie. Frida non se lo fece ripetere due volte: il mondo era il suo palcoscenico.

Also, mi permetto di tirare in ballo die wunderbare Agatha Christie, la quale mise in bocca a uno dei suoi personaggi questa frase: “il delitto non è che la conclusione di una serie di circostanze che convergono tutte verso un solo punto in un determinato momento”, l’ora zero. In questo caso - è libero di correggermi se sbaglio - dobbiamo tornare alla sua prima vittima, sua figlia, per dipanare la matassa di eventi che hanno condotto a questa specifica ora zero, tra mezzanotte e l’una del 26 settembre, quando Aisling Carter è precipitata da quella finestra. In proposito, mi permetto di tirare in ballo il qui presente Andrew Carter. Ricordi il nostro primo incontro, Andrew? Fu quanto mai illuminante. Volevi convincere me e Nita di ciò che speravi fosse vero, ossia che la morte di tua sorella fosse un tragico incidente; invece, involontariamente, avvalorasti la mia tesi che non si trattava affatto di una morte accidentale. Non solo: straparlando - im Ernst8, se non riesci a collegare la lingua al cervello, tagliatela - ti lasciasti sfuggire, senza tanti giri di parole, che la pazzia si annida nel DNA della tua famiglia come una serpe in un prato di erba alta, pronta a schizzare fuori alla prima occasione, portando come esempio tua madre. Spiacente di deluderti: sarà pure romantico, ma il mito della malattia mentale “di famiglia” è una scemenza: la cosiddetta pazzia non si eredita; soggetti geneticamente predisposti hanno maggiori probabilità di sviluppare una data patologia, ma i geni da soli non bastano a far scattare la molla che la slatentizza. Un po’ come la, che so, familiarità per infarto non implica necessariamente che si avrà un infarto. Mangia sano, fai attività fisica, e molto probabilmente arriverai alla vecchiaia con tutte le coronarie pervie. Ma torniamo a noi: dimmi, ti sei mai chiesto cosa si fosse spezzato in tua madre, Andrew? Entschuldigung, non rammento il suo nome.

–Marlene.

–Come le mele italiane che piacciono meiner Mutter! Lustig9!

William batté il palmo della mano sulla fronte una seconda volta, esterrefatto da una tale mancanza di tatto. Sebbene fosse ormai avvezzo alle stramberie della Weil, non cessavano di sbalordirlo.

Entschuldigung, rientro nei binari. Ebbene, la povera Marlene è stata la prima vittima di tuo nonno, che immagino non abbia potuto credere alla sua fortuna, quando sua moglie ha dato alla luce una bambina, cresciuta poi in una donna incantevole.

–In effetti- rifletté Andrew –Poco fa ha detto di aver sposato la nonna per garantirsi una prole stupenda e una moglie abbastanza oca da non fare storie.

–Tua nonna non ha deluso le aspettative. Ha sfornato una bella figlia e tenuto la bocca chiusa, da brava mogliettina. D’altronde, cosa c’è di peggio di uno scandalo?

–Eh, sì, la nonna era decisamente docile. Non capisco, però, perché mia madre, che ti assicuro era di tutt’altra pasta, abbia subito in silenzio.

–Non è insolito che il silenzio della vittima, nonché di un eventuale partner coinvolto nello… schifo, venga comprato con regali vari, oppure estorto mediante minacce di ritorsioni, o inculcando l’idea che quel rapporto malato sia in realtà “speciale”. Aggiungi la vergogna, il senso di “sporco”, che può subentrare per aver subito una tale turpitudine, ed ecco che la faccenda viene spazzata sotto il tappeto. Gravidanze e maternità le hanno poi dato il colpo di grazia, rendendola man mano più instabile, fino a diventare ingestibile. L’abbandono di tuo padre ha ucciso un cadavere: tua madre era morta dentro da anni. Alla notizia che il suo ex marito si era risposato, ha deciso di morire anche fuori, dissanguandosi nella vasca da bagno, il che mi fa supporre desiderasse attirare l’attenzione, piuttosto che andare in un eventuale altro mondo. Ad ogni modo, il risultato del suo gesto teatrale finito male fu che voi tre fratelli foste affidati ai nonni, per risparmiarvi il trauma di trasferirvi in un altro continente come pacchi postali; peccato le tue sorelle, poverine, di traumi ne avrebbero vissuti di peggiori. Inutile negare, Herr Conworthy, ho le prove: Aisling teneva un diario. Lo sa bene, ha messo a soqquadro la stanza per scovarlo.

–Guarda che ti sbagli- intervenne Andrew, ricevendo in cambio un’occhiataccia. –Nonno in camera di Ling cercava la pistola. Me l’ha detto lui!

–Punto numero uno: non osare mai più interrompermi mentre parlo. Punto numero due: le due cose non sono mutuamente esclusive. Punto numero tre: gli hai creduto senza uno straccio di prova? La pistola era a portata di mano; doveva esserlo, perché Aisling non sapeva quando avrebbe potuto usarla. Ergo, non aveva senso frugare ovunque come ha fatto lui; a meno di non essere in cerca di altro, natürlich. Ma torniamo a noi: non pago di aver rovinato la vita di sua figlia, ha deciso di rovinare quella delle sue nipoti. Peggio ancora: ha ingannato Aisling, promettendole che avrebbe lasciato in pace Aurora, se si fosse “offerta” al suo posto, invece ha continuato a tormentarla.

–Ho provato a starle alla larga, ma al cuore non si comanda.

–Direi più un altro organo, ma lasciamo perdere- sibilò William, guadagnandosi un cenno di approvazione da Frida.

–Non osi parlare di amore. Era puro e semplice egoismo. Ha spinto Aurora a tentare il suicidio ed Aisling in un tunnel di alcool e qualsiasi sostanza le consentisse di tenere a bada i suoi demoni. Il suo demone. Lei.

–Scusa se interrompo- pigolò Andrew –Non mi torna una cosa: passi Rory, che non può muovere un muscolo, ma Ling avrebbe potuto denunciare gli abusi. Perché non l’ha fatto? E se il nonno viveva nel terrore che si venisse a sapere, perché non riservarle lo stesso trattamento? Perché aspettare?

La ragazza sorrise.

–Finalmente un’osservazione per cui valga la pena interrompermi. Mai sentito parlare di rimozione selettiva? È un meccanismo di difesa che consiste nel confinamento nell’inconscio, e quindi nella cancellazione, di ricordi emotivamente “pesanti”. Aisling credeva di aver annegato i propri demoni, finché, grazie alla terapia, non cominciarono a riaffiorare, costringendola ad aumentare le dosi di “antidoto”, per citare il suo diario. Sentendo il bisogno di aprirsi con qualcuno, scelse come confidente Aurora, che non avrebbe potuto rivelare alcunché, pur volendo. Ora, sebbene non fosse una cima, Aisling riuscì a trovare un metodo per comunicare con sua sorella; niente conversazioni complesse, natürlich, solo botta e risposta, però meglio di niente. Difatti, ponendo le domande giuste, apprese la desolante verità: era stata ingannata. Il suo sacrificio era stato inutile: aveva tollerato a denti stretti l’indicibile per salvare Aurora e non c’era riuscita. Presumo, dato che il diario di Aisling si ferma qui, abbia affrontato il suo aguzzino a muso duro, manifestando l’intenzione di sporgere denuncia. Il resto è storia nota.

–Frena: mia nonna, allora?

–La morte di Aisling deve aver risvegliato la coscienza di Frau Conworthy, e non potendo permettere le si sciogliesse la lingua, tuo nonno ha rifilato una dose doppia di insulina. Sbaglio, o nella vostra ultima conversazione aveva espresso il dubbio di aver già assunto la sua dose di farmaco?

–Sì, è vero. Non potrebbe essersi semplicemente sbagliata?

–È esattamente ciò su cui contava il marito: che tutti pensassero a un errore. D’altronde, piegata da così tanti lutti e disgrazie, era ragionevole pensare che la sua psiche non avesse retto il colpo. Noch einmal10, il resto è storia nota.

“Cazzo, avrebbe potuto dilungarsi un attimo!”, pensò William. “Questo squilibrato adesso ci ammazza!”

Quasi l’avesse letto nel pensiero, Evan eruppe in una risata spiritata. Con ogni probabilità, non avesse avuto una pistola, si sarebbe messo ad applaudire sarcasticamente.

–I miei complimenti, ragazzina. Non ne hai sbagliata una. Sei meglio di Scotland Yard- celiò, per poi puntare la pistola contro William, aggiungendo, con fare drammatico –Per questo, ho deciso di accordarti un favore speciale: farti fuori per ultima.

 

***

 

Nonostante la ferrea razionalità che applicava ad ogni aspetto della propria vita, Frida si era gettata d’impeto davanti a William un attimo prima che Evan premesse il grilletto. La prospettiva di morire la spaventava, però sentiva di doverlo proteggere. In fondo, era finito in quel casino a causa sua.

Chiuse gli occhi, in attesa di un dolore, o almeno una punta di fastidio, che non arrivò.

“Strano”, pensò, a occhi chiusi. “Ero sicurissima avrei sentito qualcosa. Forse morire è veramente più semplice che addormentarsi”.

Solo quando avvertì un peso morto che la spingeva verso il basso, si decise ad aprire gli occhi, e da quel momento in poi gli eventi precipitarono con tale rapidità che in futuro ne avrebbe serbato un ricordo nebuloso e caotico. L’unico a restare impresso indelebilmente nella sua memoria fu l’urlo agghiacciante che echeggiò nella stanza alla scoperta che il peso morto altri non era che Hans.

Poi… silenzio. E rabbia. Tanta rabbia.

Dopo la rabbia, la sete di vendetta; dal suo punto di vista: giustizia.

Gettò una fugace occhiata su Andrew - pallido, stravolto, il volto rigato di lacrime, tremolante, imbambolato in un angolo a snocciolare come un rosario una nenia incessante su quanto facesse schifo la sua famiglia - e William - impegnato a prestare soccorso e conforto al ferito - per assicurarsi che non avrebbero cercato di fermarla, dopodiché si lanciò all’assalto di Evan, il quale, sebbene armato, nulla poté di fronte a una tale furia, determinata ad annientarlo al punto da non curarsi della propria stessa vita.

Lo placcò con tutta la forza che aveva, senza neppure dargli il tempo di provare a fermarla, e in una morsa vendicativa lo trascinò con sé, giù dalla maledetta finestra dove quella sporca faccenda aveva avuto inizio.
 

***
 

William, accortosi troppo tardi del gesto kamikaze della Weil, accorse alla finestra, da dove poté osservare il corpo di Evan, in preda a spasmi agonici, disteso sul terreno con i quattro arti aperti, come una sorta di macabro uomo vitruviano, e sopra di lui, ferma in posizione fetale, Frida. Fece per precipitarsi da lei, ma un lamento di Hans, sanguinante sul pavimento, lo costrinse a rivedere le sue priorità: non sarebbe stato capace di guardarsi allo specchio, se avesse abbandonato nel momento del bisogno colui che aveva letteralmente salvato loro il culo (oltre al resto del corpo), sebbene gli stesse cordialmente antipatico. Tornò quindi al suo capezzale, adoperandosi in ogni modo possibile per tamponare il sanguinamento.

Dopo un tempo indefinito, distorto dall’angoscia, resosi conto che nessuno aveva allertato i soccorsi, perché mentre lui si improvvisava paramedico, Andrew Carter si stava improvvisando stoccafisso, sbraitò –Porco il porco, Carter! Datti una svegliata e chiama la polizia e un’ambulanza prima di subito, o giuro su tutte le divinità note che resterò l’unico vivo qui dentro, perché ti faccio fuori con le mie mani!

Andrew, inspiegabilmente, non si scompose: con flemma innaturale biascicò atono, prima di uscire dalla stanza chiudendosi alle spalle la porta –Io… devo… chiamare… l’ambulanza. Sì. Ora vado. Ho lasciato il cellulare al piano di sopra.

L’altro lo scacciò con un brusco movimento dell’unica mano libera, sbuffando –Fai come cazzo ti pare, basta che ti muovi!- troppo preso a prodigarsi per Hans per intuire le reali intenzioni di Andrew.

Impallidì, ma mai quanto Hans, nel constatare quanto rapidamente fosse sbiancato; sembrava l’impronta di un’anima dipartita (per gli amici fantasma).

–Resisti!- lo esortò. –Ti prego, resisti. L’ambulanza sarà qui da un momento all’altro.

Hans rispose con una domanda –Frida sta bene?

–Sì- mentì William, pure a se stesso: in quel frangente voleva, anzi, doveva illudersi fosse vero, per non crollare. –Ha risolto il caso.

–È sempre stata testarda- esalò Hans. –Testarda, e troppo intelligente per il suo bene. Avrei dovuto darle retta dall’inizio.

Tossì due volte e chiuse gli occhi, sordo ai richiami di William, che ripeté a gran voce il suo nome fino a sentir bruciare le corde vocali.

–Coraggio, su! Ripigliati! Non puoi morire! Anche se mi stai sul cazzo, non puoi, capito? Hai ancora così tanto da vivere: il tuo matrimonio, il bambino…

L’accenno al piccolo Weil in arrivo parve rianimarlo: socchiuse le palpebre ed emise un flebile suono, appena percettibile.

–Silke.

Preoccupato stesse cominciando a vaneggiare, William ripeté, a mo’ di domanda –Silke?

Mein Kind- sospirò Hans, curvando debolmente le labbra in un sorriso. –Ich sagte mir, wenn ich eine Tochter hätte, würde ich sie Silke nennen. Wenn es ein Junge wird, Reiner11.

–Ok- replicò William con giovialità forzata –Ho capito tre parole in croce, da cui deduco sia il nome che vorresti dare a tuo figlio. Ecco qualcosa per cui vivere! Però quanto ci mette quel rincoglionito a chiamare l’ambulanza? Per la miseria, sono tre fottutissimi numeri. Ci riescono le scimmie, cazzo! Vabbé, pazientiamo. Ah, per inciso: senza offesa, che razza di nome è Silke? Fa cagare! Sonja - si chiama così la tua futura moglie, giusto? - è d’accordo?

Hans sbuffò una risatina, a significare che, volente o nolente Sonja, l’avrebbe spuntata - la spuntava sempre lui - tossì un fiotto di sangue e richiuse gli occhi, per non aprirli più.

–No! No, no, no, no!- ruggì William tra le lacrime. Non credeva avrebbe pianto per qualcuno che nemmeno gli piaceva; eppure eccolo lì, a frignare. –Non puoi! Non… quanto stracazzo ci mette quel rincocefalo di merda? Giuro che lo ammazzo!

Corse come un forsennato di stanza in stanza, fino ad irrompere in quella giusta, e capì che nessuna ambulanza sarebbe venuta, a meno di chiamarla lui stesso; e così fece, trattenendosi a stento dallo sfogare la propria frustrazione prendendo a calci un Andrew moribondo, verme fino alla fine, la cui codardia era costata la vita ad Hans Weil.

All’arrivo, i soccorritori trovarono una paziente… e quattro cadaveri.

 

Note dell’autrice

Immagino di aver deluso le aspettative di molti, ma per me la storia non poteva concludersi in altro modo. Se ricordate, vi avevo avvisato all’inizio che questo primo tentativo di giallo era ispirato ad un caso reale, per cui, a parte il possibile per celare l’identità dei soggetti coinvolti, non ho voluto apportare modifiche sostanziali. Gli eventi sono questi, nudi e crudi. Rabbrividite pure.

A (spero) presto con l’epilogo, ambientato dopo lo spin-off natalizio "Nankurunaisa", che vi invito a recuperare, qualora non l’aveste già letto. Avanti, su, correte!

Serpentina

PS: potevo non inserire un omaggio all’immortale Tolkien? ;-)

1Forse

2La zia ha ragione, cuginetta

3Quando sarai più grande. Molto più grande

4Idioti

5Scherzetto!

6Il nostro caro fratello

7Non mi interessa

8Seriamente

9Divertente

10Di nuovo

11Mio figlio. Mi sono ripromesso che, se avessi avuto una figlia, le avrei messo nome Silke. Se maschio, Reiner.

   
 
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