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Autore: TheAngelica93    08/05/2024    0 recensioni
Una strana bocciatura costringe Pamela Monaldeschi e i suoi amici a ripetere l'ultimo anno nel collegio che frequentano. I quattro non hanno mai avuto un anno davvero tranquillo, ma nemmeno uno fuori dal comune come quello che stanno per affrontare. Siamo a Cruentapugna, città molto superstiziosa, dove vi sono due antiche famiglie in guerra; ragazzi instabili al limite del ridicolo; segreti che fanno fatica a restare tali; persone vendicative che hanno soldi, tempo e salute mentale da buttare; presidi e professori dalla dubbia moralità; alunni avvenenti e irriverenti; edifici inquietanti. Situazioni inverosimili a profusione, amori discussi e abitanti grotteschi... sono la regola qui in zona!
Genere: Comico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Nota: Le "bire" sono la moneta locale che ho inventato. 50 bire equivarebbero a 20 euro. Aggiungo che - in questa storia – si possono trovare dei riferimenti a varie serie televisive. Comunque... Buona lettura, e ditemi che ne pensate... sempre se vi va. :) 
 
***
 
2 – Vacanza trepidante

Caro Diario,
come ogni anno, sono finalmente giunte le vacanze estive in tutta Biornia. Le estati sono sempre piuttosto torride sulla grande isola dell'arcipelago, ma perfette per le gite in montagna, per visitare laghi, e cenare in quei bei ristorantini con la vista panoramica da sogno; o comunque una buona scusa per lasciare casa per un po', rilassarsi mirando qualcosa che non siano le solite quattro pareti della propria dimora. 
Molti preferiscono il mare in estate e i laghi in inverno, altri il contrario; i Gregoriadis sono decisamente per la prima opzione. 
Questa sarà la terza estate che passo con la mia “nuova famiglia”... Si può ufficialmente affermare che i Monaldeschi non esistono più per me; ma questo era già un dato di fatto prima ancora che io lasciassi casa loro.
Comunque, sono trascorsi diversi giorni dalla nostra rivolta di classe e molti dei miei ex compagni sono stati arrestati. Cosa che ha poco stupito gli abitanti di Cruentapugna, ho notato. 
Quindi tutta quella discussione nella saletta, tenuta per sapere chi avrebbe continuato e chi no a frequentare la scuola, è stata abbastanza inutile, direi!
Il preside Luca Angela (quel demente coi capelli da pazzo e una sorella che si fa chiamare “Margy Fiorellino”) è stato costretto a sporgere denuncia contro di noi: i medici avevano dovuto fare rapporto, dopo le spiegazioni date loro dai docenti. Non abbiamo potuto negare nulla, davanti all'evidenza!
Davvero pochi dei miei compagni hanno avuto la fortuna di uscirne puliti. Kevin Barone, col padre in politica, se l'è cavata con trecento ore di lavori socialmente utili, arresti domiciliari e una disintossicazione obbligatoria in un istituto sanitario privato... 
Fosse stato per me, a quel tipo avrei fatto passare di peggio, ma è andata così.
Però – c'è da dire – i nostri prof avevano specificato che noi quattro (io, Gilberti, Johnny e Mario) eravamo sì arrabbiati come gli altri, per la notizia della bocciatura, ma che non avevamo aggredito nessuno, anzi... Ci hanno difesi, affermando che noi quattro eravamo stati gli unici a cercare di proteggerli sul serio.
Nella confusione della rivolta io non ci avevo fatto caso, Diario, avevo frainteso lo sguardo di Gilberti: il Principe non stava trattenendo Johnny per impedirgli di compiere chissà quale brutta azione, bensì – come poi mi ha spiegato lui stesso in seguito – lo stava semplicemente aiutando a fermare il cestista, che si era sfilato la cintura nel tentativo di strangolare Balbi; Gilberti non voleva supporto da me per fermare Johnny, ma lo richiedeva perché in due erano pochi contro quello spilungone senza cervello. 


Johnny... Pensai distrattamente, smarrendo lo sguardo verso il soffitto immacolato. Nemmeno l'effetto della droga cancella quella scintilla di bene che aspetta di esplodere in te.
Nel sentire un rumore di passi decisi, dal piano superiore, poggiai di getto la penna blu sul tavolino da salotto e chiusi in fretta il diario; lo portai accanto al mio fianco sinistro e ci piazzai sopra la mano come a volerlo proteggere – con la mia stessa vita – da attacchi nemici.
Nel vedere una figura elegante, in camicia e pantaloni neri, mi sforzai di non sorridere troppo, mordendomi l'interno della bocca, e mi costrinsi a smettere di sventolarmi la mano per farmi aria; l'improvviso calore che mi aveva pervasa da capo a piedi mi rese difficoltoso persino il respirare regolarmente.
Lo vidi avvicinarsi a me, con passo sicuro e portamento fiero, Edoardo Gregoriadis, un affascinante uomo, forse quarantenne. Il Gregoriadis aveva dei stupendi e lisci capelli nero corvino, di cui una ciocca ribelle ricadeva sempre sul lato sinistro della fronte (capelli che avrei accarezzato volentieri con le mani, se ne avessi avuta l'opportunità); alto sul metro e novanta, Edoardo sapeva mantenersi in forma dato che vantava un fisico da modello e sembrava più giovane della sua potenziale età; per non parlare del fatto che aveva un viso così bello, un invidiabile fascino antico, con una leggera barba che glielo abbelliva ancora di più. 
Edoardo mi salutò con un cenno del capo. «Buongiorno, Pamela!» un sorriso genuino gli addolcì il viso austero. 
 «Buongiorno a te!» gli risposi io, seguendo i suoi movimenti con lo sguardo. «Dopo la telefonata, alle tre di notte, ricevuta da Sora, hai dormito almeno un po'?»
Il Gregoriadis mi sorrise dolcemente, senza sbattere le palpebre e mostrando quei perfetti denti bianchissimi che si ritrovava. «Soffro spesso di insonnia,» incominciò a parlare, leccandosi il labbro inferiore, «quindi sono abituato a dormire poco e male; ma questo già lo sai. Mi dispiace di averti dovuta disturbare, la scorsa notte, ma sai... Tu sei decisamente più brava di me con le parole e mia figlia sembrava davvero fuori di sé, per colpa della mia ex.»
 «Jennifer Addati è troppo difficile da tollerare: non so proprio come hai fatto a stare con lei per tutti quegli anni e a riprendertela anche, dopo il modo in cui vi aveva mollati!» gli risposi io, portandomi la mano sulla bocca non appena finita la frase. «Oh... Scusa, è pur sempre la madre dei tuoi figli. Non dovrei offendere... e nemmeno giudicare. Chi sopporta me, eh?» mi ammutolii un secondo; Edoardo aveva le sopracciglia aggrottate e una bizzarra smorfia gli induriva il volto. «Perché mi guardi così? Mi devi dire qualcosa?»
 «Be'... sì», mi fece lui, prendendo posto alla mia destra sul divano, le spalle larghe ben inarcate e il petto rivolto a me; aveva un odore addosso così inebriante che le mie narici fremerono entusiaste. «Allora...Visto che siamo soli, finalmente soli, vorrei proprio parlarti di una cosa...» 
Edoardo sospirò; gli occhi scettici rivolti verso il basso, scuoteva la testa in negazione.
 «Dimmi tutto!» lo incoraggiai, sedendomi più diritta.
Edoardo alzò gli occhi, ma fuggì lesto il mio sguardo; la sua attenzione era rivolta alle mie spalle, alla porta d'ingresso, alle scale; fissava qualsiasi cosa eccetto me. 
 «Che c'è?» gli domandai schietta. «Hai paura che qualcuno possa origliare? Johnny non c'è. Siamo soli! Parla tranquillo, sono certa che non volevi solo ringraziarmi per Sora. Devi dirmi qualcosa di importante?»
 «Infatti», mi rispose con un cenno della testa e, dopo un profondo respiro, con i suoi modi galanti, mi domandò: «Dov'è mio figlio?»
Aprii la bocca, per poi richiuderla subito dopo. «Mh... In spiaggia!» fui il più riassuntiva possibile; repressi la mia nausea mentale, causata dalla rimembranza del resoconto di Johnny e di quello che avrebbe fatto alla Panterona che avrebbe di certo sedotto.
Edoardo, però, continuò a divagare: «Come va il tuo lavoro di organizzatrice di eventi per l'associazione di beneficenza di cui entrambi siamo soci? Qualche nuova serata in programma nella nostra città?»
Stai ancora temporeggiando... Perché? Che mi dovrai mai dire?
Alzai un sopracciglio e socchiusi gli occhi; provai a carpire le sue vere intenzioni leggendogliele nella mente, ma fu inutile.
Ah, non sono brava in questo. Ammisi a malincuore.
Mi persi a osservare i dettagli del suo viso: il suo naturale colorito olivastro della pelle, le labbra sottili (di cui ne avrei disegnato volentieri i contorni con le dita), il suo naso perfetto, quei suoi incantevoli occhi neri come le ossidiane; lo guardai stando però attenta a non farmi beccare da lui mentre lo studiavo così a fondo.
 «Ho un paio di serate in programma da mettere su», lo informai, stando al suo gioco. «Ho parlato, neanche mezz'ora fa, con l'addetta al catering: Tamara Tiberio; la conosci, è anche la madre della mia amica Roberta. Comunque... Sono fortunata che c'è una sede dell'associazione anche a Cruentapugna, così opero nella nostra regione, almeno. Ti immagini, altrimenti, fare avanti e indietro, ogni volta, fino a Beornia? E chi ce l'ha tutto questo tempo?»
 «Sarebbe davvero estenuante. E per di più tu odi gli aerei, quindi ci metteresti delle ore per arrivarci. I treni, i pullman... non sono così veloci qui.»
 «E andarci in moto sarebbe da pazzi! E se trovassi cattivo tempo? Dicevo, bisogna raccogliere fondi per un ospedale. Per l'evento, poi, pensavo di far ingaggiare quel cantante che va tanto ultimamente, per attirare ancora più persone», accavallai la gamba destra sull'altro ginocchio, strusciando per errore il mio piede contro la sua gamba; mi parve di sentire Edoardo sospirare sofferente, ma forse lo avevo solo immaginato. Incrociai le dita delle mie mani, poggiandole sul ginocchio; iniziai persino a dondolare il piede. «Inoltre, abbiamo in progetto di far costruire una scuola... Ti ricordi di quel paesino africano di cui ci hanno fatto vedere quel filmato così commovente? Non negare! Avevi gli occhi lucidi persino tu!» 
 «Allora, per quando sarà, mi terrò libero», continuò a sorridermi lui, passandosi una mano tra i capelli, «così ti farò da accompagnatore!» 
Mi morsi il labbro inferiore, tanto forte da farmi male.
Controllati, Pamela! Mi ammonii, cercando di concentrare la mia attenzione sulle pareti bianche e sulle ampie finestre della casa, anziché sull'uomo che avevo di fronte. Non vorrai mica scatenare l'ira di Johnny, provando a baciare suo padre, vero? Forse a te non farebbe niente, ma meglio non testare questa teoria. Conosciamo tutti il detto: Gregoriadis furente, dolore imminente! Per non parlare del probabile rifiuto che riceverai da Edoardo... Sì, perché pensi di poter avere speranze con lui? Ridicola! Non ti guarda neanche! 
Ripristinata la lucidità mentale – a suon di minacce autoinflitte – mi convinsi che, quel fare ammaliante di Edoardo, altro non era che il suo modo normale di approcciarsi alle persone, che non avevo proprio niente da fraintendere. 
Non farti più film mentali! Pensa piuttosto al perché siete stati bocciati voi ragazzi del quinto B e cosa vuole davvero chi è dietro a tutto questo!
Quell'ultima riflessione mi fece tornare in mente un messaggio che avevo ricevuto, anni prima, sul mio cellulare di contrabbando il giorno prima della mia espulsione dal LPA. Ne ricordavo ancora ogni parola; mi ero fatta troppe risate all'epoca, non gli avevo dato peso.

Forse non oggi... forse non domani... ma Pamela dagli occhi d'ambra e dal viso a cuore... Pamela dalla pelle chiara e dal fisico alla Sofia Vergara... La vendetta giunge vicina... nel modo che tanto ami, io ti farò mia... delle serie di cui tanto decanti, ti farò partecipe... dei reality che tanto disprezzi, io ti renderò protagonista... L'ora ancora non è giunta, ma presto, secondi o anni... TU LA PAGHERAI!
P.S. Non sono chi pensi tu... Non mi conosci... Lui non è l'unico a cui stai sulle balle... Sei una STRONZETTA odiatissima, qui al LPA, ma lo sei anche nella tua città.


Non avevo idea del perché, quella ridicola presa in giro, mi fosse tornata in mente proprio in quel momento, ma una sensazione bruciante alla base del collo – su cui mi portai presto una mano – mi disse che tutto era collegato in qualche modo; ma, dal giorno della bocciatura, non era stata fatta ancora alcuna mossa, regnava un invisibile silenzio. Era quasi da spavento. 
 «Pamela!» rimasi impassibile, in attesa; il viso di Edoardo si era fatto più vicino, anche se restava alla giusta distanza. «Torna qui da me.»
 «Scusa,» gli dissi storcendo la bocca imbarazzata; i miei occhi furono presto attratti da quelle sue stupende e invitanti labbra. «Mi ero distratta un attimo.»
 «Ti capita spesso», affermò lui, alzando le sopracciglia. 
Non sapevo a cosa stesse pensando di preciso, il suo sguardo perplesso mi diceva che, qualsiasi cosa mi dovesse riferire Edoardo, non era né facile e né scontata; la sua mano continuava a giocherellare col colletto della camicia, stropicciandolo un po'.
All'improvviso, mi scostò con delicatezza, dietro l'orecchio, una ciocca ribelle; le sue dita mi carezzarono dolcemente il viso a quel passaggio; Edoardo riaccese in me – e in maniera del tutto involontaria – il desiderio di divorargli al più presto le labbra.
Il Gregoriadis spalancò gli occhi per un paio di secondi, voltando la testa in un'altra direzione, la bocca semiaperta che si lasciò sfuggire un sospiro incredulo: «Scusami, sono stato davvero inopportuno, ma quella ciocca... Ok, calmiamoci un attimo. È... è difficile per me, ma devo proprio dirti questa cosa! Temo di non poterlo più evitare. Non so se tu l'abbia capito o meno, ma, vedi, è da un po' di tempo che io mi sono accorto... Cazzo».
La curiosità crebbe in me come il divamparsi di un incendio, ma mi contenni restando in un placido silenzio; lo incoraggiai alzando le sopracciglia e fissandolo in maniera più diretta e protendendomi in avanti, verso di lui.
Se lo presso, questo se ne va!
Edoardo stava per riaprire bocca; i suoi meravigliosi occhi d'ossidiana all'altezza dei miei: «Io devo confessarti che...» 
 «Edoardo! Sei in casa? Io e Vittorio volevamo chiederti di uscire. Vogliamo farci un giro in barca», Fabio Dodero bussò alla porta, poco prima che Edoardo potesse continuare la frase che faticava a terminare. 
Sbuffai, abbandonando la mia schiena contro lo schienale del divano, per poi tirare subito un respiro di sollievo. 
 «Entrate, dai!» li invitò Edoardo, con un gesto della mano, levandosi di scatto; gli occhi chiusi e la mascella irrigidita.
È imbarazzato dall'essere stato beccato da solo con me, per caso? Mi domandai, cercando di comprendere la situazione osservandoli uno per uno. Si vergogna di me, forse? Che mi doveva dire?
 «Ah, Pamela!» mi salutò Vittorio Flocchini, che era il più giovane dei tre amici; l'avvocato fiscalista doveva avere sì e no trentotto anni. «Puoi venire anche tu se vuoi.» 
Rifiutai con educazione l'offerta genuina: «No, grazie... Non fa per me», l'idea di trovarmi su una barca in mezzo al mare mi faceva rabbrividire. 
Mi domandai cosa sarebbe successo, poi, se fossi caduta in acqua. Non volevo rischiare, né di annegare e né di costringere uno dei tre a tuffarsi per ripescarmi. Anche se, il pensiero di Edoardo che mi faceva la respirazione bocca a bocca, era piuttosto allettante! Come lo era l'immagine dei suoi capelli neri sgocciolanti sul mio viso e della sua camicia bagnata che aderiva a quel corpo stupendo. 
Rivolsi gli occhi trasognanti al soffitto; un sospiro estasiato fuoriuscì senza volere dalle mie incoscienti labbra, che stavo mordicchiando.
E io sono quella che non deve farsi film mentali... Lo capiranno tutti così, eh! Controlla la tua faccia!
 «Pazienza», aggiunse Fabio Dodero, lanciando un'occhiata veloce a Edoardo e ignorando la mia espressione idiota. «Ci avresti fatto compagnia!» 
Immaginai che Fabio Dodero stesse solo sfottendo l'amico per aver capito che mi ero presa una bella sbandata per il Gregoriadis e che la cosa fosse imbarazzante a prescindere.
Non mi sarei spiegata il perché di quello scambio di sguardi ambiguo che ne seguì, altrimenti, e nemmeno il colpetto di tosse di Edoardo, che cambiò presto argomento, ribattendo: «Non cominciate come le altre volte, no! Io non mi cambierò d'abito. Assolutamente no!»
 «Tu sei l'unico che al mare va vestito elegante», gli fece notare Vittorio Flocchini; tra i tre era anche il più casual al momento, coi suoi ricci castano ribelli che non erano lisciati come al solito.
 «Già, non credo di averlo mai visto in costume l'elegantone qua!» fece notare Fabio Dodero; sistemò gli occhiali da sole di marca nel taschino della camicia mezza aperta. 
Per essere un avvocato divorzista quarantacinquenne, anche lui ci teneva a mantenersi in forma e a sfoggiare un aspetto sempre gagliardo: Fabio aveva cortissimi capelli castani e due, sempre attenti, occhi scuri; era abbastanza alto e tarchiato. Vittorio era una via di mezzo tra i due, in quanto ad altezza, ed era più palestrato dei suoi amici, nonostante avesse un fisico più magrolino.
 «Non sono un grande patito del mare», ammise Edoardo, portandosi dietro l'orecchio quella sua adorabile ciocca ribelle. «E non sono l'unico. Giusto, Pamela?»
 «Io lo detesto il mare!» presi svelta le sue parti.
 «Avete molto in comune, voi due», annuì Vittorio, facendomi sentire in difetto per aver parlato; specie dopo averlo visto fare l'occhiolino a Edoardo. Mi sentii bruciare le guance e mancare per un attimo il respiro, un dolore allo stomaco mi mise in allerta.
 «Ci siamo comprati queste case vicine per passare insieme le vacanze e non ti sforzi neanche di adeguarti... Edoardo», puntualizzò Fabio alzando le braccia con fare sconcertato. «Almeno una t-shirt e un pantalone che arrivi al ginocchio... Che ti costa? Un costume...»
 «Non mi metto in costume! Mai!» concluse il Gregoriadis con troppa veemenza, scatenando, però, un riso generale. «Posso davvero lasciarti qui da sola?» mi chiese, voltandosi verso di me: il suo tono di voce fu così sincero e dolce che quasi mi sciolsi, ma non lo volli dare a vedere; mi mostrai del tutto indifferente alla sua gentilezza. «Guarda che ci fa piacere se vieni anche tu.» 
Fabio e Vittorio gli rivolsero un'altra occhiata ambigua, per poi scambiarsi sorrisetti assai divertiti. 
 «Questo è sicuro... per qualcuno!» sentii Vittorio sussurrare questa frase all'orecchio di Fabio.
Mi morsi l'interno della guancia e mi rabbuiai in viso. Cazzo! L'hanno capito e mi prendono in giro alla grande. Bella prova, Pamela, gran bella prova!
 «Tra poco Johnny dovrebbe tornare, quindi... Andate a divertirvi!» mi alzai risoluta; indicai loro la porta con l'indice deciso e sfoggiando un sorriso raggiante, il più realistico che potessi esibire. «Che fate ancora qui con me? Su, su!» 
 «Puoi andare da Andrea, se vuoi!» mi chiarì Vittorio, salutandomi con la mano. Era tornato a essere serio. «Sta a casa.» 
Fabio si aggiunse al coro: «Anche Gioia non è ancora uscita, magari se ti sbrighi...» 
 «Molto gentili, ma penso che me ne starò un po' con Johnny... quando arriverà», li ringraziai di cuore, ma la verità era che Gioia e Andrea le conoscevo solo di vista e non avevo con loro molta confidenza. Non che avessi difficoltà nel fare amicizia, ma non ne ero in vena quel giorno e qualcosa a pelle mi diceva che non erano le compagnie che cercavo. 
Nel ritrovato silenzio, mi misi a riflettere: perché invitarmi a unirmi a loro tre? Andrea e Gioia no e io sì. Perché loro due di fatto non erano state invitate, Johnny non era neanche stato preso in considerazione. E cosa significavano quegli strani scambi di sguardi?
Sono troppo seri, uomini maturi, non ti prenderebbero in giro! Pensai, nel tentativo di non far navigare la mia mente confusa in acque pericolose e far approdare la mia nave su un'isola abitata da cannibali. Avrai di certo frainteso, magari hai anche sentito male: forse ridevano per altro. Non sei il centro del mondo, Pamela! Però... Ah, sono sicura che Edoardo voleva dirmi di stargli alla larga, prima: i suoi amici lo hanno capito che il Gregoriadis non mi disgusta per niente e a lui la cosa mette un gran disagio. Mi coprii gli occhi con i palmi delle mani. Questo non puoi saperlo. Aspetta e vedi che ti dice Edoardo... Ti fai mille complessi inutilmente, come sempre.
Rimasi sola, pochi interminabili minuti, con quell'orrenda e potenziale consapevolezza. Pensai che, se in modo inconsapevole e involontario, ero stata inopportuna o invadente con Edoardo, avrei presto rimediato. 
Lo eviterò, semplice!
Quando udii sbattere la porta d'ingresso, seppi che Johnny era rientrato in casa.
 «Ahi!» urlai d'istinto, come se avessi avvertito io, sulla mia stessa pelle, l'eventuale dolore di quel maltrattato rettangolo di legno pregiato: Johnny aveva sbattuto quella porta con tale veemenza che stava per scardinarla. 
 «Scusa, sono nervoso», aprì il frigorifero con una tale foga e prese una bottiglia d'acqua con rabbia. Si versò il contenuto addosso bagnando persino il pavimento. 
 «Fa caldo!» rispose al mio silenzioso sguardo accusatore. «Si asciugherà da sé.» 
Si avvicinò sbattendo sul tavolo la mano contenente una banconota da 50 bire. 
 «Che fine ha fatto Edoardo?» mi chiese Johnny, scandagliando il salotto con fare guardingo. 
Presi un bel respiro e incominciai a parlare a raffica: «I due avvocati sono venuti a prenderlo per farsi un giro in barca», non gli accennai al fatto che avessero invitato anche me, non era necessario che lo sapesse, almeno credevo. «Tu come stai? Tutto bene? Hai una faccia da schifo! Perché mi stai dando cinquanta bire? Non sono mica centesimi!» 
 «Hai vinto», mi rispose con sguardo torvo, prendendo posto a tavola nella sala da pranzo; prese a fissarsi le mani, le dita intrecciate così strette da sbiancare le nocche. «Con Milena è già finita. Neanche è cominciata, ma...»
 «Milena Rocchio?» gli chiesi stupita, sedendomi accanto a lui. «Non dovevi vederti con quella tizia... Ah, lasciamo stare. Che è successo?» 
Feci per alzarmi, ma qualcosa mi costrinse a sedermi. Johnny mi aveva presa con calma per il braccio e mi stava trattenendo. 
 «Volevo prenderti qualcosa da mangiare dal frigorifero», gli spiegai. «Di solito questo ti aiuta a calmarti!»
 «Non la conosci quasi per niente, eppure, l'hai inquadrata alla perfezione», mi interruppe, senza guardarmi neanche in faccia. «Ha tirato fuori la scusa che io sono ancora preso dalla mia ex. Eccetera, eccetera.» 
 «Mi dispiace.» 
 «No», fece lui quasi ridendo. «Non c'è da dispiacersi tanto lo sai perché mi ero avvicinato a lei e lei, come hai detto tu, voleva solo una cosa da me. Quando ha capito che non l'avrei fatto.. Tu ci hai preso anche stavolta!» 
 «Non l'hai fatto con Milena?» mi fissò incuriosito con le sopracciglia accigliate e gli occhi socchiusi. «Non sei solito dire di no, specie a delle ragazze avvenenti. Lei non mi piace! Non mi importa quanto sia brava a scuola, ha qualcosa che a pelle mi irrita. Non voglio che vi giri attorno; né a te e né ai miei altri ragazzi. Se dovessi vedere o Mario o Gilberti girarle intorno io...»
 «Kamya la odia!» i suoi occhi grigi azzurri si erano posati per la prima volta sul mio viso da quella mattina. La mascella di Johnny si irrigidì. «Non posso farle questo. Ho fatto già troppo a quella ragazza.»
 «Bene!» esclamai, accompagnando la mia soddisfazione con dei cenni d'assenso del capo. «Hai fatto bene. Rispetto. Sei uno che sa cos'è il rispetto... Forse. Sono fiera di te.» 
Vidi Johnny rilassare le spalle, le rughe d'espressione del suo viso sparirono all'istante; ricambiò il mio sorriso, stringendo la mia mano nella sua. 
 «Ora capisco perché sei così nervoso!» accigliai le sopracciglia, sbuffando con la bocca, mentre cercavo qualcosa da bere in frigorifero. «Il canto della sirena è forte e per te è difficile tapparti le orecchie! L'aver perso questo giro in giostra, ti fa sentire lo sfigato di turno...» 
 «Una cosa del genere», ridacchiò lui, alzando le spalle; una smorfia nervosa gli incattivì il viso. «Ora capisci, vero?» 
 «Sono tornato!» affermò Edoardo, rientrato in quel momento in casa: stava reggendo un paio di bustoni con le mani e mi fece prendere un colpo. «Non abbiamo trovato una barca. Incredibile, erano già tutte prese. Ah, Johnny...» un'aria pesante calò nella casa. «Sei qui... Dimmi che, in questo momento, non sei ubriaco, fatto o altro... Te ne prego!»
Ignorandolo, Johnny diresse lesto il suo sguardo all'interno dei bustoni; udimmo tutti il suo stomaco brontolare rumorosamente.
  «Sì, ho fame, cazzo!» affermò il biondo, tirando fuori qualcosa dalla busta.
 «Vacci piano!» lo schiaffeggiò sulla mano il padre. «Questi ci servono: stasera non saremo soli!» ci informò Edoardo, svuotando le buste sull'isola in cucina. «Ho invitato Fabio e Vittorio a cenare qui, e le loro figlie, ovviamente... Saremo in undici!» 
 «Undici?» gli domandò Johnny confuso. 
 «Sì,» gli rispose il padre, «tua sorella, presumo che per cena ci sarà e poi ho incontrato i Rossini al supermercato, te li ricordi, no?» lo guardò con fare perplesso per alcuni secondi. «Comunque, verranno anche loro. E ti prego non voglio problemi com'è successo con la psicologa, la moglie del mio vecchio amico Tiberio... Nessuna sorpresa, né in bagno e né in nessun'altra stanza della casa. Ascoltami bene perché non te lo ripeterò di nuovo: sta alla larga dalla moglie di Ugo! Mi raccomando», gli puntò contro il dito.
 «Come vuoi!» alzò le mani in segno di resa Johnny. «Ma se fosse lei a provarci con me?»
 «Johnny...» lo rimproverò il padre, sospirando furente. 
Il mio amico biondo mi rivolse uno sguardo serio, riprendendo posto accanto a me; incominciò a confidarsi sottovoce: «C'è un'altra cosa di cui vorrei parlarti», volse il suo sguardo verso il padre, forse per essere certo che questi fosse alla giusta distanza per non poterci sentire, «sai che hanno cercato di rapirmi?» 
   
 
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