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Autore: Puffola_Lily    09/05/2024    0 recensioni
Izzy Price aveva un unico sogno: diventare la più grande pattinatrice artistica dei suoi tempi ma il destino - se così vogliamo chiamarlo - era contrario e decise per lei.
Crescendo aveva fatto pace con la realtà e si era buttata a capofitto su un nuovo sogno, stavolta decisa a realizzarlo. Anche se per farlo sarebbe stata costretta ad affrontare la sua più grande paura. Le auto e la velocità.
Genere: Generale, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 6 


Alla conclusione della prima giornata avevo capito che se volevo davvero fare il mio lavoro, dimostrare che potevo riuscirci e, quindi, farmi affidare il mio primo libro giallo, non potevo starmene defilata in un angolo. Dovevo - purtroppo - diventare l’ombra di Thompson.

Alla conclusione della seconda, avevo avuto più una conferma che una scoperta: in quel posto erano tutti pazzi!

Queste erano le considerazioni che avevo esplicato a Ian mentre ci preparavamo per affrontare l’ultima delle tre giornate. 

Era dal giorno precedente che evadevo la domanda che Ian insisteva a pormi, ossia sapere cosa mi avesse detto Thompson durante il primo colloquio. Avevo provato a propinargli qualche cavolata ma non c’era cascato. Così a intervalli più o meno regolari insisteva.

Stavo per perdere la pazienza. Che era già poca di suo, soprattutto negli ultimi giorni.

«Se te lo dico la smetti di torturarmi?»

«Dipende da quello che mi dici.»

Ci fermammo, lo presi in disparte e controllai che non passasse nessuno. «Mi devi giurare, su quello che hai di più caro, che non parlerai mai quello che ti dirò. Con nessuno, mai.»
«Uuhh si fa interessante!»

Ian era fidato, lo sapevo, ma stavo comunque confessando il segreto di qualcun altro e non mi sembrava giusto.
«Thompson non è davvero ciò che appare»
«Cioè?» chiese curioso.

Sospirai. «La sua immagine è tutta una farsa. Ma Ian, mi raccomando, lo sappiamo solo in quattro o cinque persone» sussurrai. «Chiudi la bocca o ci entreranno i moscerini.»

«Jay Thompson… quindi lo stronzo, antipatico e festaiolo Jay Thompson non è davvero così

«Allora lo ammetti che si comporta da stronzo!»

«Come pilota, dicevo. Quindi è tipo un santarellino?»

«Già, dice che sta con la stessa ragazza dal liceo.»

«Non l’avrei mai detto. La copertura gli dona molto.»
«Cosa ci vedi nei ragazzacci lo sai solo tu.»
«E un altro milione di persone» borbottò lui. «Avanti, andiamo o faremo tardi.»

Mi prese per un braccio ma opposi resistenza. «Hai giurato, neanche una parola. Con. Nessuno.»
«Giuro. Simon lo sa?»
«Sì, ma non deve sapere che lo sai. Altrimenti Thompson in tempo record verrebbe a sapere che tu sai e che quindi io ho cantato, chiaro?»
«È contorto ma sì, ho capito.»

Entrammo nell’area dei box, Ian sparì dalla mia vista, probabilmente si era affrettato a raggiungere Simon, ovunque fosse, mentre io mi diressi verso un bancone che si trovava vicino agli schermi dai quali era possibile seguire ciò che accadeva in pista. La sala, a parte gli ingegneri era quasi vuota, i meccanici non erano ancora rientrati. Individuai Ian che in disparte chiacchierava con Simon a pochi centimetri dal suo viso, e, mio malgrado, anche Thompson, che stava discutendo con quello che immaginavo fosse il suo ingegnere - da quello che mi aveva spiegato Ian ogni pilota aveva il suo personale -, scostai lo sguardo da lui e notai due donne sedute su degli sgabelli vicino a me. Neanche al ballo di fine anno, al quale ero andata da sola visto che il ragazzo dell’epoca mi aveva mollata il giorno prima, mi ero sentita così tanto a disagio.

La tentazione di raggiungere Ian e Simon era tanta, ma stavano palesemente flirtando e non mi sembrava il caso di disturbarli. Le due donne che avevo notato quando entrata, parlavano amichevolmente ed era chiaro che fossero molto in confidenza. Una delle due doveva avere più o meno la mia età, mentre l’altra donna era più grande, ma portava bene i suoi anni. Quest’ultima aveva un’aria familiare, ma non riuscivo a ricordare dove potessi averla vista. Quando mi sedetti su uno sgabello libero, tirai fuori il mio taccuino e iniziai a rileggere quanto avevo scritto, più per tenermi impegnata che per reale necessità - quel lavoro avrei potuto farlo anche più tardi o l’indomani - la conversazione s’interruppe di colpo. Nello stesso momento, la stanza iniziò a riempirsi, i meccanici stavano facendo ritorno e tutti stavano prendendo posto.

«Scusa, ci conosciamo?»
Il viso della donna più giovane comparve a lato del mio, inaspettatamente.

Scossi la testa, sorridendo educatamente.

«Sicura? Hai un viso familiare.»

«Forse ci siamo incontrate in giro per il paddock» tentai. Io davvero non l’avevo mai vista.

«Oh, sì. Ora ricordo» disse, lo sguardo illuminato dall’improvvisa intuizione, prima di presentarsi con voce squillante. «Io sono Chloe.» Mi tese la mano, che strinsi.

Chloe… quindi era lei la famosa - in realtà per niente - fidanzata di Thompson.

«Sei la nuova ragazza di André, allora?» urlò al mio orecchio cercando di sovrastare il rumore delle auto in accelerazione, che proveniva da poco distante e del vociare nel box.

«Cosa? No, no. Sono Isabella, Izzy. Sono…» era arrivato il momento di usare la mia copertura. «Sono la nuova assistente della Social Media Manager.»

Chloe annuì, convinta. Mi rilassai un po’. Quella micro-conversazione mi aveva distratta dal luogo in cui mi trovavo, ora che non ero più ‘distratta’, di colpo i suoni mi piombarono addosso come un’improvvisa doccia fredda. La gara stava per cominciare, le auto erano già uscite dai box e completato il giro di formazione, adesso erano solo in attesa che i cinque semafori si spegnessero. L’attenzione di tutti era calamitata dal maxi-schermo che riempiva una delle pareti. Mi sentivo fuori luogo, le persone intorno a me erano elettrizzate, trepidanti, io invece avevo la sensazione che quelle quattro pareti mi si chiudessero addosso. Per distrarmi, scostai lo sguardo dal monitor e lo fissai sull’unico membro della famiglia che mi fosse rimasto e che antiteticamente sembrava al settimo cielo all’idea di trovarsi lì.

 

Quando la gara finalmente finì tirai un sospiro di sollievo, anche se il senso di nausea non mi abbandonava. Thompson aveva vinto - a quanto pareva era una costante - ma il mio sollievo era dovuto al fatto che non ci fosse stato nessun incidente di rilievo. Il box era in festa, tutti urlavano e si abbracciavano. Approfittai per svignarmela prima che l’aria diventasse del tutto irrespirabile. L’immobilità aveva messo alla prova il mio ginocchio, così faticai un po’ di più a farmi largo senza zoppicare troppo evidentemente; cercavo di nascondere quanto più possibile questo mio ‘deficit’.

Respirai con la bocca aperta, tentando di incamerare più aria possibile e allo stesso tempo di rallentare il battito e restare nel qui e ora. Sapevo cosa stesse per succedere ma non volevo succedesse.

Eppure le immagini di quelle auto che sfrecciavano si sovrapponevano ad altre, in cui dei fari accecanti si avvicinavano a velocità e al successivo boato.

Una mano si posò sulla spalla, sussultai. Mi voltai e trovai il viso e trovai quei due pozzi cioccolato che sapevano come calmarmi. Mi concentrai sulla sua pupilla, sulla sua iride così scura da essere difficile definirne il contorno, tutto pur di restare lucida e presente.

«Izzy, è tutto okay.» La sua mano mi stringeva la spalla, con forza senza tuttavia procurarmi davvero dolore, sapeva che ne avevo bisogno per non lasciarmi andare agli incubi, ai ricordi. «Respira. Dentro. Fuori.»

Senza chiudere gli occhi, ma anzi concentrandoli ancora di più nei suoi, seguii il ritmo del suo respiro e pian piano il formicolio alle mani si attenuò, come rallentarono i battiti e il respiro si regolarizzò.

«A posto?» 

Annuii. Parlare era la cosa più difficile da fare, in quei momenti.
«Rispondimi Izzy.»

«Sì» dissi flebilmente.

Vidi buttar fuori un sospiro anche a lui. «Sono stato un coglione, scusami. Ti sarei dovuto stare accanto, invece mi sono lasciato prendere dall’euforia.»
«È tutto okay» risposi, sempre con un filo di voce.

«Chiedo a Simon se puoi sederti un po’ in una delle stanzette, così stai lontana dalla confusione.» Si voltò, già pronto ad allontanarsi. Lo fermai prendendogli la mano.
«No» mi schiarii la gola. «Non serve, solo… allontaniamoci da qua, se è possibile. Aiutami a trovare un posto a sedere.»
«Era quello che volevo fare Izzy.»
«Non voglio che mi vedano così… sconvolta. Non sarebbe professionale.»
«D’accordo, appoggiati a me. Ti fa male il ginocchio?»
Annuii. Stranamente durante quegli attacchi mi formicolava tutto il corpo e perdevo la sensibilità, tranne che al ginocchio sinistro, quello come fosse un monito, faceva più male del solito.

Trovammo un posto nell’area ristoro lì vicino e Ian mi procurò un bicchiere di succo di frutta.

Pensai distrattamente che avevo dimenticato il taccuino nel motorhome. Chiesi a Ian di andarlo a prendere, tentando, invano, di convincerlo che stavo meglio, ma lui non mi mollò un attimo. Continuando a chiedermi a intervalli regolari come stessi. Smise solo quando tornammo in hotel e mi vide distendere sul letto, a quel punto si premurò solo di rimboccarmi le coperte e di chiamare la reception chiedendo una proroga per il check-out, che percepii con la semi incoscienza, prima di cedere alla stanchezza. Avevo chiesto troppo alla mia mente, in quel weekend, ma mi sarei dovuta abituare presto. O reagire così a ogni weekend mi avrebbe portato alla pazzia. 



Buongiorno! 
Rieccomi :)
La scorsa settimana non sono riuscita a pubblicare, gli impegni mi hanno spraffatta purtroppo. 
Ma eccomi qui adesso con un nuovo capitolo , se riesco mi piacerebbe nel fine settimana pubblicarne un altro.
Come sempre vi ringrazio per essere arrivat* fino a qui, spero vi sia piaciuto
Se vi va di lasciarmi un commento ne sarei contenta
A presto!
Puffola_Lily

P.S. La storia la trovate anche su Wattpad ;) lì mi chiamo PennyLewis7  

   
 
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