EPILOGO- FUGA
Epilogo
Fuga
Solo per
Noi
4
anni dopo
Il
tempo tornò ad essere dalla mia parte ed in un
certo senso, avanti a me. Era accaduto in quell'estate, la stessa che
aveva
portato con se le risposte alle mille domande che mi ero posta per
anni. Potrei
dire che tutto cambiò da allora, che la mia vita si mosse
verso la stessa
direzione in cui sarebbe andata prima che fuggissi ma...beh ho capito
con gli
anni che il destino segue il corso che ritiene più giusto
anche se a noi non
sembra così.
"See you in two weeks honey.
Have fun!" mi
salutò Brenda mentre uscivo dall'ufficio. Era mattina ed ero
passata a portare
degli articoli su cui avevo finito di lavorare la sera prima, certo
avrei
potuto mandarli via mail ma volevo farlo do persona ed anche salutare i
miei colleghi.
"Thanks darling, take care"
risposi abbracciandola
e scendendo subito dopo, le scale di corsa. Ero in ritardo e nervosa
per quello
che sarebbe accaduto di lì a poco, anche se l'idea di non
dover lavorare per
due settimane era decisamente entusiasmante.
L'aria fresca mi
colpì in viso e sentendo leggerissime
gocce d'acqua bagnarmi la pelle, sorrisi; quella mattina il sole era
spuntato e
scomparso già diverse volte ma dopotutto era normale, ero a
Londra.
Sulla
metro mi ritrovai a pensare ancora a quell’estate,
senza un reale motivo in realtà ma a distanza di quattro
anni, le scene, i
pianti, i sorrisi di quei giorni tornarono ad affollarmi la mente. Ed
era
strano come per tutti noi, la vita avesse preso strade diverse da
quelle che ci
aspettavamo.
Al
risveglio, per esempio, ricordai con quanto
silenzio facemmo tutti colazione, guardandoci l’un
l’altro ma senza parlare.
Due telefonate importanti, infatti, spezzarono la magia creatasi in
quella
vacanza.
Il sole
mi riscaldava la pelle e qualcosa o meglio
qualcuno stretto al mio corpo, mi teneva con un bisogno talmente forte
che
faticai a dimenticare con gli anni. Era possesso ed amore, nel senso
più puro e
semplice del termine ed anche se erano due concezioni opposte, a me
risultavano
illogicamente perfette... come lo era tutto tra me ed Ale ma era giusto
così, il
senso eravamo Noi.
Era
giusto quel possesso, era giusta la disperazione e
la liberazione con cui i nostri corpi e le nostre anime si erano
finalmente
amati. Era giusto stare lì, in quel letto con il sole caldo
sulla pelle e gli
occhi aperti... ancora a sognare una vita diversa, solo per noi.
“Sei
sveglio?” sussurrai appena e lo sentii annuire
piano respirando tra i miei capelli. Mi voltai lentamente verso di lui
e lo
trovai con gli occhi che brillavano su di me, le labbra rosse e morbide
piegate
in un sorriso dolcissimo mentre con la mano si teneva la testa e con
l’altra
giocava con i miei capelli.
“Hai
dormito?” chiesi piano e lo vidi muovere appena
la testa in segno di diniego mentre il sorriso si allargava ad
illuminargli
tutto il viso e non potei non sorridere con lui. Era felice il mio Ale.
Io ero
felice. Eravamo vergognosamente felici, insieme, per la prima volta
nella
nostra vita.
E
quando la sua mano lasciò i miei capelli e piano
andò a disegnare il contorno delle mie labbra, fu istintivo
perdermi ancora nei
suoi occhi, fu istintivo, socchiudere le labbra sulle sue dite per
saggiarne il
calore, fu naturale spingermi verso le sue per reclamarle e farle mie
ma Ale mi
fermò.
Le sue
dite si posarono sulle mie labbra per
trattenere quel bacio ancora un attimo.
“E’
così che deve essere” disse serio, quasi sconvolto
mentre continuava a fissarmi negli occhi. Mi allontanai
impercettibilmente per
parlare ma lui mi strinse ancora.
“E’
così che voglio svegliarmi ogni mattina”
sussurrò
sulle mie labbra per poi baciarmi con tutto il bisogno che sembrava non
saziarsi mai.
E fummo
ancora una sola persona, persi l’uno
nell’altra finché il mio telefono non
squillò ed Ale si alzò per prenderlo; era
Brian.
Il
comandante di Stefano lo chiamò quella mattina, al
rientro a Roma sarebbe dovuto partire e così fece.
Non
ci fu un attimo in cui diede l’impressione di aver
cambiato idea, anzi, era davvero motivato a fare il suo dovere e
nessuno di noi
riuscì a dirgli nulla. Lo accompagnammo alla base, ci
abbracciammo tutti in
silenzio in una muta preghiera di rivederlo presto e lo lasciammo alla
sua
vita, a quello che aveva scelto.
Così
doveva andare e così andò.
Ancora
oggi se ripenso a quel momento sento una
stretta al cuore, ricordo di aver pensato quanto in realtà
le vite di ognuno
siano legate l’un l’altra, nessuno vive senza che
le sue azioni o la sua
semplice esistenza, possa influire su quella di un altro.
Le
nostre, almeno, vennero decisamente scosse da
Stefano e dalle sue scelte e così come noi, anche il
Parà che salvò dopo dieci
giorni di marcia nel deserto.
Lo
stesso Parà che sposò due anni dopo; una
bellissima
ragazza, Serena, che venne accolta nelle nostre vite con immensa gioia.
Sorrisi
ricordando il giorno del loro matrimonio e la
festa hawaiana organizzata per lui da Davide e scossi la testa
incredula,
quando il mio telefono vibrò; - Vestito
e
scarpe pronti da me, vedi di muovere il tuo sederino e non fare tardi,
Gaia-
.
Tardi,
già!
Scattai
in piedi riconoscendo la fermata e continuai
la mia corsa verso casa.
Erano
circa le nove e trenta del mattino e davanti al
cancello di casa trovai una donna in pigiama con una valigia al suo
fianco ed
un taxi fermo.
“Scusa
scusa scusa” urlai dal marciapiede opposto.
Vidi
Terry sorridere e scuotere la testa.
“Sbrigati
tra un ora parte l’aereo, il check- in è
stato già fatto.” Disse abbracciandomi.
“Grazie
davvero!”
“Non
ringraziare me, ho solo portato giù la valigia ma
dì a Brian che se si azzarda a svegliarmi presto dopo il mio
turno di notte all’ospedale
sarà peggio per lui!” scoppiai a ridere e mi
avvicinai al taxi.
“Dai
povero non è colpa sua ho dimenticato le chiavi e
solo tu potevi aprirmi. Ci vediamo fra due settimane ok?”.
La
vidi sbadigliare sorridendo.
“Divertitevi
e riporta intero il tuo uomo eh?”.
Salii
sul taxi e tirai un sospiro di sollievo. Forse
avrei fatto in tempo, forse!
Dlin
Dlon
-I signori
passeggeri sono pregati di allacciare le cinture, la fase di decollo
è
iniziata-
“Mi
scusi è libero quel posto?” chiese un uomo in
giacca e cravatta.
“Si,
si prego” risposi guardandolo ed arrossii appena per come
sembrasse mangiarmi
con gli occhi.
Mi
voltai quindi, leggermente infastidita, mettendomi comoda sul sedile ed
ascoltando una canzone dei Dire Straits che aveva sempre la
capacità di
rilassarmi.
Soltanto
pochi minuti dopo però sentii qualcuno scuotermi appena il
braccio.
“Scusi
ancora ma...le è caduto il portafoglio dalla
borsa” disse l’uomo porgendomelo.
Mi
alzai appena e sorrisi.
“Grazie
non me ne ero accorta”.
“E’
suo figlio?” chiese di getto guardando la foto del piccolo
Andrea che
fuoriusciva da una tasca.
Alzai
gli occhi a scrutarlo e lui sorrise imbarazzato.
“Scusi
ancora, sono troppo curioso per natura”.
Annuii
a richiusi il portafoglio.
“E’
il mio figlioccio.” Risposi educata, lo vidi guardarmi ancora
come avesse l’intenzione
di chiedermi altro ma evidentemente esitò.
“Bel
bambino” aggiunse poco dopo e si voltò iniziando a
leggere il giornale.
Annuii
appena in risposta e tornai a guardare la foto.
Il
piccolo Andrea arrivò nelle nostre vite come un mini
tornado, il quindici
settembre di quattro anni prima. Davide era letteralmente impazzito e
non
riusciva a calmarsi in nessun modo durante il travaglio, tanto che i
dottori dovettero
aggiungere una poltrona per farlo stare vicino ad Ilaria. Dopo
esattamente
ventitré ore, la peste venne fuori tra urla e pianti e
Davide finalmente svenne.
Dire
che Andrea fosse l’esatta copia di Davide era dire poco, era
infatti, la sua miniatura
perfetta in tutto e per tutto e noi scoppiavamo a ridere ogni volta che
Ilaria
sbuffava alzando gli occhi al cielo dicendo “non me ne
bastava uno!”
Ovviamente
essendo il più piccolo del gruppo era anche il
più coccolato da tutti gli zii e
questo non faceva che aumentare la sua furbizia; sapeva come ottenere
quello
che voleva e ci riusciva sempre.
Sorrisi
e chiusi gli occhi cercando di dormire un po’.
Avevo
lavorato molto in quelle ultime settimane ma ero davvero soddisfatta di
aver
concluso i miei articoli ed esserli riuscita a consegnare in tempo;
anche se
questo aveva voluto dire, tornare a Roma all’ultimo momento,
passare a casa,
cambiarmi ed essere pronta per le diciotto di quella sera. Senza
dimenticare il
“dover parlare” con una certa persona!
Sospirai
cercando di calmarmi e concentrarmi sulle note della canzone che
fortunatamente
aiutò...
“Dimmi che vuoi
fare!” Mi urlò Ale mentre cercavo di
coprirmi con il lenzuolo.
“Io...io, non lo so
è che è successo tutto di
fretta...”
“Allora dimmi se ci sei
andata a letto!” Continuò vestendosi
in fretta.
Mi alzai di scatto incurante che
fossi mezza nuda.
“Senti smettila e fammi
parlare perché questa tua
reazione non ha senso...”
Mi avvicinai cercando di calmarlo
ma lui s’infuriò di
fronte alle mie parole.
“Non ha senso? Voglio
sapere se ti sei scopata questo
Brian oppure no!”
Rimasi scioccata dalla sua reazione
e sentii la rabbia
salire.
“Ma ti senti come parli?
Stai dimenticando un piccolo
dettaglio, io ho una vita lì, ho un lavoro, ci ho vissuto
per gli ultimi due
anni ed ora non posso fregarmene e dimenticare tutto...Noi dobbiamo
parlarne
perché io non voglio buttare all’aria la vita che
ho costruito lì e tu, se
vuoi, potresti...”
“Ci. Hai. Scopato o no ?
Dillo! E’ una semplice
parola!” urlò impazzito venendomi incontro.
“Si! Ci ho scopato, sei
contento ?” urlai in risposta ma
non ebbi il tempo di fare o dire nulla perché si
lanciò su di me...
“Cosa?
Chiesi confusa di fronte la domanda dell’uomo al mio fianco
“Dicevo...vuole
qualcosa da bere? Stanno passando le bevande”.
Annuii
ridestandomi svelta.
“Si,
una bottiglietta d’acqua per favore”.
Controllai
l’orario e mi accorsi di essere quasi arrivati.
“Stiamo
volando su Roma a breve ci faranno allacciare le cinture”
disse offrendomi da
bere.
Annuii
e mi voltai a guardare dal finestrino la mia città. Il sole
splendeva e l’acqua
del mare in lontananza sembrava una lastra d’oro.
“Contenta
di tornare ?” chiese l’uomo curioso
Sorrisi
annuendo per poi sorseggiare l’acqua.
“Sono
sempre felice di tornare a casa”.
Tacchi.
Odiosi
Tacchi che avevo dovuto indossare quella mattina per
l’ufficio ora mi stavano
facendo un male cane. Presi il mio trolley e mi diressi verso
l’uscita quando
il telefono squillò.
“Dimmi
che sei arrivata” Urlò Gaia agitata.
“Sono
arrivata” risposi affannata mentre stavo praticamente
correndo verso le porte
automatiche.
“Perché
sei agitata?” mi chiese all’improvviso e rallentai
di riflesso confusa.
“Non
sono agitata sto correndo per uscire dall’aeroporto, anzi
dimmi dove sei che
facciamo prima” chiesi fermandomi e cercandola con lo sguardo.
“No
sei agitata e sappiamo entrambe il perché; devi parlare con
qualcuno o
sbaglio?” chiese Gaia improvvisamente calma.
Sbuffai
e mi fermai di colpo.
“Ti
rendi conto che stiamo facendo questa conversazione mentre ti cerco
nell’aeroporto?” e accorgendomi di stare urlando
abbassai subito la voce
sull’ultima parola.
“Pronto?”
chiesi ma guardando il cellulare vidi che era spento. Perfetto mi si
era
scaricata la batteria.
Sbattei
i piedi a terra frustata avrei fatto proprio tardi. Bene.
Perciò
arresa al mio destino, mi diressi verso l’uscita sperando di
trovare Gaia o al
massimo provare a chiamarla da un telefono pubblico.
Tacchi,
odiosi tacchi bellissimi ma scomodi, mi fecero inciampare sui miei
piedi
improvvisamente ed andare a sbattere contro qualcuno.
“Mi
scusi, sono inciam...e Lei?”
“Già
io, tutto bene ? Posso aiutarla?” chiese l’uomo che
era stato al mio fianco
sull’aereo e pensai di approfittarne e chiedere un cellulare
ma..
“E’
scesa dall’aereo così di corsa che beh mi
piacerebbe offrirle qualcosa” mi
interruppe e quando mi fui ricomposta e capito il senso delle sue
parole la mia
testa scattò in alto. L’uomo mi guardava malizioso
ed indietreggiai
istintivamente.
“Forse non ti
è chiara una cosa” disse Ale furioso ma
serio.
“Nessuno potrà
più toccarti, guardarti o respirarti”
Mi prese il volto fra le mani, forte come fossi un tesoro.
“Sei mia. Sei sempre
stata mia. E non esisterà può
nessun altro uomo per te” soffiò forte sulla mia
labbra e tremai sentendo il
cuore esplodermi nel petto. Afferrò piano il labbro
inferiore e lo morse appena
per poi strofinare con la lingua le sue labbra sulle mie.
“Non ne sarai nemmeno
attratta” colpì con la lingua il
labbro superiore tenendomi sempre stretta a se, questa volta mozzandomi
l’aria
come una piccola punizione.
Il
ricordo si affievolì ed il volto dell’uomo
tornò di fronte a me. Era
oggettivamente un bell’uomo ma io non me ne ero minimamente
accorta ed al
ricordo delle parole di Ale, scoppiai a ridere e scossi la testa.
“Mi
perdoni ma non posso grazie”.
Presi
la valigia e mi sentii osservata, voltai lo sguardo sulla destra ed
appoggiato
al muro vicino l’uscita, Ale mi guardava con le mani in tasca
ed un sorriso
furbo sulle labbra ed io corsi. Da lui.
“Non lo vorrai
perché ci sarò io” si fece spazio nella
mia bocca ed io reagii come creta tra le sue mani “Solo io.
Ci saremo solo Noi”
.
Approfondì il bacio e mi
aggrappai alle sue spalle
mentre lui mi spinse contro il muro come per reclamare quel corpo,
oltre al
cuore, che non sarebbe dovuto essere di nessun altro.
***************
“...
e mi ha fatto anche i complimenti per come ho gestito tutto, credo sia
rimasto
davvero soddisfatto dal mio lavoro. Ah! sono passata nel tuo ufficio
ieri e
Mike ti saluta dice che deve ancora rifarsi dell’ultima
partita e che se
riuscite ad organizzare appena torneremo a casa, lui...” mi
fermai di botto
notando come Ale fosse fermo a guardarmi senza parlare.
“Perché
mi guardi così ?” chiesi divertita e di riflesso
mi guardai intorno. Eravamo
fermi davanti casa di Gaia. “Aspetta ma siamo
arrivati?” continuai veloce ed lo
sentii ridere sereno.
“Non
volevo interromperti e poi mi piace molto” disse allungando
una mano nella mia
e giocando con le dita.
“Cosa?”
“La
tua voce” rispose semplice e si avvicinò a
baciarmi.
Se
c’era una cosa a cui non mi ero abituata erano le carezze ed
i baci di Ale;
ogni volta mi perdevo nel suo profumo o nel semplice stare abbracciati
e sia il
calore della sua pelle sia le sue azioni mi facevano sentire completa
ed a
casa.
“Mi
sei mancata”
“Anche
tu. E’ stata una lunga settimana” commentai
sorridendo sulla sua bocca.
“Si,
non facciamolo mai più” borbottò ma
fummo interrotti da un frastuono tremendo
chiamato Gaia.
“Smettetela
di sbaciucchiarvi ed andate a prepararvi.” Ci urlò
fuori dal finestrino.
In
casa regnava il caos, Gaia era completamente euforica e correva da una
stanza
all’altra spostando oggetti, vestiti, scarpe.
“Eccola
qui l’inglesina, per fortuna sei arrivata altrimenti sarei
impazzito” mi salutò
Riccardo uscendo dalla camera con una pila di vestiti e cianfrusaglie
varie.
Guardai
Alessandro mentre si toglieva la giacca e sorrisi.
“Ma
che le prende? Sembra che si debba sposare!” commentai
togliendomi le scarpe.
Odiosi tacchi.
“Già
fatto cara o non ricordi nemmeno di avermi fatto da
testimone?” urlò dalla
camera. E scoppiai a ridere.
Gaia
e Riccardo dopo quell’estate andarono a vivere insieme
praticamente subito, lei
che aveva accettato quel lavoro come supplente si era dovuta trasferire
per
alcuni mesi ma quando tornò Riccardo non aspettò
altro tempo e dopo un anno si
sposarono.
Ovviamente
la loro fu una cerimonia molto romantica e tutti noi non riuscimmo a
non
piangere, persino Ale aveva gli occhi lucidi anche se continuava a dire
fosse
l’allergia al polline! Inoltre non avevamo smesso un attimo
di guardarci per
tutta la cerimonia e anche se per noi era decisamente presto, cedetti
alla
voglia di sognare un po’ ed immaginarmi anch’io con
un vestito bianco.
“Michy
puoi cambiarti in camera mia e farti una doccia se ti va,
però devi fare in
fretta ci aspettano tutti lì” Disse Gaia
portandomi un asciugamano.
“Anche
Stefano e Serena?”
“Si,
sono riusciti a venire”
Annuii
e mi voltai verso Ale.
“Io
vado a casa a controllare le ultime cose, mi cambio e passo a
prenderti” disse
baciandomi dolcemente ed a lungo tanto che sentimmo un colpo di tosse
fastidioso.
“Ok
vengo, ma qualcuno sa dirmi perché non sono potuta passare a
casa mia?”
“E’
rotta la caldaia”
“E’
rotto il bagno”
“La
cucina” dissero in coro e li guardai confusa.
“Si
beh, si è rotto qualcosa non ho capito bene ma ho promesso a
tua madre che
domani sarei andato a controllare” concluse Ale e anche se mi
sembrò strano
annuii dirigendomi in bagno.
“Va
bene, faccio presto allora e dà un bacio a Mirko da parte
mia. A proposito,
grazie per aver chiamato Brian mi ero dimenticata le chiavi e Terry non
mi
rispondeva” sorrisi e lui annuì.
“L’importante
è che sei qui!”
“Non
potevo non esserci Amore mio” risposi baciandolo ancora.
Quando
le luci del teatro si abbassarono, il silenzio regnò,
lasciando crescere
quell’emozione e quell’orgoglio totale che lessi
sia negli occhi di Ale, che in
quelli di Gaia e di tutti noi. Io stessa, mi resi conto di trattenere
il
respiro e dalla prima nota che vibrò forte sino
all’ultima, strinsi forte la
mano di Ale che al mio fianco sorrideva felice. Cercai più
volte di mettere a
fuoco l’immagine davanti ai miei occhi scacciando quelle
lacrime di gioia e
commozione; quel giovane ragazzo che aveva ricevuto uno dei doni
più belli, ora
stava incantando tutti nel suo primo concerto. Mentre il padre, seduto
ai primi
posti vicino a noi cercava di mantenere la posa austera che lo aveva da
sempre
caratterizzato ma il suo sforzo fu vano. All’apice di quella
musica celestiale
scoppiò a piangere come un bambino ed io percepii come una
piccola bolla
rompersi, come se quello che lo avvolgeva avesse finalmente ceduto il
posto a
quell’amore totale che sarebbe sempre dovuto essere
lì. Il sogno di Mirko si
era avverato grazie alla sua tenacia, agli sforzi del fratello, al suo
appoggio
continuo e al suo amore incondizionato.
E
di riflesso, in quegli occhi verdi, che da sempre accompagnavano i miei
passi,
vidi realizzarsi anche il sogno di Alessandro.
“Va bene allora dobbiamo
decidere. Pareti gialline o
celesti?” chiesi raccogliendomi i capelli.
“Guarda che dobbiamo
ridipingere il salone non un
bagno!” Rise Ale al mio fianco mentre sistemava i giornali a
terra.
“Farò finta di
non aver sentito. Braian vieni qui!”
Urlai fuori la porta verso le scale del condominio, quando una testa
bionda e
spettinata si mosse verso l’ingresso di casa mia.
“Che ho fatto
adesso?” chiese sbadigliando.
Gli andai incontro brandendo un
pennello.
“Ti ricordi il nostro
primo appartamento che dividevamo
con Terry? Le pareti erano gialline o celesti chiare? Non me lo
ricordo.”
Lo vidi scoppiare a ridere e
scuotere la testa.
“Non lo so ma se vuoi
posso dirti com’era il divano e
quante notti di sesso selvaggio ha visto!”
Sentii Ale borbottare e venirmi
incontro in un lampo.
“Senti Braian, eviterei
di unire la parola “sesso e selvaggio”
davanti alla mia ragazza, sai com’è! E’
già tanto che ti sopporto come vicino
di casa senza contare di evitare di pensare a....capito no....voi
che...”.
Trattenni un sorriso davanti
all’espressione confusa
di Braian ed indietreggiai appena, voltando le spalle ai due.
“Are you crazy
man?” borbottò Braian “di cosa stai
parlando?”
Vidi Alessandro voltarsi a
guardarmi e poi sbuffare
pesantemente.
“Su dai, tanto lo so ma
sappi che devi eliminare ogni
immagine della mia donna dal tuo cervello.”
Braian scoppiò in un
fragorosa risata, mentre alzava
le mani in segno di resa.
“Ti giuro che se lo
avessi fatto me lo ricorderei. Ma
la signorina qui, si è fatta desiderare da tutti senza mai
cedere a nessuno!”
Disse ridendo mentre Ale si
girò di scatto verso di me
e non resistetti, scoppiai a ridere iniziando a correre per tutta la
casa.
“Piccola
bugiarda!” mi urlò rincorrendomi.
“Una donna deve giocarsi
le sue carte” urlai scappando
per le stanze, riempiendo di risate, magia ed amore quel piccolo nido
solo per
noi.
Il
concerto era stato bellissimo ed anche la cena che ne era seguita.
Guardai
tutti seduti allo stesso tavolo, tra risate, amore e gioia e ripensai a
quella
cena di quattro anni prima, quando guardando i miei amici sorridere fui
felice
di sentirmi nuovamente parte di loro.
Quella
sera, avevamo finalmente raggiunto le nostre vite nel momento in cui
dovevano
essere; perché era lì, era seduta affianco ad Ale
con Gaia che rideva, mentre
Riccardo le accarezzava le spalle, Stefano che raccontava
l’ultima avventura,
Davide che costruiva mostri con le molliche del pane e poi ci giocava
con
Andrea sotto lo sguardo tenero di Ilaria. Era lì che dovevo
essere, con Matteo
che arrossiva ad ogni complimento e non faceva che prendersi in giro
con Ale
che invece non la smetteva di dire : “il mio
fratellino!”
Con
i miei genitori, lì al tavolo seduti insieme ai genitori di
Gaia; era lì che
dovevamo essere tutti noi.
Mio
padre si era deciso finalmente ad andare in pensione e da allora tutti
i fine
settimana partivano per qualche città
d’Italia.Vennero anche a Londra
ovviamente e fui così orgogliosa di mostrargli
l’appartamento che dividevo con
Ale ed il suo ufficio nella City; grazie ad un collega di Roma lo aveva
potuto
aprire occupandosi delle pratiche europee tra l’Italia e
l’Inghilterra.
E
poi c’ero io, come sempre silenziosa, a guardare gli altri
sorridere davanti a
me sentendo la stessa gioia anche sulla mia pelle. Ero riuscita a
trovare un
piccolo lavoro come giornalista, in una rivista di Londra, ovviamente
la strada
era ancora molta da fare ma dedicavo comunque il mio tempo libero ad
alcuni studenti,
facendo ripetizioni o passando le mie domeniche con Ale, Terry, Braian
ed altri
amici.
Ero
felice.
Era
una vita semplice, fatta di giornate comuni ma tutto intorno a me aveva
cambiato colore.
Alessandro
era con me e non passava giorno che ricordassi a me stessa, quanto la
paura del
cambiamento, di una realtà diversa, paura di non essere
accettati, di non
sentirsi all’altezza oppure semplicemente la paura di essere
amati...quanto
tutto questo, ci avesse ostacolato dall’essere....felici.
Semplicemente
felici, solo per Noi.
La
macchina si fermò e riaprii appena gli occhi capendo di
essermi addormentata.
“Ben
svegliata dormigliona” sussurrò Ale al mio
orecchio baciandomi piano la
guancia.
“Scusami
sono crollata, siamo arrivati? ” chiesi sbadigliando.
Lo
vidi annuire con gli occhi che brillavano.
“Perché
mi guardi così?” sussurrai sorridendo.
“Non
so, sei più bella del solito” rispose semplice
baciandomi le labbra ed io sospirai
felice di poterlo sentire vicino a me e potergli parlare.
“Mi
fai un favore?” chiese piano.
Annuii
e lo vidi prendere una benda scura.
“Chiudi
gli occhi”
“Che
vuoi fare?”
“Chiudi
gli occhi e basta, c’è una piccola
sorpresa”
Sbuffai
sorridendo e li chiusi, provai a sbirciare ovviamente ma non
funzionò. Non
vedevo niente.
Sentii
il suo sportello aprirsi e richiudersi e subito dopo anche il mio venne
aperto.
“Scendi
piano, ti tengo io” disse calmo e lo seguii.
La
notte era silenziosa e sentii solo il rumore dei nostri passi e
l’eco di
respiri appena accelerati. Non sapevo sinceramente cosa aspettarmi ma
riuscii a
trattenere la curiosità mossa anche dall’ansia di
ciò che dovevo dirgli che mi
aveva accompagnato per tutto il giorno.
Una
porta si aprì ed entrammo ma appena varcai la soglia un
profumo dolce e
famigliare mi colpì.
“Dove
siamo?” chiesi sussurrando leggermente intimorita dal
silenzio che continuava
ad avvolgerci.
Mi
tolse la giacca senza parlare e si abbassò ad accarezzarmi
le gambe
procurandomi brividi in tutto il corpo per poi togliermi le scarpe
lentamente.
“Così
stai più comoda” disse con un sorriso nella voce.
“Grazie”
risi anch’io dolcemente.
Sentii
altri fruscii ed intuii che anche lui si stesse mettendo comodo.
“Allora
mi dici dove siamo?” chiesi emozionata per
l’energia che sentivo crescere ma in
risposta mi baciò appena le labbra prendendomi poi per mano
e spingendomi a
seguirlo.
Si
aprì una porta e l’odore cambiò ma
rimase lo stesso famigliare.
Si
fermò accarezzandomi le braccia e stringendomi la vita da
dietro.
“Sai...è
un po’ che ci pensavo” sussurrò
baciandomi il collo di lato.
“A
cosa?” gracchiai emozionata.
Mi
spinse leggermente e mi mossi fino a toccare con le gambe una
superficie
morbida. Mi fece sedere lentamente e riconobbi la consistenza di un
letto sotto
di me.
“Ho
pensato a tante cose in realtà, a questi ultimi anni
insieme, alla nostra
storia e a dove siamo arrivati...” sussurrò
accarezzandomi le braccia.
“E
volevo fare qualcosa di speciale per farti capire quanto io ti
ami.”
Sorrisi
sentendo il battito del mio cuore accelerare sempre di più.
“Ti
amo anch’io” dissi veloce incapace di trattenermi e
lo sentii sogghignare
appena per poi chinarsi a baciarmi i palmi delle mani.
“Ho
pensato a qualcosa di grande, come portarti sul London Eye di notte o
sul
Tamigi e restare svegli ad aspettare l’alba
insieme...”
“Ma
non siamo sul London Eye” commentai piano.
“No,
non siamo sul London Eye” rispose serio.
E
fu silenzio.
Il
cuore accelerò inconsapevole di cosa stesse accadendo e
percependo le mani di
Alessandro tremare sulle mie.
“Ho
pensato...che non sarebbe stato da Noi. Ho pensato...che
l’unico posto al mondo
dove mi sia mai sentito al sicuro e completo fosse con te. Ovunque ma
con
te...ma... ce n’è uno...un luogo, che è
sempre stato solo nostro e che sarebbe
stato perfetto per Noi.”
Sussurrò
con la voce incrinata per poi allungare le mani verso il mio viso e
togliere la
benda che mi copriva gli occhi.
Non
li aprii subito e continuai a respirare sempre più veloce.
“Apri
gli occhi amore mio” disse Ale baciandomi una guancia.
Una
luce tenue e calda mi avvolse, mi voltai a guardare dove fossi ed
iniziai a
piangere.
Centinai
di piccole candele bianche illuminavano la mia stanza ed il volto di
Ale
inginocchiato di fronte a me.
“Quattro
anni fa ti ho detto che avrei voluto svegliarmi con te ogni mattina.
Oggi
voglio svegliarmi con te per il resto della mia vita, perché
se sei con me, non
smetterò mai di sognare.”
Con il senno
di poi è facile individuare i momenti in cui la tua vita ha
preso svolte diverse
e sembra quasi buffo pensare a quanto noi tutti sembriamo remare contro
una
corrente od una direzione che non vogliamo ma che poi inevitabilmente
accade
qualcosa che ti costringe a seguirla. Sempre o quasi.
Le
lacrime scesero ininterrotte, bagnando le labbra piegate in un sorriso.
“Sposami
Pulce.” Disse tremando come se io avessi potuto avere anche
un minimo dubbio
sulla mia risposta, di certo però non fu quella che si
aspettava.
Il
cuore esplose nel petto e la gioia più forte che avessi mai
provato mi colmò.
“Sono
incinta!”
Fine
**********************
(Scusate
gli errori ma non è stata betata e visto che
vi avevo già fatto aspettare molto ho voluto pubblicare
subito)
Ed eccoci qua.
Alessandro e Michy hanno avuto il loro lieto fine ma
c’è da dire che se lo sono
sudato!
Questa
è stata la mia prima storia su efp e mi ha
accompagnato per circa nove mesi, sarà quindi davvero
difficile lasciarli
andare del tutto e forse non lo farò mai davvero.
Vi
ringrazio con tutto il cuore per le bellissime
parole che mi avete regalato in questi mesi e per tutte le persone che
mi hanno
sempre incoraggiato a scrivere!
GRAZIE
DAVVERO.
Se
volete ancora leggere qualcosa di mio, ho iniziato
una nuova storia molto diversa da Fuga ma spero possa piacervi
ugualmente sì
intitola “L’Amore non è
Peccato”
Un
abbraccio
Lela
|