Now here, man
Titolo: Now here,
man (After that and then)
Autore: My
Pride
Fandom: One
Piece
Tipologia: One-shot
[
2368 parole fiumidiparole ]
Personaggi: Roronoa
Zoro, Sanji [ ZoSan ]
Genere: Generale,
Malinconico,
Angst, Sentimentale, Introspettivo
Rating: Giallo
Avvertimenti: Shounen
ai, Linguaggio a tratti
un po’ colorito, Post One Piece, What if?
Immagine scelta: Numero
sette
Tabella/Prompt:
Bevande › 11. Caffè
Misc
Mosaic 10&Lode: #01.
Neve
Prompt: 13°
Argomento: Fasi della vita
› Origine
ONE
PIECE ©
1997Eiichiro Oda. All Rights Reserved.
I
suoi stivali affondavano nella neve con un sinistro
scricchiolio, lasciando su di essa invisibili impronte insanguinate.
Aveva combattuto estenuamente, in
quegli ultimi tempi, e gli sembrava ancora di portarsi dietro il
terribile
fetore di morte e sangue, come se si fosse trattato di una nuvola di
profumo
nocivo. Non aveva mai dato pienamente peso a stronzate del genere,
certo, né
tanto meno aveva mai fatto caso ai rischi che correva e alla morte in
agguato
in ogni angolo, eppure, quando si era ritrovato dinanzi a Mihawk,
incrociando
le proprie katane con la spada nera di Occhi di Falco, qualcosa dentro
di lui
si era mosso, facendogli temere per la propria vita. Non per paura di
perderla,
bensì per il dolore che la sua morte avrebbe provocato ai
suoi compagni
lontani.
A quei pensieri, Zoro si strinse meglio nel
pastrano
che indossava, quasi a volersi proteggere dal freddo e dai ricordi che
erano
riaffiorati nella sua mente, prima di carezzarsi distrattamente con la
punta
dei polpastrelli le cicatrici degli orecchini che tempo prima aveva
portato. Erano
passati ben sette anni da
quando era partito alla ricerca di Mihawk per potergli strappare dalle
mani il
titolo di miglior spadaccino del mondo, e, per quanto fosse stata una
decisione
sofferta, quella di separarsi dalla ciurma con cui aveva condiviso
tutto fino a
quel momento, Rufy stesso aveva capito che era molto meglio
così. Zoro l’aveva
seguito nel sogno di diventare Re dei Pirati, e gli era parso
più che giusto
che anche lui realizzasse il suo. Non era stato un addio,
però. Solo... un
arrivederci. Ecco come l’aveva definito il suo strambo
Capitano, strappandogli
la promessa che sarebbe diventato il migliore e sarebbe poi tornato da
loro. E Rufy
sapeva fin troppo bene quanto Zoro tenesse alla parola data.
Adesso, sebbene il suo corpo fosse
pieno di cicatrici e ferite inferte da nemmeno un mese, era fermamente
deciso a
mantenere quella promessa. Mihawk aveva riconosciuto le sue
abilità, aveva
superato quello che per un lungo periodo era stato il suo Maestro e
avversario,
e, in ultimo ma non meno importante, aveva tenuto fede al patto che da
bambino
aveva fatto con Kuina. Era il momento di tornare a casa.
Il suo sguardo cominciò a
vagare
distrattamente nei dintorni di quella cittadina, soffermandosi sui
cumuli di
neve ammassati ai lati delle strade e sui vetri appannati dei negozi.
La gente
passeggiava tranquilla sui vialetti ghiaiati e coperti di ghiaccio,
senza
curarsi di ciò che capitava loro intorno; i mercanti
declamavano a gran voce i
propri prodotti, cercando di attirare quanti più clienti
possibili per far
fronte a quel periodo di magra che aveva colpito gran parte del paese;
nonostante il freddo, poi, c’erano vecchietti che se ne
stavano seduti fuori
dai bar con i giornali in mano, lamentandosi di tanto in tanto
dell’aumento dei
prezzi o discutendo animatamente delle notizie appena lette. E nel
guardare da
lontano quella fotografia sfocata e il titolo scritto nero su bianco a
lettere
cubitali, Zoro non poté fare a meno di sbuffare ilare,
sorridendo amaramente. Non
aveva ancora tirato le cuoia e già era finito su quel
maledetto giornale, dato
che la notizia del suo scontro con Mihawk aveva fatto il giro del mondo
nel
momento stesso in cui c’era stato un testimone oculare. Forse
avevano fatto due
più due e avevano creduto che fosse morto contro lo
Shichibukai, pur non
seguendo per niente l’esito di quella battaglia. Beh, da un
lato la cosa poteva
rivelarsi alquanto utile ed essere sfruttata tutta a suo vantaggio,
giacché i
marines, in quel modo, avrebbero evitato di dargli la caccia e non
avrebbero
intralciato il suo cammino. Non si dava la caccia ad un morto, in fin
dei
conti.
Un peso, però, gli si
poggiò ben
presto sul cuore non appena concluse quel determinato pensiero. Che
cosa
avrebbero pensato i suoi compagni, soprattutto Rufy, nel leggere
d’un tratto quella
notizia sul giornale? L’aver saputo dalla stampa della morte
di Ace aveva
sconvolto persino lui, e non aveva la benché minima
intenzione di recare al suo
Capitano lo stesso dolore che aveva provato per la morte del suo amato
fratello. Era stato proprio quel pensiero a farlo resistere con le
unghie e con
i denti contro Mihawk, e, se da un lato la falsa notizia della sua
morte gli
avrebbe permesso di girare indisturbato per ricongiungersi ai suoi
amici, dall’altra
quella stessa notizia avrebbe potuto causare ad essi più
sofferenza di quanto
avrebbe mai potuto pensare. In fin dei conti gliel’aveva
promesso. Gli aveva
promesso che sarebbe diventato il migliore e che sarebbe tornato, a
dispetto di
tutti gli anni che sarebbero potuti passare. Doveva dunque affrettarsi
a
trovarli e a far sapere a tutti loro che stava bene e che aveva
mantenuto la
parola data, poco importava che ci sarebbero voluti altri sette anni
per farlo.
La
sua
attenzione fu ben presto
catturata da un piccolo Café all’angolo della
strada, uno di quei posticini in
cui si sarebbero rifugiate le persone bisognose di un po’ di
calma o le
coppiette che preferivano starsene in santa pace, seduti al calduccio
davanti ad
un tavolino e ad una bella tazza fumante di caffè. Si mosse
verso di esso senza
nemmeno rendersene pienamente conto lui stesso, desideroso a sua volta
di
scaldare le membra anchilosate dal freddo; piccole nuvolette di vapore
si
condensavano nell’aria ad ogni suo respiro, e dovette
strofinarsi più volte la
punta del naso con il dorso di una mano nel tentativo di scaldarlo.
Aveva viaggiato
a lungo e aveva dormito nei posti più disparati, rischiando
persino che le sue
ferite, ormai in via di guarigione, andassero in suppurazione. Poter
finalmente
godere di un piccolo momento per riprendersi, riscaldare i propri
muscoli e bere
magari un goccio prima di rimettersi in marcia, gli sembrava quanto
meno
doveroso. Farsi vedere dai propri compagni in quelle condizioni, con la
carnagione più cadaverica dello stesso Brook, non gli
sembrava una così
grandiosa idea, anzi; gli pareva persino di riuscire a sentire le
lamentele e i
rimproveri di Chopper per il suo non essersi curato come avrebbe
dovuto, e la
cosa lo fece sorridere come un idiota.
Non appena aprì la porta del
Café,
però, accolto dall’allegro tintinnio di un
campanello appeso sullo stipite di
essa, i suoi occhi si posarono immediatamente su una figura che mai
avrebbe
pensato di poter rivedere così preso. Per Zoro fu come
essere trafitto da mille
lame acuminate, a quella vista. Per quanto si fosse fatto crescere i
capelli,
avesse smesso di indossare quegli stupidi completi da damerino per
sfoggiare un
look più casual, e avesse più baffi di quanto
ricordasse, in quell’uomo c’era
un particolare che non sarebbe riuscito a trovare in nessun altro. E
non si
trattava unicamente della sua postura composta e vagamente regale, nay,
men che
mai di quella dannatissima sigaretta che sorreggeva elegantemente ad un
angolo
della bocca... ma di quello stupido e inconfondibile sopracciglio a
spirale.
Avrebbe potuto riconoscerlo fra mille, e fu quasi tentato di andarsene
non
appena si rese conto di dove fosse puntato lo sguardo di
quell’uomo. Sull’articolo
sulla sua morte. Sul
maledettissimo
articolo sulla sua morte. Non voleva vedere più
da vicino l’espressione
affranta che si era fatta largo sul suo viso, il vago luccichio che si
era impossessato
di quella sua iride azzurra, i denti che avevano cominciato a serrare
in una
morsa letale il filtro della sigaretta, quasi volessero spezzarla a
metà. E lo
sentì persino imprecare ad alta voce e richiamare
così l’attenzione di un paio
di clienti, sebbene lui li avesse bellamente ignorati con la sua solita
nonchalance.
Forse fu per un semplice scherzo del
destino, forse il suo cervello aveva deciso di far muovere le gambe
ancor prima
che lui potesse scendere a patti con se stesso, eppure eccolo
lì, ad avanzare
nel bel mezzo di quel Café tra i tavoli mezzi vuoti, con in
corpo la stessa
adrenalina che l’aveva sempre investito nei momenti di
battaglia. «Posso
sedermi?» domandò nel tono più
distratto che riuscì a trovare quando si
avvicinò, senza privarsi del cappello che indossava,
divenuto ormai suo fedele
compagno per nascondere il colore inconfondibile dei suoi capelli.
Aveva
cominciato a squadrare quell’uomo, quei suoi capelli biondi
legati in un basso
codino e quel sopracciglio che, a distanza di anni, non aveva mai
compreso
quanto gli sarebbe mancato davvero. E proprio quell’uomo,
senza nemmeno
degnarsi di alzare lo sguardo dal giornale che sorreggeva con entrambe
le mani,
si limitò soltanto a dar vita ad un breve segno di diniego
con il capo, lo sguardo
ancora fisso su quel titolo, quasi volesse cercare in qualche modo di
trovare
in esso un senso.
«Nay, tengo il posto per una
persona»,
ribatté poi, come se fosse doveroso fare quella semplice
precisazione. «Conoscendolo,
si sarà sicuramente perso». Quelle ultime parole
le fece risuonare con voce
incrinata, quasi non vi credesse nemmeno lui stesso, e Zoro
poté benissimo
notare il modo in cui aveva cominciato a stringere le dita della destra
intorno
alla carta del giornale, come se si stesse trattenendo
dall’accartocciarlo per
gettarlo da qualche parte. Non aveva mai visto le mani del cuoco
tremare in
quel modo, e quel peso ingombrante che aveva sentito nel proprio cuore
la prima
volta in cui aveva visto il giornale tornò prepotentemente a
fargli visita,
mozzandogli il fiato nel petto. Uno dei suoi compagni era proprio
lì, davanti a
lui, e aveva scoperto nel modo peggiore di tutti della sua apparente
morte.
Senza nemmeno rifletterci, dunque, Zoro
posò una mano sul tubo di ferro e scostò la sedia
dal tavolino per prender
posto, poggiandosi contro lo schienale intrecciato in paglia sotto lo
sguardo a
dir poco confuso di quell’uomo. «Di’ un
po’, idiota, sei sordo?» sbottò
quest’ultimo, abbassando il giornale sulle proprie cosce per
fulminarlo con
quel suo occhio ceruleo e profondo. E fu solo a quel punto che Zoro si
voltò
verso di lui, sollevando la tesa del cappello quel tanto che bastava
per poter
ricambiare quella sua occhiata di sfida.
«Non sei cambiato per niente, stupido
sopracciglio», ribatté, atteggiando un angolo
della bocca ad un sorriso
strafottente e godendo al contempo dell’espressione confusa
che si era dipinta
sul volto dell’uomo che aveva dinanzi, che aveva persino
fatto cadere nel
posacenere la sigaretta. Una vasta gamma di emozioni corsero serpentine
nei
suoi occhi e sui suoi lineamenti, passando rapido dallo sconvolgimento
alla
consapevolezza, dalla tristezza alla gioia, dalla rabbia ad un senso
smisurato
di sollievo.
Gli attimi in cui il silenzio aleggiò
fra loro, per quanto tutto intorno si sentisse il chiacchiericcio
sconnesso e
allegro della restante clientela, parvero i più lunghi e
strazianti che i due
avessero mai provato. Solo dopo un flebile respiro rotto, uno di quei
singulti
che scappavano quando si stava per piangere, si sentì un
mormorio spezzato,
prima che una mano dell’uomo si sollevasse per carezzare la
lunga cicatrice che
segnava l’occhio sinistro di Zoro. «Dicevano che
eri morto», pigolò con un fil
di voce. «I giornali... dicevano che eri morto, accidenti a
te».
Lo schiaffo che colpì Sanji
alla nuca
subito dopo, gli fece venire una voglia matta di alzarsi e di stampare
la suola
di una scarpa nel bel mezzo della faccia di quello stupido spadaccino.
«Ti pare
che possa morire così facilmente, cuoco da
strapazzo?»
La sua mano corse rapida ad afferrargli
il colletto del pastrano, resistendo all’impulso di levargli
il cappello per
riuscire a guardarlo meglio in viso. «Brutto stronzo, dopo
tutto questo tempo hai
anche il coraggio di scherzare?» sibilò
inviperito, sentendo un fastidioso
formicolio agli angoli degli occhi. Ma non aveva la benché
minima intenzione di
essere vittima delle proprie emozioni. Non in quel momento. Non in quel
posto
gremito di gente. Non
davanti a quell’idiota.
«Ti rendi conto della fottuta paura che ci hai fatto
prendere?»
Di riflesso, anche la mano di Zoro
afferrò svelta la sua cravatta, unico particolare del suo
vecchio vestiario di
cui quel damerino non si era liberato. «Di’ un
po’, cuoco da strapazzo, hai
voglia di litigare, per caso?» berciò, ma rimase
interdetto non appena il
suddetto cuoco gli appioppò una capocciata proprio in mezzo
al petto e chinò la
testa contro di lui, quasi volesse accertarsi lui stesso del battito
del suo
cuore, stringendo forte la presa delle dita intorno al colletto.
«Sta’
zitto»,
sussurrò poi a bassa voce,
tremante dall’emozione dalla testa ai piedi. Gli sembrava
persino di trovarsi
in una bolla, estraneo dal resto del mondo. «Non dire
un’altra parola, spadaccino
di merda, se non vuoi che riempia di calci il tuo stupido
culo».
Zoro non riuscì ad evitarsi
di ridere, a
quel dire, sentendosi finalmente in pace con se stesso. Era bello
vedere come certe
cose non cambiassero mai, nemmeno a distanza di anni, e quello scemo di
un
cuoco gliel’aveva appena dimostrato. Erano trascorsi sette
anni e forse, in fin
dei conti, nessuno di loro era cresciuto davvero. Sarebbero rimasti
sempre i
soliti idioti, e il battibecco che seguì con il compagno
qualche istante dopo
ne fu la più completa dimostrazione. Probabilmente era una
delle cose che erano
mancate allo spadaccino, quelle.
«Rufy sarà
contentissimo di vederti,
marimo»,
decretò infine Sanji, scansandosi distrattamente qualche
ciuffo di capelli dal
viso. Aveva ritrovato un’aria serena, quel sorriso
strafottente che aveva l’abitudine
di rivolgergli tempo addietro. E la cosa fece sorridere maggiormente
Zoro, che
si sistemò meglio sulla sedia che occupava.
«Gliel’avevo promesso che sarei
tornato», ribatté, vedendo il cuoco dare un
colpetto ad una pagina del giornale
con uno sbuffo.
«Direi che questo non ci serve
più»,
rimbeccò, rilassandosi a sua volta contro lo schienale senza
far caso al breve
annuire dello spadaccino che, con la coda dell’occhio,
osservò distrattamente
un vecchio cameriere vestito di bianco che sorreggeva un vassoio con
una tazza
e un bicchiere di vino, abbozzando un mezzo sorriso prima di allungare
una mano
per recuperare il giornale che il cuoco aveva abbandonato sulle cosce.
«Ohi, ricciolo», lo
chiamò,
ricevendo
appena uno suo sguardo confuso. Non vi prestò attenzione
più di tanto,
abbozzando l’ombra d’un pallido sorriso.
«Sai... credo che questo ci servirà
ancora per un po’, dopotutto», bisbigliò
poi direttamente al suo orecchio,
sporgendosi maggiormente verso di lui nel momento stesso in cui
sollevò il
giornale per coprire entrambi, nascondendo dietro di esso un bacio dal
retrogusto amaro quanto il caffè che si freddava sul tavolino.
_Note inconcludenti dell'autrice
Allora,
vediamo un po' da dove potrei cominciare a spiegare questa one-shot.
Innanzitutto, mi par doveroso dire che sta partecipando
al contest
“Kiss”
indetto dal forum Disegni&Parole,
dove bisognava scegliere una determinata immagine e sviluppare la
storia intorno ad essa, cercando al contempo di restare il
più
fedeli possibili al bacio lì rappresentato.
Per il resto, ammetto che avevo una voglia matta di uscire un po' dai
miei soliti schemi e ambientare la storia in un ipotetico futuro Post
One Piece, un futuro in cui l'equipaggio si è un po' sciolto
e
coloro che non sono riusciti a portare a termine i propri sogni al
seguito del loro carissimo Capitano sono stati costretti a lasciare la
ciurma per poterlo fare. Zoro era proprio tra questi.
Per diventare lo spadaccino più forte del mondo avrebbe
dovuto
battere Mihawk, dunque, in un modo o nell'altro, avrebbe dovuto
abbandonare i suoi compagni almeno per un periodo, nella mia distorta
visione delle cose. Ecco quindi com'è nata questa one-shot
che
avete appena finito di leggere.
Sono passati esattamente sette anni da allora, ma, sebbene abbia con
sé nuove ferite, Zoro ha finalmente realizzato il suo sogno.
E
dopo l'angst e la malinconia iniziale, come potevo evitarmi di finire
la storia con un piccolo accenno di sentimentalismo e fluff? L'incontro
tra uno Zoro e un Sanji più maturi era dovuto, avevo bisogno
di
scrivere questa storia perché, boh, in questo periodo mi
sento
nostalgica e ho colto letteralmente la palla al balzo per farlo non
appena ho visto il contest. Ecco spiegato perché la storia
è così, spero solo che non vi abbia annoiato e
che vi sia
in qualche modo piaciuta.
Come
sempre, comunque, commenti e critiche sono ben accetti e, se qualcuno
fosse interessato, ho postato il diciannovesimo capitolo della
raccolta Come
granelli di sabbia in una clessidra :3
Alla
prossima.
♥
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No Profit
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alla causa pro-recensioni.
Farai felici milioni di
scrittori.
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