Note
dell'Autrice – sempre discutibilmente utili:
Sono
desolata per l'incredibile ritardo, ma in questo periodo la mia
ispirazione ha toccato l'apice della depressione. Chiedo perdono.
In
questa long-fic, Harry non è
ancora Capo degli Auror. Harry ha sconfitto Lord V. con un culo fuori
da ogni logica, gente, e io non voglio rendermi colpevole di aver
messo la sicurezza magica della Gran Bretagna nelle mani del
Prescelto più fortunato che la letteratura abbia mai visto.
Senza
offesa, eh, Harry? Adoro i tuoi occhiali, ma con metà del
tuo
fondoschiena avrei già fatto trentasei
all'Enalotto.
La
Casa Stornella
Capitolo
Sette
Cene di lavoro
La
gente tendeva a
ricordare con parecchia chiarezza i grossi occhiali cerchiati di
Percy Weasley. Fin dagli anni di Hogwarts, avevano sempre avuto la
capacità di aumentare notevolmente l'impetto visivo del
giovane
mago, incrementando ogni visibile sfaccettatura del suo carattere
serio e puntiglioso. Erano occhiali particolarmente grossi e
antiquati, e il vizio di Percy di aggiustarseli in continuazione sul
lungo naso dritto non faceva che attirare maggiormente l'attenzione
su quanto fosse effettivamente ridicolo. A Percy, ovviamente, certi
dettagli del comune senso estetico erano completamenti sconosciuti e,
sebbene si vociferasse che una certa Audrey dell'Ufficio Passaporta
trovasse quegli occhiali particolarmente
affascinanti,
l'impressione che si era soliti avere circa il personaggio di Percy
Weasley era piuttosto gravosa.
Non
avendo mai avuto
modo di conoscere il terzogenito della famiglia Weasley prima della
Battaglia di Hogwarts, Tonks aveva imparato a combattere la sua
rigida pignoleria nel peggior campo di guerra: il Ministero della
Magia, patria della burocrazia più inutile e degli accumuli
di
scartoffie cartacee. Con il trascorrere degli anni, poteva ben dire
di aver raggiunto un buon livello di resistenza ai suoi micidiali
interventi, ma non aveva ancora la prontezza di reazione di George
Weasley e, talvolta, Percy continuava ancora ad averla vinta.
«...ed
il punto che vado specificatamente sottolineando, Auror Tonks,
è
dunque il seguente: laddove vengono a mostrarsi lacune, inefficienze
o mancanze di professionalità che difficilmente potrebbero
evitare
lo sguardo critico della delegazione francese di Monsieur Chevalier,
il Ministro Shacklebolt invita al repentino ripristino
dell'adeguatezza richiesta dalle norme vigenti, con particolare
attenzione, nel preciso, a questo
particolare
ripristino».
Senza
distogliere gli
occhi brillanti dall'espressione compita di Percy, Tonks si
umettò
leggermente le labbra e sbatté un paio di volte le palpebre,
senza
tentare minimamente di camuffare il suo desiderio di ridere.
«Mi
sono persa alla
parola “specificatamente”, Percy».
Lui
sollevò di scatto
la testa dalle centinaia di pergamene che stringeva fra le mani.
Aggiustò gli occhiali sul naso nervosamente, fece una
smorfia
stizzita e parve fremere con crescente agitazione.
«Ehi,
non prendertela» scherzò Tonks, portando
nuovamente alla labbra la
tazza da cui stava sorseggiando caffè. «Mi sono
distratta: è una
parola così bella. Credo sia appena diventata la mia parola
preferita del giorno».
«Non
mi prenda in
giro».
«Ti
sto solo specificatamente
chiedendo
di ripetere
quello che hai detto. E non c'è bisogno di darmi del lei,
ceniamo insieme almeno quattro o cinque volte al me--».
«Le
sto dicendo, Auror Tonks,
che attendiamo la delegazione di Monsieur Chevalier per il prossimo
martedì. Per quella data, il Ministro Shacklebolt le sarebbe
infinitamente grato se ricomponesse l'ordine in
quest'ufficio».
«Certo.
Dammi un
secondo che cerco l'indirizzo di Mary Poppins sulla mia
agenda...».
«Chi?»
domandò
perplesso Percy, inclinando appena il capo e sistemando ancora gli
occhiali. «Gradirei ricordarle, Auror Tonks, che il personale
non
addetto al Quartier Generale degli Auror deve essere approvato previo
consenso della Commissione Generale del--».
«Percy!»
strillò Tonks. «Stavo solo scherzando».
Lui
parve
particolarmente offeso.
«Io
prendo le mie
competenze con estrema serietà».
«E
dire che non se ne
accorge nessuno!» disse con pesante sarcasmo.
«Quanto talento
sprecato!».
Percy
mosse la mano a
mezz'aria come se la questione avesse perduto improvvisamente di
importanza, cercò con estrema rapidità fra i
plichi di pergamene
che aveva fra le braccia, ne estrasse uno considerevolmente spesso e
lo lasciò cadere sulla scrivania di Tonks.
«“Nuova
Normativa Regolamentare e Cavillosa per il Quartier Generale degli
Auror”»
lesse
attentamente lei, sollevando un sopracciglio.
«“Cavillosa”? Oh,
Tosca, chi è il perverso psicopatico che ha avuto l'idea di
chiamarlo “cavillosa”?».
Lui
assottigliò
pericolosamente gli occhi e, per la terza volta nel giro di pochi
minuti, spostò nervosamente gli occhiali.
«Io».
«Ah,
avrei dovuto
immaginarlo» disse Tonks, sollevando entrambe le mani in
segno di
resa. «Chi, se non il paladino degli idiomi perduti, poteva
chiamarlo “cavillosa”? Ora come ora, sono stupita
che tu non lo
abbia chiamato “specificatamente
cavillosa”».
Percy
ignorò il suo
commento per l'ennesima volta e Tonks si chiese quante di quelle
battute avesse dovuto sopportare l'allampanato giovane durante la sua
adolescenza. Era un Weasley piuttosto atipico, a conti fatti: Bill
aveva sempre camuffato accuratamente un animo piuttosto scanzonato e
irriverente, due caratteristiche che Charlie, al contrario, non si
era mai preoccupato di nascondere. Ginny si era rilevata, se
possibile, peggio di lui e perfino Ron, a modo suo, aveva ereditato
quel non-so-che tutto matto annidato nei geni Weasley. E poi c'erano
stati i gemelli – o quello che di loro era rimasto
– e molte
delle loro bravate erano già diventate leggendarie.
Al
pensiero di Fred
Weasley, Tonks s'incupì un poco e smise di ascoltare il
lontano
ronzio delle parole di Percy. Dalla Battaglia di Hogwarts e dalla
fine della guerra erano trascorsi quasi dieci anni, eppure c'erano
squarci e ferite da cui nessuno di loro sarebbe mai guarito.
«Tonks,
mi ha
sentito?».
Tonks
lo fissò con
sguardo ebete e una vocina dentro la sua testa bisbigliò
“certo,
come no”. Annuì con estrema lentezza, senza avere
la più pallida
idea di cosa Percy avesse appena blaterato.
«Non
voglio problemi con Monsieur Chevalier, Tonks» le
sibilò. «Sono
mesi
che
organizzo ogni singolo dettaglio. Legga
quelle pergamene e riorganizzi
le
sue squadre».
«Perché
io?»
chiese con voce lamentosa Tonks. «Perché non
Robards? È lui, il
capo!».
«Gawain
Robards è troppo impegnato per potersi dedicare anche
a
questo. Il Ministro ha
suggerito che se ne occupi lei».
«Kingsley
ti
ha suggerito... cosa?
Scherzi?
Quel
figlio di--».
«Auror!»
la ammonì con voce isterica Percy, raddrizzando ancora gli
occhiali.
«Non si rivolga al Ministro come--».
«Tua
madre ha invitato
anche lui, stasera?» lo interruppe lestamente Tonks,
incrociando
stizzita le braccia al petto.
«Tonks,
non... le
faccende familiari non--».
«Faccende
familiari? Faccende
familiari!?
La sola
faccenda familiare è che lo ammazzo prima della torta di
rabarbaro,
ecco qual è la faccenda familiare! Quel dannato!
È il padrino del
mio secondogenito e si permette di... di... di...»
ringhiò a pugni
stretti. «Io lo ammazzerò, Percy, quindi ti
consiglio
specificatamente
di
correre a cercare un nuovo Ministro della Magia».
Percy
si passò
stancamente una mano sulla fronte.
«Naturalmente,
naturalmente...» la liquidò in fretta.
«La lascio alle sue
scalmane, agente Tonks. Impari la Nuova Normativa
Regolamentare e
Cavillosa per il Quartier Generale degli Auror e prepari
l'ufficio per Monsieur Chevalier».
Con
un'ultima occhiata
sprezzante, Percy girò sui tacchi e uscì dal
cubicolo in cui
lavorava Tonks. Non appena lui e le sue ridondanti pergamene furono
spariti dalla sua vista, Tonks imprecò con estrema
volgarità. Le
facce arrossate di Charles Savage e Philibert Proudfoot fecero
improvvisamente capolino nel suo cubicolo. Agli occhi di Tonks, era
fin troppo chiaro che i due colleghi avevano sghignazzato sotto i
baffi per tutta la durata del suo colloquio con Percy (e molti altri
avevano sicuramente origliato ogni parola).
«Avete
poco da ridere,
bastardi» disse loro con aria depressa, sprofondando
nuovamente
nella poltrona e afferrando la tazza di caffè.
«Siete fregati
quanto me, voi due».
*
«Lui
dov'è?».
Presa
alla sprovvista,
Molly Weasley sbatté un paio di volte le palpebre con aria
confusa.
Asciugò le piccole mani tozze nel lungo grembiule che
indossava,
sfilò la bacchetta magica dalla tasca e spense la radio con
un
leggero colpetto.
Sebbene
la nascita dei
nipoti si fosse rivelata un balsamo per il vuoto lasciato dalla
tragica scomparsa di Fred, il suo carattere nervoso e protettivo si
era via via acuito con il trascorrere del tempo. I suoi costanti
preparativi di ricche e prelibate cene alle quali avrebbero
partecipato tutti i componenti del clan Weasley avevano qualcosa di
vagamente ossessivo. Pareva proprio che il rito della cena
settimanale alla Tana avesse assunto un connotato profondamente
terapeutico per la signora Weasley, come se le teste rosse che
tornavano a popolare la vecchia dimora potessero portare con loro un poco di
Fred. In realtà, pareva quasi che per ognuno di loro i
ritrovi alla
Tana possedessero il potere di lenire ogni ferita che la guerra aveva
lasciato squarciata.
Ognuno
di loro aveva
perso qualcosa e ognuno di loro aveva bisogno di ricordare che la
vita, in qualche modo ironico e perverso, doveva proseguire con la
stessa briosa serenità degli anni precedenti.
Il
grande giardino
della Tana veniva circondato da efficienti Incantesimi Riscaldanti
ogni venerdì sera dacché i più piccoli
avevano memoria e la casa
sembrava infiammarsi con decine di teste rosse, piccoli maghi e
streghe alle prese con le prime incontrollabili magie e coppie di
genitori che sfoggiavano sorrisi sfiniti.
Remus
aveva tentato
inutilmente di dissuadere Tonks dall'intento di generare un putiferio
quel venerdì sera: quando se l'era vista capitombolare nel
salotto
di Casa Stornella, poche ore prima, si era ritrovato piuttosto
impreparato dinanzi alla sua implacabile furia. Aveva parlato di
uccidere il Ministro della Magia, nonché loro grande amico e
padrino
di Alastor, come aveva gentilmente cercato di ricordarle, ma nulla di
quanto avesse detto sembrava aver funzionato.
Ed
ora era lì, dritto
e rassegnato alle spalle della moglie che aveva iniziato a sondare
ogni angolo della Tana alla ricerca del profilo alto e scuro di
Kingsley Shacklebolt con la minacciosa intenzione di Trasfigurarlo in
una teiera.
Vedendola
varcare la
soglia con la foga di un crociato, la signora Weasley aveva sbattuto
un paio di volte gli occhi e aveva rivolto a Remus uno sguardo
perplesso. Mentre cercava di contenere l'entusiasmo con cui Teddy
continuava a saltellarle attorno, disse:
«Per
tutti gli gnomi del Devonshire, chi
sta
cercando?».
«Kingsley»
rispose
brevemente Remus con un'alzata di spalle. «Temo
che...».
«Oh,
no!» urlò improvvisamente la signora Weasley.
«No, no, no! Niente
lavoro al venerdì sera!
Tonks!».
Remus
la guardò
svanire di corsa dietro la scia della moglie con più
rapidità di
una Materializzazione. Fece un sospiro affranto e alzò le
mani in
segno di resa.
«Bene,
ragazzi» disse ai figli. «Andiamo a cercare-- dov'è
Teddy?».
«Roxanne
ha dei nuovi
Fuochi d'Artificio Freddi» spiegò candidamente
Alastor.
Remus
sospirò di nuovo
e fissò il viso dei tre figli più piccoli
illuminarsi di infantile
speranza.
«Potete
andare».
I
bambini erano svaniti
prima ancora che potesse terminare la frase.
*
«Alla
buon'ora!»
gridò Bill Weasley quando Remus ebbe raggiunto il retro
della Tana.
Una
lunghissima
tavolata blu si estendeva per diversi metri – tutt'attorno
dovevano
esserci le soliti trenta sedie, in effetti – splendidamente
illuminata da decine di fluttuanti torce. Sebbene la primavera fosse
ancora piuttosto lontana, gli Incantesimi Riscaldanti generavano a
loro tutti la stessa placida sensazione di caldo di una serata
estiva.
Mentre
Bill si
avvicinava, Remus sfilò la giacca e se la ripiegò
delicatamente sul
braccio. Nonostante gli mancasse poco al traguardo dei quarant'anni,
Bill Weasley sfoggiava ancora un invidiabile prestanza fisica e una
brillante chioma rosso fuoco. Le insistenti pretese della signora
Weasley si erano rilevate sempre più vane: pareva che con
l'avanzare
dell'età la decisione del suo primogenito di portare i
capelli “come
un mendicante di Notturn Alley” si fosse ormai cementata.
Sembrava
ormai impossibile immaginare Bill Weasley con i capelli corti. Alle
sue spalle, George e Ron gli rivolsero un allegro sorriso.
L'affiatamento
fra i
due più giovani fratelli era notevolmente incrementato
dacché Ron
aveva deciso di aiutare George nell'impresa dei Tiri Vispi. Per
George, la perdita di Fred aveva causato la perdita di ogni altra
cosa; l'intero clan Weasley aveva dovuto riemergere con feroce
costanza dalle proprie ceneri e ognuno di loro avrebbe conservato in
eterno il segno della prematura scomparsa di Fred, ma George, fra
tutti, era quello precipitato più a fondo.
Recuperare
ciò che era
rimasto di George Weasley era stato talmente difficile da far
scivolare nella disperazione la maggior parte di loro. Era
incredibile che dopo aver resistito a Lord Voldemort e ai suoi
Mangiamorte quando nessun altro aveva conservato la speranza, i
Weasley si arrendessero davanti all'apatia dalla quale George aveva
scelto di farsi anestetizzare.
Ripensare
a quel
ragazzo pallido e distrutto e rivederlo in quel momento, con una
sgargiante maglietta verde su cui spiccava la scritta “miglior
papà del mondo” e il sorriso frizzante
stampato sul faccione
lentigginoso, avrebbe ridato la speranza all'uomo più
disgraziato
dell'intero pianeta.
«Ehi,
Remus» lo
salutò allegramente.
«Ragazzi»
ricambiò
lui. Lanciò un'occhiata penetrante in direzione di George e
inclinò
pensieroso il capo. «Quanti Fuochi d'Artificio Freddi ti sono
rimasti?».
«Almeno
una dozzina,
amico mio».
«Ti
offro il doppio
del loro valore per farli sparire dalla vista di Teddy per almeno un
paio di ore».
Mentre
George e Ron
scoppiavano a ridere, Bill gli assestò una sonora pacca
sulla
schiena e indicò brevemente con la testa il gruppetto di
bambini che
schiamazzavano accanto agli alberi che separavano le ampie campagne
di Ottery St. Catchpole dalla Tana.
«Tranquillo.
Ho pagato
Victoire per vigilare costantemente sul resto del branco».
«Pagato?».
«Una
Bacchetta di
Liquirizia prima di cena» gli confessò in
orecchio. «Ti offro il
doppio di quanto ho offerto a lei per non dirlo a Fleur».
«Remus!»
gridò
improvvisamente Harry, spuntando d'un colpo e facendo sobbalzare
entrambi.
Indossava
ancora la
veste d'ordinanza del Quartier Generale degli Auror e il profondo
sorriso che sfoggiava non riusciva a coprire appieno il velo di
stanchezza che appannava i suoi occhi verdi al di là degli
occhiali
rotondi. Talvolta, per Remus era difficile rendersi conto che Harry
era diventato un uomo (nonché marito e padre),
così come gli era
difficile per ognuno dei ragazzi che aveva visto sedere fra i banchi
dell'aula di Difesa Contro le Arti Oscure. Capitava che si lasciasse
trasportare dal ricordo del neonato che era stato un tempo, quando
Lily e James erano vivi e Sirius era più lontano da Azkaban
e dalla
morte di quanto non lo sarebbe mai più stato; dal ragazzino
con i
capelli scompigliati che aveva incontrato di nuovo sull'Hogwarts
Express, al quale aveva insegnato come evocare correttamente un
Incanto Patronus e al quale aveva riconsegnato la Mappa del
Malandrino senza il minimo morso della coscienza. E poi c'era Ron,
quel ragazzetto smilzo e magro come un allocco e con il naso lungo
ricoperto di lentiggini; Hermione, con i suoi capelli crespi e i
denti sporgenti; Ginny, con la folta zazzera danzante e il sorriso
impacciato da bambina; Neville, tutto sua madre, con il suo rospo
stretto fra le mani paffute.
Remus
si chiedeva
spesso se si sarebbe mai rassegnato a quella lieve nostalgia nel
rivedere tutti quei vecchi ragazzi diventare sempre più
adulti, ma
una grande parte della sua testa, con tutta franchezza, non sarebbe
mai stata pronta ad abbandonarla: il tempo che continuava a scorrere
era il lieto fine per cui ognuno di loro aveva deciso di combattere e
morire, dunque perché rattristarsene?
«Harry,
sembri
distrutto» commentò Bill con un cipiglio
preoccupato.
«Sì,
amico, bella
faccia» scherzò rapidamente Ron, porgendo due
bicchieri di Vino
Elfico verso lui e Remus.
«Ehi,
Ron, mostra un
po' di comprensione» continuò Bill. «Tua
sorella è pazza e
incinta».
«Non
è pazza...»
mormorò Harry, grattandosi la nuca. «È
solo... incinta».
«Ah,
Angelina mi ha
fatto impazzire tanto con Roxanne quanto con Freddie!» si
intromise
George, sollevando le mani in segno di resa. «Era così
pazza
che qualche volta avrei tanto voluto essere io, quello sul divano a
lamentarmi delle caviglie pesanti».
«Fleur
è uscita di
senno solo con Dominique e Louis. Si agitava in continuazione,
strepitava in francese, io non capivo un accidente di quello che
stava dicendo, sbagliavo immancabilmente ogni cosa e lei strepitava
ancora di più. Se non sono finito al San Mungo allora,
sarò immune
per il resto della mia vita».
«Beh,
di certo io
rimarrò immune ad avere altri bambini»
sentenziò con estrema
decisione Ron. «Rose è già
sufficientemente perfetta».
«Giusto»
annuì
seriamente George. «Non vale la pena rischiare che il
secondogenito
prenda dal padre».
Il
gruppetto scoppiò
in una nuova tiepida risatina. Senza aggiungere altro, i quattro
maghi più giovani si voltarono interessati verso Remus, che
era
rimasto ad ascoltare i brevi resoconti delle gravidanze delle
rispettive moglie con aria estranea. Lui sorseggiò un goccio
di vino
e alzò distrattamente le spalle.
«Non
guardate me:
Tonks è calma e ragionevole solo quando aspetta un
bambino... temo
sia il motivo principale per il quale ora sono padre di quattro
figli, in effetti» rispose loro, scatenando altre
risate.
«Ve
lo dicevo, io, che
licantropi e quasi licantropi non sono più fertili degli
umani!»
ridacchiò Bill, strizzando fugacemente un occhio verso
Remus. «Sono
soltanto impareggiabili nel--».
L'eco
vicino di una
donna che strillava impedì a tutti loro di conoscere in
quale campo,
secondo Bill Weasley, lui e Remus avrebbero dovuto essere
impareggiabili. Si voltarono tutti verso la porta della cucina che si
affacciava sul retro del giardino appena in tempo per vedere Tonks
agitare le braccia al vento con una sfolgorante chioma rosso
peperone, la signora Weasley sbuffare con le gote arrossate nel
tentativo di spingerla fuori dalla Tana, l'alta figura di Percy
seguirla con uno sguardo di boriosa rassegnazione e Kingsley
Shacklebolt, ultimo membro di quello strano corteo, appoggiarsi con
una spalla allo stipite di legno e ridacchiare con estremo
divertimento all'indirizzo di Tonks.
«Tu!
Maledetto
bastardo di un Ministro bastardo!»
strillò stizzita Tonks,
voltando la testa e cercando di incendiare Kingsley con uno sguardo
oltre le rotondette forme della signora Weasley.
«Tonks!»
la
rimproverò lestamente lei.
«Si
dà il caso che
tuo figlio e il tuo Ministro
della Magia stiano
cercando uccidermi! E ora spostati, Molly, o ti arresterò
per
resistenza a pubblico ufficiale!».
Remus
si sentì
improvvisamente fissato da svariate persone. Li guardò uno a
uno,
scosse la testa e terminò di bere il proprio bicchiere di
Vino
Elfico.
«A
costo di sembrare
ripetitivo, non guardate me» disse.
Harry
si sistemò gli
occhiali sul naso e ridacchiò:
«Beh,
Remus, direi che
puoi accantonare l'ipotesi di un quintogenito in arrivo».
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