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THE STRANGER WITH A GUITAR
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Anche
quel giorno il parco era quasi vuoto, ad eccezione per qualche bambino
sulle altalene o qualche signore a passeggio con il cane.
Non mi interessava
della poca gente presente, a me bastava ci fosse lui, lo sconosciuto
con la chitarra.
Lo avevo visto per la
prima volta due mesi prima, frequentando il parco da anni conoscevo
quasi tutti quelli che vi passavano, per questo notando quel ragazzo
nuovo seduto di fianco all’albero più grande, mi
ero subito incuriosita.
Mi sedetti su una
panchina poco distante dal giovane e cominciai a osservarlo,
passai quasi un pomeriggio alternando la mia attenzione tra il libro di
lettura inglese che avevo portato per studiare, a lui che suonava
distrattamente la chitarra.
Il giorno dopo tornai
al solito posto, scoprendomi desiderosa di rivederlo.
Rimasi delusa, non
c’era. Mi detti della stupida più volte,
probabilmente era venuto solo per un giorno e, dopo aver scoperto la
monotonia della mia cittadina, aveva deciso di non farvi più
ritorno. Non lo biasimavo, eppure avevo davvero sperato di trovarlo
lì.
Continuai a cercare il
ragazzo per tutto il pomeriggio, gettando continue occhiate
all’entrata. Giunte le sette capì non sarebbe
davvero arrivato e uno strano senso di vuoto mi invase, senza che
riuscissi a capire il perché; probabilmente la ragione era
il non aver sanato la mia curiosità, l’avevo
studiato a lungo e volevo continuare a farlo.
Avevo
impresso la sua immagine nella mia mente, ogni dettaglio era stato
visionato e immagazzinato. Nonostante non l’avessi visto da
vicino era indubbio fosse un bellissimo ragazzo. Aveva i capelli
abbastanza corti, biondi – probabilmente tinti – e
si muovevano ad ogni colpo di vento, per questo fu costretto
più volte a lasciare la chitarra per sistemare i ciuffi che
finivano davanti ai suoi occhi, due perle del colore del mare limpido.
Teneva lo strumento con sicurezza, muovendo le mani in modo delicato,
accarezzando le corde e battendo sul legno il ritmo. Ogni volta che
sbagliava qualcosa corrucciava le labbra in una buffa smorfia. Mi erano
bastate poche ore per imparare a memoria il suo aspetto fisico, volevo
più tempo per conoscere il resto di lui.
I giorni passavano e
io continuavo a cercarlo, lasciandomi avvolgere dalla tristezza non
vedendolo.
Nel frattempo mi davo
della stupida per quell’insensato desiderio di trovarlo.
Non mi sono mai
piaciute le aspettative: la speranza è direttamente
proporzionale alla delusione: più speri che qualcosa si
avveri, più rimani deluso una volta che non succede,
tuttavia non smettevo di credere l’avrei rivisto.
Arrivò il
weekend, tornai al parco, sulla mia solita panchina.
Stranamente era una
bella giornata, le nuvole avevano lasciato spazio al sole, cosa
insolita per il clima irlandese.
Come facevo da qualche
giorno, ormai d’abitudine, lanciai un’occhiata
all’albero dove qualche giorni prima stava il ragazzo e
sospirai stancamente notando non ci fosse nessuno vicino.
Mi rifugiai nella
lettura, lasciandomi cullare dalle canzoni riprodotte dal mio amato
ipod, l’unica compagnia che avevo ultimamente.
Le melodie cambiavano,
i minuti passavano, le pagine del libro venivano sfogliate velocemente.
Nella pausa tra una
canzone e un’altra qualcosa attirò la mia
attenzione: delle note di chitarra che non provenivano dalle mie
cuffiette.
Alzai lo sguardo,
sentendo il cuore in gola. Era lì, l’avevo
ritrovato.
La felicità
che mi invase avendolo a pochi metri da me, fu indescrivibile: dovetti
nascondermi dietro al libro per evitare di mostrare il sorriso che mi
si era dipinto sul volto, senza contare le mie mani che tremavano per
l’emozione.
In quel momento
capì che quel ragazzo non sarebbe stato come uno degli
sconosciuti che incontri alla fermata dell’autobus, guardi
per un istante e poi dimentichi. Ormai era già impresso
nella mia memoria e – anche se mi spaventava ammetterlo
– anche nel mio cuore.
Nei due mesi
successivi potei conoscere il ragazzo, ma non attraverso le parole,
bensì i gesti, le espressioni del suo viso, cosa sceglieva
di suonare e le smorfie che ogni tanto faceva. La ritenevo una
conoscenza più sincera, seppur indiretta: le frasi
pronunciate possono sempre contenere bugie, mentre gli occhi e i
movimenti raramente ingannano.
Veniva al parco tre
volte alla settimana, il pomeriggio del lunedì,
giovedì e sabato. Amava il verde, infatti aveva un sacco di
felpe e t-shirt di quel colore; era un amante del cibo, ogni ora
scartava un pacchetto di patatine o qualche altro dolce. Capivo fosse
nervoso dal modo in cui suonava, solitamente quando era di cattivo
umore sceglieva canzoni più veloci e ritmate, abbandonandosi
a qualche sbuffo mentre percorreva le corde. Se una melodia usciva come
desiderava sorrideva sghembo, passandosi le mani sui jeans. Ascoltava
Justin Bieber, più volte l’avevo sentito
riprodurre sue cover.
Continuavo a fare la
spettatrice esterna, senza trovare il coraggio per parlargli: temevo di
rovinare tutto. Non ero neanche riuscita a guardarlo negli occhi,
nemmeno una volta. Si dice gli occhi siano lo specchio
dell’anima, dai miei poteva trasparire ciò che
sentivo per lui e non volevo succedesse, anche perché era
irrazionale quello che provavo ed etichettarlo, non è forse
patetico innamorarsi di qualcuno di cui non si conosce neanche il nome?
Eppure era l’unica cosa che mi veniva in mente quando pensavo
a lui: amore.
Ero certa di una cosa:
non potevo andare avanti così ancora a lungo, la situazione
cominciava a diventare ingestibile.
Volevo di
più, volevo sentire il suo della sua voce, il suo sguardo
posato sulla mia figura, il suo sorriso rivolto verso di me, le mani
che solitamente sfioravano la chitarra a contatto con la mia pelle, le
labbra che si muovevano mute mentre suonavano appoggiate sulle mie. Non
volevo fosse più uno sconosciuto, volevo dargli un nome e un
ruolo nella mia vita.
Se non avessi fatto
qualcosa la situazione sarebbe rimasta statica e non volevo che
succedesse.
Nel frattempo
l’autunno era terminato, lasciando spazio alla primavera e,
con essa, ai colori, al profumo dei fiori, alla luce, alla piacevole
sensazione del sole sulla pelle e a un po’ di allegria in
più.
Con lei
arrivò anche la svolta che aspettavo da mesi.
Ero seduta sulla
solita panchina quando un acquazzone mi colse impreparata. Le persone
nel parco corsero via in fretta, io non ne avevo voglia: non volevo
rinunciare a un pomeriggio con lo sconosciuto, seppur non avessimo
alcun contatto.
L’unico
posto al coperto era il piccolo gazebo poco distante da me,
perciò mi coprì la testa con la borsa e vi corsi
dentro.
La pioggia cadeva
abbastanza fissa perciò mi impedì di notare cosa
stesse facendo il ragazzo. Quando poggiai la tracolla a terra e alzai
lo sguardo capì cosa aveva scelto di fare lui.
Avevamo avuto la
stessa intuizione, ora si trovava pochi metri da me, seduto sempre con
la chitarra fra le gambe.
Il mio cuore
sobbalzò, sentì il respiro mozzarsi: non eravamo
mai stati così vicini.
Desideravo osservarlo
meglio, tuttavia distolsi in fretta lo sguardo, temendo di incontrare
il suo.
Mi sedetti dalla parte
opposta rispetto a lui, guardando il paesaggio fuori. Mi sentivo
terribilmente a disagio.
Mi stavo abituando al
ritmato cadere delle gocce d’acqua quando, alla pioggia, si
aggiunse una voce mai sentita prima.
«Ti piace la
pioggia?» sobbalzai sentendo queste parole, pronunciato con
tono caldo ma insicuro.
Preferivo il caldo, le
giornate soleggiate e limpide, tuttavia era grazie a lei se mi stava
parlando. «Sì, a te?»
«Di solito
no, però..» alzai gli occhi e incrociai per la
prima volta i suoi.
Per un istante non
riuscì a respirare, era come se – momentaneamente
– la mia mente fosse stata colta da un blackout che
m’aveva mandato in tilt in cervello, lasciandomi in preda a
un cuore che pulsava rapido nel petto, come se volesse uscire per
gettarsi fra le mani del ragazzo; poi mi sorrise e mi sentì
improvvisamente leggera. Attorno a me non c’era
più il parco, la pioggia scrosciante, il suono delle
macchine in coda. Riuscivo a vedere solo lui e le labbra arricciate
all’insù per me.
«Sono Niall
Horan.»
Lo sconosciuto con la
chitarra ora aveva un nome, Niall. Cinque lettere, semplice, dalla
pronuncia dolce. Niall, Niall, Niall.
«Cassie
Walsh.»
Chissà cosa
pensò lui sentendo il mio nome, era felice la sconosciuta
avesse un nome? Magari pensava avessi più la faccia da
Sophie o Ellie, oppure gli era totalmente indifferente.
«Piacere di
conoscerti» il suo sorriso si allargò
«..finalmente», aggiunse poi.
Pronunciò
l’ultima parola con timidezza, sentì le mie guance
tingersi di rosso e non riuscì a nascondere un sorriso
sincero e innamorato.
La consapevolezza di
esser stata notata da lui mi fece tremare, anche lui era stato
spettatore di me.
«Hai freddo?
Vieni qui dai.» avrei voluto dire di no, i brividi erano per
altro, la gola però mi si era seccata, riuscì
solo ad annuire e a raggiungerlo, sedendomi al suo fianco.
Il mio cuore batteva
forte, era come uno stereo che suonava per lui, se avesse ascoltato da
vicino sarebbe riuscito a sentire i miei pensieri attraverso le note;
si sarebbe sentito, perché in quel momento la mia mente era
monopolizzata dalla sua vicinanza. Niall, Niall, Niall.
«E’
strano parlarti, dopo.. dopo averti osservata per più di due
mesi. Non prendermi per matto, per favore!»
gesticolò in modo nervoso con le mani. Non potevo prenderlo
per matto, avevo fatto la stessa cosa anche io.
«Non pensare
che io sia pazza, ma è quello che ho fatto anche
io.»
Ci fu un attimo di
silenzio, poi il suono una risata dolce invase il gazebo, avvolgendomi
e contagiandomi.
«Non sei di
Irishtown, giusto?» domandai poi, cercando le informazioni
che dalla vista non si possono recepire.
«No, sono di
Mullingar, vengo qua con l’autobus.» questo
spiegava perché non l’avessi mai visto nel mio
paese.
«E
perché vieni qui?» non l’avevo mai visto
in compagnia di amici, solo lui e lo strumento.
«La prima
volta mi sono fermato in questo parco perché avevo sbagliato
fermata dell’autobus, poi però ho deciso di
tornare, per due motivi; a volte ho bisogno di passare del tempo per
conto mio, facendo quello che mi piace, cioè suonare. Nella
mia città conosco tutti quindi mi manca il coraggio per
suonare di fronte a loro, ho pausa mi prendano per stupido.
L’altra ragione sei tu, ti ho guardato un istante e sono
tornato a farlo involontariamente per quasi tutto il pomeriggio, mentre
eri assolta nel libro. Di solito non parlo neanche così
tanto, sto anche facendo una pessima figura. Non sono uno stalker,
giuro! Non capisco neanche io il perché, so solo che da quel
momento non sono riuscito a toglierti dalla testa: la
sconosciuta con il libro.»
Immagazzinai le
informazioni ricevute e fui invasa da un tornado di emozioni: gioia,
felicità, sollievo, appagamento, amore.
Io per lui esistevo,
non ero come una di quelle che incontri e dimentichi, anche lui voleva
conoscermi, trovarmi.
«Il primo
pomeriggio al parco, mentre tu non fissavi me, io fissavo te. Eri lo
sconosciuto con la chitarra, da quel momento sei
rientrato nei miei pensieri costanti.»
Mi misi a nudo
completamente, come aveva fatto lui.
Non più
estranei, bensì Niall e Cassie.
«Suonami
qualcosa, per favore.»
Mi guardò,
soppesando la mia richiesta; pensò un attimo e
cominciò a comporre una melodia.
Riconobbi le note, era
una delle mie canzoni preferite. Chiuse un attimo gli occhi e vidi che
fece un respiro profondo. Socchiuse la bocca e cominciò a
cantare. Piccoli brividi mi percorsero le braccia, era.. bravissimo. La
sua voce era calda e intonata, penetrò la mia pelle e giunse
diretta al cuore, insediandosi al suo interno.
“My
heart's a stereo, it beats for you so listen close,
hear
my thoughts in every note”
Terminò e
mi scrutò, cercando di captare ogni mia reazione.
«Dio.. sei
bravissimo! Sul serio, io sono rimasta senza parole.» le sue
guance si arrossano lievemente, era così bello.
«Non penso
di essere così bravo..» borbottò
alzando le spalle.
«Invece lo
sei, credimi. Hai talento, non dovresti sprecarlo, sai?»
«E’
il mio sogno fare il cantante, però è difficile
riuscirci.» sospirò.
«Hai tutte
le carte in regola per riuscirci, i sogni non sono fatti per rimanere
in un cassetto e prendere polvere. Se cantare ti rende felice,
è giusto provarci. Per esempio, mai pensato ad
X-Factor?»
Annuì,
rimanendo in silenzio.
«Nonostante
ci conosciamo da poco, io credo in te Niall. Tu?» raggiunsi
la sua mano che stava stringendo la camicia e incastrai le sue dita con
le mie. Combaciavano perfettamente.
«Mi sento
sempre inferiore agli altri, non posso farci niente.»
«Non sei
inferiore a nessuno, sono sincera.»
«Grazie
Cassie, sei.. meglio di quanto potessi immaginare. Ce ne abbiamo messo
di tempo per parlarci, eh?» cambiò discorso.
«Meglio
tardi che mai.» sorrisi e il suo braccio andò a
circondare la mia spalla.
Quel momento fu
perfetto, così come il pomeriggio passato assieme. La
pioggia continuava a cadere, noi intanto sedevamo vicini e parlavamo
delle nostre vite, delle passioni, delle nostre famiglie, dei nostri
amici, della scuola, di tutto.
Non mi ero mai sentita
così bene con qualcuno, dopo due mesi passati a scrutarci
ora finalmente potevamo scoprire quel che mancava.
Più
scoprivo cose del ragazzo, più sentivo il sentimento che
provavo per lui crescere.
Ero innamorata dello
sconosciuto con la chitarra di Niall. Il mio, il nostro,
era stato un vero e proprio colpo di fulmine.
«Ora devo
andare, lasciami il tuo numero.»
Si era fatta sera,
ormai l’acquazzone si era trasformato in pioggerellina
leggera.
«Grazie per
il bellissimo pomeriggio.» sorrisi, giocherellando con la sua
mano, che non avevo ancora lasciato.
Ci alzammo in piedi
contemporaneamente, trovandoci vicinissimi. Ci guardammo imbarazzati e
sorridemmo contemporaneamente.
Si avvicinò
un po’ al mio viso e mi lasciò un leggero e
soffice bacio a stampo sulle labbra, accarezzandomi la guancia.
Avrei voluto fermare
il tempo, in quell’istante l’apice della
felicità era stato raggiunto.
«A
presto» lasciai la mano e ci dirigemmo verso le nostre
rispettive case, con un sorriso sul viso e il cuore pieno
d’amore.
Dormì con
il cellulare acceso, non mi staccai un attimo
dall’apparecchio, aspettando una sua chiamata.
L’avevo
aspettato al parco tutto il pomeriggio, era giovedì, doveva
venire. Avevamo una specie di appuntamento, no?
Eppure
l’attesa si rivelò vana, non si
presentò, non si fece vedere né sentire.
Il silenzio da parte
sua fu come una pugnalata al cuore, mi sentì
un’illusa, una stupida. Mi domandai cos’avessi
fatto di sbagliato, ero convinta che anche Niall mi amasse, me
l’aveva dimostrato.
Fu il quindici aprile
che capì il perché della sua assenza. Ero a casa
da sola, raggomitolata sul divano con una confezione di gelato a farmi
compagnia mentre facevo zapping fra i canali, soffermandomi su
X-Factor. Mi persi nei miei pensieri, tutti avevano come protagonista
la stessa persona. Affondai il cucchiaio nel vasetto e lo portai alla
bocca, concentrandomi sul cioccolato che si scioglieva nella mia bocca.
Mi andò di traverso quando sentì la voce di Niall
in salotto.
Stupidamente mi
guardai intorno, capendo proveniva invece dal televisore. Mi si
seccò la gola, mi sembrava ancora più bello
rispetto all’ultima volta in cui l’avevo visto. Si
presentò e cominciò a cantare, ricevendo voti
favorevoli dai giudici.
Gliel’avevo
detto, era bravo e aveva tutte le carte in regola per realizzare il suo
sogno. Aveva seguito il mio consiglio, nonostante m’avesse
– in un certo senso – abbandonata, ero orgogliosa
di lui. Non potevo immaginare di esser stata solo una comparsa nella
sua vita, lui era già diventato parte costante della mia.
Sospirai, mi mancava.
Tanto.
Spensi la tv e andai a
coricarmi, almeno se dormivo non potevo sentire la sua assenza. Alle
sei di mattina fui svegliata a causa del cellulare che vibrava sotto al
cuscino.
«Mm,
pronto?»
«Cassie? Sono Niall.»
Mi
ero sbagliata.
Era tornato ancora una volta e capì sarebbe restato sempre.
Era stato un colpo di fulmine, il nostro. Lo sconosciuto con la
chitarra e la sconosciuta con il libro, Niall e Cassie.
L’essere due estranei non ci aveva impedito di innamorarci,
il conoscerci cancellò la possibilità di restare
separati. Il mio cuore era uno stereo che suonava per lui, il suo era
una radio che cantava per me.
“This
melody was meant for you, just sing along to my stereo.”
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Allora,
intanto grazie per essere arrivati fin qui (sempre
se qualcuno ci è arrivato lol).
Che dire? Il mio
cervello continua a sfornare idee e ogni tanto riesco a trovare del
tempo per concretizzare le mie fantasie. Ecco
com’è nata “the
stranger with a guitar”. Mi sono
data al fluff questa volta e ho fatto anche il lieto fine, yay!
Se ho pubblicato
questa “cosa” è grazie a @Abschiedbrief che mi ha supportato mentre
scrivevo, quindi grazie donno! :3
Vorrei dedicare questa
OS a tutte le Directioners, spero che riusciate a trovare anche voi lo
sconosciuto con la chitarra della vostra vita -
come sono romantica! - (iointantorimangoforeveralone)
Non saprei che
aggiungere, mi farebbe piacere ricevere qualche recensione! *-*
Se volete potete
seguirmi in Twitter, sono @xunleashedliebe!
Nel caso aveste tempo,
qua sotto ci sono le altre OS che ho scritto sui 1D.
Concludo qui!
Peace, love and music,
unleashedliebe
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