Chapter
Four – Matters
of the heart
« Ichigo, se non scendi subito
da quella
sedia, giuro che ti ci lego. »
« Dai, ho quasi finito
di decorare! »
Ryou sospirò
pesantemente nel vederla
tendersi ancora di più sopra la finestra per finire di appendere una
ghirlanda
e, ignorando totalmente il suo tono contento, marciò verso di lei e
l’agguantò
con attenzione per i fianchi, costringendola giù:
« Te l’ho già detto,
già è pericoloso di suo
con la tua destrezza, ora più che mai, » la sgridò con dolcezza,
sfiorandole
teneramente il ventre appena più rotondo.
« Non lo sai che i
gatti atterrano sempre
in piedi? » rispose Ichigo con un sorriso furbo, prima di allungarsi
sulle
punte per baciarlo e approfittarne per sgattaiolare via e afferrare
altre decorazioni
da uno scatolone.
« Finisci tu allora? »
gli domandò con un
sorrisone a trentadue denti, pieno di finta innocenza.
L’americano le lanciò
un’occhiataccia e
afferrò di scatto il fiocco dorato, borbottando sottovoce.
« Ancora non ho capito
perché dobbiamo
tenere la cena di Natale qui da noi. »
La rossa si accomodò
sul divano e cominciò
a rovistare dentro un contenitore di lucine: « Perché ancora non
abbiamo
inaugurato la casa, e perché abbiamo deciso che festeggiamo Capodanno
al Caffè.
»
« … chi l’avrebbe
deciso? »
Lei gli lanciò
un’altra occhiata divertita:
« Ah, non te l’ha detto Akasaka-san? »
« Voi vi coalizzate
contro di me. »
Ichigo rise ancora e
gli porse una fila di
lucine, che lui prontamente aggiunse sopra la ghirlanda: « Se anche
solo ti proponessi
di uscire a celebrare, non ne sentirei più la fine. »
Ryou sbuffò un’ultima
volta e scese dalla
sedia per unirsi a lei sul divano: « Magari preferisco celebrare in
maniera romantica
come piace a te, solo noi due. E mezzo. »
« Sei geloso? »
Il biondo le lanciò
un’occhiataccia,
mettendo a terra la scatola e afferrandola per le mani per far sì che
gli si
avvicinasse: « La prima volta che ti sentirò lamentarti che non stiamo “abbastanza
insieme”, » e le mise un dito davanti alle labbra per
impedirle di
replicare al suo gesto delle virgolette, « Ti ripeterò questa
conversazione. »
La rossa gli fece il
verso divertita, prima
di accoccolarsi su di lui con un mezzo sbadiglio: « Dici che ho il
tempo di
fare un pisolino? »
« Dipende se è un
pisolino normale o un
pisolino alla Momomiya. »
Lei gli rivolse una
mezza linguaccia, e si
arrotolò come un gattino.
Qualche ora dopo,
l’ampio salone di casa
Momomiya-Shirogane pullulava dell’allegria della combriccola,
elegantemente
vestita e pronta a gettarsi sul cibo che via via si andava accumulando
sulla
tavolata della sala da pranzo. L’organizzazione di Ichigo e Keiichiro
era stata
a dir poco meticolosa, con buona pace di Ryou e la sua ricerca di
calma. Purin
si era presentata carica di una pila di pacchettini infiocchettati che
le
arrivava fino alla fronte e due vassoi ricolmi di piccoli aperitivi,
così come
Retasu che aveva contribuito a portare altre due teglie profumate,
mentre il
moro aveva chiuso Ryou e Zakuro in cucina a metà del pomeriggio per
farsi dare
una mano a portare avanti la preparazione delle portate principali.
Ovviamente
invitati anche loro – ormai Ryou non pensava nemmeno più ad osare
opporsi – Pai
e Kisshu erano stati accuratamente istruiti di pensare alle bevande, e
l’americano sperò in fondo al cuore che non tutte quelle bottiglie
sarebbero
state bevute quella sera.
« Non vedo l’ora, »
esclamò Ichigo
estasiata, riempendo i bicchieri agli amici, « Ho così fame che
mangerei per
tre. »
« Non è un po’ la
norma ora, nee-chan? »
Retasu soffocò una
risatina dietro la mano
alla vispa battuta di Purin, ma anche Ichigo non poté trattenere un
mezzo
sorriso mentre le faceva una linguaccia.
« Come se tu,
nanerottola, non avessi
l’appetito di un elefante, » Kisshu le tastò affettuosamente la zazzera
bionda
un paio di volte, « Ancora mi chiedo dove lo metti. »
« Kisshu-san, non
essere impertinente. »
« Ehi, pesciolina, tu
non sei mai stata
derubata di tre yakitori di fila da questa qui! »
« Non è colpa mia se
sei lento e non
all’erta, nii-san. »
« Ma sentila! Fidati,
sarò all’erta
stasera. »
« Non preoccupatevi, »
Keiichiro offrì ad
entrambi uno degli stuzzichini preparati da Purin, « C’è cibo in
abbondanza per
tutti. »
« C’è posto per uno in
più? »
« Minto-chan! » Ichigo
le corse incontro e
l’avvolse in un abbraccio quando Minto apparve all’improvviso nel
salone, le
guance arrossate per la differenza di temperatura con l’esterno, «
Pensavo avresti
cenato con la tua famiglia! »
« Quello era il piano,
» sospirò la mora,
togliendosi il cappotto, e all’amica non sfuggì la nota di tristezza
dietro il
sorriso e il tono allegro, « Ma mio fratello è rimasto bloccato a
Sapporo a
causa del maltempo, e i miei genitori hanno deciso ieri sera di
rimanere in
Indonesia. A quanto pare è troppo freddo a Tokyo in questo momento per
loro. »
« Non preoccuparti,
c’è un sacco di roba,
guarda! Questi li ho fatti io! »
Purin l’accolse con un
sorriso, mostrandole
fiera il piattino che le aveva passato Keiichiro.
« Scusate, posso
sapere quante persone
hanno il codice di accesso a casa mia? »
« Nostra, Shirogane!
»
« Come futura madrina
del vostro fagottino
di gioia, vorrei anche vedere. »
Ryou la osservò con un
sopracciglio alzato,
offrendole un bicchiere di vino: « Io non ti ho mai detto che sarai tu
la
madrina. »
« Con dei genitori
come voi sono la sua
unica speranza. »
« A proposito… »
Zakuro si avvicinò ai
due con un
sorrisetto, e Ichigo arrossì piacevolmente mentre scuoteva la testa: «
Niente
da fare! Sarà una sorpresa. »
« Dai, ma perché! » si
lamentò
rumorosamente Purin, continuando a riempirsi la bocca di stuzzichini, «
Noi
vogliamo sapere! »
« Sorry, not
sorry. A maggio lo
scoprirete. »
« Che crudeltà! »
« Ti cambierebbe
qualcosa, Purin? »
« Io ho quattro
fratellini, Retasu ha un
fratello, Minto ha un fratello… ci serve una nipotina! »
« In realtà siamo noi
quelli in svantaggio,
» rise bonariamente Keiichiro, « Fino a poco tempo fa, eravamo noi due
contro
voi cinque. »
« Contro è
esattamente la parola
giusta. »
« È inutile, non
attacca, » Ichigo scosse
di nuovo la testa con un sorriso furbo, accendendo l’ultima candela
decorativa
sulla lunga tavola imbandita, « Quattro mesi e lo saprete. »
« Vabbè, parlando di
cosa bolle in pentola,
» Kisshu allungò il collo per cercare di guardare in cucina, « Qual è
il menu
della serata? »
« Quest’anno, in
occasione anche delle
novità, abbiamo deciso di fondere due tradizioni, » spiegò Keiichiro
con un
sorrisone.
« Hai deciso,
come hai deciso che
avremmo dovuto sgobbare invece che usufruire delle comodità moderne, »
lo
interruppe Ryou con un ghignetto, e l’amico si limitò a sventolare la
mano.
« E siccome abbiamo
due baldi giovani
americani tra di noi, omaggeremo la tradizione giapponese del Kentucky
Fried
Chicken cucinandolo personalmente, insieme ad altri piatti
tipici
americani. »
« Ovvero, c’è un
tacchino da quattro chili
in forno da quattro ore. » (*)
«
Che meraviglia! »
« Siamo sicuri che
Shirogane non ci
avveleni? »
« Preferisco la
reazione di Retasu, Aizawa,
grazie. »
« Non preoccupatevi, è
stato monitorato da
vicino, » Zakuro gli si avvicinò con un sorriso e gli mise una mano
sulla
spalla, vista l’occhiata omicida che aveva lanciato alla mora.
« Su, però, iniziate a
friggere o non si
mangia più, » Keiichiro spinse leggermente entrambi verso la cucina,
continuando a sfoggiare il suo sorriso, « Voi mettetevi comodi, io
arrivo con
gli antipasti. »
La tavolata si
arrangiò velocemente, con il
solito volume più alto del normale e Purin che calava l’asso di
briscola
continuando a riempire i bicchieri di tutti.
« Mi fido a lasciarvi
finire questo? »
Keiichiro lanciò un’occhiata in particolare a Ryou, che gli rispose
abbastanza
offeso, « È la portata principale, mi raccomando. »
« Credo di essere
capace a fare del pollo
fritto, » mugugnò il biondo, agguantando una padella, e il moro
ridacchiò sotto
i baffi mentre riempiva un paio di vassoi di antipasti anch’essi
ispirati alle
tradizioni americane.
« Ho piena fiducia in
te, ma so che sei più
avvezzo al microonde. »
« Allora perché mi hai
messo ai fornelli? »
Zakuro si intromise
con un sorriso,
afferrando lo schiacciapatate e al tempo stesso dando un colpetto sulla
spalla
al pasticcere: « Vai pure a rilassarti, Akasaka-san, hai fatto molto
più di noi
oggi. La situazione è sotto controllo. »
« Non bruciarti. »
« Scusate tutti, sono
un brillante
scienziato che ha compiuto esperimenti ben più complicati di questo, la
vostra
mancanza di fede mi disturba. »
« Sempre modesto. »
Non appena Keiichiro
uscì reggendo i vassoi
stracolmi, la mora socchiuse la porta scorrevole di vetro per evitare
che gli
odori della cucina navigassero fino alla sala di pranzo, e il vociare
si fece
più otturato, precipitando la stanza nella solita calma che
contraddistingueva
le interazioni tra lei e Ryou. Ricominciarono a cucinare in silenzio,
scambiandosi solo qualche vaga indicazione sulle istruzioni lasciate
dall’amico, quasi come se entrambi stessero ricaricando le loro pile
prima di
ritornare nel gruppo.
« Posso chiederti una
cosa? »
Ryou alzò lo sguardo
su Zakuro, che si
stava asciugando le mani su uno strofinaccio.
« Quando mai ti sei
fatta dei problemi. »
Lei nascose un
sorrisetto e rivolse
l’attenzione alla sala da pranzo: « Pensavo che ci sarebbe stata una
certa
domanda, soprattutto in questo momento. »
Il biondo bevve un
sorso della sua birra e
controllò il pollo che friggeva nella padella di ghisa: « Sono così
prevedibile? »
La modella non
rispose, rimescolando
tranquilla il purè di patate, e lui sospirò, rimuginandoci sopra per
qualche
minuto.
« Non pensare che
Keiichiro non abbia già
fatto le stesse insinuazioni, soprattutto in luce di Shintaro e le sue
reazioni, » borbottò, lo sguardo fisso sulla cena in preparazione per
evitare
gli occhi pungenti dell’amica, « E sai benissimo che so quello che sarebbe
consono fare. »
Zakuro rimase ancora
in silenzio, il mezzo
sorriso ben visibile sotto i faretti della cappa, consapevole che quel
comportamento avrebbe avuto molta più efficacia che spronarlo con altre
domande. Ryou esitò ancora qualche minuto, lanciando qualche occhiata
sopra la
spalla per controllare che il resto della sala fosse ancora impegnato
con gli
antipasti.
« La verità è che non
voglio che faccia una
scelta solo basata sulle circostanze attuali, » spiegò spiccio poi, «
Né che
creda che non sia una richiesta genuina. Già ho dovuto convincerla che
andare a
convivere non fosse solo causato dalla situazione, questo sarebbe… e
quindi,
niente. »
La modella annuì,
aggiungendo un tocco finale
di burro prima di travasare la soffice montagna di patate dentro
un’elegante ciotola
da portata.
« E comunque a Natale
è troppo scontato e
sdolcinato. »
Lei rise, alzando un
sopracciglio: « Per
Ichigo? »
« Hey, »
al tono altamente
sarcastico, Ryou le puntò contro il forchettone che stava usando per
prendere
il pollo fritto, « Una cosa per volta. »
Zakuro gli lanciò
l’ennesimo sguardo
divertito e si piegò a controllare il tacchino nel forno: « Secondo me
ci
siamo. »
Il biondo diede
anch’egli un’occhiata e
annuì, prima di porgerle il pugno: « Ottimo lavoro di squadra,
Fujiwara. Sembra
che alla fine ti abbiamo plagiata. »
« You’re
such a loser. »
Insieme, estrassero la
teglia rovente e
pesante per trasportarla in sala, dove furono accolti da un coro di
ovazioni
stupite e felici.
« È grandioso! »
« Grazie, Purin, »
esclamò Ryou, piazzando
con estrema attenzione il tacchino nel bel mezzo del tavolo dove già
Keiichiro
aveva strategicamente posizionato i sottopentola, « Meno male che ci
sei tu a
darmi soddisfazione. »
« Volevi anche un giro
di applausi? » lo
prese in giro Ichigo con un sorriso, « Di solito fa sempre tutto
Akasaka-san, e
non gli facciamo la metà delle feste. »
« Infatti a lui
l’onore di tagliare la
bestia, » Zakuro gli passò teatrale il coltello dedicato, « Rimangono
in cucina
solo il pollo e i contorni. »
« Andiamo noi, le
braccia forti! » Purin si
alzò con brio e girò attorno al tavolo, agguantando nel frattempo la
manica di
Kisshu, « Però aspettateci! »
« Purin, questo coso
basta a sfamare un
esercito. »
« Più o meno il suo
appetito. »
« Non so se mi fido di
quei due da soli con
il cibo… »
Con uno sbuffo, Minto
si alzò e seguì i due
in cucina: « Ichigo, stai ferma. Vado a controllare io che non
finiscano tutto.
»
Purin si era già
caricata in braccio il
vassoio di pollo fritto, una ciotola di piselli e quella delle patate,
in un
precario equilibrio che fece rabbrividire la mora.
« Dammi questo, » le
corse in soccorso e
afferrò una ciotola, « Kisshu, prendi i cucchiai per servire. »
Al vedere l’alieno che
osservava confuso i
vari scaffali, mobiletti e cassetti della cucina, Minto sbuffò e gli
passò
davanti, aprendo un tiretto e mostrando l’argenteria.
« Quanto spesso sei
qui, fammi capire? » la
prese in giro dolcemente.
« Ichigo ha avuto
molto supporto da parte
mia a organizzare la casa, » ribatté lei con un velo di acidità.
Kisshu si sporse in
avanti per afferrare
l’ultima teglia di contorni, strabordante di fagiolini, e ne approfittò
per
avvicinarsi un po’ di più: « Sono contento che ci sia anche tu,
stasera, » le
mormorò, « Soprattutto per il vestito. »
Minto cercò di
ignorare il calore derivato
dalla voce bassa a pochi centimetri dal suo orecchio, e si voltò verso
di lui
con un sorriso malizioso: « E tu sei in camicia, allora è vero che a
Natale
accadono miracoli. »
Lui sbuffò e,
rapidamente scorso che
nessuno stesse prestando loro troppa attenzione, le fece una carezza
veloce
sotto al mento: « Tutto bene? »
« Perché non dovrei? »
rispose lei, più
sprezzante di quanto avrebbe voluto, « Non è certo la prima volta, né
sarà
l’ultima, in cui mi ritrovo scaricata dalla mia famiglia. Preferisco
sinceramente questa cena a una delle solite tiritere noiose e
silenziose dei
miei. »
Prima che lui potesse
replicare, sentitasi
già troppo scrutata dal suo sguardo, Minto marciò di nuovo verso il suo
posto a
tavola.
« Dai, dai! » li
incitò Purin, che già
brandiva forchetta e coltello, « Sto morendo di fame! »
« Ci siamo, » la
blandì divertito
Keiichiro, cominciando a distribuire grosse fette di tacchino, « Buon
Natale,
ragazzi. »
Alla risposta in coro
seguì il tintinnio di
piatti che venivano passati, posate che iniziavano a lavorare, e
mormorii e
risatine soddisfatte ai profumi che si levavano fino alle narici.
« Kami-sama,
che buono, » Ichigo si
lasciò scappare un miagolio appagato, ricoprendo le sue fette di carne
con
abbondante salsa al mirtillo rosso, « Perché non l’abbiamo mai mangiato
prima?
»
« Ci hai messo un po’
a cedere ai gusti
americani, » rispose prontissima Purin con un ghigno malefico,
soffocando la
risatina in una coscia di pollo che azzannò con gusto, mentre l’amica
quasi si
strozzava e arrossiva prepotentemente e Ryou la fulminava con lo
sguardo,
ignorando biecamente i risolini sotto i baffi attorno al tavolo.
Pai si servì un’altra
generosa porzione di
verdure – che solo con l’arrivo della Mew Aqua avevano iniziato ad
assumere
sapori più corposi e diversi su Duuar – e nel mentre tossicchiò appena.
« La festa di oggi… mi
è parso di capire
che abbia molti significati diversi? »
Un breve silenzio
cadde sulla tavolata, che
si scambiò occhiatine perplesse e un po’ sconfitte al pensiero di non
aver
fatto luce su cosa stesse succedendo.
« Ah sì! » si aggiunse
Kisshu, la bocca
mezza piena di purè, « In effetti, cosa sarebbe questo Natale? »
« Perdonateci, non ve
l’abbiamo detto, » si
scusò Retasu mortificata, « Forse diamo le cose un po’ per scontato a
volte… »
« Quello che conta è
lo spirito,
pesciolina, » il verde le fece l’occhiolino, continuando a divorare
forchettate
di cibo, « Se a ogni occasione si mangia così, non è che mi freghi
molto del
motivo. »
« Figuriamoci. »
Minto gli scoccò
un’occhiataccia inorridita,
servendosi un altro bicchiere di vino, ma lui perseguì imperterrito a
ingozzarsi.
Keiichiro nascose un
sorriso dietro al
proprio bicchiere e poi si schiarì la gola: « La festività del Natale è
una
delle più antiche della nostra storia, e via via ha assunto delle
declinazioni
un po’ diverse. »
Ryou stava per
lanciarsi in una complicata
spiegazione della storia dei solstizi d’inverno, soli invitti e
saturnali, ma
un’occhiataccia da parte di Zakuro fu abbastanza per farlo desistere.
« Natale è
principalmente una festa
religiosa cristiana che celebra la nascita del suo messia, figlio di
Dio, »
spiegò brevemente la modella, « Tralasciando l’aspetto religioso, a
lungo
andare la festività si è secolarizzata, diventando una festa legata
alla
famiglia, alla solidarietà, che ha preso piede anche in luoghi non
predominantemente cristiani. »
« E a Babbo Natale, »
aggiunse spigliata
Purin, ricevendo in cambio un sorrisetto abbozzato da Zakuro, che
continuò:
« Sì, allo scambio di
doni. Ha svariate
tradizioni e simboli ad essa associate, anche molto variegate tra i
diversi
Paesi. In Giappone è più una festa romantica e secolare, che da passare
in
famiglia. »
« C’è chi dice che
ormai sia l’emblema del
capitalismo, » commentò Shirogane, provocando una sequela di gemiti e
lamenti
annoiati.
« Se volete il mio
punto di vista,
preferisco di gran lunga le feste senza significati troppo aulici, »
borbottò
Kisshu, con ironia velata di astio, « Con l’ultima divinità adorata non
ci è andata
troppo bene. »
Stavolta fu il turno
di Retasu di quasi
strozzarsi con il sorso d’acqua che aveva appena preso, e Purin,
accanto a lei,
si affrettò a darle delle pacche sulla schiena.
« Chi vuole altro
tacchino? » Keiichiro
colse la palla al balzo per cambiare prepotentemente argomento,
alzandosi per
affettare ancora l’enorme gallinaceo, di cui rimaneva una buona metà
intonsa.
Un coro di io
e sì grazie! rispose
alla domanda, e velocemente il rumore della cena ritornò al solito
volume
sproporzionato.
«
Sto scop-pian-do! »
Purin stravaccò
mollemente sul tappeto tra
i divani, stendendosi a pancia in su come una stella.
« Credo che tu ti sia
mangiata un quarto di
tacchino da sola, » la redarguì dolcemente Zakuro, abbandonata anche
lei la
posa plastica.
« Per forza, nee-san,
era spettacolare!
» si accarezzò lo stomaco gonfio e, muovendo la testa di un millimetro,
guardò
Ichigo, « Sono quasi come te, nee-san. »
La rossa, entrambe le
mani su quella di
Ryou che le stava pigramente disegnando cerchi con il pollice sulla
pancia, le
rispose con un sorriso stanco: « Se penso a tutti gli avanzi che ci
sono, mi
sento male. »
« Mi offro volontario,
» scherzò pigramente
Kisshu alzando una mano, spaparanzato sul divano a giocare
distrattamente con
le ciocce della nuca di Minto, l’unica seduta relativamente dritta con
le gambe
raccolte sotto di sé.
« Ehi, anche io, » gli
fece eco da sotto
Purin, « … tra un po’ però. Aprire i regali ha esaurito definitivamente
le mie
energie. »
« Credo piuttosto
siano i turni extra della
digestione, Purin, » commentò Retasu divertita, ma con un filo di voce.
Keiichiro ritornò in
salotto reggendo un
lungo vassoio colmo di tazze fumanti e una teiera: « Questo dovrebbe
aiutare, »
spiegò con un sorriso, « Tè caldo allo zenzero. »
La verde lo ringraziò
con un mormorio e
soffiò piano sulla bevanda bollente, poi fece un cenno verso la
polaroid che
Kisshu teneva in grembo: « Non pensavo ti interessasse la fotografia,
Kisshu-san. »
Lui abbozzò a un
sorriso sornione,
prendendo la camera con la mano libera per studiarla ancora un po’: «
In
effetti è una novità, pesciolina, ma sta diventando uno dei miei
gingilli
preferiti, » tirò con fare dispettoso uno dei boccoli di Minto, autrice
del
regalo, e sogghignò un po’ più sincero, « La tortorella ci ha visto
giusto. »
La ragazza in
questione arricciò appena il
naso, mantenendo la sua stoica compostezza nonostante il sorriso che
minacciava
di spuntarle sulle labbra e che nascose dietro il bordo della tazza,
prima di
trasformarlo in una smorfia indispettita quando lui le rubò una foto a
cinque centimetri
dal naso: « Sto già rimpiangendo la scelta, sai? »
Ichigo osservò lo
scambio ridendo sotto i
baffi, ben attenta a non farsi notare dall’amica, scambiandosi solo
un’infinitesima occhiata complice con Zakuro mentre il dolce borbottio
delle
chiacchiere verteva su altri argomenti. All’ennesimo sbadiglio di
Purin, poi,
si stiracchiò vistosamente ed esclamò squillante: « Se voi pensate a
raccogliere un po’ le cose qui, io vado in cucina a preparare i
pacchettini
degli avanzi. E no, non voglio sentire storie, Retasu-chan, ce n’è
abbastanza
per tutti ancora. »
« Io lo voglio doppio!
»
« Ma se non riesci
neppure ad alzarti dal
tappeto, nanerottola. »
« Minto-chan, aiutami
tu, dai. »
La mora alzò un
sopracciglio al tono
iper-stucchevole della padrona di casa, ma non fece in tempo a
ribattere che
l’aveva già afferrata per un polso e tirata su, sotto le proteste di
Ryou di
non fare troppi sforzi.
« Non mi tirare! » le
bofonchiò Minto,
fermandosi al tavolo della sala da pranzo per raccogliere gli ultimi
bicchieri
rimasti abbandonati, « Sono esausta, e tu dovresti stare attenta. »
« Spero tu non sia troppo
stanca, »
commentò maliziosa la rossa, lanciandole uno sguardo divertito da sopra
la
spalla mentre la precedeva in cucina.
La mora le rivolse uno
sguardo gelido: « E
io spero che tu non stia insinuando quello che
penso. »
« Oh, su! Se non ne
parli con me, con chi
altri!? »
« Sono fatti miei,
grazie, non c’è bisogno
che lo dica proprio a nessuno. »
Ichigo la guardò
divertita, aprendo un
pensile per estrarne dei contenitori: « A volte non ti capisco,
comunque. Lui
ti piace, tu gli piaci… siete grandi e vaccinati… »
Minto emise uno sbuffo
indispettito mentre
apriva di nuovo una bottiglia e ne versava il fondo in un bicchiere
pulito,
rimpiangendo di aver mai rivelato dettagli a Ichigo circa la sua
attuale
situazione sentimentale: « Mi spieghi cos’è questa crociata oggi per
ficcare il
naso dove non ti riguarda? »
« Perché mi preoccupo
per te, » ribatté
convinta la rossa, intanto che cercava di suddividere in maniera più o
meno
equa i vari avanzi tra le vaschette, « E soprattutto stasera ti
servirebbe
compagnia. »
« La compagnia attuale
mi sta solo facendo
venire mal di testa. »
« Quanto sei testarda
però! Non ti sto mica
dicendo di sposarti, eh, solo di… lasciarti andare un attimo. »
« In termini di lasciarsi
andare, analizziamo
la situazione, Ichigo, chi tra noi due è rimasta incinta dopo nemmeno
tre mesi
di frequentazione? »
« Che c’entra, quello
è stato… complicato.
Voi uscite insieme da due mesi e mezzo ormai! »
Minto la guardò
minacciosa: « Decisamente non
stiamo uscendo. »
« Okay, se preferisci
che la descriva come vi
appartate di nascosto facendo finta di nulla ma ormai lo sanno tutti, nessun
problema. »
Ichigo alzò le spalle
come se fosse
un’ovvietà, e la mora si limitò a sbuffare così forte da sollevarsi la
frangetta mentre si concedeva un altro sorso di vino.
« È palese che sei
cotta, comunque. Gli
occhioni dorati sono il tuo punto debole. »
Minto si voltò verso
di lei così
velocemente che Ichigo temette le si sarebbe spezzato il collo, ma non
riuscì a
non ridere della sua espressione.
« Non sei esente dal
non dire cretinate
solo perché sei incinta. »
« Continua pure a
negarlo, ma non ti fa
sicuramente bene. Siete sempre insieme - »
« Non è vero, se non
sono con te, sto
lavorando con la onee-sama. »
« - soprattutto
quando ci siamo
tutti e tu vuoi far finta di niente, ma vi cercate costantemente. Posso
essere
tonta, ma non sono cieca. »
« Sei un’impicciona. »
« Sono la tua migliore
amica, e mi
preoccupo per te, » Ichigo ripeté e le sorrise, prendendole il
bicchiere di
mano e poggiandolo in lavastoviglie, « Come va, va, non starci a
pensare troppo
e… divertiti. »
La mora la guardò
storto per un altro
secondo, terminando di premere i coperchi sopra i rispettivi
contenitori, e poi
si lasciò scappare uno squittio stupito quando l’amica la stritolò in
un
abbraccio a sorpresa: « Sono felice se sei felice, Minto-chan. E mica
voglio
una madrina musona. »
« Tu sei completamente
rincretinita dagli
ormoni, ecco cosa, » replicò lei, ma senza poter nascondere la risatina
che la
tradì mentre poggiava un secondo la mano sopra quella della rossa prima
di
sgusciare via con un paio di contenitori in mano.
« Il mio è il più
grande, vero?! » Purin le
si parò davanti mentre lottava tra lunga chioma bionda e sciarpone
giallo in
lana grossa.
« Puoi avere anche la
mia parte, » esalò
Minto, esausta, e lanciò uno sguardo fuori dalla finestra, sbuffando, «
Ma sta
nevicando! »
« Oh, non dirlo con
quel tono, Minto-chan,
è bello, » commentò Retasu con un sospiro, guardando anche lei oltre la
vetrata.
« E poi mica torniamo
a casa a piedi, »
trillò Purin, continuando a infagottarsi nei suoi vari strati, « Vero,
Pai
nii-san? »
Il viola, sentendosi
interpellato
inaspettatamente e con così tanta sfacciataggine, per i suoi gusti, si
limitò a
osservare la biondina per un paio di secondi prima di scrollare le
spalle: «
Immagino di no. »
La risatina che scappò
dalle labbra di
Retasu quando Purin lo costrinse a darle il cinque gli fece alzare gli
occhi su
di lei e a ricambiare, seppur di una frazione, prima che Ichigo gli si
parasse
di mezzo con ulteriori contenitori di avanzi.
« Ti basta questo,
Retasu-chan? »
« Oh, no, Ichigo-chan,
ti prego è già
troppo! »
« Tu come fai,
nee-san? »
Zakuro sorrise a
Purin, avvolgendosi anche
lei una spessa sciarpa intorno al collo: « Farò una passeggiata, non ti
preoccupare. Mi piace il freddo. »
« Bbbr,
io tremo solo al pensiero di
uscire, » commentò Ichigo rabbrividendo, « Sicura che non vuoi un taxi?
»
« Devo decisamente
smaltire, » scherzò
appena l’altra, poi incrociò lo sguardo curioso dei due alieni, « Ogni
Natale
vado in chiesa a mezzanotte. Un luogo di culto, » spiegò spiccia.
« Quel posto buio e
imponente con i due
pezzetti più alti, i vetri colorati… ?» Kisshu gesticolò disarticolato,
unendo
le dita così da formare una punta.
« Dove ci hai
attaccate con i chimeri
corvo? Già. » (**)
La gelida occhiata di
Zakuro fu abbastanza
per far fare un passetto all’indietro al verde, che sfoggiò un sorriso
smagliante: « Tutta acqua sotto i ponti, giusto bamboline? »
« Solo perché sei
diventato più simpatico,
nii-san. E più figo. »
« Ah, capito,
tortorella? »
« Ma per favore… »
Retasu osservò lo
scambio con un sorriso
divertito, poi azzardò ad alzare gli occhi su Pai (invece molto meno
allietato
dall’esuberanza, se così poteva chiamarla, del fratello).
« Avete tradizioni
simili sul vostro
pianeta? »
Le sembrò che il suo
viso si ombrasse
appena: « La religione ha subito un colpo brusco, dopo tutta la
questione del…
nostro ritorno e la vera natura di Deep Blue, » esclamò dopo qualche
secondo, «
Ciononostante, alcuni continuano ad affidarsi ad antiche divinità
minori,
spiriti degli antenati che proteggono la casa. »
« E senza intenzioni
di conquista, »
sogghignò Kisshu, pieno di sarcasmo.
Pai lo ignorò,
schioccando la lingua: «
Quando il governo si è ricostituito, hanno rimosso i luoghi di culto
dedicati al
nostro vecchio signore. Ovvio che questo non ha reso felici tutti, ma è
stato
un segno chiaro. »
Il fratello sbuffò
mentre si infilava
nell’armadio e afferrava cappotti e sciarpe: « Stiamo parlando per
eufemismi… c’è
voluto un po’ per convincerli, eh. Non eravamo esattamente i preferiti
del
pubblico, a raccontare di come la loro meravigliosa divinità fosse un
impietoso
pezzo di merda. »
Retasu alzò di nuovo
gli occhi su Pai,
incerta sul significato di quelle parole e come sempre timorosa che le
sue
domande aprissero strani vasi di Pandora; infatti, il maggiore degli
Ikisatashi
stava nuovamente fulminando Kisshu con gli occhi, quasi minacciandolo
di
chiudere la bocca. Lui probabilmente capì, perché continuo a frugare
nell’armadio fingendo noncuranza nonostante la strana atmosfera che era
scesa
sul corridoio.
« Io vado, » esclamò
infine Zakuro, sistemandosi
la borsa sulle spalle e avviandosi verso l’uscita, « Grazie ancora per
l’ospitalità, Ichigo-chan, e la magnifica cena, Akasaka-san. »
« You’re
welcome, you know. »
« Sta’ attenta,
onee-sama, e se hai bisogno
mando l’auto! »
La modella rivolse un
ultimo saluto a
tutti, che fu echeggiato dagli altri, concordi che fosse ora di andare.
« Dov’è il mio
sacchetto di avanzi? »
« Tranquilla,
Purin-chan, non ti lasciamo
senza. »
« Ma gliene hai dato
davvero di più! »
« Santo cielo, Kisshu,
tra un po’ non ti si
chiude la camicia. »
« Come se non fossero
sempre andati in giro
a pancia di fuori. »
« Alright, niente
più zuccheri a
Purin. »
La biondina rise e,
infagottata fino al
naso e con in testa il nuovo cappello di lana – regalo di Retasu, che
aveva
confezionato per tutti un completo di sciarpa e berretto – agguantò il
suo
prezioso malloppo: « Sono pronta, andiamo! »
Ichigo rise e la
strinse in un abbraccio
veloce: « Grazie ancora della compagnia. »
Il volume del
gruppetto, a discapito delle
povere orecchie del padrone di casa, si alzò di qualche decibel
all’ennesimo
giro di saluti, raccolta di pacchetti pieni di cibo e regali, e
avviluppamento
in strati caldi di vestiti. Ignorando le sue continue proteste, Ichigo
agguantò
anche Minto per un ultimo abbraccio, mormorandole qualcosa all’orecchio
per cui
venne trucidata con lo sguardo, continuando a salutare tutti con
allegria.
Non appena la porta si
chiuse dietro
all’ultimo ospite, si voltò poi con un’espressione furba verso Ryou,
già stravaccato
sul divano.
« Allora? È stata così
terribile la serata?
»
« Io sono a pezzi. Non
chiedermi di montare
nemmeno un mobile o fare assolutamente altro, domani. Solo divano e
avanzi. »
La rossa ridacchiò e
attraversò la stanza
in fretta, sedendosi a cavalcioni su di lui: « Però sai cosa… »
« What? »
Lei rise ancora
deliziata e lo baciò,
strofinando poi il naso contro al suo: « Pensi che cucinerai qualche
altra
volta? »
« Hai da lamentarti,
ragazzina? Mi sembra
che ti porti a cena fuori abbastanza spesso. »
Ichigo lo guardò
divertita mentre gli
portava le braccia intorno al collo e si sistemava un po’ più vicina: «
Sì ma…
tu, la camicia, il pollo fritto… era tutto abbastanza interessante. »
« Really?
» Ryou rise di ricambio,
guardandola in una maniera che la fece arrossire, e, tenutala stretta
per la
vita, si alzò dal divano con lei in braccio come un koala, « Fammi
capire
esattamente come. »
Pai dovette ammettere
che, nonostante la
breve durata dei viaggi via teletrasporto, fu sollevato nel lasciare
Purin
davanti a casa per prima; la ragazzina sembrava avere un’inesauribile
riserva
di energia che, a sua volta, esauriva le sue.
« Grazie ancora,
nii-san! » trillò infatti,
fermandosi appena sopra gli scalini innevati per voltarsi e salutarli
con la
mano, « E buon Natale, nee-san! »
Retasu, dal canto suo,
non fu altrettanto entusiasta
nel suo saluto, limitandosi a un cenno delle dita poco energico. La
consapevolezza dell’essere completamente da sola con l’alieno, e il
dovergli
stare così vicino pur per motivi tecnici, le
piombò addosso gelida come
la serata, congelandola. Non che ebbe il tempo di dire qualcosa o far
lavorare
completamente gli ingranaggi del cervello, perché non appena Purin ebbe
infilato le chiavi nella toppa, Pai la riprese di nuovo per il polso,
causandole un doppio ribaltamento di stomaco.
Il silenzio del
tranquillo quartiere
dov’era situata casa dei suoi – dove aveva deciso di rimanere fino alla
fine
dell’università, per assicurarsi di riuscire a mettere da parte più
risparmi
possibile – le sembrò ancora più pesante del solito, attutito dalla
coltre di
neve che continuava a scendere imperterrita.
Fece subito un mezzo
passetto di lato per
riportarsi a una distanza consona, si schiarì la gola e poi piegò
appena la
testa nell’accenno di un inchino: « Grazie mille per il passaggio,
Pai-san. Non
sarebbe stato piacevole tornare a casa con i mezzi, stasera. »
Pai mosse appena il
capo, scrutando quasi
con rancore il candore intorno a loro: « Durerà a lungo? »
Retasu sbatté le
palpebre un paio di volte,
la mente un po’ più rallentata dalla combinazione di eventi: « Cosa? »
« Questo tempo. Il…
ghiaccio. »
Lei cercò di non dare
a vedere quanto fosse
trasalita; ovvio che lui non potesse vedere quanto per altri quella
situazione
potesse essere pure romantica – si autoimpose di cambiare
immediatamente la
direzione dei suoi pensieri – dopo tutto quello che le aveva raccontato…
« Non tanto, a volte
giusto un paio di
giorni, » rispose sottovoce, « Il freddo, quello no. »
Lui rispose con un
mezzo grugnito poco
convinto, e Retasu, il capo ancora chino, però, si morse il labbro.
« Mi sembri un po’
difficile da
accontentare, Pai-san, » ridacchiò, forse più baldanzosa per la bella
serata
appena trascorsa e i bicchieri di vino che si era concessa, « Non ti
piace i
caldo, ma nemmeno la neve… »
Pai la osservò
incuriosito al ricordo delle
conversazioni avute mesi prima al mare, poi sbuffò, piegando solo un
angolo
della bocca: « Preferisco la primavera. »
Retasu annuì e sorrise
ancora sotto i
baffi, giocherellando con le frange della sua sciarpa. Rimasero
entrambi in
silenzio per qualche istante, Pai che osservò di sottecchi la ragazza
« Io non ho… fatto
nessun regalo, »
borbottò lui di scatto, infilandosi una mano nella tasca in cui aveva
cacciato
il cappello creato dalla ragazza.
« Non sono
obbligatori, anzi, voi nemmeno
sapevate… » rispose lei con un sorriso tenero e una stretta nelle
spalle, «
Questo è il primo Natale che siamo riusciti a passare tutti insieme
così, eh…
be’, poi ci siete anche voi, quindi mi sembrava carino fare… qualcosa
di
speciale. Ma se n-non ti piace o non ti serve, non è che devi sentirti
costretto a usarlo, n-non mi offendo! » si affrettò ad aggiungere con
una
risatina nervosa.
« La nostra percezione
delle temperature è
diversa, » bofonchiò quasi a mo’ di scuse, e Retasu annuì, abbassando
poi la
testa, dandosi della sciocca per aver pensato che fosse adorabile e che
un
aggettivo come adorabile potesse essere usato per
descrivere il ragazzo.
Eppure, il suo cuore
continuava a galoppare
impazzito ogni volta che era nei paraggi dell’alieno per più di cinque
minuti.
Cosa per cui si diede ancor di più della stupida, perché non era
cambiato
assolutamente nulla nel loro rapporto, se così lo poteva chiamare.
Erano più di
otto mesi ormai che gli Ikisatashi erano tornati sulla Terra, e non era
riuscita a scalfire la personalità di Pai più di tanto, non riusciva
mai a
capire cosa gli passasse per la testa, o cosa volessero dire quelle
volte che
si tratteneva un po’ di più a parlare con lei. Anzi, tutte le
probabilità
puntavano a dimostrare che non volesse dire un accidenti, che era solo
lei a
farsi delle illusioni, ma non poteva fare a meno di avvertire lo
stomaco
sfarfallarle.
Era un pensiero che la
faceva ridere, ma a
volte avrebbe voluto essere come Kisshu; un po’ più sfrontata e
coraggiosa per
dire le cose esattamente come le pensava (ecco, magari non con
tutta la
franchezza che ci metteva lui a volte). Oppure, capace di mettere
totalmente
una pietra sopra dopo tutto quel tempo, se proprio doveva essere onesta.
Al tempo stesso, però,
un po’ poteva dire
di conoscerli. Ciò che avevano affrontato in passato non era cosa da
tutti i
giorni, e anche ora il loro quotidiano era molto diverso da quello
della gente
normale, era ovvio che si creassero legami profondi anche senza bisogno
di
chissà quale nuovo avvenimento sconvolgente. Era quindi per quello che
sentiva
quella flebile, sciocca, insignificante speranza che dava adito al suo
cuore di
accelerare un po’ di più nonostante lei si imponesse di essere
razionale e
decisa; Pai sembrava non dare mai confidenze a nessuno, passava la
maggior
parte del tempo con Keiichiro e Shirogane e comunque sembravano
sopportarsi a
malapena, girava parecchio alla larga quando loro ragazze si radunavano
a fine
giornata per rilassarsi con qualche chiacchiera frivola, come non
vedesse l’ora
di allontanarsi per richiudersi in un mutismo selettivo.
Che – e lo sfarfallio
alla bocca dello
stomaco si fece più prepotente – evidentemente non includeva lei.
Doveva ammettere che
al maggiore degli
Ikisatashi sembrasse sempre costare moltissimo mettere più di dieci
parole di
fila, però non si era certo sognata quei momenti in cui le si era
mostrato più
aperto, più interessato a ciò che lo circondava, o semplicemente più
disposto a
rimanere. Proprio come in quel momento: non era stata lei a far
continuare una
conversazione che avrebbe potuto benissimo fermarsi al grazie
del passaggio,
buonanotte, di niente, ciao.
Forse era
semplicemente la felicità che
sentiva aleggiare tra i suoi amici ad aver contagiato anche lei, ma…
era
tornato, era lì, in tutti i sensi, e lei non ci
poteva fare nulla se
l’unica reazione che sentiva era il petto in fiamme.
Retasu ebbe un brivido
e fece per aprire la
bocca, ma Pai aveva dovuto interpretarlo erroneamente.
« Hai freddo, » fu una
constatazione più
che una domanda, prima che lei potesse dire qualsiasi cosa, « Meglio
che tu
vada. »
Sentì sgretolare
quella minima sicurezza in
più data dalle circostanze della serata e incassò ancora un po’ di più
le
spalle; non essere mai in grado di guardarlo in faccia a lungo non
sarebbe
stato certo una soluzione.
« Pai-san… » esalò,
gli lanciò un’occhiata
attraverso la nuvoletta di vapore che divenne il suo respiro, agli
occhi ancor
più scuri e quel volto imperscrutabile, « Io volevo… »
Anche nella penombra
della strada poco
trafficata, non si era allontanata abbastanza per mancare il suo
sussulto, ne
aveva quasi percepito lo spostamento d’aria.
« … solo ringraziarti
ancora per averci
accompagnato, » cambiò traiettoria immediatamente, cercando di
sfoggiare il suo
sorriso più convinto, « Immagino che anche tu sarai stanco e avrai
voglia di un
po’ di tranquillità. »
Ancora, l’alieno la
studiò per dei secondi
che le sembrarono troppi per poi annuire: « Di niente. E… buon Natale,
direi. »
Maledetto il suo
dannato cuore.
Retasu sorrise ancora
e si avviò verso
casa, cercando di non inciampare mentre tastava quasi alla cieca nella
borsa
alla ricerca delle chiavi. Guardò da sopra la spalla non appena fu
all’ingresso, e il suo stomaco rotolò di nuovo nel vedere che era
ancora lì, ad
aspettare probabilmente che entrasse. Gli rivolse un cenno con la mano
cui lui
rispose con il fantasma di un sorriso, ed entrò chiudendo piano la
porta.
In un quartiere
decisamente diverso, il
gentile risucchio del teletrasporto rimbalzò quasi inudibile tra le
pareti
bianche di villa Aizawa, l’unico suono all’interno della casa.
« Ugh, » Minto non
riuscì a nascondere la
solita smorfia, il disagio molto più pronunciato con lo stomaco che
faceva dei
turni extra, e lasciò cadere la borsetta a terra, « Perché non possiamo
mai
entrare dalla porta principale? »
« Perché poi mi
mancherebbero le tue
lamentele, tortorella, » la prese in giro Kisshu, poggiando una spalla
contro
lo stipite della porta finestra, « E poi perché altrimenti bisognerebbe
giocare
a rimpiattino per non attirare l’attenzione. »
« Tanto non c’è
nessuno, » rimbrottò cupa
lei, infilandosi nella cabina armadio per riporre scarpe e cappotto. La
tranquillità regalatale dalla compagnia degli amici era scomparsa non
appena il
silenzio della casa le aveva riempito di nuovo le orecchie, ombrandole
di nuovo
lo sguardo.
Allo stesso tempo, le
parole che Kisshu
aveva detto a fine serata le stavano ronzando nella testa, e piegando
con cura
ogni oggetto e riponendolo, lo guardò di soppiatto mentre abbandonava
le
calzature e si avvicinava a mani in tasca.
« Quello che stavi
dicendo prima… »
Kisshu rise sottovoce
con una punta
d’amarezza e la tirò a sé, premendola contro al suo corpo mentre
affondava il
volto nell’incavo del suo collo: « Niente di cui abbia voglia di
parlare ora,
tortorella, non quando preferirei farti compagnia… »
Minto sbuffò, un po’
divertita un po’
ancora scocciata, inclinando appena la testa all’indietro: « Qualunque
cosa tu
abbia in mente, credo sia molto diverso da cosa ho in mente io. »
« Mhm, » replicò lui
in un sussurro, fece
scorrere la punta delle dita lungo le sue braccia nude avvertendo con
soddisfazione la comparsa della pelle d’oca non appena le labbra la
sfiorarono,
« Stavo ovviamente pensando a rimanere vestiti così e andare di là a
guardare
quel vostro aggeggio con le immagini. »
Lei emise un ennesimo
verso indistinto che
doveva somigliare a una risata, cercando di ignorare totalmente i tre
diversi
pensieri che le pesavano sullo sterno: le infantili – veritiere –
insinuazioni
di Ichigo, il prepotente calore che le irradiava dal ventre, e il
subdolo tarlo
di insicurezza che rosicava a tutto spiano.
Spiegare alla sua
migliore amica dalla
famiglia presente e perfetta e dal fidanzato da manuale perché lei
avesse così
paura di buttarsi e soprattutto di cadere non era nemmeno
contemplabile, ancor
più quando faticava ad ammetterlo a sé stessa.
Si lasciò scappare un
sospiro più
tremolante quando Kisshu prese a baciarle il collo con più insistenza,
premendole
un palmo appena sotto l’ombelico per stringerla di più a sé.
Eppure, il suo corpo
sembrava saperne molto
più di lei. Specialmente se il calore che le risaliva dalla pancia,
sprigionandosi
dai punti in cui la pelle combaciava con quella di lui, sembrava capace
di
placare il gelo a cui avrebbe dovuto essere abituata e che invece le
aveva
punzecchiato il petto tutta la giornata.
« Kisshu, » mormorò a
occhi chiusi, più
secca e allusiva di quanto avrebbe voluto, « Non mi piace essere
facilmente
scartabile. »
La girò con le mani
sui fianchi, rivolgendole
uno sguardo a metà tra il divertito e il significativo, una punta di
malizia
negli occhi dorati: « Ho sempre detto svestire, tortorella,
non scartare.
»
La mora non fece in
tempo a ribattere che
Kisshu la baciò, stringendola e smorzando il suo sbuffo contro le
labbra. Trovava
insopportabile questo suo vizio di terminare in maniera così fisica
un
discorso appena accennato, così come si disperava dallo stato in cui le
conciava i capelli con quella sua abitudine di infilarci le dita,
prenderle la
nuca per portarla ancora di più contro di sé, eppure in quel momento ne
fu
quasi grata, grata della differenza di altezza che lo costrinse ad
arcuarsi e
darle ancora più calore.
Non avrebbe più potuto
tirarsi indietro,
non quella sera.
Ovviamente, Kisshu non
aveva infilato la
camicia nei pantaloni come avrebbe voluto l’eleganza – era già tanto
che si
fosse messo qualcosa di diverso da una t-shirt leggera – ma ciò
significò anche
che lei riuscì a sgusciarvi sotto le dita con facilità. Qualche
secondo, forse
troppo pochi da chiedersi esattamente come, e finì
sul pavimento del suo
armadio; un altro mezzo respiro, e Minto sentì la schiena premere
contro al
materasso.
« Pensavo non fosse
questo ciò che aveva in
mente, chérie, » la prese in giro sottovoce Kisshu,
lanciandole
un’occhiata furbesca mentre si spostava di nuovo lungo il suo collo.
Gli occhi color caffè
lo fulminarono,
ancora alterati nonostante tutto: « Non sono una distrazione, né un
giochino. »
Lui si fermò un
istante, esalò e le afferrò
con brusca premura entrambi i polsi, bloccandole le braccia sopra la
testa
mentre sorrideva, un guizzo divertito nelle iridi dorate: « Non so se
hai
notato, ma io ho una soglia dell’attenzione molto bassa,
» le mormorò,
facendo vibrare appena la bocca contro la sua, « E se la mia attenzione
è
ancora tutta qui dopo tutto questo tempo… »
Lei sbuffò in tutta
risposta, ancora poco
contenta: « Ikisatashi, vedi di non fare il cretino. »
Kisshu ghignò ancora
di più, trattenendole
i polsi con una mano sola così che l’altra potesse sgusciare sotto il
vestito:
« Fidati, tortorella, » disse in un sussurro roco, « Ho intenzione di
farti
tutt’altro. »
L’unica fonte di luce
filtrava dalla porta
del bagno principale lasciata socchiusa, così come l’unico rumore
percepito,
oltre al lontano sottofondo di automobili, era lo scorrere dell’acqua
del
rubinetto. Zakuro si sciacquò il viso un paio di volte e bevve un
sorso,
portandosi le mani a coppa fino alla bocca.
Era tornata a casa
dalla funzione a notte
inoltrata, grata del silenzio che avvolgeva la città e soprattutto il
suo
appartamento. Si era concessa un’altra tisana bollente, per riscaldare
le
membra intirizzite e sciogliere ancora di più il peso sullo stomaco;
non si era
aspettata, dopotutto, di avere compagnia anche quella notte, e si era
quasi già
infilata tra le lenzuola quando il soffio del teletrasporto l’aveva
distratta.
Pai era nella stessa
posizione in cui
l’aveva lasciato, steso supino con un braccio dietro la schiena; non
rimaneva
mai a dormire, ma succedeva che si intrattenesse un po’ più a lungo del
dovuto,
a volte, senza che dovessero per forza raccontarsi a vicenda cosa gli
stesse
passando per la testa.
Solo, forse, per far
continuare ancora un
po’ l’illusione che non provassero tutta quella solitudine.
Ritornò in silenzio in
camera e raccolse la
camicia da notte di seta dai piedi del letto, infilandosela con un
fruscio
elegante.
« Non pensavo tu fossi
religiosa. »
Zakuro non aveva
previsto quelle parole, ma
non lo diede a vedere: « Ti dà fastidio? »
« No, » rispose sicuro
lui, continuando a
fissare il soffitto, « Solo che non sembra entrarci molto con il tuo
carattere.
»
Il commento la punse
più sul vivo di quanto
si fosse aspettata; ma d’altronde come poteva stupirsi, quando il
dialogo non
era sicuramente uno dei loro punti di forza?
Scivolò sotto le
coperte, lasciando i
soliti centimetri di distanza tra di loro perché nessuno dei due
cercava
carezze o contatto dopo aver soddisfatto la voglia, e non c’era bisogno
di
fingere altrimenti.
« Mi dona
tranquillità, » rispose
solamente, un po’ irritata dalla necessità di doversi giustificare in
qualche
maniera, « E conforto, sapere che c’è qualcuno a cui rivolgermi sempre.
»
Pai non rispose, ma
lei sapeva che non la
stava minimante giudicando; la sua mente razionale e scientifica stava
probabilmente solo cercando di mettere insieme i vari pezzi, e lei era
conscia
che potesse benissimo comprendere il sentimento, visti i trascorsi.
« Non ti mancano
persone fisiche a cui
poter fare affidamento, no? » il profilo affilato dell’alieno
continuava ad
essere rivolto verso l’alto, « Siete tutti molto affiatati, tra di voi.
»
« Certo. Ma ci sono
cose che preferisco non
raccontare neanche alle ragazze. »
Un esempio, si ritrovò
a pensare con una
punta di ironia.
Pai fece un muto verso
di assenso, poi
esalò brusco e piegò un ginocchio, il suo primo movimento dopo tutti
quei
minuti.
« Il vostro essere
così gregari è
affascinante e al tempo stesso irritante. Da quando siamo qui, vi
sarete
scambiati regali almeno cinque volte, ed ogni volta lo fate percepire
come…
incredibilmente importante e significativo. »
Zakuro non dovette
seguire il suo sguardo
per capire che puntava alla pila di vestiti per terra e al berretto che
spuntava da una tasca. Né dovette pensarci molto per capire perché il
suo
stomaco si contorcesse in quella maniera.
Quando Pai l’aveva
baciata la prima volta,
quel pomeriggio nel laboratorio del Caffè, non si era fatta troppe
domande; non
era solita farlo di principio, e ne aveva già affrontate abbastanza per
sapere
che se voleva qualcosa, doveva prendersela. Pochi erano i favori
concessi dalla
vita, il resto bisognava guadagnarselo, nella sfera professionale come
in
quella privata.
Al contempo, non era
certo una stupida. Non
era nella sua indole costruirsi castelli in aria, anzi, la sua
razionalità a
volte sfociava in un pessimistico realismo che lasciava poco spazio a
sciocchi
sogni tinti di rosa o vane speranze. Non era partita con l’intenzione
che quello
sarebbe continuato a lungo, o si sarebbe evoluto in qualcosa di
diverso, né le
era sembrato che la controparte avesse intenzioni differenti. Erano
adulti
entrambi, probabilmente molto più adulti di quanto lo fossero
anagraficamente,
ed erano capaci di perdersi l’uno nell’altra per qualche ora senza
davvero
perdere di vista la loro strada.
Ma non era certo
cieca, o insensibile.
Egoista, forse, a volte sì, per il suo spiccato senso di sopravvivenza.
Però
prendere in giro – ed essere presa in giro – non figuravano nel suo
modo di
essere.
« Specialmente alcune
di noi, » gli mormorò
in risposta.
Il fruscio delle
lenzuola tradì la
distaccata rigidità dell’alieno, che parlò a bassa voce dopo un
lunghissimo
attimo.
« Io sono un soldato,
» lo disse quasi con
costernazione, « Uno scienziato, sì, ma prima di tutto un soldato. Ciò
non è
cambiato con i nostri trascorsi o con la situazione attuale. Non può
cambiare.
E in quanto tale, le cose che ho fatto, ciò che io sono… avranno sempre
un
peso. »
Zakuro non riuscì a
evitare di girare il
viso verso di lui, che però persisteva a fissare il soffitto scuro.
« Un peso che non può
essere condiviso con
qualcuno di… fragile o sensibile. »
Lei si voltò
completamente su un lato,
poggiando il viso ad una mano: « Non è sempre necessario dover
scaricare i pesi
su qualcun altro. A volte si alleggeriscono da soli, passando il tempo
con le
persone giuste. »
« Lo dici perché per
te è molto simile, »
pronunciò Pai quasi tra i denti, « Ma non sono tutti come te. »
« Quindi, » la modella
calibrò le parole,
continuando a scrutare il suo profilo, « Siccome mi ritieni così…
tenace,
allora va bene? »
Solo in quel momento
l’alieno si voltò per
osservarla, i suoi lineamenti ancora più induriti dalla penombra: « Se
ferissero… se io ti ferissi, » scandì lento, come se le stesse dicendo
una
verità assodata e qualcosa di cui andar fiera, « Tu reagiresti senza
spezzarti.
»
« Mhm, » Zakuro emise
uno sbuffò
sarcastico, guardandolo da sotto la frangetta, « E pensi che questa tua
convinzione sia una scusa valida? »
Pai non rispose.
Ritornò a fissare il
soffitto con un respiro pesante, e dopo un po’, anche lei si stese
nuovamente,
volgendo lo sguardo nella stessa direzione.
Nessuno dei due parlò
più, e Zakuro si
addormentò ben dopo aver udito il fruscio dei vestiti raccolti e il
soffio del
teletrasporto.
§§§
« Ecco fatto, cara, » Sakura
piegò con cura
la copertina rosso-arancio lavorata ai ferri da Retasu e la poggiò sul
bracciolo della poltrona all’angolo, « Quando hai detto che arriverà la
cassettiera? »
Ichigo si stiracchiò
la schiena,
intorpidita dal peso della pancia di sei mesi, e sospirò un po’
afflitta: « Non
prima di tre settimane, purtroppo. »
« Hai ancora più di
due mesi di tempo, non
preoccuparti, » la madre le si avvicinò e le fece una carezza sulla
guancia, «
E a parte i mobili, la cameretta è già finita, no? »
La rossa si guardò
intorno nell’ampia
stanzetta dai muri di un caldo color crema di cui la salopette che
indossava
mostrava macchiette ovunque, vista la sua poca esperienza con pennelli
e
vernici. Il risultato finale, però, la soddisfaceva tantissimo, il
colore era
luminoso e morbido al tempo stesso e sapeva che sarebbe stata perfetta
per il
piccolino che le era rotolato nella pancia per tutto il tempo in cui
avevano
dipinto i muri, come a dare la sua approvazione (Shirogane aveva
ovviamente fatto
la maggior parte del lavoro, cacciandola dalla stanza ad un certo punto
menzionando i rischi seppur minimi delle vernici, ma erano dettagli).
Ichigo
l’adorava, e non vedeva l’ora che i mobili scelti la riempissero per
darle
davvero l’idea di un nido perfetto.
Adorava tutta quella
casa, in realtà; era
quasi rimasta ammutolita quando Ryou l’aveva accompagnata a vederla per
la
prima volta, poco prima che vi si trasferissero effettivamente. Lui le
aveva
raccontato che originariamente era appartenuta alla famiglia di suo
padre, e
non vi avevano mai passato troppo tempo durante la sua infanzia,
preferendo
rimanere negli Stati Uniti; anche dopo la morte dei suoi genitori,
Keiichiro
aveva ritenuto più saggio non tornare ad abitarvi, così la casa era
rimasta chiusa
parecchio negli ultimi quindici anni. E, anche se così non fosse stato,
Ichigo
sospettava che Ryou avrebbe comunque compiuto una ristrutturazione
nell’eventuale ipotesi di riutilizzarla, da una parte per rimodellarla
e
dall’altra per camuffare un po’ di più ricordi dolorosi del passato.
Così, la casa era
stata quasi completamente
vuota quando vi aveva messo piede la prima volta, e lei si era
divertita a
correre da una stanza all’altra per esplorare come una bambina al
lunapark.
Ryou l’aveva seguita
molto più lentamente,
con un sorriso abbozzato e le mani dentro le tasche del giubbotto; al
terzo
passaggio nel grande salone del primo piano, si era appoggiato con una
spalla
al muro e l’aveva guardata divertito: « Allora, che vuoi farci? »
Ed in effetti, le
aveva quasi dato carta
bianca: Ichigo si era sbizzarrita a scegliere i mobili e come disporli
(l’unico
veto su colori non troppo sgargianti come il suo caratteristico rosa),
a
cercare davvero di renderla casa loro, come le
ripeteva il biondo ogni
giorno quando lei gli proponeva le sue opzioni così che lui potesse
contribuire
a quella finale; era anche riuscita a strappare un armadio enorme per
la loro
camera da letto e una vasca per il bagno principale a occhio e croce il
doppio
di quella a casa dei suoi.
« Whatever
makes you happy, ginger, »
era il leitmotiv che si era sentita ripetere in quei mesi, e ora aveva
davvero
una casa da sogno.
Ichigo avvertì il
solito disagio
all’altezza dello sterno, e fece una smorfia che non passò inosservata
a
Sakura.
« Tutto okay, tesoro? »
Lei annuì poco
convinta ed esalò piano,
accarezzandosi lenta la pancia prima di decidersi a parlare: « Mamma…
posso
chiederti una cosa? »
« Ma certo, bambina
mia, tutto quello che
vuoi. »
Sakura la seguì un po’
preoccupata in
camera da letto, sedendosi con lei sul materasso.
« A volte mi sento un
po’… poco, » mormorò
dopo qualche istante la rossa, fissando il pavimento mentre cercava le
parole,
« E ho… paura che Ryou si senta in colpa per quello che è successo e…
lui è
fantastico, insomma, guarda tutto questo! Mentre io non posso… dargli
altrettanto, e… e… e poi mi sento in colpa io. »
Sakura la guardò con
affetto e le strinse
una mano, usando il suo palmo libero per accarezzarle i capelli: « Non
posso
parlare a nome di Shirogane-san, né pretendo di conoscere tutti i
dettagli del
suo passato, ma Ichigo cara… io non credo affatto che lui cerchi da te
qualcosa
di materiale, né che tu debba sentirti inadeguata, » si piegò appena in
avanti
per cercare di incontrare gli occhi della figlia, « Tutto quello che
devi
dimostrare a Shirogane-san è quanto ci tieni a lui. Quanto vi amate, a
prescindere da ciò che avete o meno. Non l’ameresti certo di meno se
foste
rimasti nel tuo appartamento. »
A quelle parole,
Ichigo aveva iniziato a
colorarsi pian piano in viso in una maniera tale che fu difficile per
Sakura
non ridere del suo imbarazzo.
« E soprattutto,
tesoro, non dimenticarti
la cosa più importante. Tu stai dando a Shirogane-san una famiglia, una
che sia
davvero sua. Sì, forse ci ha preso tutti alla sprovvista e lui vuole
essere
sicuro che tu sia felice, ma non devi preoccuparti di eguagliarlo in
qualche
maniera. Devi solo dimostrargli che sei, effettivamente, felice e
quanto ci
tieni a lui. L’onestà ha molto più valore. Anche se ovviamente io e
papà siamo
molto contenti che si possa prendere cura di te. »
Ichigo sospirò e si
poggiò alla spalla
della madre, respirandone il profumo rassicurante.
« Dici che ce la
caveremo? »
Sakura le circondò le
spalle con un braccio
e la strinse: « Credo che sarete bravissimi. »
Ichigo si concesse
qualche altro minuto di
coccole, poi sospirò pesantemente, controllando l’ora sulla sveglia del
comodino.
« Mi devo cambiare, »
mugugnò, « Ho
promesso che sarei andata al corso di yoga prenatale almeno due volte a
settimana,
e - »
Profeticamente,
udirono la porta d’ingresso
aprirsi e poi la voce di Ryou che chiamava: « Ehi, ginger!
»
« Sono di sopra con
mamma! »
Le due donne si
scambiarono un’occhiata
divertita, Ichigo si tirò in piedi con un altro sospiro e si avvicinò
all’armadio: « Spero che non sarà così puntuale… »
Sakura nascose un
sorrisetto, alzandosi e
uscendo in corridoio per andare in contro all’americano che stava
salendo le
scale in quel momento.
« Buongiorno,
Momomiya-san, » le rivolse un
cenno con la testa e un abbozzo di sorriso, « Immagino che non sia
ancora
pronta, vero? »
« Shirogane! Non
parlare male di me! »
La signora Momomiya
rise un po’ più decisa,
la somiglianza con la figlia quasi esagerata in quel momento: «
Chiamami pure
Sakura, caro. Ichigo stava giusto per cambiarsi. »
« Siamo in due ora, ci
vuole tempo, » la
testa rossa spuntò dall’uscio, lanciando un’occhiata in cagnesco al
ragazzo, «
E comunque sei in anticipo. »
« Lo sai che se fossi
arrivato in orario,
saremmo stati ancora più in ritardo, » la prese in giro dolcemente, « E
lo sai
che ho promesso a Zakuro di andarla a salvare dalla riunione con la
stampa. »
Gli occhi della
fidanzata brillarono furbi:
« Hai trovato qualcuno da presentarle? »
« No, e non ti
impicciare e soprattutto non
impicciare me, è già abbastanza pericoloso proporle
la cosa. Forza,
preparati! »
Ichigo rispose solo
con una linguaccia e si
chiuse la porta alle spalle per infilarsi negli abiti da yoga più
comodi che
avesse, e Ryou sbuffò e si voltò verso Sakura: « Vuole un passaggio in
auto,
Momomiya-san? »
« Sakura, » insistette
lei con un sorriso, «
Ti ringrazio molto, caro, ma al contrario della mia bambina io adoro
passeggiare. Abbiamo sistemato la cameretta tutta mattina, mi farà bene
sgranchirmi un po’ le gambe. »
Gli occhi azzurri
saettarono un secondo
verso la porta chiusa: « Non si è… non vi siete affaticate troppo,
vero? »
« No, non
preoccuparti, » l’espressione
morbida della donna si addolcì ancora di più e dovette controllare il
suo
sorriso, non volendo né farlo pensare che lo stesse prendendo in giro,
né
metterlo a disagio, « Sai, pensavo… siete cambiati molto da quando
venivi a
darle ripetizioni, non trovi? »
Ryou si stupì un poco
di quella domanda;
avrebbe voluto rispondere che sì, certe cose erano cambiate, in una
maniera in
cui non avrebbe nemmeno mai potuto sperare, mentre altre, ironicamente,
erano
rimaste sempre le stesse, ma lo scintillio nello sguardo color
cioccolato gli
fece capire che forse non aveva davvero motivo di spiegare alcunché.
« Già, » si limitò a
rispondere con un
accenno di sorriso, « Abbastanza. »
Sakura continuò a
sorridergli, allungando
giusto un braccio per posargli leggera la mano sul gomito in un segno
di
complicità e affetto.
« Okay, sono pronta, »
Ichigo uscì dopo
pochi istanti, un borsone da palestra poggiato sulla spalla e il
broncio sulle
labbra, « Devo proprio? »
L’americano le prese
la borsa e le
picchiettò furtivamente il naso: « Devo ricordarti che è stata una tua
idea? »
« E io devo smetterla
di condividerle con
te. Poi non è giusto, tu vai a pranzo, io a sudare. »
« Io vado
in palestra tutti i
pomeriggi. »
Sakura gli si accodò
lungo le scale,
sorridendo sotto i baffi per i loro battibecchi innocenti, non potendo
non
avvertire il cuore gonfiarsi d’affetto nel constatare le occhiate che i
due,
pur fingendo di bisticciare, si lanciavano a vicenda.
Chissà
perché mi suona così familiare.
« Immagino che questa
sia una missione
segreta. »
« Non farmi pentire di
averti chiesto di
accompagnarmi, » Ryou lanciò un’occhiataccia persistente a Zakuro,
accanto a
lui con un paio di grossi occhiali da sole e un Fedora a tesa larga.
Aveva sì
detto correttamente a Ichigo che avrebbe passato l’ora di pranzo con
Zakuro;
era stato un po’ meno ligio nei particolari del dove, del come, e del
perché.
La modella gli rivolse
solo un mezzo
sorriso, facendo un gesto di saluto a un commesso mentre si
avvicinavano a una
teca espositiva: « Posso almeno avere un’anticipazione di quando
prepararmi a
essere sorpresa? »
Di nuovo, gli occhi
azzurri le si rivolsero
irritati: « Hai ancora tempo per esercitare le tue espressioni, don’t
worry.
»
« Se non ti
conoscessi, direi che sei
nervoso, » continuò a prenderlo in giro Zakuro, picchiettando un dito
contro al
vetro.
« Come se non sapessi
che mi hai messo la
pulce nell’orecchio a Natale apposta. »
« Io ho solo fatto una
domanda molto
razionale. »
« Tu dovresti fare la
talpa per me. »
La modella alzò un
sopracciglio: « Quando
mai. Non tradirei la fiducia delle ragazze nemmeno per te, se mi
facessero
confidenze specifiche. »
« Mmmhm, » Ryou la
guardò pungente, « Se lo
dici tu. »
Zakuro si bloccò con
le mani in tasca,
studiandolo per qualche secondo: « Cosa staresti insinuando? »
L’americano ponderò
bene sulle parole da
dire, mascherando il suo ragionamento con la necessità di attirare
l’attenzione
di un commesso e scambiandosi con lui un paio di cenni di
riconoscimento.
« Che un giorno o
l’altro mi dovrete
spiegare cosa ci trovate tutte in quei due. »
Pur senza guardarla,
poté percepire con
estrema chiarezza il modo in cui Zakuro si tese d’un tratto,
continuando a
studiarlo come se in realtà lo stesse sfidando a parlar chiaro.
« Non ne ho parlato
con nessuno, tantomeno
Ichigo, né lo sa qualcuno. Per quanto credo io, almeno, » si affrettò
ad
aggiungere, guardandola di sottecchi, « Ma ti conosco più di quanto ti
piaccia
ammettere. »
Gli occhi indaco
divennero due glaciali
fessure dietro gli occhiali: « Stai continuando ad evitare di andare al
sodo. »
Ryou sbuffò, già quasi
rimangiatosi del
tutto la decisione di affrontare il discorso; perché non aveva
applicato la sua
bellissima, sicurissima filosofia del farsi i fatti propri?
« Listen, I
don’t give a shit who you
sleep with, » le disse a voce più bassa e cambiando idioma
per evitare
qualsiasi tipo di origliata, « Però non elevarti a paladina della
giustizia
quando sappiamo entrambi benissimo che qualcun altro
ha i tuoi stessi…
interessi. »
Se le occhiatacce
avessero potuto uccidere,
Shirogane sarebbe salpato da un pezzo verso l’oltretomba. Zakuro quasi
non si
mosse, esalando solo molto lentamente.
« Continuo a non
vedere come siano affari
tuoi. »
« Non lo sono, è vero.
Lo diventano nel
momento in cui una di voi due ci rimarrà male, e lo sai benissimo cosa
succederà, ci saremo tirati tutti dentro. Né tantomeno voglio che vi
facciate
del male. »
« Tu hai mai
affrontato il discorso con
Retasu, quando aveva una cotta per te e tu non ti toglievi Ichigo dalla
testa? »
visto che l’Americano rimase zitto a contemplare le vetrine, Zakuro
incalzò, «
Allora non venirmi a fare la predica su come sia giusto comunicare o se
sia
necessario farlo o meno. »
Contro il suo
buonsenso, Ryou ricominciò
dopo pochi istanti: « Tu però sei molto più leale di me, Zakuro. E lo
sai. »
« Se l’hai inteso come
un complimento,
faceva abbastanza schifo. »
S’interruppero quando
finalmente il
commesso chiamato da Shirogane riapparve dal retro con in mano un
piccolo
vassoio di velluto rosso, che gli piazzò elegantemente sotto al naso.
« Essenziale. »
Shirogane accettò la
frecciatina ironica,
sollevato solo dal vedere un mezzo sorriso sulle labbra di lei e
replicando
però con un’occhiataccia.
« … non va bene? »
Zakuro – in fondo, ma
non troppo – gongolò
un istante della sua insicurezza, visto lo scoppio precedente, ma poi
gli
concesse un sorriso più convinto: « Credo sarà molto contenta. È Ichigo
al
punto giusto. »
Ryou annuì e osservò
ancora un secondo il
vassoio, poi fece un cenno al commesso, che sparì nuovamente sul retro.
La modella si
allontanò, vagabondando
all’interno del negozio mentre ascoltava distratta l’amico che parlava
con
quello che sembrava il proprietario; dopo qualche altro minuto di
confabulazione, il commesso ritornò con un elegante pacchettino
sormontato da
un fiocco dorato, che Ryou si affrettò a infilare nella tasca della
giacca prima
di salutare nuovamente e voltarsi verso di lei per indicarle l’uscita.
Il rumore della città
in quella giornata
soleggiata li investì prepotentemente, e Zakuro abbassò d’istinto il
viso,
nonostante il camuffamento.
« È quasi ora che la
vada a riprendere, »
borbottò il biondo, consultando l’orologio al polso, « Vuoi uno strappo
da
qualche parte? »
« L’autista mi sta
aspettando all’angolo
del prossimo isolato, » la mora accennò divertita verso la tasca
dell’americano, « San Valentino? »
Ryou le lanciò
un’occhiataccia mentre si avviava
insieme a lei, esalando: « Potresti smettere di insinuare che io sia
così
banale e prevedibile? »
« Forse così smettiamo
di insinuare a
prescindere. »
Lui sbuffò poco
convinto, ma colpito nel
segno, e si fermò di nuovo: « È così difficile accettare che io mi
possa
preoccupare per voi? Soprattutto quando le cose diventano più…
complicate. »
Zakuro continuò a
camminare lenta, in
silenzio; non le piaceva quando chiunque si impicciava dei fatti suoi –
tantomeno Shirogane, che per quanto potesse dire, lei sapeva essere
mosso anche
da una certa avversione verso certi soggetti – né che la compatissero
in
qualche maniera, eppure per certi aspetti era rinfrancate sapere che
esisteva qualcuno
che non la ritenesse completamente stoica e infrangibile. Seppur
impiccione, e
a volte così ipocrita, visto il muro che era solito ergere attorno ai
suoi, di
fatti.
« Sono grande e
vaccinata, » rispose alla
fine, guardandolo appena da sopra la spalla, « Quando e se avrò bisogno
dei
tuoi consigli, sarò la prima a chiedere. Nel frattempo, puoi stare
tranquillo. »
Ryou avrebbe tanto
voluto rispondere che stare
tranquillo era un’espressione che aveva cancellato dal suo
vocabolario sin
da quando il suo bell’esperimento aveva iniettato DNA di animali in via
di
estinzione a quelle cinque, ma decise che era giunto il momento di
chiudere la
bocca, e si incamminò dietro di lei.
§§§
Kisshu non avrebbe mai pensato
di vedere il
Caffè più rosa di quanto già non fosse, ma quando scese le scale quella
mattina
capì di essersi sbagliato: il locale era letteralmente invaso da più
sfumature
di rosa e rosso di quante potesse riconoscerne. Sbatté le palpebre un
paio di
volte, quasi accecato da tutti i cuoricini volanti che vedeva piovere
dalle
cameriere.
Possibile che quel
posto fosse sempre un
tale circo?
« Buongiorno, Kisshu
nii-san! »
« Scimmietta… » Purin
apparve dalla
dispensa al piano inferiore con in mano un cesto pieno di fiocchi e
nastri
rossi, e lui la seguì in cucina un po’ confuso, « Ho la netta
sensazione di
starmi perdendo qualcosa. »
La biondina rise e
lasciò cadere
pesantemente il cesto sul tavolo al centro.
« Oggi è San
Valentino. La festa degli
innamorati, » aggiunse un po’ sarcastica, notando come la spiegazione
non fosse
sufficiente, « Ecco perché i cuori e i fiocchi, e ancora più rosa del
solito.
Per noi è sempre un successone, un sacco di gente viene qui per degli
appuntamenti romantici. »
« Avete un giorno per
festeggiare l’amore? »
domandò l’alieno, incuriosito e leggermente ironico, giocherellando con
uno dei
fiocchi.
Purin si strinse nelle
spalle: « Succede in
tutto il mondo. Le coppie si scambiano regali, hanno appuntamenti
speciali ed
eleganti, fiori e cioccolatini ovunque. In Giappone in realtà la
tradizione
vuole che siano le ragazze a regalare la cioccolata ai loro fidanzati,
ancora
meglio se fatta in casa. Domani vedrai quanto andranno giù i prezzi, »
commentò
poi divertita.
Kisshu scosse solo la
testa, occhieggiando
interessato Keiichiro che si univa a loro con una notevole quantità di
burro in
mano.
« Poi dite che quello
strano sono io. »
Il pasticcere rise
sottovoce mentre
riprendeva a dedicarsi alle sue creazioni: « Credo che per una volta tu
e
Ryou-kun potreste trovarvi d’accordo su un argomento. »
« Basta non ricordarlo
a Ichigo nee-san, »
Purin ghignò maligna, « Direi che è la sua festività preferita, no
Akasaka-san?
Non ricordo di averla mai vista lavorare un San Valentino, veniva solo
per
usare la cucina e darsi alle creazioni di cioccolatini. »
« Credo che per
quest’anno si tratterrà, »
commentò dolcemente Keiichiro, « Ha solo ordinato una piccola torta per
due. »
« Tra un po’ farà
fatica a vedere il
bancone sicuro. »
Purin e Kisshu si
scambiarono una risatina
mentre il moro li redarguiva con uno sguardo d’affetto.
« Buongiorno! » Minto
spuntò in cucina
dalla porta laterale trascinandosi dietro una voluminosa busta
traboccante di
pacchettini, « Il primo carico è arrivato. »
« Sììì! » Purin quasi
vi si lanciò sopra, «
Il lavoro della onee-sama è fantastico. »
« Fujiwara-san riceve
sempre tantissimi
regali dai suoi fan, e San Valentino non fa eccezione, » spiegò
Keiichiro,
spostando la borsa sul tavolo, « Per non sprecare nulla, Minto-chan ce
li
porta. Un po’ ce li dividiamo tra di noi, ma se troviamo cioccolata di
buona
qualità possiamo anche riutilizzarla. »
« L’ufficio della sua
manager diventa una
specie di giungla, tra tutti i fiori che le mandano, » sospirò la mora,
« Ora
vado, ho l’auto che mi aspetta, ma ci vediamo dopo per il secondo giro,
d’accordo? Ne porto un po’ a voi e un po’ alle bambine. »
Kisshu sorrise sotto i
baffi mentre seguiva
discreto Minto in corridoio, dopo i saluti di Purin e Keiichiro. Da
almeno un
annetto, infatti, la mora aveva iniziato a insegnare danza, un paio di
giorni a
settimana, alle bimbe più piccole della scuola associata al suo vecchio
teatro,
catturata dalla richiesta del suo vecchio direttore artistico. In
quegli ultimi
mesi lui si era intrufolato un paio di volte nella scuola per andarla a
prendere, in anticipo solo per il gusto di spiarla di nascosto mentre
girava
tra le bimbette, che più che imparare a ballare iniziavano ad
interagire con la
musica e i loro corpi, con sempre sul volto uno di quei rari sorrisi
sinceri
che incominciavano a fargli ronzare piacevolmente il ventre.
« E per me non hai
portato niente? » le
domandò irriverente mentre l’accompagnava verso l’uscita sul retro, con
le
braccia incrociate dietro la schiena.
Lei lo guardò di
sbieco da sotto in su: «
L’enorme busta che c’è in cucina forse non ti basta? E poi ti strafoghi
già
abbastanza. »
« Sì ma quella è per
tutti, » si lamentò
ironicamente lui, « Credevo ci dovesse essere qualcosa di speciale! »
Individuò subito la
maniera in cui la
schiena della mora s’irrigidì come se l’avessero tirata con un filo: «
Perché
mai? »
« Purin mi ha spiegato
come funziona, sai,
» Kisshu approfittò dell’aprirle la porta per avvicinare il volto al
suo, un
po’ birbante nel suo prenderla in giro, « A quanto pare, le ragazze
devono
portare la cioccolata ai loro ragazzi. »
Minto esitò solo un
istante mentre usciva,
poi lo guardò da sopra la spalla, un sopracciglio ben arcuato: « … e
dunque? »
Il verde ghignò
furbescamente: « Così mi
spezzi il cuore, tortorella. Stai dicendo che non sei la mia ragazza? »
Sotto sotto, ammirò la
forza d’animo che la
mora dimostrò nel non arrossire più del velato rosa che le colorò le
guance,
visto che il suo udito fine catturò con chiarezza il suo trattenere
appena il
respiro.
« Sto dicendo che io
non faccio certo le
cose banali che fanno tutti, » esclamò poi infine, altezzosa e fiera
come
sempre, « Se volevi qualcuno di così prevedibile, hai proprio sbagliato
mira. »
Kisshu rise e la
raggiunse prima che lei
potesse rifugiarsi in auto, approfittando del fatto che non ci fosse
quasi
nessuno attorno a loro per lasciarle un bacetto sul naso.
« Ti vengo a prendere
a teatro, okay? Ma
non cambiarti, lo sai che il costumino da ballo mi piace. »
Minto si sforzò di
alzare gli occhi al
cielo e ignorare il rombo della pancia al tono di voce più basso: «
Irreprensibile. »
Aspettò che fosse
entrata in macchina prima
di ritornare fischiettando dentro al Caffè. Appena varcato l’uscio,
notò la
chioma verde di Retasu uscire baldanzosa dallo spogliatoio, poi
fermarsi a
circa cinque passi da esso, esitare qualche istante, e infine marciare
di nuovo
indietro a testa bassa, un pacchettino dorato stretto tra le mani.
Kisshu represse un
sorrisetto intenerito a
vederla; non aveva chiesto dettagli, ovviamente, né aveva tutta questa
voglia
di saperli, ma era ben conscio che suo fratello fosse stato la solita
testa di
rapa negli ultimi mesi.
« Farei
d’ambasciatore, pesciolina, ma non
credo sia il caso. »
Retasu sussultò
visibilmente, portandosi
una mano al cuore e arrossendo parecchio quando lo riconobbe: «
Kisshu-san! No,
ecco… io… era solo così… »
Lui la raggiunse in
tre falcate e le fece
l’occhiolino, picchiettandole appena la fronte con l’indice: « Su, su,
non c’è bisogno
di avere un infarto. È una festa, no? »
« G-già… » mantenendo
lo stesso colorito,
la ragazza abbassò la testa e lo osservò da sotto in su, gli occhioni
blu
ancora più grandi dietro le lenti, « T-tu pensi c-che… »
Se avesse potuto,
Kisshu l’avrebbe scossa
per le spalle per infonderle un po’ di coraggio. O alternativamente, e
forse
un’idea migliore, avrebbe dovuto scuotere quell’imbecille di Pai. Si
limitò
invece a continuare a sorriderle, il più sinceramente possibile: «
Cincischiare
qui con me non sarà certo di aiuto. Ma ehi, io la tua cioccolata
l’accetterei
più che volentieri. »
Dapprima Retasu annuì
contenta, poi quasi
si soffocò nel realizzare che il verde, come suo solito, aveva condito
il tutto
da un’aria maliziosa che lei proprio non riusciva a digerire. E per
fortuna che
non c’era Minto nei paraggi.
« Kisshu-san! »
Lui ridacchiò ancora,
le diede un altro
buffetto sulla testa, e si dileguò fischiettando al piano di sopra, le
braccia
incrociate dietro la nuca.
Retasu prese un
respiro profondo e, con
passi estremamente lenti, raggiunse l’inizio delle scale che portavano
al
laboratorio. Le sembrarono ancora più buie del solito, o forse era
semplicemente il battere furibondo del suo cuore che le oscurava la
vista.
Anche i rumori festosi e più allegri che mai del Caffè erano
affievoliti, alle
sue orecchie ronzanti. Si diede della stupida; Kisshu aveva ragione,
no, non
era altro che una sciocca festività comandata e lei aveva soltanto
pensato di
fare un gesto carino. Così come era successo per tutte le altre feste
dal loro
ritorno, per farli sentire parte del gruppo… giusto?
Come
no.
Prese un’altra boccata
d’aria, meditando
seriamente di filarsela nuovamente in spogliatoio e mollare quella
cioccolata a
Purin, che di certo l’avrebbe apprezzata moltissimo. Invece raddrizzò
le
spalle, strinse la presa sul pacchetto, e quasi volò giù dalle scale,
rischiando tra l’altro di inciampare nell’ultimo gradino e finire la
corsa
lunga distesa col naso per terra.
Si impose di darsi un
contegno, pregò di
non svenire visto che il suo cuore le bloccava il petto e la corretta
inalazione d’aria, e poi bussò piano alla porta del laboratorio.
Visto il tempo che
passavano chiusi lì
sotto e la quantità di spuntini e bevande consumate – soprattutto da
uno di loro
– Keiichiro aveva installato un sistema automatico di sblocco della
porta
controllato da un pulsante, videocamera inclusa, così che nessuno
dovesse
fisicamente alzarsi o abbandonare per cinque secondi i preziosissimi
calcoli
che scorrevano davanti allo schermo. Retasu trovò quindi Pai seduto
alla
scrivania quando, una volta udito il bip e lo
schiocco della serratura, aprì
uno spiraglio largo abbastanza per farci passare la testa;
immediatamente si
sentì in preda al panico, lui stava ancora lavorando, cosa poteva
interessargli
delle sue sciocchezze?
« Ti… ti disturbo,
Pai-san? »
L’alieno distolse gli
occhi dal monitor per
una frazione di secondo: « No, sto solo finendo di controllare dei
dati. »
Lei zampettò dentro,
titubante e come
sempre avvezza ma a disagio dalla brevità e dai modi bruschi del
ragazzo. Con
la coda dell’occhio, notò sull’attaccapanni il berretto che gli aveva
confezionato per Natale, e sebbene sapesse che gli serviva più a
nascondere le
orecchie che a contrastare il freddo, quando si avventurava fuori dal
laboratorio, non poté impedire la capriola del suo stomaco. Non che ci
fosse
stata chissà quale novità dalla loro conversazione quella sera, si
ricordò;
anzi, una parte di lei aveva pensato che lui si fosse in qualche
maniera
ritratto più del solito, e che quella era stata in realtà la loro
ultima, vera
conversazione intera. Sì, avevano parlato nei mesi successivi, ma erano
stati
scambi ancor più brevi di parole non molto pregnanti, come se lui fosse
stato
più cauto nei suoi confronti, quasi più remissivo. Ma lei l’aveva
seguito con
lo sguardo, e aveva sentito lo sguardo ametista su di sé, e si era
ripromessa,
come buon proposito dell’anno nuovo, di avere un po’ più di fiducia in
sé
stessa, e dunque…
Dunque, fece un passo
all’interno della
stanza, le mani e la cioccolata nascoste dietro la schiena, sbirciando
quel
monitor che non sapeva decifrare.
« Posso tornare dopo,
se non è un buon
momento. »
Pai scosse la testa,
digitò qualche altra
cosa sulla tastiera, e voltò la sedia completamente verso di lei: « Ti
servivo
per qualcosa? »
Retasu si morse
furtivamente un labbro;
aveva pensato a cosa dire, ma ovviamente in quel momento il suo
cervello era
completamente in pappa.
« Sai come… insomma,
avrai visto che ci
sono un sacco di festività sulla Terra, e tutte con un significato
diverso, e
ogni volta finisce che voi non sapete mai cosa stia succedendo… »
Si arrischiò a fare
qualche altro passo in
più nel laboratorio, gli occhi scuri che continuavano a scrutarla,
incuriositi
e un po’ confusi.
« O-oggi è San
Valentino, e… u-una festa
che… e ho pensato… ecco, tieni, » divorò le ultime sillabe e per poco
non gli
lanciò il pacchettino addosso, piegandosi quasi a metà in un inchino
imbarazzato.
Di sottecchi vide le
lunghe dita
dell’alieno stringersi attorno al pacchetto e scartarne un angolo,
indeciso.
« Non capisco. »
A Retasu venne da
sorridere, nonostante
l’infarto in procinto di scoppiarle in petto. Sicuramente il suo
proposito di
spiegare la situazione non era andato a buon fine.
« Cioccolata. L’ho…
l’ho fatta io. In
Giappone è uso che in questa giornata le… ragazze la preparino per… »
boccheggiò, sentendo le guance diventare ancora più roventi del solito
e
cercando disperatamente una maniera per esprimere il concetto senza
pronunciare
parole fin troppo rilevanti, ma fallendo miseramente, « … ecco,
insomma. »
Il viso dell’alieno
rimase stoico,
bruciandole la sommità del capo che lei continuava a tenere rivolto
verso il
basso.
« N-non so se hai
notato il locale, oggi, »
esalò lei con un filo di voce e una risatina nervosa, alla fine, solo
per
spezzare quell’orrido silenzio teso.
Pai proseguì a non
dire una parola,
continuando a fissare ora lei, ora la cioccolata come se fossero pezzi
di un
puzzle irrisolvibile. Retasu resistette tre secondi in più prima di
scattare
dritta come una molla ed esalare di un fiato:
« Non sapevo se ti
sarebbe piaciuta così,
non ti vedo mangiare spesso neanche i dolci di Akasaka-san, quindi non
ti
sentire in dovere, era solo un… un pensiero, » raccolse tutto il suo
coraggio
per mostrare un sorriso convinto (che però le riuscì solo tremolante),
e si
avviò verso la porta, « Per rendervi partecipi della festa, ecco. Ora
devo
proprio… »
« Retasu. »
La voce cupa la fermò
quando aveva già una
mano sulla porta, forzandola a voltarsi quasi controvoglia mentre
sentiva già
gli occhi pizzicarle. Con sua sorpresa, l’espressione sul volto di Pai
era
quasi sofferente: « Grazie, » riuscì solo a mugugnare.
La ragazza gli rivolse
un altro sorriso, il
rossore che le colorò anche il collo, e sgattaiolò via. Quando la udì
rifugiarsi al piano di sopra, l’alieno si lasciò andare con uno sbuffo
contro
lo schienale della poltrona. Scartò un po’ di più la confezione dorata,
rivelando una cioccolata dal colore intenso e dalle forme distinte; la
sua
origine casalinga era chiara, ma al tempo stesso rivelava una cura e
un’abilità
non indifferenti. Con cautela, la posò sulla scrivania, mentre il senso
di fame
veniva rimpiazzato da quello che gli sembrava senso di colpa, e non gli
piacque
per niente.
Dannazione.
« Non credo ne
arriverà altra, farai meglio
a mangiare quella. »
Kisshu apparve
silenziosamente sull’uscio,
cogliendolo di sorpresa; per tutta risposta, Pai lo trucidò con lo
sguardo, ma
il fratello si limitò a stringersi nelle spalle.
« Sono arrivati dei
messaggi sul canale di
comunicazione criptato, » rispose in tono piatto, poggiandosi con la
spalla
allo stipite, « Pensavo di andare a fare un giro a controllare. »
Il maggiore emise un
grugnito esasperato;
l’ultima cosa che gli ci voleva era la sfacchinata fino all’astronave,
per dei
messaggi che la maggior parte delle volte erano semplicemente
inconcludenti.
« Io te l’avevo detto
di spostare uno dei
comunicatori qui, ma mi sai che sei stato troppo impegnato. »
Non riuscì a
controllarsi, e una scarica
elettrica colpì quel ficcanaso lingualunga di Kisshu dritto al braccio,
strappandogli una sequela di parolacce irripetibili.
Avrebbe piovuto fuoco
prima che lui
ammettesse mai che suo fratello avesse ragione.
Ryou aspettò il doppio
bip che
segnalava la chiusura dell’automobile prima di infilarsi le chiavi
nella tasca
del cappotto e salire le scale di casa, ben attento a non sballottare
il mazzo
di fiori che teneva in mano.
Nonostante in Giappone
San Valentino
prevedesse in teoria che solo le ragazze regalassero cioccolata ai loro
fidanzati, lui in primis per certe cose sentiva
ancora la spinta della
sua metà americana, e in secundis conosceva
benissimo le debolezze
romantiche della sua dolce metà in piena tempesta ormonale.
« Ginger,
I’m
home! »
« In cucina! »
In effetti,
abbandonati cappotto e borsa
del pc, lui seguì il profumino che aleggiava alla sua destra, e quando
svoltò
l’angolo dell’entrata vide il tavolo da pranzo ricolmo di piatti
diversi e, al
centro, una piccola torta su cui riconobbe immediatamente la mano di
Keiichiro.
« Ho ordinato tutto! »
si difese subito
divertita Ichigo, con indosso un vestito rosso a pois con un fiocco
sotto al
lato sinistro del seno che le fasciava dolcemente la pancia.
Lui sbuffò e scoprì i
fiori che aveva
nascosto dietro la schiena: « Non ti ci vedevo molto a cucinare un
intero pollo
arrosto. »
« Antipatico, » la
rossa fece una smorfia e
infilò il naso direttamente nel mazzo, ispirando forte, « Non dovevi
però! »
« Non significa che tu
non volessi. »
Ryou le prese il volto
tra le mani e la
baciò teneramente, mezzo sorprendendosi quando la avvertì sospirare
piano e
illanguidirsi contro al suo corpo, tirandosi sulle punte piedi e
incrociando le
braccia dietro al suo collo – decisamente gli ormoni di Ichigo
sarebbero sempre
rimasti un mistero per lui, visto che solo quella mattina l’aveva
beccata a
piangere ascoltando struggenti canzoni d’amore.
« Guarda che si fredda
la cena, » le
mormorò divertito, sfiorando un’altra volta il naso di lei con il
proprio.
« Giusto! » Ichigo
tossicchiò e balzò
indietro con fin troppa agilità, affrettandosi in salotto per prendere
un vaso
dove riporre i fiori, « Tu siediti, io arrivo! »
Il biondo rise sotto
ai baffi,
accomodandosi alla sua solita sedia a un’estremità del tavolo: « Com’è
andata
la visita? »
« Tutto bene, »
rispose lei, ritornando con
in mano un pacchettino, « Papà è stato contento di potermi
accompagnare. »
« Di non avermi tra i
piedi. »
La rossa gli lanciò
un’occhiataccia un po’
divertita, poi gli si sedette sulle ginocchia e gli porse il regalo: «
Al posto
della cioccolata. »
Ryou lo scartò,
rivelando una tutina bianca
a tema Star Wars con sopra scritto “I’m a Jedi, like my father
before me”(***),
che gli strappò un risolino: « Ti ho finalmente corrotta? »
« No, » Ichigo scosse
la testa mentre gli
si stringeva un po’ di più addosso, « Ma tanto so che non avrò scampo.
Spero
solo mi assomigli almeno un po’. Già il gene dei capelli rossi è
recessivo. »
Gli occhi azzurri si
sgranarono appena,
sorpresi e compiaciuti, poi Ryou le scompigliò la frangetta come quando
era ragazzina:
« Don’t worry, you’ll always be my favorite ginger. »
La rossa impiegò
qualche secondo a recepire
la frase, nonostante si stesse ormai sforzando di comprendere sempre
più la
lingua madre del ragazzo (e lui stesse di contro aumentando la
frequenza con
cui la utilizzava), poi arrossì contenta e avvicinò il viso quanto più
possibile al suo.
« Ti amo, » farfugliò
emozionata e a bassa
voce, sentendo lo stomaco rotolarle come se davvero avesse avuto
quindici anni,
« E lo so che è scontato e banale dirlo a San Valentino e che tu
detesti le
feste comandate, ma io ti amo, e - »
Non fece in tempo a
finire la frase che le
labbra del ragazzo catturarono le sue, trasformandola in un mugolio
indefinito.
« Avevo… altre cose
che… » borbottò
sottovoce mentre già Ryou si poggiava al tavolo per fare leva e
invitarla, un
po’ bruscamente, ad alzarsi.
« Me le dici dopo, »
la interruppe lui
ancora in un sussurro roco, prendendole il viso tra le mani e
camminando all’indietro
senza smettere di baciarla. Ichigo sbuffò, ma le sue dita avevano già
preso ad
armeggiare con i bottoni della camicia di lui:
« La cena… si fredda…
» ripeté divertita, e
poi le scappò uno strilletto quando il biondo passò una mano sotto le
sue ginocchia
e la prese in braccio all’improvviso, portandola deciso al piano di
sopra.
«
I don’t really
care, do you? »
Ichigo
non pensò minimamente a protestare
oltre.
(*)
Non sono impazzita, è vero: siccome il Natale è un concetto molto
diverso in
Giappone da quello occidentale, è molto comune concedersi il pollo
fritto da
KFC come cenone :D Il cenone americano invece ricorda molto il
Ringraziamento,
con il super tacchino farcito, il purè di patate che è più panna che
patate
(aaaah i ricordi <3), la salsa di mirtilli… etc. etc. :)
(**)
Episodio
10, La squadra si completa, ovvero la puntata in
cui si rivela che
Zakuro è l’ultima Mew Mew.
(***)
Cit.
Luke Skywalker, da Star Wars Episodio VI – Il ritorno dello Jedi. E sì,
le
tutine così esistono davvero, chi sono io per non googlare idee xD
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