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Autore: Hypnotic Poison    20/11/2006    3 recensioni
Erano sei anni che poteva considerare la sua vita – quasi – normale. Anche se di cose ne erano cambiate parecchie. [...]
« Beh! Che c’è, non si salutano più gli amici da queste parti? »
« Cosa ci fai tu qui! »
[...]
« Stamattina… non è scattato nessun allarme, niente di niente, ma i computer si sono riaccesi automaticamente sui dati del progetto Mew. » [...]
« Ora voi parlate. E vi conviene dire tutta la verità. »

[ATTENZIONE: STORIA IN REVISIONE. Aggiornati al 04/02/2024: 1-18]
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Mint Aizawa/Mina, Nuovo Personaggio, Ryo Shirogane/Ryan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter Four – Matters of the heart

 

 

 

 

 

 

 

« Ichigo, se non scendi subito da quella sedia, giuro che ti ci lego. »
« Dai, ho quasi finito di decorare! »
Ryou sospirò pesantemente nel vederla tendersi ancora di più sopra la finestra per finire di appendere una ghirlanda e, ignorando totalmente il suo tono contento, marciò verso di lei e l’agguantò con attenzione per i fianchi, costringendola giù:
« Te l’ho già detto, già è pericoloso di suo con la tua destrezza, ora più che mai, » la sgridò con dolcezza, sfiorandole teneramente il ventre appena più rotondo.
« Non lo sai che i gatti atterrano sempre in piedi? » rispose Ichigo con un sorriso furbo, prima di allungarsi sulle punte per baciarlo e approfittarne per sgattaiolare via e afferrare altre decorazioni da uno scatolone.
« Finisci tu allora? » gli domandò con un sorrisone a trentadue denti, pieno di finta innocenza.
L’americano le lanciò un’occhiataccia e afferrò di scatto il fiocco dorato, borbottando sottovoce.
« Ancora non ho capito perché dobbiamo tenere la cena di Natale qui da noi. »
La rossa si accomodò sul divano e cominciò a rovistare dentro un contenitore di lucine: « Perché ancora non abbiamo inaugurato la casa, e perché abbiamo deciso che festeggiamo Capodanno al Caffè. »
« … chi l’avrebbe deciso? »
Lei gli lanciò un’altra occhiata divertita: « Ah, non te l’ha detto Akasaka-san? »
« Voi vi coalizzate contro di me. »
Ichigo rise ancora e gli porse una fila di lucine, che lui prontamente aggiunse sopra la ghirlanda: « Se anche solo ti proponessi di uscire a celebrare, non ne sentirei più la fine. »
Ryou sbuffò un’ultima volta e scese dalla sedia per unirsi a lei sul divano: « Magari preferisco celebrare in maniera romantica come piace a te, solo noi due. E mezzo. »
« Sei geloso? »
Il biondo le lanciò un’occhiataccia, mettendo a terra la scatola e afferrandola per le mani per far sì che gli si avvicinasse: « La prima volta che ti sentirò lamentarti che non stiamo “abbastanza insieme”, » e le mise un dito davanti alle labbra per impedirle di replicare al suo gesto delle virgolette, « Ti ripeterò questa conversazione. »
La rossa gli fece il verso divertita, prima di accoccolarsi su di lui con un mezzo sbadiglio: « Dici che ho il tempo di fare un pisolino? »
« Dipende se è un pisolino normale o un pisolino alla Momomiya. »
Lei gli rivolse una mezza linguaccia, e si arrotolò come un gattino.
 
 
 
 
Qualche ora dopo, l’ampio salone di casa Momomiya-Shirogane pullulava dell’allegria della combriccola, elegantemente vestita e pronta a gettarsi sul cibo che via via si andava accumulando sulla tavolata della sala da pranzo. L’organizzazione di Ichigo e Keiichiro era stata a dir poco meticolosa, con buona pace di Ryou e la sua ricerca di calma. Purin si era presentata carica di una pila di pacchettini infiocchettati che le arrivava fino alla fronte e due vassoi ricolmi di piccoli aperitivi, così come Retasu che aveva contribuito a portare altre due teglie profumate, mentre il moro aveva chiuso Ryou e Zakuro in cucina a metà del pomeriggio per farsi dare una mano a portare avanti la preparazione delle portate principali. Ovviamente invitati anche loro – ormai Ryou non pensava nemmeno più ad osare opporsi – Pai e Kisshu erano stati accuratamente istruiti di pensare alle bevande, e l’americano sperò in fondo al cuore che non tutte quelle bottiglie sarebbero state bevute quella sera.
« Non vedo l’ora, » esclamò Ichigo estasiata, riempendo i bicchieri agli amici, « Ho così fame che mangerei per tre. »
« Non è un po’ la norma ora, nee-chan? »
Retasu soffocò una risatina dietro la mano alla vispa battuta di Purin, ma anche Ichigo non poté trattenere un mezzo sorriso mentre le faceva una linguaccia.
« Come se tu, nanerottola, non avessi l’appetito di un elefante, » Kisshu le tastò affettuosamente la zazzera bionda un paio di volte, « Ancora mi chiedo dove lo metti. »
« Kisshu-san, non essere impertinente. »
« Ehi, pesciolina, tu non sei mai stata derubata di tre yakitori di fila da questa qui! »
« Non è colpa mia se sei lento e non all’erta, nii-san. »
« Ma sentila! Fidati, sarò all’erta stasera. »
« Non preoccupatevi, » Keiichiro offrì ad entrambi uno degli stuzzichini preparati da Purin, « C’è cibo in abbondanza per tutti. »
« C’è posto per uno in più? »
« Minto-chan! » Ichigo le corse incontro e l’avvolse in un abbraccio quando Minto apparve all’improvviso nel salone, le guance arrossate per la differenza di temperatura con l’esterno, « Pensavo avresti cenato con la tua famiglia! »
« Quello era il piano, » sospirò la mora, togliendosi il cappotto, e all’amica non sfuggì la nota di tristezza dietro il sorriso e il tono allegro, « Ma mio fratello è rimasto bloccato a Sapporo a causa del maltempo, e i miei genitori hanno deciso ieri sera di rimanere in Indonesia. A quanto pare è troppo freddo a Tokyo in questo momento per loro. »
« Non preoccuparti, c’è un sacco di roba, guarda! Questi li ho fatti io! »
Purin l’accolse con un sorriso, mostrandole fiera il piattino che le aveva passato Keiichiro.
« Scusate, posso sapere quante persone hanno il codice di accesso a casa mia? »
« Nostra, Shirogane! »
« Come futura madrina del vostro fagottino di gioia, vorrei anche vedere. »
Ryou la osservò con un sopracciglio alzato, offrendole un bicchiere di vino: « Io non ti ho mai detto che sarai tu la madrina. »
« Con dei genitori come voi sono la sua unica speranza. »
« A proposito… »
Zakuro si avvicinò ai due con un sorrisetto, e Ichigo arrossì piacevolmente mentre scuoteva la testa: « Niente da fare! Sarà una sorpresa. »
« Dai, ma perché! » si lamentò rumorosamente Purin, continuando a riempirsi la bocca di stuzzichini, « Noi vogliamo sapere! »
« Sorry, not sorry. A maggio lo scoprirete. »
« Che crudeltà! »
« Ti cambierebbe qualcosa, Purin? »
« Io ho quattro fratellini, Retasu ha un fratello, Minto ha un fratello… ci serve una nipotina! »
« In realtà siamo noi quelli in svantaggio, » rise bonariamente Keiichiro, « Fino a poco tempo fa, eravamo noi due contro voi cinque. »
« Contro è esattamente la parola giusta. »
« È inutile, non attacca, » Ichigo scosse di nuovo la testa con un sorriso furbo, accendendo l’ultima candela decorativa sulla lunga tavola imbandita, « Quattro mesi e lo saprete. »
« Vabbè, parlando di cosa bolle in pentola, » Kisshu allungò il collo per cercare di guardare in cucina, « Qual è il menu della serata? »
« Quest’anno, in occasione anche delle novità, abbiamo deciso di fondere due tradizioni, » spiegò Keiichiro con un sorrisone.
« Hai deciso, come hai deciso che avremmo dovuto sgobbare invece che usufruire delle comodità moderne, » lo interruppe Ryou con un ghignetto, e l’amico si limitò a sventolare la mano.
« E siccome abbiamo due baldi giovani americani tra di noi, omaggeremo la tradizione giapponese del Kentucky Fried Chicken cucinandolo personalmente, insieme ad altri piatti tipici americani. »
« Ovvero, c’è un tacchino da quattro chili in forno da quattro ore. » (*)
 « Che meraviglia! »
« Siamo sicuri che Shirogane non ci avveleni? »
« Preferisco la reazione di Retasu, Aizawa, grazie. »
« Non preoccupatevi, è stato monitorato da vicino, » Zakuro gli si avvicinò con un sorriso e gli mise una mano sulla spalla, vista l’occhiata omicida che aveva lanciato alla mora.
« Su, però, iniziate a friggere o non si mangia più, » Keiichiro spinse leggermente entrambi verso la cucina, continuando a sfoggiare il suo sorriso, « Voi mettetevi comodi, io arrivo con gli antipasti. »
La tavolata si arrangiò velocemente, con il solito volume più alto del normale e Purin che calava l’asso di briscola continuando a riempire i bicchieri di tutti.
« Mi fido a lasciarvi finire questo? » Keiichiro lanciò un’occhiata in particolare a Ryou, che gli rispose abbastanza offeso, « È la portata principale, mi raccomando. »
« Credo di essere capace a fare del pollo fritto, » mugugnò il biondo, agguantando una padella, e il moro ridacchiò sotto i baffi mentre riempiva un paio di vassoi di antipasti anch’essi ispirati alle tradizioni americane.
« Ho piena fiducia in te, ma so che sei più avvezzo al microonde. »
« Allora perché mi hai messo ai fornelli? »
Zakuro si intromise con un sorriso, afferrando lo schiacciapatate e al tempo stesso dando un colpetto sulla spalla al pasticcere: « Vai pure a rilassarti, Akasaka-san, hai fatto molto più di noi oggi. La situazione è sotto controllo. »
« Non bruciarti. »
« Scusate tutti, sono un brillante scienziato che ha compiuto esperimenti ben più complicati di questo, la vostra mancanza di fede mi disturba. »
« Sempre modesto. »
Non appena Keiichiro uscì reggendo i vassoi stracolmi, la mora socchiuse la porta scorrevole di vetro per evitare che gli odori della cucina navigassero fino alla sala di pranzo, e il vociare si fece più otturato, precipitando la stanza nella solita calma che contraddistingueva le interazioni tra lei e Ryou. Ricominciarono a cucinare in silenzio, scambiandosi solo qualche vaga indicazione sulle istruzioni lasciate dall’amico, quasi come se entrambi stessero ricaricando le loro pile prima di ritornare nel gruppo.
« Posso chiederti una cosa? »
Ryou alzò lo sguardo su Zakuro, che si stava asciugando le mani su uno strofinaccio.
« Quando mai ti sei fatta dei problemi. »
Lei nascose un sorrisetto e rivolse l’attenzione alla sala da pranzo: « Pensavo che ci sarebbe stata una certa domanda, soprattutto in questo momento. »
Il biondo bevve un sorso della sua birra e controllò il pollo che friggeva nella padella di ghisa: « Sono così prevedibile? »
La modella non rispose, rimescolando tranquilla il purè di patate, e lui sospirò, rimuginandoci sopra per qualche minuto.
« Non pensare che Keiichiro non abbia già fatto le stesse insinuazioni, soprattutto in luce di Shintaro e le sue reazioni, » borbottò, lo sguardo fisso sulla cena in preparazione per evitare gli occhi pungenti dell’amica, « E sai benissimo che so quello che sarebbe consono fare. »
Zakuro rimase ancora in silenzio, il mezzo sorriso ben visibile sotto i faretti della cappa, consapevole che quel comportamento avrebbe avuto molta più efficacia che spronarlo con altre domande. Ryou esitò ancora qualche minuto, lanciando qualche occhiata sopra la spalla per controllare che il resto della sala fosse ancora impegnato con gli antipasti.
« La verità è che non voglio che faccia una scelta solo basata sulle circostanze attuali, » spiegò spiccio poi, « Né che creda che non sia una richiesta genuina. Già ho dovuto convincerla che andare a convivere non fosse solo causato dalla situazione, questo sarebbe… e quindi, niente. »
La modella annuì, aggiungendo un tocco finale di burro prima di travasare la soffice montagna di patate dentro un’elegante ciotola da portata.
« E comunque a Natale è troppo scontato e sdolcinato. »
Lei rise, alzando un sopracciglio: « Per Ichigo? »
« Hey, » al tono altamente sarcastico, Ryou le puntò contro il forchettone che stava usando per prendere il pollo fritto, « Una cosa per volta. »
Zakuro gli lanciò l’ennesimo sguardo divertito e si piegò a controllare il tacchino nel forno: « Secondo me ci siamo. »
Il biondo diede anch’egli un’occhiata e annuì, prima di porgerle il pugno: « Ottimo lavoro di squadra, Fujiwara. Sembra che alla fine ti abbiamo plagiata. »
« You’re such a loser. »
Insieme, estrassero la teglia rovente e pesante per trasportarla in sala, dove furono accolti da un coro di ovazioni stupite e felici.
« È grandioso! »
« Grazie, Purin, » esclamò Ryou, piazzando con estrema attenzione il tacchino nel bel mezzo del tavolo dove già Keiichiro aveva strategicamente posizionato i sottopentola, « Meno male che ci sei tu a darmi soddisfazione. »
« Volevi anche un giro di applausi? » lo prese in giro Ichigo con un sorriso, « Di solito fa sempre tutto Akasaka-san, e non gli facciamo la metà delle feste. »
« Infatti a lui l’onore di tagliare la bestia, » Zakuro gli passò teatrale il coltello dedicato, « Rimangono in cucina solo il pollo e i contorni. »
« Andiamo noi, le braccia forti! » Purin si alzò con brio e girò attorno al tavolo, agguantando nel frattempo la manica di Kisshu, « Però aspettateci! »
« Purin, questo coso basta a sfamare un esercito. »
« Più o meno il suo appetito. »
« Non so se mi fido di quei due da soli con il cibo… »
Con uno sbuffo, Minto si alzò e seguì i due in cucina: « Ichigo, stai ferma. Vado a controllare io che non finiscano tutto. »
Purin si era già caricata in braccio il vassoio di pollo fritto, una ciotola di piselli e quella delle patate, in un precario equilibrio che fece rabbrividire la mora.
« Dammi questo, » le corse in soccorso e afferrò una ciotola, « Kisshu, prendi i cucchiai per servire. »
Al vedere l’alieno che osservava confuso i vari scaffali, mobiletti e cassetti della cucina, Minto sbuffò e gli passò davanti, aprendo un tiretto e mostrando l’argenteria.
« Quanto spesso sei qui, fammi capire? » la prese in giro dolcemente.
« Ichigo ha avuto molto supporto da parte mia a organizzare la casa, » ribatté lei con un velo di acidità.
Kisshu si sporse in avanti per afferrare l’ultima teglia di contorni, strabordante di fagiolini, e ne approfittò per avvicinarsi un po’ di più: « Sono contento che ci sia anche tu, stasera, » le mormorò, « Soprattutto per il vestito. »
Minto cercò di ignorare il calore derivato dalla voce bassa a pochi centimetri dal suo orecchio, e si voltò verso di lui con un sorriso malizioso: « E tu sei in camicia, allora è vero che a Natale accadono miracoli. »
Lui sbuffò e, rapidamente scorso che nessuno stesse prestando loro troppa attenzione, le fece una carezza veloce sotto al mento: « Tutto bene? »
« Perché non dovrei? » rispose lei, più sprezzante di quanto avrebbe voluto, « Non è certo la prima volta, né sarà l’ultima, in cui mi ritrovo scaricata dalla mia famiglia. Preferisco sinceramente questa cena a una delle solite tiritere noiose e silenziose dei miei. »
Prima che lui potesse replicare, sentitasi già troppo scrutata dal suo sguardo, Minto marciò di nuovo verso il suo posto a tavola.
« Dai, dai! » li incitò Purin, che già brandiva forchetta e coltello, « Sto morendo di fame! »
« Ci siamo, » la blandì divertito Keiichiro, cominciando a distribuire grosse fette di tacchino, « Buon Natale, ragazzi. »
Alla risposta in coro seguì il tintinnio di piatti che venivano passati, posate che iniziavano a lavorare, e mormorii e risatine soddisfatte ai profumi che si levavano fino alle narici.
« Kami-sama, che buono, » Ichigo si lasciò scappare un miagolio appagato, ricoprendo le sue fette di carne con abbondante salsa al mirtillo rosso, « Perché non l’abbiamo mai mangiato prima? »
« Ci hai messo un po’ a cedere ai gusti americani, » rispose prontissima Purin con un ghigno malefico, soffocando la risatina in una coscia di pollo che azzannò con gusto, mentre l’amica quasi si strozzava e arrossiva prepotentemente e Ryou la fulminava con lo sguardo, ignorando biecamente i risolini sotto i baffi attorno al tavolo.
Pai si servì un’altra generosa porzione di verdure – che solo con l’arrivo della Mew Aqua avevano iniziato ad assumere sapori più corposi e diversi su Duuar – e nel mentre tossicchiò appena.
« La festa di oggi… mi è parso di capire che abbia molti significati diversi? »
Un breve silenzio cadde sulla tavolata, che si scambiò occhiatine perplesse e un po’ sconfitte al pensiero di non aver fatto luce su cosa stesse succedendo.
« Ah sì! » si aggiunse Kisshu, la bocca mezza piena di purè, « In effetti, cosa sarebbe questo Natale? »
« Perdonateci, non ve l’abbiamo detto, » si scusò Retasu mortificata, « Forse diamo le cose un po’ per scontato a volte… »
« Quello che conta è lo spirito, pesciolina, » il verde le fece l’occhiolino, continuando a divorare forchettate di cibo, « Se a ogni occasione si mangia così, non è che mi freghi molto del motivo. »
« Figuriamoci. »
Minto gli scoccò un’occhiataccia inorridita, servendosi un altro bicchiere di vino, ma lui perseguì imperterrito a ingozzarsi.
Keiichiro nascose un sorriso dietro al proprio bicchiere e poi si schiarì la gola: « La festività del Natale è una delle più antiche della nostra storia, e via via ha assunto delle declinazioni un po’ diverse. »
Ryou stava per lanciarsi in una complicata spiegazione della storia dei solstizi d’inverno, soli invitti e saturnali, ma un’occhiataccia da parte di Zakuro fu abbastanza per farlo desistere.
« Natale è principalmente una festa religiosa cristiana che celebra la nascita del suo messia, figlio di Dio, » spiegò brevemente la modella, « Tralasciando l’aspetto religioso, a lungo andare la festività si è secolarizzata, diventando una festa legata alla famiglia, alla solidarietà, che ha preso piede anche in luoghi non predominantemente cristiani. »
« E a Babbo Natale, » aggiunse spigliata Purin, ricevendo in cambio un sorrisetto abbozzato da Zakuro, che continuò:
« Sì, allo scambio di doni. Ha svariate tradizioni e simboli ad essa associate, anche molto variegate tra i diversi Paesi. In Giappone è più una festa romantica e secolare, che da passare in famiglia. »
« C’è chi dice che ormai sia l’emblema del capitalismo, » commentò Shirogane, provocando una sequela di gemiti e lamenti annoiati.
« Se volete il mio punto di vista, preferisco di gran lunga le feste senza significati troppo aulici, » borbottò Kisshu, con ironia velata di astio, « Con l’ultima divinità adorata non ci è andata troppo bene. »
Stavolta fu il turno di Retasu di quasi strozzarsi con il sorso d’acqua che aveva appena preso, e Purin, accanto a lei, si affrettò a darle delle pacche sulla schiena.
« Chi vuole altro tacchino? » Keiichiro colse la palla al balzo per cambiare prepotentemente argomento, alzandosi per affettare ancora l’enorme gallinaceo, di cui rimaneva una buona metà intonsa.
Un coro di io e sì grazie! rispose alla domanda, e velocemente il rumore della cena ritornò al solito volume sproporzionato.
 
 
 
 
 « Sto scop-pian-do! »
Purin stravaccò mollemente sul tappeto tra i divani, stendendosi a pancia in su come una stella.
« Credo che tu ti sia mangiata un quarto di tacchino da sola, » la redarguì dolcemente Zakuro, abbandonata anche lei la posa plastica.
« Per forza, nee-san, era spettacolare! » si accarezzò lo stomaco gonfio e, muovendo la testa di un millimetro, guardò Ichigo, « Sono quasi come te, nee-san. »
La rossa, entrambe le mani su quella di Ryou che le stava pigramente disegnando cerchi con il pollice sulla pancia, le rispose con un sorriso stanco: « Se penso a tutti gli avanzi che ci sono, mi sento male. »
« Mi offro volontario, » scherzò pigramente Kisshu alzando una mano, spaparanzato sul divano a giocare distrattamente con le ciocce della nuca di Minto, l’unica seduta relativamente dritta con le gambe raccolte sotto di sé.
« Ehi, anche io, » gli fece eco da sotto Purin, « … tra un po’ però. Aprire i regali ha esaurito definitivamente le mie energie. »
« Credo piuttosto siano i turni extra della digestione, Purin, » commentò Retasu divertita, ma con un filo di voce.
Keiichiro ritornò in salotto reggendo un lungo vassoio colmo di tazze fumanti e una teiera: « Questo dovrebbe aiutare, » spiegò con un sorriso, « Tè caldo allo zenzero. »
La verde lo ringraziò con un mormorio e soffiò piano sulla bevanda bollente, poi fece un cenno verso la polaroid che Kisshu teneva in grembo: « Non pensavo ti interessasse la fotografia, Kisshu-san. »
Lui abbozzò a un sorriso sornione, prendendo la camera con la mano libera per studiarla ancora un po’: « In effetti è una novità, pesciolina, ma sta diventando uno dei miei gingilli preferiti, » tirò con fare dispettoso uno dei boccoli di Minto, autrice del regalo, e sogghignò un po’ più sincero, « La tortorella ci ha visto giusto. »
La ragazza in questione arricciò appena il naso, mantenendo la sua stoica compostezza nonostante il sorriso che minacciava di spuntarle sulle labbra e che nascose dietro il bordo della tazza, prima di trasformarlo in una smorfia indispettita quando lui le rubò una foto a cinque centimetri dal naso: « Sto già rimpiangendo la scelta, sai? »
Ichigo osservò lo scambio ridendo sotto i baffi, ben attenta a non farsi notare dall’amica, scambiandosi solo un’infinitesima occhiata complice con Zakuro mentre il dolce borbottio delle chiacchiere verteva su altri argomenti. All’ennesimo sbadiglio di Purin, poi, si stiracchiò vistosamente ed esclamò squillante: « Se voi pensate a raccogliere un po’ le cose qui, io vado in cucina a preparare i pacchettini degli avanzi. E no, non voglio sentire storie, Retasu-chan, ce n’è abbastanza per tutti ancora. »
« Io lo voglio doppio! »
« Ma se non riesci neppure ad alzarti dal tappeto, nanerottola. »
« Minto-chan, aiutami tu, dai. »
La mora alzò un sopracciglio al tono iper-stucchevole della padrona di casa, ma non fece in tempo a ribattere che l’aveva già afferrata per un polso e tirata su, sotto le proteste di Ryou di non fare troppi sforzi.
« Non mi tirare! » le bofonchiò Minto, fermandosi al tavolo della sala da pranzo per raccogliere gli ultimi bicchieri rimasti abbandonati, « Sono esausta, e tu dovresti stare attenta. »
« Spero tu non sia troppo stanca, » commentò maliziosa la rossa, lanciandole uno sguardo divertito da sopra la spalla mentre la precedeva in cucina.
La mora le rivolse uno sguardo gelido: « E io spero che tu non stia insinuando quello che penso. »
« Oh, su! Se non ne parli con me, con chi altri!? »
« Sono fatti miei, grazie, non c’è bisogno che lo dica proprio a nessuno. »
Ichigo la guardò divertita, aprendo un pensile per estrarne dei contenitori: « A volte non ti capisco, comunque. Lui ti piace, tu gli piaci… siete grandi e vaccinati… »
Minto emise uno sbuffo indispettito mentre apriva di nuovo una bottiglia e ne versava il fondo in un bicchiere pulito, rimpiangendo di aver mai rivelato dettagli a Ichigo circa la sua attuale situazione sentimentale: « Mi spieghi cos’è questa crociata oggi per ficcare il naso dove non ti riguarda? »
« Perché mi preoccupo per te, » ribatté convinta la rossa, intanto che cercava di suddividere in maniera più o meno equa i vari avanzi tra le vaschette, « E soprattutto stasera ti servirebbe compagnia. »
« La compagnia attuale mi sta solo facendo venire mal di testa. »
« Quanto sei testarda però! Non ti sto mica dicendo di sposarti, eh, solo di… lasciarti andare un attimo. »
« In termini di lasciarsi andare, analizziamo la situazione, Ichigo, chi tra noi due è rimasta incinta dopo nemmeno tre mesi di frequentazione? »
« Che c’entra, quello è stato… complicato. Voi uscite insieme da due mesi e mezzo ormai! »
Minto la guardò minacciosa: « Decisamente non stiamo uscendo. »
« Okay, se preferisci che la descriva come vi appartate di nascosto facendo finta di nulla ma ormai lo sanno tutti, nessun problema. »
Ichigo alzò le spalle come se fosse un’ovvietà, e la mora si limitò a sbuffare così forte da sollevarsi la frangetta mentre si concedeva un altro sorso di vino.
« È palese che sei cotta, comunque. Gli occhioni dorati sono il tuo punto debole. »
Minto si voltò verso di lei così velocemente che Ichigo temette le si sarebbe spezzato il collo, ma non riuscì a non ridere della sua espressione.
« Non sei esente dal non dire cretinate solo perché sei incinta. »
« Continua pure a negarlo, ma non ti fa sicuramente bene. Siete sempre insieme - »
« Non è vero, se non sono con te, sto lavorando con la onee-sama. »
« - soprattutto quando ci siamo tutti e tu vuoi far finta di niente, ma vi cercate costantemente. Posso essere tonta, ma non sono cieca. »
« Sei un’impicciona. »
« Sono la tua migliore amica, e mi preoccupo per te, » Ichigo ripeté e le sorrise, prendendole il bicchiere di mano e poggiandolo in lavastoviglie, « Come va, va, non starci a pensare troppo e… divertiti. »
La mora la guardò storto per un altro secondo, terminando di premere i coperchi sopra i rispettivi contenitori, e poi si lasciò scappare uno squittio stupito quando l’amica la stritolò in un abbraccio a sorpresa: « Sono felice se sei felice, Minto-chan. E mica voglio una madrina musona. »
« Tu sei completamente rincretinita dagli ormoni, ecco cosa, » replicò lei, ma senza poter nascondere la risatina che la tradì mentre poggiava un secondo la mano sopra quella della rossa prima di sgusciare via con un paio di contenitori in mano.
« Il mio è il più grande, vero?! » Purin le si parò davanti mentre lottava tra lunga chioma bionda e sciarpone giallo in lana grossa.
« Puoi avere anche la mia parte, » esalò Minto, esausta, e lanciò uno sguardo fuori dalla finestra, sbuffando, « Ma sta nevicando! »
« Oh, non dirlo con quel tono, Minto-chan, è bello, » commentò Retasu con un sospiro, guardando anche lei oltre la vetrata.
« E poi mica torniamo a casa a piedi, » trillò Purin, continuando a infagottarsi nei suoi vari strati, « Vero, Pai nii-san? »
Il viola, sentendosi interpellato inaspettatamente e con così tanta sfacciataggine, per i suoi gusti, si limitò a osservare la biondina per un paio di secondi prima di scrollare le spalle: « Immagino di no. »
La risatina che scappò dalle labbra di Retasu quando Purin lo costrinse a darle il cinque gli fece alzare gli occhi su di lei e a ricambiare, seppur di una frazione, prima che Ichigo gli si parasse di mezzo con ulteriori contenitori di avanzi.
« Ti basta questo, Retasu-chan? »
« Oh, no, Ichigo-chan, ti prego è già troppo! »
« Tu come fai, nee-san? »
Zakuro sorrise a Purin, avvolgendosi anche lei una spessa sciarpa intorno al collo: « Farò una passeggiata, non ti preoccupare. Mi piace il freddo. »
« Bbbr, io tremo solo al pensiero di uscire, » commentò Ichigo rabbrividendo, « Sicura che non vuoi un taxi? »
« Devo decisamente smaltire, » scherzò appena l’altra, poi incrociò lo sguardo curioso dei due alieni, « Ogni Natale vado in chiesa a mezzanotte. Un luogo di culto, » spiegò spiccia.
« Quel posto buio e imponente con i due pezzetti più alti, i vetri colorati… ?» Kisshu gesticolò disarticolato, unendo le dita così da formare una punta.
« Dove ci hai attaccate con i chimeri corvo? Già. » (**)
La gelida occhiata di Zakuro fu abbastanza per far fare un passetto all’indietro al verde, che sfoggiò un sorriso smagliante: « Tutta acqua sotto i ponti, giusto bamboline? »
« Solo perché sei diventato più simpatico, nii-san. E più figo. »
« Ah, capito, tortorella? »
« Ma per favore… »
Retasu osservò lo scambio con un sorriso divertito, poi azzardò ad alzare gli occhi su Pai (invece molto meno allietato dall’esuberanza, se così poteva chiamarla, del fratello).
« Avete tradizioni simili sul vostro pianeta? »
Le sembrò che il suo viso si ombrasse appena: « La religione ha subito un colpo brusco, dopo tutta la questione del… nostro ritorno e la vera natura di Deep Blue, » esclamò dopo qualche secondo, « Ciononostante, alcuni continuano ad affidarsi ad antiche divinità minori, spiriti degli antenati che proteggono la casa. »
« E senza intenzioni di conquista, » sogghignò Kisshu, pieno di sarcasmo.
Pai lo ignorò, schioccando la lingua: « Quando il governo si è ricostituito, hanno rimosso i luoghi di culto dedicati al nostro vecchio signore. Ovvio che questo non ha reso felici tutti, ma è stato un segno chiaro. »
Il fratello sbuffò mentre si infilava nell’armadio e afferrava cappotti e sciarpe: « Stiamo parlando per eufemismi… c’è voluto un po’ per convincerli, eh. Non eravamo esattamente i preferiti del pubblico, a raccontare di come la loro meravigliosa divinità fosse un impietoso pezzo di merda. »
Retasu alzò di nuovo gli occhi su Pai, incerta sul significato di quelle parole e come sempre timorosa che le sue domande aprissero strani vasi di Pandora; infatti, il maggiore degli Ikisatashi stava nuovamente fulminando Kisshu con gli occhi, quasi minacciandolo di chiudere la bocca. Lui probabilmente capì, perché continuo a frugare nell’armadio fingendo noncuranza nonostante la strana atmosfera che era scesa sul corridoio.
« Io vado, » esclamò infine Zakuro, sistemandosi la borsa sulle spalle e avviandosi verso l’uscita, « Grazie ancora per l’ospitalità, Ichigo-chan, e la magnifica cena, Akasaka-san. »
« You’re welcome, you know. »
« Sta’ attenta, onee-sama, e se hai bisogno mando l’auto! »
La modella rivolse un ultimo saluto a tutti, che fu echeggiato dagli altri, concordi che fosse ora di andare.
« Dov’è il mio sacchetto di avanzi? »
« Tranquilla, Purin-chan, non ti lasciamo senza. »
« Ma gliene hai dato davvero di più! »
« Santo cielo, Kisshu, tra un po’ non ti si chiude la camicia. »
« Come se non fossero sempre andati in giro a pancia di fuori. »
« Alright, niente più zuccheri a Purin. »
La biondina rise e, infagottata fino al naso e con in testa il nuovo cappello di lana – regalo di Retasu, che aveva confezionato per tutti un completo di sciarpa e berretto – agguantò il suo prezioso malloppo: « Sono pronta, andiamo! »
Ichigo rise e la strinse in un abbraccio veloce: « Grazie ancora della compagnia. »
Il volume del gruppetto, a discapito delle povere orecchie del padrone di casa, si alzò di qualche decibel all’ennesimo giro di saluti, raccolta di pacchetti pieni di cibo e regali, e avviluppamento in strati caldi di vestiti. Ignorando le sue continue proteste, Ichigo agguantò anche Minto per un ultimo abbraccio, mormorandole qualcosa all’orecchio per cui venne trucidata con lo sguardo, continuando a salutare tutti con allegria.
Non appena la porta si chiuse dietro all’ultimo ospite, si voltò poi con un’espressione furba verso Ryou, già stravaccato sul divano.
« Allora? È stata così terribile la serata? »
« Io sono a pezzi. Non chiedermi di montare nemmeno un mobile o fare assolutamente altro, domani. Solo divano e avanzi. »
La rossa ridacchiò e attraversò la stanza in fretta, sedendosi a cavalcioni su di lui: « Però sai cosa… »
« What? »
Lei rise ancora deliziata e lo baciò, strofinando poi il naso contro al suo: « Pensi che cucinerai qualche altra volta? »
« Hai da lamentarti, ragazzina? Mi sembra che ti porti a cena fuori abbastanza spesso. »
Ichigo lo guardò divertita mentre gli portava le braccia intorno al collo e si sistemava un po’ più vicina: « Sì ma… tu, la camicia, il pollo fritto… era tutto abbastanza interessante. »
« Really? » Ryou rise di ricambio, guardandola in una maniera che la fece arrossire, e, tenutala stretta per la vita, si alzò dal divano con lei in braccio come un koala, « Fammi capire esattamente come. »
 
 
 
 
Pai dovette ammettere che, nonostante la breve durata dei viaggi via teletrasporto, fu sollevato nel lasciare Purin davanti a casa per prima; la ragazzina sembrava avere un’inesauribile riserva di energia che, a sua volta, esauriva le sue.
« Grazie ancora, nii-san! » trillò infatti, fermandosi appena sopra gli scalini innevati per voltarsi e salutarli con la mano, « E buon Natale, nee-san! »
Retasu, dal canto suo, non fu altrettanto entusiasta nel suo saluto, limitandosi a un cenno delle dita poco energico. La consapevolezza dell’essere completamente da sola con l’alieno, e il dovergli stare così vicino pur per motivi tecnici, le piombò addosso gelida come la serata, congelandola. Non che ebbe il tempo di dire qualcosa o far lavorare completamente gli ingranaggi del cervello, perché non appena Purin ebbe infilato le chiavi nella toppa, Pai la riprese di nuovo per il polso, causandole un doppio ribaltamento di stomaco.
Il silenzio del tranquillo quartiere dov’era situata casa dei suoi – dove aveva deciso di rimanere fino alla fine dell’università, per assicurarsi di riuscire a mettere da parte più risparmi possibile – le sembrò ancora più pesante del solito, attutito dalla coltre di neve che continuava a scendere imperterrita.
Fece subito un mezzo passetto di lato per riportarsi a una distanza consona, si schiarì la gola e poi piegò appena la testa nell’accenno di un inchino: « Grazie mille per il passaggio, Pai-san. Non sarebbe stato piacevole tornare a casa con i mezzi, stasera. »
Pai mosse appena il capo, scrutando quasi con rancore il candore intorno a loro: « Durerà a lungo? »
Retasu sbatté le palpebre un paio di volte, la mente un po’ più rallentata dalla combinazione di eventi: « Cosa? »
« Questo tempo. Il… ghiaccio. »
Lei cercò di non dare a vedere quanto fosse trasalita; ovvio che lui non potesse vedere quanto per altri quella situazione potesse essere pure romantica – si autoimpose di cambiare immediatamente la direzione dei suoi pensieri – dopo tutto quello che le aveva raccontato…
« Non tanto, a volte giusto un paio di giorni, » rispose sottovoce, « Il freddo, quello no. »
Lui rispose con un mezzo grugnito poco convinto, e Retasu, il capo ancora chino, però, si morse il labbro.
« Mi sembri un po’ difficile da accontentare, Pai-san, » ridacchiò, forse più baldanzosa per la bella serata appena trascorsa e i bicchieri di vino che si era concessa, « Non ti piace i caldo, ma nemmeno la neve… »
Pai la osservò incuriosito al ricordo delle conversazioni avute mesi prima al mare, poi sbuffò, piegando solo un angolo della bocca: « Preferisco la primavera. »
Retasu annuì e sorrise ancora sotto i baffi, giocherellando con le frange della sua sciarpa. Rimasero entrambi in silenzio per qualche istante, Pai che osservò di sottecchi la ragazza
« Io non ho… fatto nessun regalo, » borbottò lui di scatto, infilandosi una mano nella tasca in cui aveva cacciato il cappello creato dalla ragazza.
« Non sono obbligatori, anzi, voi nemmeno sapevate… » rispose lei con un sorriso tenero e una stretta nelle spalle, « Questo è il primo Natale che siamo riusciti a passare tutti insieme così, eh… be’, poi ci siete anche voi, quindi mi sembrava carino fare… qualcosa di speciale. Ma se n-non ti piace o non ti serve, non è che devi sentirti costretto a usarlo, n-non mi offendo! » si affrettò ad aggiungere con una risatina nervosa.
« La nostra percezione delle temperature è diversa, » bofonchiò quasi a mo’ di scuse, e Retasu annuì, abbassando poi la testa, dandosi della sciocca per aver pensato che fosse adorabile e che un aggettivo come adorabile potesse essere usato per descrivere il ragazzo.
Eppure, il suo cuore continuava a galoppare impazzito ogni volta che era nei paraggi dell’alieno per più di cinque minuti. Cosa per cui si diede ancor di più della stupida, perché non era cambiato assolutamente nulla nel loro rapporto, se così lo poteva chiamare. Erano più di otto mesi ormai che gli Ikisatashi erano tornati sulla Terra, e non era riuscita a scalfire la personalità di Pai più di tanto, non riusciva mai a capire cosa gli passasse per la testa, o cosa volessero dire quelle volte che si tratteneva un po’ di più a parlare con lei. Anzi, tutte le probabilità puntavano a dimostrare che non volesse dire un accidenti, che era solo lei a farsi delle illusioni, ma non poteva fare a meno di avvertire lo stomaco sfarfallarle.
Era un pensiero che la faceva ridere, ma a volte avrebbe voluto essere come Kisshu; un po’ più sfrontata e coraggiosa per dire le cose esattamente come le pensava (ecco, magari non con tutta la franchezza che ci metteva lui a volte). Oppure, capace di mettere totalmente una pietra sopra dopo tutto quel tempo, se proprio doveva essere onesta.
Al tempo stesso, però, un po’ poteva dire di conoscerli. Ciò che avevano affrontato in passato non era cosa da tutti i giorni, e anche ora il loro quotidiano era molto diverso da quello della gente normale, era ovvio che si creassero legami profondi anche senza bisogno di chissà quale nuovo avvenimento sconvolgente. Era quindi per quello che sentiva quella flebile, sciocca, insignificante speranza che dava adito al suo cuore di accelerare un po’ di più nonostante lei si imponesse di essere razionale e decisa; Pai sembrava non dare mai confidenze a nessuno, passava la maggior parte del tempo con Keiichiro e Shirogane e comunque sembravano sopportarsi a malapena, girava parecchio alla larga quando loro ragazze si radunavano a fine giornata per rilassarsi con qualche chiacchiera frivola, come non vedesse l’ora di allontanarsi per richiudersi in un mutismo selettivo.
Che – e lo sfarfallio alla bocca dello stomaco si fece più prepotente – evidentemente non includeva lei.
Doveva ammettere che al maggiore degli Ikisatashi sembrasse sempre costare moltissimo mettere più di dieci parole di fila, però non si era certo sognata quei momenti in cui le si era mostrato più aperto, più interessato a ciò che lo circondava, o semplicemente più disposto a rimanere. Proprio come in quel momento: non era stata lei a far continuare una conversazione che avrebbe potuto benissimo fermarsi al grazie del passaggio, buonanotte, di niente, ciao.
Forse era semplicemente la felicità che sentiva aleggiare tra i suoi amici ad aver contagiato anche lei, ma… era tornato, era , in tutti i sensi, e lei non ci poteva fare nulla se l’unica reazione che sentiva era il petto in fiamme.
Retasu ebbe un brivido e fece per aprire la bocca, ma Pai aveva dovuto interpretarlo erroneamente.
« Hai freddo, » fu una constatazione più che una domanda, prima che lei potesse dire qualsiasi cosa, « Meglio che tu vada. »
Sentì sgretolare quella minima sicurezza in più data dalle circostanze della serata e incassò ancora un po’ di più le spalle; non essere mai in grado di guardarlo in faccia a lungo non sarebbe stato certo una soluzione.
« Pai-san… » esalò, gli lanciò un’occhiata attraverso la nuvoletta di vapore che divenne il suo respiro, agli occhi ancor più scuri e quel volto imperscrutabile, « Io volevo… »
Anche nella penombra della strada poco trafficata, non si era allontanata abbastanza per mancare il suo sussulto, ne aveva quasi percepito lo spostamento d’aria.
« … solo ringraziarti ancora per averci accompagnato, » cambiò traiettoria immediatamente, cercando di sfoggiare il suo sorriso più convinto, « Immagino che anche tu sarai stanco e avrai voglia di un po’ di tranquillità. »
Ancora, l’alieno la studiò per dei secondi che le sembrarono troppi per poi annuire: « Di niente. E… buon Natale, direi. »
Maledetto il suo dannato cuore.
Retasu sorrise ancora e si avviò verso casa, cercando di non inciampare mentre tastava quasi alla cieca nella borsa alla ricerca delle chiavi. Guardò da sopra la spalla non appena fu all’ingresso, e il suo stomaco rotolò di nuovo nel vedere che era ancora lì, ad aspettare probabilmente che entrasse. Gli rivolse un cenno con la mano cui lui rispose con il fantasma di un sorriso, ed entrò chiudendo piano la porta.
 
 
 
 
In un quartiere decisamente diverso, il gentile risucchio del teletrasporto rimbalzò quasi inudibile tra le pareti bianche di villa Aizawa, l’unico suono all’interno della casa.
« Ugh, » Minto non riuscì a nascondere la solita smorfia, il disagio molto più pronunciato con lo stomaco che faceva dei turni extra, e lasciò cadere la borsetta a terra, « Perché non possiamo mai entrare dalla porta principale? »
« Perché poi mi mancherebbero le tue lamentele, tortorella, » la prese in giro Kisshu, poggiando una spalla contro lo stipite della porta finestra, « E poi perché altrimenti bisognerebbe giocare a rimpiattino per non attirare l’attenzione. »
« Tanto non c’è nessuno, » rimbrottò cupa lei, infilandosi nella cabina armadio per riporre scarpe e cappotto. La tranquillità regalatale dalla compagnia degli amici era scomparsa non appena il silenzio della casa le aveva riempito di nuovo le orecchie, ombrandole di nuovo lo sguardo.
Allo stesso tempo, le parole che Kisshu aveva detto a fine serata le stavano ronzando nella testa, e piegando con cura ogni oggetto e riponendolo, lo guardò di soppiatto mentre abbandonava le calzature e si avvicinava a mani in tasca.
« Quello che stavi dicendo prima… »
Kisshu rise sottovoce con una punta d’amarezza e la tirò a sé, premendola contro al suo corpo mentre affondava il volto nell’incavo del suo collo: « Niente di cui abbia voglia di parlare ora, tortorella, non quando preferirei farti compagnia… »
Minto sbuffò, un po’ divertita un po’ ancora scocciata, inclinando appena la testa all’indietro: « Qualunque cosa tu abbia in mente, credo sia molto diverso da cosa ho in mente io. »
« Mhm, » replicò lui in un sussurro, fece scorrere la punta delle dita lungo le sue braccia nude avvertendo con soddisfazione la comparsa della pelle d’oca non appena le labbra la sfiorarono, « Stavo ovviamente pensando a rimanere vestiti così e andare di là a guardare quel vostro aggeggio con le immagini. »
Lei emise un ennesimo verso indistinto che doveva somigliare a una risata, cercando di ignorare totalmente i tre diversi pensieri che le pesavano sullo sterno: le infantili – veritiere – insinuazioni di Ichigo, il prepotente calore che le irradiava dal ventre, e il subdolo tarlo di insicurezza che rosicava a tutto spiano.
Spiegare alla sua migliore amica dalla famiglia presente e perfetta e dal fidanzato da manuale perché lei avesse così paura di buttarsi e soprattutto di cadere non era nemmeno contemplabile, ancor più quando faticava ad ammetterlo a sé stessa.
Si lasciò scappare un sospiro più tremolante quando Kisshu prese a baciarle il collo con più insistenza, premendole un palmo appena sotto l’ombelico per stringerla di più a sé.
Eppure, il suo corpo sembrava saperne molto più di lei. Specialmente se il calore che le risaliva dalla pancia, sprigionandosi dai punti in cui la pelle combaciava con quella di lui, sembrava capace di placare il gelo a cui avrebbe dovuto essere abituata e che invece le aveva punzecchiato il petto tutta la giornata.
« Kisshu, » mormorò a occhi chiusi, più secca e allusiva di quanto avrebbe voluto, « Non mi piace essere facilmente scartabile. »
La girò con le mani sui fianchi, rivolgendole uno sguardo a metà tra il divertito e il significativo, una punta di malizia negli occhi dorati: « Ho sempre detto svestire, tortorella, non scartare. »
La mora non fece in tempo a ribattere che Kisshu la baciò, stringendola e smorzando il suo sbuffo contro le labbra. Trovava insopportabile questo suo vizio di terminare in maniera così fisica un discorso appena accennato, così come si disperava dallo stato in cui le conciava i capelli con quella sua abitudine di infilarci le dita, prenderle la nuca per portarla ancora di più contro di sé, eppure in quel momento ne fu quasi grata, grata della differenza di altezza che lo costrinse ad arcuarsi e darle ancora più calore.
Non avrebbe più potuto tirarsi indietro, non quella sera.
Ovviamente, Kisshu non aveva infilato la camicia nei pantaloni come avrebbe voluto l’eleganza – era già tanto che si fosse messo qualcosa di diverso da una t-shirt leggera – ma ciò significò anche che lei riuscì a sgusciarvi sotto le dita con facilità. Qualche secondo, forse troppo pochi da chiedersi esattamente come, e finì sul pavimento del suo armadio; un altro mezzo respiro, e Minto sentì la schiena premere contro al materasso.
« Pensavo non fosse questo ciò che aveva in mente, chérie, » la prese in giro sottovoce Kisshu, lanciandole un’occhiata furbesca mentre si spostava di nuovo lungo il suo collo.
Gli occhi color caffè lo fulminarono, ancora alterati nonostante tutto: « Non sono una distrazione, né un giochino. »
Lui si fermò un istante, esalò e le afferrò con brusca premura entrambi i polsi, bloccandole le braccia sopra la testa mentre sorrideva, un guizzo divertito nelle iridi dorate: « Non so se hai notato, ma io ho una soglia dell’attenzione molto bassa, » le mormorò, facendo vibrare appena la bocca contro la sua, « E se la mia attenzione è ancora tutta qui dopo tutto questo tempo… »
Lei sbuffò in tutta risposta, ancora poco contenta: « Ikisatashi, vedi di non fare il cretino. »
Kisshu ghignò ancora di più, trattenendole i polsi con una mano sola così che l’altra potesse sgusciare sotto il vestito: « Fidati, tortorella, » disse in un sussurro roco, « Ho intenzione di farti tutt’altro. »
 
 
 
 
L’unica fonte di luce filtrava dalla porta del bagno principale lasciata socchiusa, così come l’unico rumore percepito, oltre al lontano sottofondo di automobili, era lo scorrere dell’acqua del rubinetto. Zakuro si sciacquò il viso un paio di volte e bevve un sorso, portandosi le mani a coppa fino alla bocca.
Era tornata a casa dalla funzione a notte inoltrata, grata del silenzio che avvolgeva la città e soprattutto il suo appartamento. Si era concessa un’altra tisana bollente, per riscaldare le membra intirizzite e sciogliere ancora di più il peso sullo stomaco; non si era aspettata, dopotutto, di avere compagnia anche quella notte, e si era quasi già infilata tra le lenzuola quando il soffio del teletrasporto l’aveva distratta.
Pai era nella stessa posizione in cui l’aveva lasciato, steso supino con un braccio dietro la schiena; non rimaneva mai a dormire, ma succedeva che si intrattenesse un po’ più a lungo del dovuto, a volte, senza che dovessero per forza raccontarsi a vicenda cosa gli stesse passando per la testa.
Solo, forse, per far continuare ancora un po’ l’illusione che non provassero tutta quella solitudine.
Ritornò in silenzio in camera e raccolse la camicia da notte di seta dai piedi del letto, infilandosela con un fruscio elegante.
« Non pensavo tu fossi religiosa. »
Zakuro non aveva previsto quelle parole, ma non lo diede a vedere: « Ti dà fastidio? »
« No, » rispose sicuro lui, continuando a fissare il soffitto, « Solo che non sembra entrarci molto con il tuo carattere. »
Il commento la punse più sul vivo di quanto si fosse aspettata; ma d’altronde come poteva stupirsi, quando il dialogo non era sicuramente uno dei loro punti di forza?
Scivolò sotto le coperte, lasciando i soliti centimetri di distanza tra di loro perché nessuno dei due cercava carezze o contatto dopo aver soddisfatto la voglia, e non c’era bisogno di fingere altrimenti.
« Mi dona tranquillità, » rispose solamente, un po’ irritata dalla necessità di doversi giustificare in qualche maniera, « E conforto, sapere che c’è qualcuno a cui rivolgermi sempre. »
Pai non rispose, ma lei sapeva che non la stava minimante giudicando; la sua mente razionale e scientifica stava probabilmente solo cercando di mettere insieme i vari pezzi, e lei era conscia che potesse benissimo comprendere il sentimento, visti i trascorsi.
« Non ti mancano persone fisiche a cui poter fare affidamento, no? » il profilo affilato dell’alieno continuava ad essere rivolto verso l’alto, « Siete tutti molto affiatati, tra di voi. »
« Certo. Ma ci sono cose che preferisco non raccontare neanche alle ragazze. »
Un esempio, si ritrovò a pensare con una punta di ironia.
Pai fece un muto verso di assenso, poi esalò brusco e piegò un ginocchio, il suo primo movimento dopo tutti quei minuti.
« Il vostro essere così gregari è affascinante e al tempo stesso irritante. Da quando siamo qui, vi sarete scambiati regali almeno cinque volte, ed ogni volta lo fate percepire come… incredibilmente importante e significativo. »
Zakuro non dovette seguire il suo sguardo per capire che puntava alla pila di vestiti per terra e al berretto che spuntava da una tasca. Né dovette pensarci molto per capire perché il suo stomaco si contorcesse in quella maniera.
Quando Pai l’aveva baciata la prima volta, quel pomeriggio nel laboratorio del Caffè, non si era fatta troppe domande; non era solita farlo di principio, e ne aveva già affrontate abbastanza per sapere che se voleva qualcosa, doveva prendersela. Pochi erano i favori concessi dalla vita, il resto bisognava guadagnarselo, nella sfera professionale come in quella privata.
Al contempo, non era certo una stupida. Non era nella sua indole costruirsi castelli in aria, anzi, la sua razionalità a volte sfociava in un pessimistico realismo che lasciava poco spazio a sciocchi sogni tinti di rosa o vane speranze. Non era partita con l’intenzione che quello sarebbe continuato a lungo, o si sarebbe evoluto in qualcosa di diverso, né le era sembrato che la controparte avesse intenzioni differenti. Erano adulti entrambi, probabilmente molto più adulti di quanto lo fossero anagraficamente, ed erano capaci di perdersi l’uno nell’altra per qualche ora senza davvero perdere di vista la loro strada.
Ma non era certo cieca, o insensibile. Egoista, forse, a volte sì, per il suo spiccato senso di sopravvivenza. Però prendere in giro – ed essere presa in giro – non figuravano nel suo modo di essere.
« Specialmente alcune di noi, » gli mormorò in risposta.
Il fruscio delle lenzuola tradì la distaccata rigidità dell’alieno, che parlò a bassa voce dopo un lunghissimo attimo.
« Io sono un soldato, » lo disse quasi con costernazione, « Uno scienziato, sì, ma prima di tutto un soldato. Ciò non è cambiato con i nostri trascorsi o con la situazione attuale. Non può cambiare. E in quanto tale, le cose che ho fatto, ciò che io sono… avranno sempre un peso. »
Zakuro non riuscì a evitare di girare il viso verso di lui, che però persisteva a fissare il soffitto scuro.
« Un peso che non può essere condiviso con qualcuno di… fragile o sensibile. »
Lei si voltò completamente su un lato, poggiando il viso ad una mano: « Non è sempre necessario dover scaricare i pesi su qualcun altro. A volte si alleggeriscono da soli, passando il tempo con le persone giuste. »
« Lo dici perché per te è molto simile, » pronunciò Pai quasi tra i denti, « Ma non sono tutti come te. »
« Quindi, » la modella calibrò le parole, continuando a scrutare il suo profilo, « Siccome mi ritieni così… tenace, allora va bene? »
Solo in quel momento l’alieno si voltò per osservarla, i suoi lineamenti ancora più induriti dalla penombra: « Se ferissero… se io ti ferissi, » scandì lento, come se le stesse dicendo una verità assodata e qualcosa di cui andar fiera, « Tu reagiresti senza spezzarti. »
« Mhm, » Zakuro emise uno sbuffò sarcastico, guardandolo da sotto la frangetta, « E pensi che questa tua convinzione sia una scusa valida? »
Pai non rispose. Ritornò a fissare il soffitto con un respiro pesante, e dopo un po’, anche lei si stese nuovamente, volgendo lo sguardo nella stessa direzione.
Nessuno dei due parlò più, e Zakuro si addormentò ben dopo aver udito il fruscio dei vestiti raccolti e il soffio del teletrasporto.
 
 
 
 
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« Ecco fatto, cara, » Sakura piegò con cura la copertina rosso-arancio lavorata ai ferri da Retasu e la poggiò sul bracciolo della poltrona all’angolo, « Quando hai detto che arriverà la cassettiera? »
Ichigo si stiracchiò la schiena, intorpidita dal peso della pancia di sei mesi, e sospirò un po’ afflitta: « Non prima di tre settimane, purtroppo. »
« Hai ancora più di due mesi di tempo, non preoccuparti, » la madre le si avvicinò e le fece una carezza sulla guancia, « E a parte i mobili, la cameretta è già finita, no? »
La rossa si guardò intorno nell’ampia stanzetta dai muri di un caldo color crema di cui la salopette che indossava mostrava macchiette ovunque, vista la sua poca esperienza con pennelli e vernici. Il risultato finale, però, la soddisfaceva tantissimo, il colore era luminoso e morbido al tempo stesso e sapeva che sarebbe stata perfetta per il piccolino che le era rotolato nella pancia per tutto il tempo in cui avevano dipinto i muri, come a dare la sua approvazione (Shirogane aveva ovviamente fatto la maggior parte del lavoro, cacciandola dalla stanza ad un certo punto menzionando i rischi seppur minimi delle vernici, ma erano dettagli). Ichigo l’adorava, e non vedeva l’ora che i mobili scelti la riempissero per darle davvero l’idea di un nido perfetto.
Adorava tutta quella casa, in realtà; era quasi rimasta ammutolita quando Ryou l’aveva accompagnata a vederla per la prima volta, poco prima che vi si trasferissero effettivamente. Lui le aveva raccontato che originariamente era appartenuta alla famiglia di suo padre, e non vi avevano mai passato troppo tempo durante la sua infanzia, preferendo rimanere negli Stati Uniti; anche dopo la morte dei suoi genitori, Keiichiro aveva ritenuto più saggio non tornare ad abitarvi, così la casa era rimasta chiusa parecchio negli ultimi quindici anni. E, anche se così non fosse stato, Ichigo sospettava che Ryou avrebbe comunque compiuto una ristrutturazione nell’eventuale ipotesi di riutilizzarla, da una parte per rimodellarla e dall’altra per camuffare un po’ di più ricordi dolorosi del passato.
Così, la casa era stata quasi completamente vuota quando vi aveva messo piede la prima volta, e lei si era divertita a correre da una stanza all’altra per esplorare come una bambina al lunapark.
Ryou l’aveva seguita molto più lentamente, con un sorriso abbozzato e le mani dentro le tasche del giubbotto; al terzo passaggio nel grande salone del primo piano, si era appoggiato con una spalla al muro e l’aveva guardata divertito: « Allora, che vuoi farci? »
Ed in effetti, le aveva quasi dato carta bianca: Ichigo si era sbizzarrita a scegliere i mobili e come disporli (l’unico veto su colori non troppo sgargianti come il suo caratteristico rosa), a cercare davvero di renderla casa loro, come le ripeteva il biondo ogni giorno quando lei gli proponeva le sue opzioni così che lui potesse contribuire a quella finale; era anche riuscita a strappare un armadio enorme per la loro camera da letto e una vasca per il bagno principale a occhio e croce il doppio di quella a casa dei suoi.
« Whatever makes you happy, ginger, » era il leitmotiv che si era sentita ripetere in quei mesi, e ora aveva davvero una casa da sogno.
Ichigo avvertì il solito disagio all’altezza dello sterno, e fece una smorfia che non passò inosservata a Sakura.
« Tutto okay, tesoro? »
Lei annuì poco convinta ed esalò piano, accarezzandosi lenta la pancia prima di decidersi a parlare: « Mamma… posso chiederti una cosa? »
« Ma certo, bambina mia, tutto quello che vuoi. »
Sakura la seguì un po’ preoccupata in camera da letto, sedendosi con lei sul materasso.
« A volte mi sento un po’… poco, » mormorò dopo qualche istante la rossa, fissando il pavimento mentre cercava le parole, « E ho… paura che Ryou si senta in colpa per quello che è successo e… lui è fantastico, insomma, guarda tutto questo! Mentre io non posso… dargli altrettanto, e… e… e poi mi sento in colpa io. »
Sakura la guardò con affetto e le strinse una mano, usando il suo palmo libero per accarezzarle i capelli: « Non posso parlare a nome di Shirogane-san, né pretendo di conoscere tutti i dettagli del suo passato, ma Ichigo cara… io non credo affatto che lui cerchi da te qualcosa di materiale, né che tu debba sentirti inadeguata, » si piegò appena in avanti per cercare di incontrare gli occhi della figlia, « Tutto quello che devi dimostrare a Shirogane-san è quanto ci tieni a lui. Quanto vi amate, a prescindere da ciò che avete o meno. Non l’ameresti certo di meno se foste rimasti nel tuo appartamento. »
A quelle parole, Ichigo aveva iniziato a colorarsi pian piano in viso in una maniera tale che fu difficile per Sakura non ridere del suo imbarazzo.
« E soprattutto, tesoro, non dimenticarti la cosa più importante. Tu stai dando a Shirogane-san una famiglia, una che sia davvero sua. Sì, forse ci ha preso tutti alla sprovvista e lui vuole essere sicuro che tu sia felice, ma non devi preoccuparti di eguagliarlo in qualche maniera. Devi solo dimostrargli che sei, effettivamente, felice e quanto ci tieni a lui. L’onestà ha molto più valore. Anche se ovviamente io e papà siamo molto contenti che si possa prendere cura di te. »
Ichigo sospirò e si poggiò alla spalla della madre, respirandone il profumo rassicurante.
« Dici che ce la caveremo? »
Sakura le circondò le spalle con un braccio e la strinse: « Credo che sarete bravissimi. »
Ichigo si concesse qualche altro minuto di coccole, poi sospirò pesantemente, controllando l’ora sulla sveglia del comodino.
« Mi devo cambiare, » mugugnò, « Ho promesso che sarei andata al corso di yoga prenatale almeno due volte a settimana, e - »
Profeticamente, udirono la porta d’ingresso aprirsi e poi la voce di Ryou che chiamava: « Ehi, ginger! »
« Sono di sopra con mamma! »
Le due donne si scambiarono un’occhiata divertita, Ichigo si tirò in piedi con un altro sospiro e si avvicinò all’armadio: « Spero che non sarà così puntuale… »
Sakura nascose un sorrisetto, alzandosi e uscendo in corridoio per andare in contro all’americano che stava salendo le scale in quel momento.
« Buongiorno, Momomiya-san, » le rivolse un cenno con la testa e un abbozzo di sorriso, « Immagino che non sia ancora pronta, vero? »
« Shirogane! Non parlare male di me! »
La signora Momomiya rise un po’ più decisa, la somiglianza con la figlia quasi esagerata in quel momento: « Chiamami pure Sakura, caro. Ichigo stava giusto per cambiarsi. »
« Siamo in due ora, ci vuole tempo, » la testa rossa spuntò dall’uscio, lanciando un’occhiata in cagnesco al ragazzo, « E comunque sei in anticipo. »
« Lo sai che se fossi arrivato in orario, saremmo stati ancora più in ritardo, » la prese in giro dolcemente, « E lo sai che ho promesso a Zakuro di andarla a salvare dalla riunione con la stampa. »
Gli occhi della fidanzata brillarono furbi: « Hai trovato qualcuno da presentarle? »
« No, e non ti impicciare e soprattutto non impicciare me, è già abbastanza pericoloso proporle la cosa. Forza, preparati! »
Ichigo rispose solo con una linguaccia e si chiuse la porta alle spalle per infilarsi negli abiti da yoga più comodi che avesse, e Ryou sbuffò e si voltò verso Sakura: « Vuole un passaggio in auto, Momomiya-san? »
« Sakura, » insistette lei con un sorriso, « Ti ringrazio molto, caro, ma al contrario della mia bambina io adoro passeggiare. Abbiamo sistemato la cameretta tutta mattina, mi farà bene sgranchirmi un po’ le gambe. »
Gli occhi azzurri saettarono un secondo verso la porta chiusa: « Non si è… non vi siete affaticate troppo, vero? »
« No, non preoccuparti, » l’espressione morbida della donna si addolcì ancora di più e dovette controllare il suo sorriso, non volendo né farlo pensare che lo stesse prendendo in giro, né metterlo a disagio, « Sai, pensavo… siete cambiati molto da quando venivi a darle ripetizioni, non trovi? »
Ryou si stupì un poco di quella domanda; avrebbe voluto rispondere che sì, certe cose erano cambiate, in una maniera in cui non avrebbe nemmeno mai potuto sperare, mentre altre, ironicamente, erano rimaste sempre le stesse, ma lo scintillio nello sguardo color cioccolato gli fece capire che forse non aveva davvero motivo di spiegare alcunché.
« Già, » si limitò a rispondere con un accenno di sorriso, « Abbastanza. »
Sakura continuò a sorridergli, allungando giusto un braccio per posargli leggera la mano sul gomito in un segno di complicità e affetto.
« Okay, sono pronta, » Ichigo uscì dopo pochi istanti, un borsone da palestra poggiato sulla spalla e il broncio sulle labbra, « Devo proprio? »
L’americano le prese la borsa e le picchiettò furtivamente il naso: « Devo ricordarti che è stata una tua idea? »
« E io devo smetterla di condividerle con te. Poi non è giusto, tu vai a pranzo, io a sudare. »
« Io vado in palestra tutti i pomeriggi. »
Sakura gli si accodò lungo le scale, sorridendo sotto i baffi per i loro battibecchi innocenti, non potendo non avvertire il cuore gonfiarsi d’affetto nel constatare le occhiate che i due, pur fingendo di bisticciare, si lanciavano a vicenda.
Chissà perché mi suona così familiare.
 
 
 
 
« Immagino che questa sia una missione segreta. »
« Non farmi pentire di averti chiesto di accompagnarmi, » Ryou lanciò un’occhiataccia persistente a Zakuro, accanto a lui con un paio di grossi occhiali da sole e un Fedora a tesa larga. Aveva sì detto correttamente a Ichigo che avrebbe passato l’ora di pranzo con Zakuro; era stato un po’ meno ligio nei particolari del dove, del come, e del perché.
La modella gli rivolse solo un mezzo sorriso, facendo un gesto di saluto a un commesso mentre si avvicinavano a una teca espositiva: « Posso almeno avere un’anticipazione di quando prepararmi a essere sorpresa? »
Di nuovo, gli occhi azzurri le si rivolsero irritati: « Hai ancora tempo per esercitare le tue espressioni, don’t worry. »
« Se non ti conoscessi, direi che sei nervoso, » continuò a prenderlo in giro Zakuro, picchiettando un dito contro al vetro.
« Come se non sapessi che mi hai messo la pulce nell’orecchio a Natale apposta. »
« Io ho solo fatto una domanda molto razionale. »
« Tu dovresti fare la talpa per me. »
La modella alzò un sopracciglio: « Quando mai. Non tradirei la fiducia delle ragazze nemmeno per te, se mi facessero confidenze specifiche. »
« Mmmhm, » Ryou la guardò pungente, « Se lo dici tu. »
Zakuro si bloccò con le mani in tasca, studiandolo per qualche secondo: « Cosa staresti insinuando? »
L’americano ponderò bene sulle parole da dire, mascherando il suo ragionamento con la necessità di attirare l’attenzione di un commesso e scambiandosi con lui un paio di cenni di riconoscimento.
« Che un giorno o l’altro mi dovrete spiegare cosa ci trovate tutte in quei due. »
Pur senza guardarla, poté percepire con estrema chiarezza il modo in cui Zakuro si tese d’un tratto, continuando a studiarlo come se in realtà lo stesse sfidando a parlar chiaro.
« Non ne ho parlato con nessuno, tantomeno Ichigo, né lo sa qualcuno. Per quanto credo io, almeno, » si affrettò ad aggiungere, guardandola di sottecchi, « Ma ti conosco più di quanto ti piaccia ammettere. »
Gli occhi indaco divennero due glaciali fessure dietro gli occhiali: « Stai continuando ad evitare di andare al sodo. »
Ryou sbuffò, già quasi rimangiatosi del tutto la decisione di affrontare il discorso; perché non aveva applicato la sua bellissima, sicurissima filosofia del farsi i fatti propri?
« Listen, I don’t give a shit who you sleep with, » le disse a voce più bassa e cambiando idioma per evitare qualsiasi tipo di origliata, « Però non elevarti a paladina della giustizia quando sappiamo entrambi benissimo che qualcun altro ha i tuoi stessi… interessi. »
Se le occhiatacce avessero potuto uccidere, Shirogane sarebbe salpato da un pezzo verso l’oltretomba. Zakuro quasi non si mosse, esalando solo molto lentamente.
« Continuo a non vedere come siano affari tuoi. »
« Non lo sono, è vero. Lo diventano nel momento in cui una di voi due ci rimarrà male, e lo sai benissimo cosa succederà, ci saremo tirati tutti dentro. Né tantomeno voglio che vi facciate del male. »
« Tu hai mai affrontato il discorso con Retasu, quando aveva una cotta per te e tu non ti toglievi Ichigo dalla testa? » visto che l’Americano rimase zitto a contemplare le vetrine, Zakuro incalzò, « Allora non venirmi a fare la predica su come sia giusto comunicare o se sia necessario farlo o meno. »
Contro il suo buonsenso, Ryou ricominciò dopo pochi istanti: « Tu però sei molto più leale di me, Zakuro. E lo sai. »
« Se l’hai inteso come un complimento, faceva abbastanza schifo. »
S’interruppero quando finalmente il commesso chiamato da Shirogane riapparve dal retro con in mano un piccolo vassoio di velluto rosso, che gli piazzò elegantemente sotto al naso.
« Essenziale. »
Shirogane accettò la frecciatina ironica, sollevato solo dal vedere un mezzo sorriso sulle labbra di lei e replicando però con un’occhiataccia.
« … non va bene? »
Zakuro – in fondo, ma non troppo – gongolò un istante della sua insicurezza, visto lo scoppio precedente, ma poi gli concesse un sorriso più convinto: « Credo sarà molto contenta. È Ichigo al punto giusto. »
Ryou annuì e osservò ancora un secondo il vassoio, poi fece un cenno al commesso, che sparì nuovamente sul retro.
La modella si allontanò, vagabondando all’interno del negozio mentre ascoltava distratta l’amico che parlava con quello che sembrava il proprietario; dopo qualche altro minuto di confabulazione, il commesso ritornò con un elegante pacchettino sormontato da un fiocco dorato, che Ryou si affrettò a infilare nella tasca della giacca prima di salutare nuovamente e voltarsi verso di lei per indicarle l’uscita.
Il rumore della città in quella giornata soleggiata li investì prepotentemente, e Zakuro abbassò d’istinto il viso, nonostante il camuffamento.
« È quasi ora che la vada a riprendere, » borbottò il biondo, consultando l’orologio al polso, « Vuoi uno strappo da qualche parte? »
« L’autista mi sta aspettando all’angolo del prossimo isolato, » la mora accennò divertita verso la tasca dell’americano, « San Valentino? »
Ryou le lanciò un’occhiataccia mentre si avviava insieme a lei, esalando: « Potresti smettere di insinuare che io sia così banale e prevedibile? »
« Forse così smettiamo di insinuare a prescindere. »
Lui sbuffò poco convinto, ma colpito nel segno, e si fermò di nuovo: « È così difficile accettare che io mi possa preoccupare per voi? Soprattutto quando le cose diventano più… complicate. »
Zakuro continuò a camminare lenta, in silenzio; non le piaceva quando chiunque si impicciava dei fatti suoi – tantomeno Shirogane, che per quanto potesse dire, lei sapeva essere mosso anche da una certa avversione verso certi soggetti – né che la compatissero in qualche maniera, eppure per certi aspetti era rinfrancate sapere che esisteva qualcuno che non la ritenesse completamente stoica e infrangibile. Seppur impiccione, e a volte così ipocrita, visto il muro che era solito ergere attorno ai suoi, di fatti.
« Sono grande e vaccinata, » rispose alla fine, guardandolo appena da sopra la spalla, « Quando e se avrò bisogno dei tuoi consigli, sarò la prima a chiedere. Nel frattempo, puoi stare tranquillo. »
Ryou avrebbe tanto voluto rispondere che stare tranquillo era un’espressione che aveva cancellato dal suo vocabolario sin da quando il suo bell’esperimento aveva iniettato DNA di animali in via di estinzione a quelle cinque, ma decise che era giunto il momento di chiudere la bocca, e si incamminò dietro di lei.
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Kisshu non avrebbe mai pensato di vedere il Caffè più rosa di quanto già non fosse, ma quando scese le scale quella mattina capì di essersi sbagliato: il locale era letteralmente invaso da più sfumature di rosa e rosso di quante potesse riconoscerne. Sbatté le palpebre un paio di volte, quasi accecato da tutti i cuoricini volanti che vedeva piovere dalle cameriere.
Possibile che quel posto fosse sempre un tale circo?
« Buongiorno, Kisshu nii-san! »
« Scimmietta… » Purin apparve dalla dispensa al piano inferiore con in mano un cesto pieno di fiocchi e nastri rossi, e lui la seguì in cucina un po’ confuso, « Ho la netta sensazione di starmi perdendo qualcosa.  »
La biondina rise e lasciò cadere pesantemente il cesto sul tavolo al centro.
« Oggi è San Valentino. La festa degli innamorati, » aggiunse un po’ sarcastica, notando come la spiegazione non fosse sufficiente, « Ecco perché i cuori e i fiocchi, e ancora più rosa del solito. Per noi è sempre un successone, un sacco di gente viene qui per degli appuntamenti romantici. »
« Avete un giorno per festeggiare l’amore? » domandò l’alieno, incuriosito e leggermente ironico, giocherellando con uno dei fiocchi.
Purin si strinse nelle spalle: « Succede in tutto il mondo. Le coppie si scambiano regali, hanno appuntamenti speciali ed eleganti, fiori e cioccolatini ovunque. In Giappone in realtà la tradizione vuole che siano le ragazze a regalare la cioccolata ai loro fidanzati, ancora meglio se fatta in casa. Domani vedrai quanto andranno giù i prezzi, » commentò poi divertita.
Kisshu scosse solo la testa, occhieggiando interessato Keiichiro che si univa a loro con una notevole quantità di burro in mano.
« Poi dite che quello strano sono io. »
Il pasticcere rise sottovoce mentre riprendeva a dedicarsi alle sue creazioni: « Credo che per una volta tu e Ryou-kun potreste trovarvi d’accordo su un argomento. »
« Basta non ricordarlo a Ichigo nee-san, » Purin ghignò maligna, « Direi che è la sua festività preferita, no Akasaka-san? Non ricordo di averla mai vista lavorare un San Valentino, veniva solo per usare la cucina e darsi alle creazioni di cioccolatini. »
« Credo che per quest’anno si tratterrà, » commentò dolcemente Keiichiro, « Ha solo ordinato una piccola torta per due. »
« Tra un po’ farà fatica a vedere il bancone sicuro. »
Purin e Kisshu si scambiarono una risatina mentre il moro li redarguiva con uno sguardo d’affetto.
« Buongiorno! » Minto spuntò in cucina dalla porta laterale trascinandosi dietro una voluminosa busta traboccante di pacchettini, « Il primo carico è arrivato. »
« Sììì! » Purin quasi vi si lanciò sopra, « Il lavoro della onee-sama è fantastico. »
« Fujiwara-san riceve sempre tantissimi regali dai suoi fan, e San Valentino non fa eccezione, » spiegò Keiichiro, spostando la borsa sul tavolo, « Per non sprecare nulla, Minto-chan ce li porta. Un po’ ce li dividiamo tra di noi, ma se troviamo cioccolata di buona qualità possiamo anche riutilizzarla. »
« L’ufficio della sua manager diventa una specie di giungla, tra tutti i fiori che le mandano, » sospirò la mora, « Ora vado, ho l’auto che mi aspetta, ma ci vediamo dopo per il secondo giro, d’accordo? Ne porto un po’ a voi e un po’ alle bambine. »
Kisshu sorrise sotto i baffi mentre seguiva discreto Minto in corridoio, dopo i saluti di Purin e Keiichiro. Da almeno un annetto, infatti, la mora aveva iniziato a insegnare danza, un paio di giorni a settimana, alle bimbe più piccole della scuola associata al suo vecchio teatro, catturata dalla richiesta del suo vecchio direttore artistico. In quegli ultimi mesi lui si era intrufolato un paio di volte nella scuola per andarla a prendere, in anticipo solo per il gusto di spiarla di nascosto mentre girava tra le bimbette, che più che imparare a ballare iniziavano ad interagire con la musica e i loro corpi, con sempre sul volto uno di quei rari sorrisi sinceri che incominciavano a fargli ronzare piacevolmente il ventre.
« E per me non hai portato niente? » le domandò irriverente mentre l’accompagnava verso l’uscita sul retro, con le braccia incrociate dietro la schiena.
Lei lo guardò di sbieco da sotto in su: « L’enorme busta che c’è in cucina forse non ti basta? E poi ti strafoghi già abbastanza. »
« Sì ma quella è per tutti, » si lamentò ironicamente lui, « Credevo ci dovesse essere qualcosa di speciale! »
Individuò subito la maniera in cui la schiena della mora s’irrigidì come se l’avessero tirata con un filo: « Perché mai? »
« Purin mi ha spiegato come funziona, sai, » Kisshu approfittò dell’aprirle la porta per avvicinare il volto al suo, un po’ birbante nel suo prenderla in giro, « A quanto pare, le ragazze devono portare la cioccolata ai loro ragazzi. »
Minto esitò solo un istante mentre usciva, poi lo guardò da sopra la spalla, un sopracciglio ben arcuato: « … e dunque? »     
Il verde ghignò furbescamente: « Così mi spezzi il cuore, tortorella. Stai dicendo che non sei la mia ragazza? »
Sotto sotto, ammirò la forza d’animo che la mora dimostrò nel non arrossire più del velato rosa che le colorò le guance, visto che il suo udito fine catturò con chiarezza il suo trattenere appena il respiro.
« Sto dicendo che io non faccio certo le cose banali che fanno tutti, » esclamò poi infine, altezzosa e fiera come sempre, « Se volevi qualcuno di così prevedibile, hai proprio sbagliato mira. »
Kisshu rise e la raggiunse prima che lei potesse rifugiarsi in auto, approfittando del fatto che non ci fosse quasi nessuno attorno a loro per lasciarle un bacetto sul naso.
« Ti vengo a prendere a teatro, okay? Ma non cambiarti, lo sai che il costumino da ballo mi piace. »
Minto si sforzò di alzare gli occhi al cielo e ignorare il rombo della pancia al tono di voce più basso: « Irreprensibile. »
Aspettò che fosse entrata in macchina prima di ritornare fischiettando dentro al Caffè. Appena varcato l’uscio, notò la chioma verde di Retasu uscire baldanzosa dallo spogliatoio, poi fermarsi a circa cinque passi da esso, esitare qualche istante, e infine marciare di nuovo indietro a testa bassa, un pacchettino dorato stretto tra le mani.
Kisshu represse un sorrisetto intenerito a vederla; non aveva chiesto dettagli, ovviamente, né aveva tutta questa voglia di saperli, ma era ben conscio che suo fratello fosse stato la solita testa di rapa negli ultimi mesi.
« Farei d’ambasciatore, pesciolina, ma non credo sia il caso. »
Retasu sussultò visibilmente, portandosi una mano al cuore e arrossendo parecchio quando lo riconobbe: « Kisshu-san! No, ecco… io… era solo così… »
Lui la raggiunse in tre falcate e le fece l’occhiolino, picchiettandole appena la fronte con l’indice: « Su, su, non c’è bisogno di avere un infarto. È una festa, no? »
« G-già… » mantenendo lo stesso colorito, la ragazza abbassò la testa e lo osservò da sotto in su, gli occhioni blu ancora più grandi dietro le lenti, « T-tu pensi c-che… »
Se avesse potuto, Kisshu l’avrebbe scossa per le spalle per infonderle un po’ di coraggio. O alternativamente, e forse un’idea migliore, avrebbe dovuto scuotere quell’imbecille di Pai. Si limitò invece a continuare a sorriderle, il più sinceramente possibile: « Cincischiare qui con me non sarà certo di aiuto. Ma ehi, io la tua cioccolata l’accetterei più che volentieri. »
Dapprima Retasu annuì contenta, poi quasi si soffocò nel realizzare che il verde, come suo solito, aveva condito il tutto da un’aria maliziosa che lei proprio non riusciva a digerire. E per fortuna che non c’era Minto nei paraggi.
« Kisshu-san! »
Lui ridacchiò ancora, le diede un altro buffetto sulla testa, e si dileguò fischiettando al piano di sopra, le braccia incrociate dietro la nuca.
Retasu prese un respiro profondo e, con passi estremamente lenti, raggiunse l’inizio delle scale che portavano al laboratorio. Le sembrarono ancora più buie del solito, o forse era semplicemente il battere furibondo del suo cuore che le oscurava la vista. Anche i rumori festosi e più allegri che mai del Caffè erano affievoliti, alle sue orecchie ronzanti. Si diede della stupida; Kisshu aveva ragione, no, non era altro che una sciocca festività comandata e lei aveva soltanto pensato di fare un gesto carino. Così come era successo per tutte le altre feste dal loro ritorno, per farli sentire parte del gruppo… giusto?
Come no.
Prese un’altra boccata d’aria, meditando seriamente di filarsela nuovamente in spogliatoio e mollare quella cioccolata a Purin, che di certo l’avrebbe apprezzata moltissimo. Invece raddrizzò le spalle, strinse la presa sul pacchetto, e quasi volò giù dalle scale, rischiando tra l’altro di inciampare nell’ultimo gradino e finire la corsa lunga distesa col naso per terra.
Si impose di darsi un contegno, pregò di non svenire visto che il suo cuore le bloccava il petto e la corretta inalazione d’aria, e poi bussò piano alla porta del laboratorio.
Visto il tempo che passavano chiusi lì sotto e la quantità di spuntini e bevande consumate – soprattutto da uno di loro – Keiichiro aveva installato un sistema automatico di sblocco della porta controllato da un pulsante, videocamera inclusa, così che nessuno dovesse fisicamente alzarsi o abbandonare per cinque secondi i preziosissimi calcoli che scorrevano davanti allo schermo. Retasu trovò quindi Pai seduto alla scrivania quando, una volta udito il bip e lo schiocco della serratura, aprì uno spiraglio largo abbastanza per farci passare la testa; immediatamente si sentì in preda al panico, lui stava ancora lavorando, cosa poteva interessargli delle sue sciocchezze?
« Ti… ti disturbo, Pai-san? »
L’alieno distolse gli occhi dal monitor per una frazione di secondo: « No, sto solo finendo di controllare dei dati. »
Lei zampettò dentro, titubante e come sempre avvezza ma a disagio dalla brevità e dai modi bruschi del ragazzo. Con la coda dell’occhio, notò sull’attaccapanni il berretto che gli aveva confezionato per Natale, e sebbene sapesse che gli serviva più a nascondere le orecchie che a contrastare il freddo, quando si avventurava fuori dal laboratorio, non poté impedire la capriola del suo stomaco. Non che ci fosse stata chissà quale novità dalla loro conversazione quella sera, si ricordò; anzi, una parte di lei aveva pensato che lui si fosse in qualche maniera ritratto più del solito, e che quella era stata in realtà la loro ultima, vera conversazione intera. Sì, avevano parlato nei mesi successivi, ma erano stati scambi ancor più brevi di parole non molto pregnanti, come se lui fosse stato più cauto nei suoi confronti, quasi più remissivo. Ma lei l’aveva seguito con lo sguardo, e aveva sentito lo sguardo ametista su di sé, e si era ripromessa, come buon proposito dell’anno nuovo, di avere un po’ più di fiducia in sé stessa, e dunque…
Dunque, fece un passo all’interno della stanza, le mani e la cioccolata nascoste dietro la schiena, sbirciando quel monitor che non sapeva decifrare.
« Posso tornare dopo, se non è un buon momento. »
Pai scosse la testa, digitò qualche altra cosa sulla tastiera, e voltò la sedia completamente verso di lei: « Ti servivo per qualcosa? »
Retasu si morse furtivamente un labbro; aveva pensato a cosa dire, ma ovviamente in quel momento il suo cervello era completamente in pappa.
« Sai come… insomma, avrai visto che ci sono un sacco di festività sulla Terra, e tutte con un significato diverso, e ogni volta finisce che voi non sapete mai cosa stia succedendo… »
Si arrischiò a fare qualche altro passo in più nel laboratorio, gli occhi scuri che continuavano a scrutarla, incuriositi e un po’ confusi.
« O-oggi è San Valentino, e… u-una festa che… e ho pensato… ecco, tieni, » divorò le ultime sillabe e per poco non gli lanciò il pacchettino addosso, piegandosi quasi a metà in un inchino imbarazzato.
Di sottecchi vide le lunghe dita dell’alieno stringersi attorno al pacchetto e scartarne un angolo, indeciso.
« Non capisco. »
A Retasu venne da sorridere, nonostante l’infarto in procinto di scoppiarle in petto. Sicuramente il suo proposito di spiegare la situazione non era andato a buon fine.
« Cioccolata. L’ho… l’ho fatta io. In Giappone è uso che in questa giornata le… ragazze la preparino per… » boccheggiò, sentendo le guance diventare ancora più roventi del solito e cercando disperatamente una maniera per esprimere il concetto senza pronunciare parole fin troppo rilevanti, ma fallendo miseramente, « … ecco, insomma. »
Il viso dell’alieno rimase stoico, bruciandole la sommità del capo che lei continuava a tenere rivolto verso il basso.
« N-non so se hai notato il locale, oggi, » esalò lei con un filo di voce e una risatina nervosa, alla fine, solo per spezzare quell’orrido silenzio teso.
Pai proseguì a non dire una parola, continuando a fissare ora lei, ora la cioccolata come se fossero pezzi di un puzzle irrisolvibile. Retasu resistette tre secondi in più prima di scattare dritta come una molla ed esalare di un fiato:
« Non sapevo se ti sarebbe piaciuta così, non ti vedo mangiare spesso neanche i dolci di Akasaka-san, quindi non ti sentire in dovere, era solo un… un pensiero, » raccolse tutto il suo coraggio per mostrare un sorriso convinto (che però le riuscì solo tremolante), e si avviò verso la porta, « Per rendervi partecipi della festa, ecco. Ora devo proprio… »
« Retasu. »
La voce cupa la fermò quando aveva già una mano sulla porta, forzandola a voltarsi quasi controvoglia mentre sentiva già gli occhi pizzicarle. Con sua sorpresa, l’espressione sul volto di Pai era quasi sofferente: « Grazie, » riuscì solo a mugugnare.
La ragazza gli rivolse un altro sorriso, il rossore che le colorò anche il collo, e sgattaiolò via. Quando la udì rifugiarsi al piano di sopra, l’alieno si lasciò andare con uno sbuffo contro lo schienale della poltrona. Scartò un po’ di più la confezione dorata, rivelando una cioccolata dal colore intenso e dalle forme distinte; la sua origine casalinga era chiara, ma al tempo stesso rivelava una cura e un’abilità non indifferenti. Con cautela, la posò sulla scrivania, mentre il senso di fame veniva rimpiazzato da quello che gli sembrava senso di colpa, e non gli piacque per niente.
Dannazione.
« Non credo ne arriverà altra, farai meglio a mangiare quella. »
Kisshu apparve silenziosamente sull’uscio, cogliendolo di sorpresa; per tutta risposta, Pai lo trucidò con lo sguardo, ma il fratello si limitò a stringersi nelle spalle.
« Sono arrivati dei messaggi sul canale di comunicazione criptato, » rispose in tono piatto, poggiandosi con la spalla allo stipite, « Pensavo di andare a fare un giro a controllare. »
Il maggiore emise un grugnito esasperato; l’ultima cosa che gli ci voleva era la sfacchinata fino all’astronave, per dei messaggi che la maggior parte delle volte erano semplicemente inconcludenti.
« Io te l’avevo detto di spostare uno dei comunicatori qui, ma mi sai che sei stato troppo impegnato. »
Non riuscì a controllarsi, e una scarica elettrica colpì quel ficcanaso lingualunga di Kisshu dritto al braccio, strappandogli una sequela di parolacce irripetibili.
Avrebbe piovuto fuoco prima che lui ammettesse mai che suo fratello avesse ragione.
 
 
 
 
Ryou aspettò il doppio bip che segnalava la chiusura dell’automobile prima di infilarsi le chiavi nella tasca del cappotto e salire le scale di casa, ben attento a non sballottare il mazzo di fiori che teneva in mano.
Nonostante in Giappone San Valentino prevedesse in teoria che solo le ragazze regalassero cioccolata ai loro fidanzati, lui in primis per certe cose sentiva ancora la spinta della sua metà americana, e in secundis conosceva benissimo le debolezze romantiche della sua dolce metà in piena tempesta ormonale.
« Ginger, I’m home! »
« In cucina! »
In effetti, abbandonati cappotto e borsa del pc, lui seguì il profumino che aleggiava alla sua destra, e quando svoltò l’angolo dell’entrata vide il tavolo da pranzo ricolmo di piatti diversi e, al centro, una piccola torta su cui riconobbe immediatamente la mano di Keiichiro.
« Ho ordinato tutto! » si difese subito divertita Ichigo, con indosso un vestito rosso a pois con un fiocco sotto al lato sinistro del seno che le fasciava dolcemente la pancia.
Lui sbuffò e scoprì i fiori che aveva nascosto dietro la schiena: « Non ti ci vedevo molto a cucinare un intero pollo arrosto. »
« Antipatico, » la rossa fece una smorfia e infilò il naso direttamente nel mazzo, ispirando forte, « Non dovevi però! »
« Non significa che tu non volessi. »
Ryou le prese il volto tra le mani e la baciò teneramente, mezzo sorprendendosi quando la avvertì sospirare piano e illanguidirsi contro al suo corpo, tirandosi sulle punte piedi e incrociando le braccia dietro al suo collo – decisamente gli ormoni di Ichigo sarebbero sempre rimasti un mistero per lui, visto che solo quella mattina l’aveva beccata a piangere ascoltando struggenti canzoni d’amore.
« Guarda che si fredda la cena, » le mormorò divertito, sfiorando un’altra volta il naso di lei con il proprio.
« Giusto! » Ichigo tossicchiò e balzò indietro con fin troppa agilità, affrettandosi in salotto per prendere un vaso dove riporre i fiori, « Tu siediti, io arrivo! »
Il biondo rise sotto ai baffi, accomodandosi alla sua solita sedia a un’estremità del tavolo: « Com’è andata la visita? »
« Tutto bene, » rispose lei, ritornando con in mano un pacchettino, « Papà è stato contento di potermi accompagnare. »
« Di non avermi tra i piedi. »
La rossa gli lanciò un’occhiataccia un po’ divertita, poi gli si sedette sulle ginocchia e gli porse il regalo: « Al posto della cioccolata. »
Ryou lo scartò, rivelando una tutina bianca a tema Star Wars con sopra scritto “I’m a Jedi, like my father before me”(***), che gli strappò un risolino: « Ti ho finalmente corrotta? »
« No, » Ichigo scosse la testa mentre gli si stringeva un po’ di più addosso, « Ma tanto so che non avrò scampo. Spero solo mi assomigli almeno un po’. Già il gene dei capelli rossi è recessivo. »
Gli occhi azzurri si sgranarono appena, sorpresi e compiaciuti, poi Ryou le scompigliò la frangetta come quando era ragazzina: « Don’t worry, you’ll always be my favorite ginger. »
La rossa impiegò qualche secondo a recepire la frase, nonostante si stesse ormai sforzando di comprendere sempre più la lingua madre del ragazzo (e lui stesse di contro aumentando la frequenza con cui la utilizzava), poi arrossì contenta e avvicinò il viso quanto più possibile al suo.
« Ti amo, » farfugliò emozionata e a bassa voce, sentendo lo stomaco rotolarle come se davvero avesse avuto quindici anni, « E lo so che è scontato e banale dirlo a San Valentino e che tu detesti le feste comandate, ma io ti amo, e - »
Non fece in tempo a finire la frase che le labbra del ragazzo catturarono le sue, trasformandola in un mugolio indefinito.
« Avevo… altre cose che… » borbottò sottovoce mentre già Ryou si poggiava al tavolo per fare leva e invitarla, un po’ bruscamente, ad alzarsi.
« Me le dici dopo, » la interruppe lui ancora in un sussurro roco, prendendole il viso tra le mani e camminando all’indietro senza smettere di baciarla. Ichigo sbuffò, ma le sue dita avevano già preso ad armeggiare con i bottoni della camicia di lui:
« La cena… si fredda… » ripeté divertita, e poi le scappò uno strilletto quando il biondo passò una mano sotto le sue ginocchia e la prese in braccio all’improvviso, portandola deciso al piano di sopra.
« I don’t really care, do you? »
Ichigo non pensò minimamente a protestare oltre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) Non sono impazzita, è vero: siccome il Natale è un concetto molto diverso in Giappone da quello occidentale, è molto comune concedersi il pollo fritto da KFC come cenone :D Il cenone americano invece ricorda molto il Ringraziamento, con il super tacchino farcito, il purè di patate che è più panna che patate (aaaah i ricordi <3), la salsa di mirtilli… etc. etc. :)

(**) Episodio 10, La squadra si completa, ovvero la puntata in cui si rivela che Zakuro è l’ultima Mew Mew.

(***) Cit. Luke Skywalker, da Star Wars Episodio VI – Il ritorno dello Jedi. E sì, le tutine così esistono davvero, chi sono io per non googlare idee xD

   
 
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