Chapter Six – Not always
rainbows and butterflies
Sembrava che in casa fosse scoppiata una
bomba. Non importava quante volte al giorno raccoglieva vestitini,
giocattoli,
bavaglini, cuffiette, scarpine, ogni volta che si girava ne vedeva
almeno altri
tre abbandonati in un angolo del divano o su qualche mensola. Già lei
non era
famosa per il suo ordine, la casa era grande ma le cose al suo interno
sembravano essersi moltiplicate esponenzialmente, sapeva anche che
tutto ciò
sarebbe solo peggiorato con il tempo…
Per fortuna che almeno c’era Ryou.
Ichigo si rilassò un po’ di più sul divano
e, con un sorriso intenerito, lo osservò scendere piano le scale, in
una mano
il monitor della camera della bimba e nell’altra un mucchietto di
vestiti da
lavare, il che lo costringeva a parlare sottovoce con il cellulare
invece
incastrato contro la spalla. Lo stomaco le sfarfallò impudente, lei si
sentiva ancora
a pezzi e completamente sfasata, mentre lui magicamente sfoggiava solo
un
accenno di barba incolta che contribuiva a donargli esattamente
l’effetto
opposto.
D’accordo, però lui non è mai
stato un
campione del sonno.
Quando la notò sveglia, Ryou chiuse la
telefonata velocemente con qualche altra parola inglese e le si
avvicinò per
sfiorarle una guancia con le nocche: « Lo sai che la regola aurea è
dormire
quando dorme lei. »
La rossa inclinò il viso di più verso la
sua mano: « Volevo farmi una doccia ma mi sono stesa un attimo e ora
non mi
alzo più. »
« Nap. You’re
good at that. »
Si allontanò dandole un buffetto sul naso
mentre lei storceva il naso per la battutina. Affossandosi ancora di
più tra i
cuscini, tastò alla cieca finché trovò il cellulare, abbandonato da un
paio di
giorni sul tavolino.
Per evitare domande superflue – troppi
ficcanaso con giudizi non richiesti – aveva evitato di divulgare troppe
notizie
tra i vari social, ben sapendo che già avrebbero viaggiato tra i
compagni di
università e che Shirogane stesso non fosse un amante dei fatti propri
spiattellati ai quattro venti. Ciononostante, qualche giorno prima
aveva ceduto
e si era concessa di pubblicare una tenerissima foto dei piedini di
Kimberly
sopra la copertina regalata da Retasu. Presa dai ritmi frenetici di
quelle
giornate e dalla mancanza di sonno aveva poi quasi completamente
ignorato il
telefono se non per rispondere alle continue telefonate dei suoi
genitori;
infatti, non appena lo sbloccò, fu letteralmente invasa di notifiche,
messaggi,
e-mail e quant’altro.
Bramando un po’ di meritato oblio
tecnologico, si estraniò per vari minuti, scorrendo e picchiettando con
i
pollici in maniera quasi automatica e rispondendo in modo più o meno
sistematico.
Finché non notò una mail, finita in fondo
alla pila perché spedita tra le prime, molto a ridosso della
pubblicazione
della fotografia.
From:
RedDataKnight
Ehi
Ichigo! Come stai?? :) Ora forse capisco perché non ti ho sentito al
tuo compleanno!
:D Spero che vada tutto bene – io sarò a casa per un po’ per un
progetto di
ricerca, mi farebbe piacere farti le congratulazioni dal vivo e
aggiornarci un
po’! Ovviamente senza fretta :)
M.
« Cavolo! » esclamò in un
sussurro,
continuando a fissare lo schermo. Rispondere agli auguri, quell’anno,
non era
stato decisamente tra le sue priorità (settimo e passa mese di
gravidanza e
concernenti pensieri a parte, dopo la cena a casa tutti insieme Ryou
l’aveva
portata in un bed and breakfast in montagna per il fine settimana con
la molto
poco necessaria scusa che da lì a poco i momenti per loro sarebbero
diminuiti
drasticamente, e anche se ci fosse stato abbastanza campo il telefono
era
l’ultima cosa a cui aveva prestato attenzione…), come sapeva di avere
il
diritto di raccontare ciò che voleva a chi voleva, ma non poté fare a
meno di
sentirsi in colpa.
Quello era Masaya, le
era stato accanto in
molti momenti importanti della sua vita e ancora lo era, anche se in
maniera
diversa. Certo, non si sentivano tutti i giorni e neanche tutti i mesi,
ma
erano sempre rimasti in contatto come due buoni amici potevano fare.
Invece lei si era
completamente dimenticata
di lui nel momento più significativo di sempre.
« Cavolo, cavolo,
cavolo! »
« Tutto okay? »
Sobbalzò quando Ryou
ricomparve alle sue
spalle, lanciandole un’occhiatina preoccupata.
Ichigo scosse la
testa: « Sì, mi sono
accorta che… ho dimenticato di rispondere a qualche messaggio. »
Il biondo le
picchiettò la testa con le
dita: « Niente di grave direi, ginger. »
« No, no, però… » lei
si mordicchiò il
labbro e lo scrutò mentre le si sedeva accanto, buttava la testa
all’indietro
con un sospiro, e la guardava con un mezzo occhio aperto, aprendo il
palmo per
farsi dare il cellulare.
« Ginger,
relax. Gli altri aspettano,
tu non puoi non dormire. »
« Vuoi dirmi che stai
per fare un pisolino
insieme a me? »
« If you’re
quick. »
Ichigo abbozzò una
risata, poi digitò
qualcosa di veloce in risposta e tirò Shirogane per un braccio,
costringendolo
ad accoccolarsi contro di lei per quei preziosi minuti di pausa.
From: Strawberrycat
Aoyama-kun, scusami tanto! Sono incasinatissima in
questo periodo, come puoi immaginare :))) Mi farebbe piacere salutarti,
ti
faccio sapere appena possibile!! :))))
§§§
« Buona giornata,
cara! Torni per cena? »
Retasu si appoggiò al
muro dell’entrata per
non perdere l’equilibrio mentre si infilava le scarpe: « Uhm… non credo
mamma,
dopo lezione ho un turno al Caffè ma ti faccio sapere! »
« Certo tesoro, in
caso ti lascio qualcosa
in caldo. »
Con un ultimo saluto,
la ragazza afferrò un
giacchetto leggero e si fiondò fuori dalla porta, stringendo la sacca
con il
computer al petto e avviandosi a passo spedito verso la stazione più
vicina.
Meglio non affidarsi troppo alle sue abilità da ciclista, quando aveva
fretta.
Ebbe fortuna, e un
treno si fermò al suo
binario dopo pochi istanti; si sedette al primo posto finestrino libero
e prese
un respiro di sollievo, avrebbe recuperato sul suo ritardo e sarebbe
potuta
arrivare all’università con calma. Mancava poco all’inizio della
sessione di
esami estiva, e non era certo il momento di essere notata dai
professori per i
motivi sbagliati.
Poggiando la spalla al
finestrino, si
concesse di rilassarsi un po’ di più e ripassare mentalmente il
programma della
giornata; come al solito, l’idea di passare la serata al Caffè le
riempì lo
stomaco di aspettativa. Ciò che aveva detto a sua mamma era vero, aveva
sul
serio un turno di un paio d’ore subito dopo le lezioni, visto che
coincideva
con il momento più affollato, ma da quando lei e Pai aveva iniziato a
frequentarsi, lei aveva anche incominciato ad allungare la sua
permanenza nel
locale.
Si
frequentavano. Solo quel pensiero fece
frullare il cuore della verde e tingere le
guance, costringendola ad affondare il naso contro la borsa per
nascondere un
po’ l’imbarazzo. Probabilmente se qualcuno in passato le avesse detto
come sarebbe
finita, non ci avrebbe creduto. Con tutti i loro trascorsi, con tutto
quello
che c’era stato, con il solo fatto di come fosse in realtà il maggiore
degli
Ikisatashi… a volte avrebbe voluto pizzicarsi per credere che fosse
tutto
reale. Che era davvero lei quella cui rivolgeva gli scarsi sorrisi,
quando la
incrociava per le stanze del Caffè; davvero la sua mano che accarezzava
con
discrezione in mezzo agli altri; davvero la sua bocca che cercava nei
momenti
rubati tra la penombra del seminterrato.
Il suo tentativo di
non arrossire fallì
miseramente, e Retasu cacciò ancora di più il viso contro la tela
colorata. Si
sentiva di nuovo una scolaretta in preda a una tempesta di farfalle
nello
stomaco, estasiata dalle più piccole cose. Perché in effetti la loro
relazione
– faceva quasi fatica a chiamarla così – si basava sulle piccole cose:
Pai
l’attendeva sulla porta sul retro alla fine dei suoi turni al Caffè per
riaccompagnarla a casa o all’università; lei lo raggiungeva in
laboratorio per
sederglisi accanto e studiare mentre lui continuava il suo lavoro, e
insieme
condividevano qualche avanzo regalato da Keiichiro; quando erano
entrambi
liberi, facevano lunghe passeggiate in cui lui l’ascoltava raccontare
ciò che
le passava per la testa o le chiedeva spiegazioni su varie cose che
aveva
osservato sulla Terra. E lei non avrebbe potuto chiedere di meglio, non
le
importava che Ichigo le facesse notare con una punta di malizia che non
avevano
mai avuto un vero e proprio primo appuntamento, perché il modo in cui
l’alieno
la guardava, la cercava, la sfiorava, la baciava, la potevano riempire
più di
qualsiasi altro luogo comune. Nessuno sapeva quanto calore in realtà
l’algido
alieno poteva trasmettere, e anche se lei non era d’accordo con ciò che
le
aveva detto un mese prima, dopo il compleanno di Kisshu, credeva con
tutto il
cuore alla promessa che le aveva fatto.
Anche se lei…
La frenata del treno e
l’annuncio della sua
fermata la riscossero dai suoi pensieri, e si dovette quasi lanciare di
corsa
prima che le porte si chiudessero costringendola a un doppio viaggio.
L’aria
calda di fine maggio la rinvigorì, e le sue labbra non smisero di
incurvarsi in
un sorriso.
Magari sarebbe potuta
arrivare al Caffè un
po’ prima, quel giorno, invece di rimanere a studiare in università. E
magari,
questa volta, avrebbe potuto davvero trovare un posto carino e
romantico dove
andare a cena.
« Terra chiama Pai,
passo. »
Gli occhi ametista si
girarono con fastidio
verso Kisshu, seduto a gambe incrociate sulla sedia lì accanto.
« Siamo stanchi,
stamattina? » continuò a
prenderlo in giro il fratello minore, con quella sua brutta abitudine
di non
riuscire a star fermo e che quindi continuava a far girare la sedia a
destra e
sinistra, le braccia incrociate dietro la testa, « Ti ho chiamato due
volte. »
« Al contrario di te,
io riesco a
concentrarmi, » replicò Pai, tornando a fissare la colonna di dati che
riempivano
lo schermo.
« Sì, diciamo così, »
il verde ghignò e
indicò con il mento il proprio monitor, « Ho comparato i dati mandati
dal
Comando Generale ai nostri, niente di che. »
« Mhhm, » l’altro
continuò a digitare
imperterrito, « Invece in questa zona la Mew Aqua è diminuita. Il che
avallerebbe la tesi che il terreno la consuma proprio come fonte di
energia. »
« Non è esattamente
ottimista, come
ipotesi, » Kisshu si sporse per vedere meglio, « E solo in quella zona?
»
« Non ho ancora
comparato i dati rispetto
l’anno scorso. E qui non stiamo cercando solo cose ottimiste. »
« Scusami, mi ero
dimenticato che negativo
è il tuo secondo nome, » il fratello alzò gli occhi al cielo
e si alzò
dalla sedia con un sonoro scrocchiare di ossa, « Vado a farmi un giro e
raggiungo la tortorella, se la trovo. Tu hai piani per oggi? »
Pai ignorò il suo
ghignetto strafottente: «
No. »
« Oh, andiamo! Per una
volta puoi rivolgere
più di quattro monosillabi al tuo fratellino adorato. »
« Quando avrò voglia
di parlare con Taruto
sarò io stesso a farlo. »
« Ah! » Kisshu buttò
la testa indietro e
rise aspro, « Almeno la pesciolina ti migliora il senso dell’umorismo.
Te
l’avevo detto. »
Pai piegò solo un
sopracciglio: « Mi
avresti detto cosa? »
« Che era la scelta
migliore, visto quanto
sei musone, » gli batté una mano sulla spalla, solo per ritirarla con
un sibilo
e una parolaccia data l’onda di elettricità che gli fece drizzare i
capelli, « Ahia,
cazzo, la devi piantare con questa aggressività! »
« Vai a disturbare
Aizawa e lascia stare
me. »
« Esatto, vado a
cercare qualcuno che
apprezza la mia compagnia. »
« Buona fortuna. »
Kisshu uscì dal
laboratorio salutandolo con
un dito medio alzato; quando la porta si bloccò con un sibilo, Pai si
rilassò
contro lo schienale della sedia.
Quanto
detesto quand’ha ragione.
§§§
« Ah, senti che
arietta! E che profumo di
primavera! Mi sta venendo caldo. Perché mi guardi così? »
Ryou scosse la testa,
nascondendo un
sorrisetto, mentre continuava a spingere la carrozzina: « You’re
funny,
ginger. »
« Dai, è la nostra
prima uscita ufficiale,
sono contenta, » Ichigo gli strinse un po’ di più il braccio,
poggiandovi la
tempia e quasi zampettando accanto a lui, « Poi guarda come dorme!
Quasi la
invidio. »
« Se sei stanca,
possiamo tornare a casa. »
« No, ancora un po’, »
sospirò lei, « E poi
dobbiamo ancora passare a prendere un paio di cose per stasera. »
Il biondo sbuffò
sottovoce: « Ricordami
perché stai già organizzando cene a tre settimane dal parto. »
« Intanto non sto
organizzando niente, io
metto solo a disposizione il luogo e il cibo lo portano gli altri, »
puntualizzò divertita lei, « E poi mi mancano le mie amiche, ho voglia
di fare
due chiacchiere e non pensare a quanto sono stanca per un paio d’ore. »
« Mmhm, » Ryou le
lanciò un’occhiatina
divertita, « Stai forse dicendo che non ti basto io? »
Ichigo arricciò il
naso e gli diede una
leggera spinta: « Quanto sei sciocco, certo che no. Ma ho circa due
mesi di
gossip arretrati, soprattutto da parte di Reta-chan. »
« Mi chiedo come tu
abbia fatto a
sopravvivere senza. »
« Shirogane! Non fare
l’antipatico. »
Lui rise ancora,
lasciandole un bacio
leggere sulla testa, e continuarono a camminare tra i curati vialetti
del parco
per un altro quarto d’ora, finché Ichigo non individuò una panchina
sotto
l’ombra di un grosso albero.
« Ora pausa! »
annunciò, portandosi le mani
sulle reni per stirare un po’ la schiena, « Ci sediamo cinque minuti? »
« Mi stavo giusto
preoccupando di questo
tuo eccesso d’agonismo. »
« Come premio per la
tua simpatia, ti tocca
andarmi a prendere un gelato. »
Ryou mise il freno
alla carrozzina,
accertandosi che non fosse al sole, e guardò la rossa con un
sopracciglio
alzato: « Qui non c’è il Caffè. »
« Non dirmi che ti fa
paura la concorrenza!
»
« Ti ho viziato
troppo. »
Ichigo si sedette con
un sospiro e in
risposta gli mostrò un sorriso sfavillante da bambina, cui lui ribatté
con un
buffetto sul naso.
« Vaniglia e
cioccolato? »
« E panna montata. »
Con un altro buffetto,
Shirogane si
allontanò verso un chioschetto poco lontano che vendeva bevande,
merendine e
gelati, mentre la rossa si rilassava sulla panchina e iniziava a
giocherellare
con il cellulare, tenendo d’occhio Kimberly che continuava a dormire
beata.
Persa com’era a
recuperare i messaggi
scambiati nella chat delle ragazze, non si accorse della figura che le
comparve
accanto finché questa non la chiamò con voce allegra, facendola
sussultare.
« Ichigo? Sei proprio
tu? Che coincidenza!
»
La rossa sbatté le
palpebre un paio di
volte, presa completamente alla sprovvista, per mettere a fuoco la
silhouette
contro luce: « A-Aoyama-kun? Ma… che ci fai tu qui? »
Masaya sorrise con la
stessa vitalità di
sempre: « Non ti ricordi? Sono tornato a Tokyo per un po’, per un
lavoro che
sarà il fulcro centrale della mia tesi di master. Passo spesso per
questo
parco, quando vado in università. »
Ichigo in realtà lo
stava ascoltando solo
con mezzo orecchio, troppo presa dal senso di colpa di essersi
completamente (e
nuovamente) dimenticata di rispondere al ragazzo in maniera decente e
dalla
mortificazione di trovarselo ora lì, davanti, in un parco che aveva
cominciato
a frequentare solo perché più vicino alla nuova casa.
« Allora, come stai?
Congratulazioni, a
proposito! Che avventura! »
« Eh già… » lei si
morse il labbro,
sentendosi a disagio come non mai con il ragazzo, « È stato tutto un
po’… come
dire… una sorpresa, già. »
Aoyama annuì
comprensivo e sbirciò sotto la
cupola della carrozzina: « È un sacco carina, complimenti davvero. Come
si
chiama? »
Ichigo strinse un po’
di più il manico: «
Uhm… si chiama Kimberly. »
Non le sfuggì il viso
interdetto del
ragazzo mentre si raddrizzava e voltava verso di lei, incuriosito dal
nome
molto poco giapponese; non ebbe il tempo di chiedere, però, perché in
quel
momento ricomparve Ryou, il gelato in mano e la faccia più impassibile
della
storia, probabilmente fugando ogni suo dubbio.
« Aoyama. »
« Shirogane, buon
pomeriggio, » lo salutò
Masaya, decisamente più cordiale, « Credo che le congratulazioni siano
di
dovere anche a te, quindi. »
« Thank you.
Ti intrattieni molto, a
Tokyo? »
Ichigo si dovette
trattenere dal dargli un
pizzicotto mentre le porgeva il gelato, di cui le era completamente
passata la
voglia, ma Aoyama non apparve per nulla turbato.
« Un anno intero del
mio master sarà
dedicato a un progetto che sto seguendo qui, così da costruirci la
tesi, »
esclamò con pacatezza, « Avevo avvisato Ichigo, ma capisco che sia
stata un po’
impegnata. »
La rossa condivise la
risatina impacciata,
muovendo l’indice tra lei e Ryou: « Già, noi due… ecco… »
Masaya non la lasciò
finire, annuendo con
fare comprensivo e sorridendo di più: « Sono contento per voi e vi
auguro il
meglio. Hai accanto una persona straordinaria, Shirogane, e sono certo
che
saprai prendertene cura. E complimenti ancora. »
« Grazie, Aoyama-kun,
e davvero scusami se
non ti ho risposto ma - »
« Non preoccuparti,
Ichigo-chan, non posso
nemmeno immaginare che momento sia questo! L’importante è che tu – voi
– stiate
bene e siate felici. »
Ryou fece un
impercettibile passo verso la
ragazza: « We are, thank you. »
Masaya annuì ancora e
rivolse un ultimo
sorriso a Ichigo: « È stato un piacere rivedervi. E l’offerta del caffè
è
sempre valida. »
« Ciao, Aoyama-kun… »
Ichigo lo salutò
fievolmente e lo seguì con
lo sguardo mentre si allontanava, un ultimo gesto con la mano, e poi
sprofondò
ancora di più nella panchina: « Accidenti, che vergogna! Mi sono
completamente
dimenticata di dirgli… be’, tutto, e trovarmelo
davanti così! »
Shirogane rimase
impassibile, agguantando
di nuovo il manico della carrozzina: « Non vedo cosa ci sia da
vergognarsi. »
« Non in quel
senso, però… e tu
potevi anche essere più gentile! »
« Sono conciso, non
sono certo scortese. »
« Certo, come no, » la
rossa sbuffò e si
tirò in piedi, scrocchiandosi la schiena una seconda volta, « Non
abbiamo più
quattordici anni, puoi avere una conversazione vera
con qualcuno che non
ti va a genio. »
« Let’s just
go. »
Ichigo evitò di alzare
troppo gli occhi al
cielo e lo seguì lentamente verso l’uscita dalla parte opposta.
« Ogni volta che vengo
qui da te, nee-chan,
mangio come un maiale. »
Purin si stiracchiò
vistosamente,
allungando le gambe sul tappeto con un mugolio soddisfatto, e Ichigo
sorrise
sotto i baffi, poggiando un vassoio con teiera e tazze sul tavolino da
caffè.
« Questa volta non è
colpa mia, è stata
Minto-chan a provvedere. »
« E infatti mangiando
come se non ci fosse
un domani, non avete gustato quasi nulla. Non vi meritate i miei
ristoranti. »
« Abbiamo fatto onore
alla tavola invece. »
« Ti dovresti
regolare, Momomiya. »
« Tieni, bevi così ti
rilassi, » la rossa
le allungò una tazza già riempita, « Ora perché i maschietti non vanno
a
giocare da un’altra parte così noi ragazze possiamo fare un po’ di
chiacchiere
tranquille? »
« Be’, perché? »
domandò Kisshu, quasi
sinceramente offeso, « Anche io voglio sentire i gossip. »
« Come sei infantile. »
« Non so se ti
convenga, nii-san, credo che
Ichigo-chan voglia interrogare anche Minto nee-san. »
« Come no! »
« Scusate, questa
doveva essere una serata
tra ragazze, » Ichigo mise il broncio e lanciò un’occhiata torva ai due
alieni
e a Ryou, seduto accanto a lei, « Siete voi che vi siete imbucati. »
« I live
here,
you know. »
« Non mi sembra un
problema per te non fare
conversazione. »
Shirogane alzò un
sopracciglio alla
frecciatina, spostandosi per guardarla meglio: « Ancora con questa
storia di
oggi? »
Purin guardò in su
dalla sua tazza, su cui
soffiò prima di dare voce alla domanda condivisa da tutti: « Perché,
cos’è
successo oggi? »
« Niente. »
Ichigo lanciò un’altra
occhiataccia al
fidanzato: « Oggi siamo andati al parco qui dietro per far fare a
Kimberly una
prima passeggiata all’aperto. Non c’eravamo mai andati tanto, l’abbiamo
scelto
solo per comodità e… abbiamo incontrato Masaya. »
Le altre tre ragazze
si lasciarono scappare
un sussulto, mentre Zakuro si limitò ad alzare un sopracciglio alla
rivelazione; la rossa prese un sorso di tè e scosse la testa:
« Così, me lo sono
trovato davanti
all’improvviso! Ve l’avevo detto che mi aveva scritto, no? Ma io - »
« Wait, he
wrote you?! »
« - gli avevo solo
risposto velocemente e
mi ero completamente dimenticata di dirgli qualsiasi cosa! Mi ha pure
ricordato
che non lo avevo ringraziato per gli auguri di compleanno! Così quando
mi è
spuntato in fronte, non so, avrei voluto che il terreno mi mangiasse… e
Ryou
praticamente sembrava schifato a rivolgergli la parola, il che non ha
aiutato!
»
« Mmh, che
bell’incontro… » commentò solo
lugubre Kisshu, prendendo un lungo sorso dalla sua tazza e ricevendo
una rara
d’occhiata d’intesa dall’americano.
« È per questo che
Shirogane è tutta sera
che ha la faccia di uno che ha mangiato un limone? » criticò Minto,
quasi
divertita, e lui si limitò ad alzare gli occhi al cielo.
« E come sta
Aoyama-san? » domandò Purin,
allungandosi sul tavolino per afferrare un biscotto, « Credo di non
vederlo da
quando è partito per Londra la prima volta. »
La rossa fece
spallucce: « Bene, direi. Ha
detto è qui a Tokyo per un progetto del suo corso di studi, ma non so
molto
altro. Non abbiamo avuto molto tempo di parlare, ecco. Però… non so,
devo dire
che l'ho trovato un po'... strano. »
Retasu corrugò la
fronte: « In che senso? »
« Non saprei
spiegarlo, » l'amica scosse la
testa, « Mi ha solo dato questa sensazione, ecco tutto. »
« Un po' di estraneità
è comprensibile dopo
tanti anni di lontananza, » intervenne pacata Zakuro, « Anche se avete
mantenuto un buon rapporto dopo che vi siete lasciati, e sono passati
tanti
anni, è venuto a sapere all’improvviso che tu hai avuto una figlia
niente di
meno che con Ryou, che non era esattamente il suo migliore amico. Anzi,
con il
quale aveva un rapporto, come dire… competitivo. »
«
Watch it, » borbottò
il biondo con un’occhiataccia verso Purin e Kisshu, che avevano
sogghignato
platealmente, prima di bere un sorso di tè.
« Immagino di sì, »
Ichigo esalò e si alzò
dal divano, « Chi vuole altro da bere? »
Quando si fu
allontanata verso la cucina,
con la teiera in mano, l'attenzione degli altri si spostò su Shirogane,
che
sbuffò contrariato: « Non capisco perché continuate a guardarmi.
»
« E dai, nii-san, »
rise Purin, « La tua faccia
dice tutto. »
« La mia faccia non dice niente. E poi, se
proprio volete
discuterne, e se proprio volete ipotizzare che tra me e Aoyama ci sia
mai stata
una gara – che non è il caso perché
ho avuto altro di meglio da
fare al mondo che mettermi a competere con lui – se anche mai
ci sia stata
competizione, allora dovreste anche concludere che alla fine
ho vinto io. »
Minto alzò gli occhi
al cielo: « Parli di
ego spropositato... »
« Avete iniziato voi. »
« Alla tua età ancora
discuti di queste
cose? » Ichigo ritornò in sala con un'espressione poco divertita in
volto, « E
guarda che non sono un premio da vincere. »
« Vallo a dire a tuo
padre, » la prese in
giro Ryou tetramente.
« Questo sabato siamo
a pranzo da loro, non
iniziare. »
Il biondo si limitò a
scambiarsi
un’occhiata silenziosa con Zakuro, che in tutta risposta piegò
leggermente la
propria tazza verso di lui.
« Comunque normale
l’ameba non è mai stato,
» dichiarò Kisshu con un ghignetto, « Ma sempre più simpatico dei suoi
alter
ego. »
« Kisshu! »
« Non fare quella
faccia, tortorella, è
vero. Fosse spuntato davanti a me non mi sarei limitato a non
rivolgergli la
parola. Qualunque sfumatura di blu fosse, avrei voluto fargli un po’ il
culo
io. »
Minto lo guardò in
tralice mentre lo
sguardo dorato sembrava perdersi nel vuoto, e cercando di non farsi
notare
poggiò con nonchalance il braccio sulla gamba di lui. Nello stesso
momento,
Retasu si schiarì la gola e sorrise, allungandosi verso la teiera di
nuovo
riempita e fumante.
« Chi ha bisogno di un
altro giro? »
Non ebbe il tempo di
ricevere risposta che
il telefono di Ryou cominciò a suonare, facendoli sobbalzare quasi
tutti,
Ichigo che preoccupata si voltò verso il baby monitor sul tavolino
della
lampada.
« È Keiichiro, »
esclamò il biondo
controllando il display, « Ma non so cosa - »
Dal piano di sopra
rimbombò debole
l’allarme del computer del suo studio, seguito dall’esplosione di
notifiche sul
suo cellulare.
E gli parve subito un
incredibile déjà-vu,
soprattutto perché si udì un sibilo, e Taruto apparve all’improvviso
nel bel
mezzo del salotto.
Purin si sentiva come
se il mondo intorno a
lei fosse improvvisamente tutto ovattato e al rallentatore. Aveva
osservato a
occhi sgranati Pai e Kisshu alzarsi di scatto e quasi accerchiare il
loro
fratello minore, raggiunti poco dopo da Ryou, mentre Ichigo scattava al
piano
di sopra visto il pianto disperato di Kimberly, spaventata dal rumore
dei
sistemi e dalle grida stupite degli ospiti, ma in realtà i suoi occhi
si erano
focalizzati solo sul ragazzo dagli occhi color ambra e i capelli
marroni ora
sciolti sulle spalle.
« Possibile che tutte
le volte debbano
spuntare all’improvviso come funghi?! »
« Minto-chan, calmati…
»
« Oh Retasu, non mi
guardare così, ogni
volta fanno tutto questo casino…! »
« Scusate! » la voce
di Zakuro sovrastò
quella delle altre, e tutte le teste, compresa quella della biondina,
si
voltarono verso di lei, « Adesso basta. Cosa sta succedendo qui? »
Taruto le rivolse un
sorriso terribilmente
simile a quello del fratello dai capelli verdi: « Ho finalmente finito
il mio
addestramento. Non potevo certo lasciare che solo i miei fratelli si
divertissero, no? »
« Be’ certo, la Terra
è il vostro nuovo
luogo di villeggiatura. »
Il più giovane degli
Ikisatashi guardò
Shirogane con un misto di curiosità e fastidio: « Sono solo io, che
problema c’è?
»
« Anche l’ultima volta
eravate solo voi tre
e il vostro capo pazzoide. »
« Ryou! »
Pai ignorò il commento
e si sfregò la
fronte: « Come hai fatto? E perché non sono arrivate comunicazioni
ufficiali? »
« È stato il Comando
ad approvare la mia
richiesta subito, se avessi anche dovuto aspettare le comunicazioni
ufficiali
non sarei mai arrivato, ci sono non so quali cambiamenti nell’Assemblea
e… ehi,
e quello cos’è? »
Ichigo continuò a
cullare Kimberly e lo
guardò storto: « Quello è mia figlia, disgraziato!
»
« Ah però,
vecchiaccia, l’età è avanzata
davvero! »
« Brutto… ! »
Ryou le si avvicinò e
le mise una mano
sulle spalle per frenare il suo impeto vendicativo, la testa che già
stava
pulsando in maniera molto pericolosa.
« Volete dirmi che ora
in periferia di
Tokyo ci sono ben due astronavi aliene nascoste in una dimensione
parallela. »
Taruto guardò i suoi
fratelli con un moto
d’orgoglio: « Ho inserito le coordinate che avevi mandato al Comando al
vostro
arrivo e sono riuscito ad ingrandire la dimensione. Per trovarvi
stasera ho
tracciato il segnale del vostro connettore. »
« Oh, he
enlarged the dimension, ain’t that great. »
Zakuro cercò di
blandire Shirogane con uno
sguardo truce, ma cominciava a condividere con lui l’inizio
dell’emicrania: «
Quindi è per questo che Keiichiro stava chiamando, i nostri sistemi
devono aver
percepito il tuo arrivo. Ma la ragione di esso non ci è ancora stata
data, o
anche tu fai parte della missione dei tuoi
fratelli, solo a scoppio
ritardato? »
Il giovane alieno si
strinse nelle spalle:
« Puoi metterla così. »
« Io non voglio metterla,
» replicò
la modella, « Preferirei sapere. »
Non si perse
l’occhiata che si scambiarono
Pai e Kisshu, così come non se la persero gli altri; fu Minto la prima
a
parlare, con occhi pieni di istinto omicida:
« Kisshu giuro che ti
squarto vivo se non
apri quella bocca. »
« Ci sono delle cose
che… non sapete. »
Zakuro inarcò
impercettibilmente un
sopracciglio alla risposta di Pai, incrociando simultaneamente gambe e
braccia:
« Allora raccontatecele. »
« La tortorella un po’
le sa già. »
« Non mettere in mezzo
me, sai! »
Pai fissò la modella
per qualche istante, e
lei vi riconobbe quello sguardo duro e perso che ogni tanto gli aveva
visto
fare durante le loro notti insieme.
« Ve ne abbiamo già
accennato. Dopo la
caduta di Deep Blue, ci sono stati molti cambiamenti all’interno della
nostra
società che non sono stati graditi a tutti, chi credeva ancora al
nostro
vecchio signore ha continuato a rimanergli fedele per qualche tempo.
Potete
immaginare cosa fosse, essere le cause dirette della sua disfatta. »
Kisshu storse la
bocca, mormorando qualcosa
di incomprensibile ai terrestri e spostando il peso da un piede
all’altro, ma
il fratello continuò con un sospiro: « Taruto è riuscito a non viversi
il peggio
perché all’epoca era solo un bambino, nonostante il ruolo che gli era
stato
affidato. L’hanno reintegrato nei vari passaggi del nostro sistema
educazionale, quasi chiudendo un occhio. »
« Noi invece eravamo i
fratelloni traditori
che l’avevano portato sulla cattiva strada, » intervenne il verde con
una
risatina aspra, « Ci hanno fatto mangiare della merda per anni,
nonostante una
folta parte di pubblico ci considerasse quasi come dei salvatori. Che
non era
nemmeno divertente, dopo un po’. Non potevamo vivere una vita normale
senza
essere perseguiti in qualche maniera. »
« La nostra missione è
stato… un
compromesso, » terminò ancora il moro, evitando di guardare Retasu e i
suoi
occhioni lucidi, « Avremmo condotto ricerche necessarie e importanti
per il nostro
pianeta, ricerche che possano assicurarne la longevità, ma senza
abitarvi.
Perché non era possibile. »
« Con
la promessa che il moccioso qui ci
avrebbe raggiunti, una volta consolidata ufficialmente la sua posizione
di tenente,
» Kisshu strinse affettuosamente una spalla a Taruto, ormai alto quasi
quanto
lui.
Zakuro sospirò e si
abbandonò contro la
spalliera, continuando a studiare i tre fratelli e scambiandosi
un’occhiata con
le sue amiche. Non poté evitare di soffermarsi su Purin, che
incredibilmente
non aveva ancora spiccicato una parola e proseguiva a fissare il più
giovane
dei tre ad occhi sgranati.
« D’accordo, » esalò
poi, guardando
direttamente Ryou, « Okay? »
Il biondo, le mani sui
fianchi, si limitò
ad annuire.
« Oh comunque non mi
piace questa cosa che
ci trattate ancora come minacce. »
« Kisshu, sta’ zitto. »
Il verde scosse le
spalle e si riavvicinò a
Minto, che si era appollaiata su un bracciolo del divano con
un’espressione
distratta. Finalmente, Taruto scrutò la stanza finché il suo sguardo
non si
posò sulla biondina seduta per terra; un sorriso timido gli si disegnò
in volto
mentre, a disagio, infilava le mani nelle tasche dei pantaloni.
« Ciao, scimmietta. »
Purin sbatté le
palpebre un paio di volte,
la bocca che si trasformò in una piccola o, e
sembrò quasi risvegliarsi
da un sogno. Il viso le si illuminò di un sorriso enorme mentre
scattava in
piedi con agilità straordinaria e gli si lanciava letteralmente addosso
con uno
strillo ad ultrasuoni: « Taru-Taru! »
Il tonfo della loro
rovinosa caduta per
terra fu coperto nuovamente dagli strilli di Kimberly, spaventata una
seconda
volta, e dal gemito sconfortato di Ichigo e Ryou.
Dopo aver ristabilito
l’ordine, e aver
aggiornato velocemente Keiichiro con una telefonata, anche il terzo
Ikisatashi
fu sistemato al secondo piano del Caffè (nonostante le proteste di
Purin, che
si era offerta profusamente di ospitare Taruto fino a nuovo ordine,
vista
l’ampiezza di casa sua e i continui viaggi di suo papà). Il pasticcere
li
accolse con il solito sorriso cordiale, accompagnandoli nella vecchia
camera di
Ryou – ora di Kisshu – nella quale aveva arrangiato la brandina
d’emergenza con
la promessa di aggiungere un letto più comodo al più presto.
« Mi sento
improvvisamente adolescente, »
ghignò il verde, « Pai ha sempre il diritto di prelazione, eh? »
Il viola lo ignorò: «
Molte grazie,
Akasaka-san. Continueremo a non essere di disturbo. »
L’altro sorrise e si
tirò dietro la porta
mentre usciva: « Nessun problema, Ikisatashi-san. Questo piano è
assolutamente
tutto vostro. Vi chiedo solamente di informare Taruto-san sulla maniera
migliore per non attirare l’attenzione visto le nostre nuove
collaboratrici. »
Pai annuì e lo salutò
con un ultimo cenno;
quando la porta fu chiusa, controllò il pomello e attese qualche
istante,
lasciando che Kisshu vi si appoggiasse contro con una spalla e il
solito
sorrisetto irriverente: « Be’, benvenuto nella nostra umile dimora. »
Taruto si guardò
intorno, poi sghignazzò: «
Come avete fatto a convincere Shirogane a farvi stare qui? »
« Era l’opzione che
più gli conveniva, così
può far finta di non starci tenendo d’occhio. »
Pai sospirò e si
sedette sulla brandina
appena installata: « Taruto. Lo sai cosa ti devo chiedere. »
D’improvviso, il
fratello assunse una posa
molto più composta e rigida: « Nessuna novità. La situazione non è
cambiata
dalla vostra partenza. I registri sono nella mia navetta. »
Gli altri due si
scambiarono un’occhiata,
poi Pai si sfregò la faccia, percependo tutta la stanchezza della
giornata: «
Dovrò andare a fare rapporto, immagino. »
« Io istruisco il
fanciullo qui, prima che
sparisca dietro una certa testa bionda. »
« Che cavolo dici?! »
« Ho notato un certo trasporto,
in
quel capitombolo. »
« Senti, vai a cagare.
»
« Potete darmi tregua
per dieci minuti? »
« E dai, » Kisshu
rivolse a Pai un sorriso
splendente, « Lo sai che ti eravamo mancati. »
Il maggiore scosse la
testa, si alzò con
uno sbuffo e si avviò lungo il corridoio, le spalle incurvate: « Vedete
di non
fare casino, vado alla nave. »
« Io te l’avevo detto
di installare un
comunicatore più vicino. »
« Dannazione, Kisshu! »
§§§
Non ci fu maniera,
ovviamente, di tenere
Purin lontana dal Caffè più delle minime sei ore di sonno necessarie a
essere
funzionante. Al primo raggio di sole, si fiondò giù dal letto, si
infilò il
primo paio di pantaloni che trovò – un pinocchietto leggero di un
azzurro
allegro, perfetto vista la giornata – e quasi volò fuori casa,
salutando i suoi
fratelli con un grido quando era già oltre la porta.
Arrivò al locale a
tempo di record e come
per magia senza neanche una goccia di sudore, rallentando solo quando
vide
Keiichiro che rastrellava la ghiaia del vialetto per metterla in ordine.
« Buongiorno,
Akasaka-san! »
Lui cercò di non
apparire troppo divertito
dal suo trillare agitata: « Purin-chan, buongiorno. Siamo mattinieri
oggi. »
« Già, » lei sorrise a
trentadue denti,
saltellando sui talloni, « Posso chiederti un favore? »
« Ma certamente. »
« Lo so che oggi ho il
turno, però… non è
che potrei… ? »
Keiichiro sorrise
affettuoso e annuì,
poggiandosi al rastrello e facendole l’occhiolino: « Non mi ricordo
l’ultima
volta che hai preso un giorno di ferie, direi che è decisamente
meritato! »
« Grazie mille! »
Purin gli si avvicinò e
gli diede un cinque energetico, « Ci vediamo dopo, ciao! »
« Purin-chan, aspetta,
non sono ancora - !
»
Ma il suo richiamo non
fu ascoltato, perché
lei si era già lanciata all’interno e stava salendo i gradini a due a
due. Con
la chiave di riserva, aprì la porta che separava il secondo piano e –
incurante
del silenzio, o delle soglie chiuse, o delle luci spente – si tuffò
verso la
vecchia stanza di Shirogane, chiamando a pieni polmoni: « Buongiorno,
Taru-Taru! »
Entrambi i ragazzi
nella camera si
svegliarono di soprassalto, tra l’essere investiti dalla luce e l’urlo,
in un
coretto di parolacce.
« Ma che cazz - »
Kisshu riuscì solo ad
aprire mezzo occhio, la faccia stampata dalle righe del cuscino, «
Purin! È
l’alba! »
« Ti sembra il caso di
entrare così?! »
sberciò pure Taruto, tenendosi il lenzuolo fino al mento e una mano sul
cuore
che batteva furioso.
La biondina sembrò non
farci caso e marciò
dentro, spalancando pure la finestra: « Forza, in piedi, pigrone! Ci
sono un
sacco di cose che dobbiamo fare! Uuuh, nii-san, tu dormi nudo? »
Il verde litigò con il
lenzuolo per
avvolgervisi il più possibile senza abbandonare la posizione prona,
mugolando
spropositi contro il guanciale mentre la biondina rideva sfacciata e
piroettava
verso la branda di Taruto.
« Si entra bussando,
sai? Non si sveglia la
gente come una cannonata! »
« Sono contenta che
sei tornato, » esclamò
candidamente lei, incrociando le dita dietro la schiena, « I nii-san
non ti
hanno mandato i miei messaggi? Chiedevo sempre di te! »
Un vago rossore si
sparse sul naso
dell’alieno: « E dopo un viaggio intergalattico non potevi farmi
dormire!? »
« C’è tempo per
dormire, ora dobbiamo dirci
un sacco di cose! Ho chiesto apposta un giorno di ferie, mi devi
raccontare tutto
del tuo addestramento, del tuo pianeta, e scommetto che ci sono anche
un sacco
di cose che non sai! Te l’ha detto Kisshu nii-san che ora esce con
Minto
nee-san? »
Il suddetto riuscì
finalmente a voltarsi a
pancia in su, un piede a penzoloni fuori dal materasso e le braccia
spalancate,
ed esalò sfinito: « Non è che potreste portare la vostra toccante
riunione
fuori da qui? »
Il fratello minore gli
lanciò un’occhiata
truce e poi esalò: « D’accordo, Purin, sono sveglio, ma ora esci. Mi
devo… uhm…
»
La biondina fece una
smorfia maliziosa: «
Anche tu come Kisshu-san? »
Taruto divenne color
melanzana, l’afferrò
per un braccio mentre lei se la ghignava della grossa e, il lenzuolo
ben
stretto attorno al corpo, la spinse bruscamente fuori, sbattendole la
porta
alle spalle.
Svegliato dal
trambusto, Pai passò lì
davanti con la faccia scura e una tazza di caffè nero fumante in mano.
« Possibile che non ci
sia mai un attimo di
pace? »
Retasu tentennò un
istante prima di varcare
l’entrata posteriore del Caffè. Era arrivata un po’ in anticipo
rispetto al suo
turno, un po’ perché avvisata da Keiichiro sul giorno libero di Purin –
che
stava spammando senza pietà la loro chat di gruppo con foto della
maratona cui
stava costringendo Taruto – un po’ perché, viste le rivelazioni della
sera
precedente, avrebbe voluto sfruttare l’occasione per parlare con Pai.
La cosa, però, la
rendeva nervosa: non era
mai stata un’amante del confronto, per niente, e non era un confronto
quello
che voleva ottenere, però si rendeva conto di come le domande che aveva
potessero risultare scomode, lo aveva capito dall’espressione dei tre
alieni
durante il loro racconto. Ciò la metteva in difficoltà; non le piaceva
rivangare ferite che evidentemente avevano faticato a chiudersi,
dall’altro
lato aveva delle curiosità che non riusciva a placare.
Prese un respiro e si
avviò dentro, il
profumo dolce del Caffè che, come ogni volta, le solleticò le narici.
Era
appena dopo pranzo, sapeva che Pai avrebbe iniziato da lì a poco il suo
secondo
round di tazze di caffè, perciò se ne procurò una non appena ebbe
lasciato le
sue cose in spogliatoio. Stava dirigendosi con estrema cautela verso il
laboratorio quando lo vide salire in direzione opposta e rivolgerle un
accenno
di sorriso, cui lei rispose con timidezza più marcata.
« Ciao, » gli mormorò,
« Sono arrivata un
po’ prima perché manca Purin. »
Pai annuì e le tolse
l’onere di stringere
la tazza fumante, ringraziandola sottovoce: « Ha preso in ostaggio mio
fratello. »
Retasu sorrise
divertita e congiunse le
mani in grembo: « Ci sta mandando foto in continuazione, è ancora in
ottima
forma. »
Anche Pai rise,
prendendo un sorso e
assaporando un po’ più a lungo l’aroma caldo sulla lingua. Non era
stupido,
sapeva cosa volesse la ragazza, e non dovette aspettare molto per
sentirla
cominciare.
« Io… riguardo ieri
sera… » tentennò
infatti la verde, mentre gli lanciava uno sguardo da sopra il bordo
degli
occhiali, « Volevo solo… »
L’alieno le indicò le
scale con un cenno
della testa e la fece precederlo al piano di sopra, indirizzandola con
una mano
sull’incavo della schiena verso la sua camera da letto. Non erano certo
discorsi che lui avrebbe apprezzato condurre, figuriamoci nel bel mezzo
di un
corridoio.
Lì, l’odore del
ragazzo era molto più
forte, e ciò le fece sfrigolare la pancia più del solito, ma Retasu
s’impose di
concentrarsi.
« Perché non me l’hai
detto? » domandò d’un
fiato dopo qualche istante.
Pai sospirò e poggiò
la tazza sulla
scrivania lucida, cercando le parole giuste.
« Non sono bei
ricordi, Retasu. »
« Lo capisco. Per
questo forse sarebbero
da… condividere. Non ti fidi di me? »
Lui fece un passo
avanti e le prese il viso
tra le mani: « Non ha niente a che vedere con te. »
Lei si corrucciò,
scrutando le iridi
ametista: « Cosa vuoi… ? »
L’alieno esalò piano e
la strinse un po’ di
più: « Non sono il tipo di persona che… si trova a suo agio a chiedere
aiuto,
né grava i propri problemi sugli altri. Non voglio scatenare la tua
pietà, non
voglio farti stare male. È passato, e non ha più nessuna importanza. »
« Pai, io… io voglio
sapere chi sei, »
mormorò lei.
« Sai già tutto quello
che conta. Non
voglio guardare indietro, con te. Voglio andare avanti. »
Il cuore di Retasu
batté così forte che per
un istante quasi le cedettero le ginocchia; si aggrappò alle spalle di
lui e lo
studiò per qualche altro secondo, annuendo lentamente poi: « Però
promettimi
che… se ci fosse qualcos’altro, o in un momento in cui ti serve
parlarne… che
lo farai. »
Lui assentì con la
testa, sfiorandole le
labbra in un sussurro prima di baciarla: « Te l’ho detto che non ti
merito. »
Retasu si lasciò
scappare un sospiro quando
avvertì la parete contro la schiena e inclinò di più la testa,
perdendosi nel
loro bacio. Il sapore di Pai si mischiava a quello del caffè, e come
sempre
iniziarono a ronzarle le orecchie mentre il petto le galoppava spedito
e il
sangue sembrava fluirle tutto nel ventre. Anche Pai esalò nel poggiare
le mani
sulla sua vita per premersi un po’ di più contro di lei, percependone
le curve
contro al corpo, il calore tiepido e il profumo fresco.
Sapeva
di estate, pensò senza sapere il perché,
rendendosi conto che non sarebbe riuscito
a farne a meno, che presto avrebbe solamente bramato sentirlo
maggiormente.
Un altro mormorio
risalì dalla gola della
ragazza quando Pai spostò un palmo per sfiorarle appena un seno, un
mugolio che
assomigliava terribilmente al suo nome e che, unito a Retasu che si
sporgeva
ancora contro di lui, gli azzerò del tutto i pensieri. Si piegò a
baciarle il
collo, l’altra mano che spiegazzò la stoffa della gonna che lei
indossava per
impedirsi di muoverla, avventurandosi lungo lo scollo della blusa, lì
dove una
volta aveva sfoggiato la sua voglia Mew, per poi ripercorrere la pelle
rosea
dalla parte opposta.
« Pai… » questa volta
fu un rantolo vero e
proprio nel momento in cui lui la strinse di più, poi le mani della
ragazza gli
si posarono sulle spalle, « A-aspetta… »
Riportò le mani sulla
vita di lei per
abbracciarla e le lasciò un ultimo bacio sotto l’orecchio, tracciando
con il
naso la scia di pelle d’oca che le causò; Retasu tremò appena e prese
fiato,
sistemandosi gli occhiali sul naso: « De-devo andare. »
Avrebbe voluto dirle
di non farlo, invece
Pai annuì e posò la fronte contro la sua.
Non
puoi correre.
« Ti accompagno quando
hai finito, » le
disse sottovoce.
La verde fece sì con
la testa, tossicchiò
mentre si sistemava un po’ i vestiti, e si sporse in su per ottenere un
ultimo
bacio veloce, con buona pace del viso color peperone e del cuore in
gola.
Forse aveva davvero
ragione lui, si disse,
l’unica cosa importante era continuare a guardare avanti, insieme.
« Dai, ammettilo che
ti sei divertito! »
Purin diede una
giocosa spallata a Taruto,
che incrociò le braccia dietro la nuca e assunse un’espressione di
superiorità:
« Non è stato malaccio, ma sei una guida un po’ troppo frenetica. »
« Dovevo farti vedere
un sacco di cose! E
poi tu sei lento! »
« Per tua
informazione, sono tra i migliori
del mio corso! Sei tu che hai le gambe più corte e quindi devi correre,
nanerottola! »
La biondina rise
allegra, dandogli un altro
colpetto e scoccandogli un’occhiata di nascosto mentre continuava a
camminargli
accanto, le ombre del tramonto che si facevano più scure. Ancora non si
capacitava che Taruto fosse davvero lì, vicino a lei, che potesse
toccarlo e
vederlo sul serio. Né si spiegava come avessero passato la giornata in
totale
sintonia, come se non fossero passati davvero sette anni ma solamente
sette
giorni dall’ultima volta in cui si erano visti.
Eppure, sia lei che
Taruto erano cambiati
così tanto.
Gli scoccò un’altra
occhiata,
meravigliandosi del fatto che adesso era più alto di lei di almeno
dieci
centimetri e decisamente con le spalle più larghe di quanto si
ricordava, ma
con la stessa faccia da birbante, nonostante i lineamenti cresciuti.
Dal canto suo, anche
Taruto faceva fatica a
computare che la ragazza a fianco a lui fosse davvero la sua amica
d’infanzia. Purin
era rimasta snella e scattante anche da adolescente, però la chioma
bionda le
correva fino a metà schiena, con ancora qualche treccina tra le
ciocche, e le
curve si erano ammorbidite nei posti giusti, rendendola davvero…
La gola gli si chiuse
come se avessero
eliminato tutta l’aria dell’universo e distolse velocemente lo sguardo
– cosa diavolo
andava pensando?! Era stato lontano da Kisshu un anno intero,
possibile che
già soffrisse la sua influenza?!
Con due falcate doppiò
la biondina e, le mani
sempre dietro la nuca, camminò all’indietro per rivolgere un sorriso
smaliziato: « Scommetti che ora ti porto io in un posto stratosferico? »
« Ah sì? » ribatté
lei, incrociando le
braccia, « Vediamo se mi batti! »
Taruto le fece una
linguaccia, poi si
guardò intorno e la prese per un polso per portarla in una stradina
laterale,
al riparo da occhiate curiose.
« È un po' che non uso
il teletrasporto
sulla Terra, quindi potrei essere un po' arrugginito, però… » le
afferrò anche
l’altra mano, chiuse gli occhi, e dopo pochi istanti sentirono una
forte brezza
sulla pelle, « Ecco, ci siamo. »
Purin dovette sbattere
le palpebre un paio
di volte per realizzare che davvero stava guardando l’intera città al
crepuscolo dalla somma della Tokyo Tower: « È bellissimo! Era un sacco
di tempo
che non venivo qua. »
Il ragazzo sorrise
trionfante: « Allora ho
vinto, eh? »
« Giochi sporco, però,
io non posso
teletrasportarmi e nemmeno saltare più come facevo una volta. »
« Non sai perdere. »
La biondina gli
rispose con una smorfia e
lo tirò, impavida come sempre, così che potessero sedersi su una delle
travi,
la mano sempre stretta nella sua.
« D’accordo, è una
cosa fantastica, » esalò
dopo un po’ mentre lentamente le luci della città cominciavano ad
accendersi
sotto di loro, « Ma anche il mio giro di oggi non era male. Non ti ho
portato a
fare il turista. »
« Il che? »
« Lascia perdere. »
Taruto la guardò
stranito mentre lei
rideva, con i capelli che svolazzavano al vento e colpivano pure lui,
portando
con loro un soffio del suo profumo. Si ricordò di una cosa
all’improvviso, e
iniziò a rimestarsi in tasca sotto lo sguardo incuriosito di Purin.
« Che fai? »
« È stata un po' una
faticaccia trovarle, »
borbottò, tirando fuori il pugno chiuso, « Sai com'è, le cose sul
nostro pianeta
sono un po' diverse da quelle che avete voi, ma queste dovrebbero
essere
abbastanza simili. »
Le aprì il palmo sotto
al naso, rivelando
delle palline tonde avvolte da una carta plastificata di diversi colori.
Il viso di Purin si
illuminò: « Sono... caramelle?
»
Lui annuì: « La
versione di Duuar. Sono
morbide, ma non le devi masticare o ti si attaccano ai denti. »
Lei le guardò
estasiata, cercando di
scegliere la prima da provare: « Che gusti sono? »
« Verde, blu, e rosso.
»
« Quelli non sono gusti,
sono
colori! »
« Scimmietta, non fare
la difficile, non ne
ho la minima idea, prendine una e basta. »
Purin ridacchiò di
nuovo, sentendo un
formicolio all’altezza del petto a quel nomignolo, e ne scelse una a
caso,
scartandola e lanciandosela in bocca: « Gwassie. »
Taruto sorrise,
facendo un piccolo cenno
con la testa: « Non c'è di che. »
§§§
Neanche l’arrivo
dell’ultimo fratello
Ikisatashi – ed eventuali domande che Ryou avrebbe volentieri posto –
era
riuscito a far desistere Ichigo dall’appuntamento promesso ai propri
genitori,
il primo pranzo vero e proprio a casa loro dalla nascita della nipotina.
La nascita di
quest’ultima da un lato aveva
portato una ventata di euforia incredibile nei coniugi Momomiya, con
Sakura più
disponibile che mai e pronta a intervenire al minimo richiamo (cosa di
cui
Shirogane era più che grato, visto che nonostante i libri, i corsi, i
video,
l’ingegno, a volte ancora non aveva la minima idea di cosa fare, in più
ogni
pasto casalingo già pronto era sempre benvenuto) e Shintaro molto più
di buon
umore del solito; dall’altro, purtroppo, non aveva giovato quasi per
nulla al
rapporto tra i due maschi della famiglia.
Nonostante l’impegno
di Sakura di domare
l’imperiosità del marito e di fare da diplomatica tra le parti,
Shintaro non
perdeva occasione di lanciare al biondo velenose frecciatine che alla
lunga gli
stavano facendo perdere la pazienza; quella stessa pazienza che però
non poteva
permettersi di lasciarsi sfuggire per non scatenare le ire di Ichigo,
che tanto
lo pregava di provare ad essere tollerante e paziente, perché certo suo
padre
non sarebbe cambiato tutto d’un tratto.
Ryou, però, non si era
mai ritenuto un
campione di pazienza, soprattutto se vessato in continuazione senza un
motivo
oggettivo; quindi, ogni incontro con il suocero putativo lo rendeva di
volta in
volta di umore peggiore. In aggiunta, al già malumore in previsione
dell’americano bisognava aggiungere la frustrazione causata della
mancanza di
sonno – collaterale alla neonata che invece al momento dormiva beata
nel
seggiolino – la mole di lavoro accumulatasi nell’ultimo mese – vedasi
ragione
precedente – e anche l’insofferenza ad avere da quasi una settimana non
uno,
non due, ma tre alieni nel suo Caffè
a fare chissà cosa e al non
poter davvero interrogarli come avrebbe voluto.
A quel pensiero scosse
la testa e strinse
un po’ di più il volante dell’automobile; iniziare il pranzo con quei
pensieri
non l’avrebbe certo aiutato a raggiungere una specie di nirvana dove i
commenti
di Shintaro sarebbero giunti solo come un ovattato mugolio.
« Tutto okay? »
Ichigo, accanto a lui,
gli toccò appena una
gamba, mentre continuava a voltarsi verso il sedile posteriore per
accertarsi
che Kimberly stesse bene.
« Sono solo stanco. »
La rossa non fu molto
discreta ad
occhieggiarlo per bene, non molto convinta: « Cerchiamo di rilassarci
un po’,
d’accordo? Sarà una cosa veloce. »
« Non capisco perché
facciamo tutto a casa
nostra, e oggi invece dobbiamo cambiare location. »
Lei si trattenne dallo
sbuffare: « Perché
stiamo sempre a casa ormai, cambiare un po’ d’aria ci farà bene. E poi
così
possiamo venire via quando vogliamo. »
Così
non posso sparire in studio non
appena tuo padre incomincia, avrebbe voluto rispondere
Shirogane, ma si guardò bene dall’aprire bocca.
Come al solito, furono
accolti da grandi
feste di Sakura, che aveva dato fondo alle provviste della cucina per
un ottimo
pranzo – era convinta che almeno ghiotte distrazioni avrebbero potuto
attutire
un po' le discordie e le intenzioni bellicose della sua dolce metà.
Come al solito, suo
marito fu di diverso
avviso. Concesse giusto una mezz’ora di tregua a Ryou, godendosi la
nipotina,
prima di ricominciare con le solite punzecchiature e critiche.
« Sai, ho visto quella
tua vecchia compagna
di classe dai capelli biondi, tesoro, » iniziò non appena Sakura gli
tolse da
davanti il piatto ripulito, « Come si chiamava? »
« Si chiama Mowe,
papà. »
« Ah, sì, giusto, »
l’uomo si pulì
velocemente la bocca con un fazzoletto, « Mi ha detto che ora frequenta
un’ottima università, studia legge, le piace molto. »
Ichigo si strinse
nelle spalle, già
presagendo una svolta poco simpatica della conversazione: « Lo so,
papà. Le
sento ancora spesso per telefono, so sicuramente più di te, anche se
non ho il
tempo di vederle molto. »
« Immagino, sei sempre
così impegnata, »
Shintaro fece un lungo sospiro, « Eh, bambina mia, anche tu stavi
andando così
bene all’università, ti piaceva così tanto e avresti potuto raggiungere
ottimi
risultati, se non fossi stata sviata…
»
Ichigo fu svelta ad
appoggiare una mano sul
ginocchio di Ryou non appena si accorse che, a quella affermazione, il
biondo
aveva stretto nel pugno un angolo del tovagliolo.
« Papà, ne abbiamo già
parlato, lo sai che
non ho intenzione di lasciare l’università, riprenderò più avanti. Sono
solo
indietro di un semestre, e anche se ci metto di più, non sarà certo un
problema. »
« Poi lo sai che la
nostra Ichigo non era
una campionessa dello studio, » s’intromise Sakura con una risatina
dolce, « Se
non ci fosse stato Shirogane-san, non avrebbe certo studiato tanto come
ha fatto
nell’ultimo periodo prima di prendersi la pausa. È stato anche grazie a
lui che
ha scelto di entrare a Lettere. »
Shintaro scrollò le
spalle, come se
l’ultima affermazione non avesse avuto troppo peso: « Avresti avuto un
tale
futuro radioso… »
Ichigo strinse gli
occhi: « Non mi sembra
di essere in una situazione così disperata, ora. »
« E poi abbiamo una
bellissima nipotina! »
la moglie intervenne di nuovo velocemente, poggiando davanti al marito
il
piatto fumante della seconda portata, « Non credi che sia una cosa
meravigliosa
potersi godere quell’angioletto a pieno, ora che siamo ancora giovani e
pieni
di vita? »
« Sì, sì, » l’uomo
sventolò una mano, « Ma
avrei preferito che anche Ichigo potesse approfittare dell’essere
giovane e
piena di vita senza altre distrazioni, e concentrarsi sulle cose
importanti. È
ancora una bambina, dopotutto, se solo mi avesse ascoltato un po’ di
più… »
« Sono ancora qua,
papà. »
« … forse non si
sarebbe fatta distrarre così
incredibilmente. Senza
che poi nessuna responsabilità sia stata assunta. »
« Papà, stiamo bene
così. »
« Shintaro, caro, per
favore. Credo che
Shirogane-san si stia prendendo cura delle nostre ragazze in maniera
ottimale,
non hai assolutamente nessun motivo per lamentarti. Basta guardare
Ichigo per
capire quanto sono felici. »
Il patriarca Momomiya
in risposta borbottò
solamente qualcosa di inintelligibile, e Shirogane si concesse un sorso
d’acqua
per calmare il ribollire che sentiva crescere in petto. In altre
circostanze,
non avrebbe certo esitato a ribattere – soprattutto quando da
frecciatine si
passava a vere e proprie ingiurie – ma la pressione che Ichigo
continuava ad
esercitare sul suo ginocchio era l’unica cosa che lo teneva fermo,
insieme alla
riconoscenza nei confronti di Sakura. Probabilmente avrebbe dovuto
ereggere una
statua a quella donna, o quantomeno regalarle qualcosa di estremamente
costoso.
La tregua, aimè, non
durò molto.
« Ai miei tempi, certe
cose non si
facevano, » ricominciò Shintaro all’arrivo del dolce, con la voce più
imperiosa
che mai, « C’era un ordine, nella vita, ed era molto importante
rispettarlo. »
« I tempi sono
cambiati, caro. E poi certe
cose capitavano anche allora. »
« Era certamente una
cosa più rara, e in
ogni caso si faceva qualcosa a riguardo, » controbatté lui, « Ad
esempio, penso
che quel bravo ragazzo di Aoyama, sicuramente si sarebbe assunto le sue
responsabilità, anzi, sicuramente lui non l’avrebbe convinta a giocare
d’azzardo così tanto con il suo futuro. »
Nella stanza calò il
silenzio; le unghie di
Ichigo quasi incisero la carne di Ryou, che però sentivo riusciva solo
a
sentire la rabbia straripare definitivamente.
« Lei si rende conto, signore,
che
sua figlia è un’adulta anche dal punto di vista legale, e che quindi
ogni
decisione riguardo il suo futuro è stata presa con cognizione di causa
e non di
certo perché da me circuita? Ichigo non è decisamente più una bambina,
e lei
dovrebbe smetterla di trattarla come tale e addossare le colpe ad
altri. »
« Bada al tuo tono,
ragazzino, potrai anche
essere parecchio sveglio, ma non ti permetto di parlarmi in questa
maniera a
casa mia. »
« Non c’è problema,
tolgo il disturbo, » si
alzò da tavola e rivolse a Sakura uno sguardo di scuse, « Mi dispiace,
Momomiya-san. »
« Ryou, caro… »
« Vedi, ti sembrano
questi dei giovani
responsabili? »
Entrambe le donne
Momomiya lanciarono a
Shintaro uno sguardo di fuoco, e la più giovane rincorse Ryou fino alla
porta
d’ingresso.
« Ryou, aspetta - »
« Cosa aspetto,
Ichigo, di venire insultato
ancora un po’ da tuo padre? » sbottò lui sottovoce, « Io ci ho provato,
ho
avuto pazienza, ma addirittura sentirmi dire che ti
ho rovinato la vita
fregandomene altamente, questo no. »
« Lo so, mi dispiace,
ma anche tu sai com’è
fatto e - »
« Non vuol dire che mi
debba andare bene e
che mi debba far scivolare tutto addosso per farlo contento. »
« Non devi far
contento lui, ma almeno per
me potresti… »
« Cosa? Star lì a
guardare mentre ti fai
trattare come una bambina senza nemmeno tentare di spendere due parole
a mio
favore mentre rimpiangiamo Aoyama? »
Ichigo sospirò
esasperata: « Ora non tirare
in ballo Masaya-kun, non c’entra niente. »
« Bene, difendi lui
allora, evidentemente o
la pensi come tuo padre, o ti fa comodo che lui in qualche maniera ti
ritenga
totalmente innocente. »
« Questo non è
assolutamente vero, e lo
sai. Ryou, per favore, » la rossa gli si avvicinò implorante,
prendendogli una
mano, « Non voglio litigare con te per colpa di mio padre, possiamo
semplicemente andarcene a casa e dimenticarci tutto? »
« Invece stiamo
litigando, Ichigo, perché
non ho intenzione di nascondere la testa sotto la sabbia per dieci
minuti di
quieto vivere e continuare ad essere il capro espiatorio di un padre
che non
vuole accettare la realtà della situazione e che preferisce continuare
a vedere
la sua bambina in un'aurea di totale purezza.
Raccontando pure delle
gran balle, perché la storia dell’incontro di kendo con Aoyama la
conosciamo
tutti. »
La rossa prese un
respiro profondo,
cercando di calmare entrambi: « Cercherò di parlargli, d’accordo? Di
provare a
spiegargli che quello che pensa è completamente sbagliato, ma ti chiedo
di
avere pazienza. Magari quando Kimberly sarà grande capirai perché a
volte i
genitori si comportano così, ma - »
Ryou le rivolse
un’occhiata così sbalordita
che le parole le morirono in gola e sentì il cuore precipitarle nello
stomaco.
« Cosa diavolo stai
dicendo, Ichigo, »
sibilò con rabbia, « Avanti, finisci la frase. »
Lei gli afferrò di
scatto le mani,
soffocata dal senso di colpa: « Ryou, io - »
Il biondo si ritrasse
d’impulso,
guardandola irato con gli occhi ridotti a due fessure: « Dillo, forza.
Dillo
che io non so cosa vuol dire avere dei genitori e quindi mi devo far
andare
bene quelli degli altri. »
« N-no, Ryou, scusam -
»
Shirogane scostò
malamente la mano che la
rossa tentava di poggiargli sul braccio e girò sui tacchi, avviandosi a
passo
spedito lungo il vialetto d’ingresso: « Meglio se mi lasci stare ora,
Ichigo. »
Vergognandosi
immensamente, Ichigo non
riuscì a fermare il singhiozzo che le rimbombò in gola mentre lo
guardava
allontanarsi; Sakura, che non aveva potuto fare a meno di ascoltare
tutto dalla
porta aperta, le fu accanto in un secondo, avvolgendola tra le braccia
calde
mentre lei scoppiava a piangere.
« Vieni di là, piccola
mia, » le sussurrò,
« Ti porto una tazza di tè, d'accordo? »
« No, mamma, » Ichigo
cercò di liberarsi
dalla stretta mentre sentiva l’auto mettersi in moto, « Devo andare da
lui,
devo scusarmi e… »
« Lascialo sbollire un
attimo, tesoro, » Sakura
le accarezzò i capelli, « Dagli il tempo di schiarirsi le idee. »
La riaccompagnò in
salotto scoccando
un’occhiataccia feroce al marito, che era rimasto in silenzio seduto a
tavola a
giocherellare con la propria tazza di tè e i rimasugli del dolce.
Ichigo si
lasciò condurre sul divano, sul quale sprofondò prendendosi la testa
tra le
mani.
Non sapeva nemmeno lei
come aveva solamente
potuto pensare a quelle parole, men che meno come avevano davvero
lasciato la
sua bocca. Il suo viziaccio di non pensare più di un secondo alle sue
azioni le
si era rivoltato prepotentemente contro, ferendo la persona a cui lei
più
teneva.
Forse suo padre aveva
ragione, forse lei
non era ancora in grado di comportarsi in maniera razionale, di
prendersi la
responsabilità di comportarsi come un’adulta e non come una sciocca.
Lei non era come Ryou,
che analizzava le
situazioni da ogni possibile angolo per trovare la soluzione più
confacente.
Prese un respiro
tremulo che uscì in un
ennesimo singhiozzo. Erano abituati a battibeccare, certo, era stato il
fondamento della loro relazione da quando si erano conosciuti e a volte
avevano
avuto terrificanti litigate esplosive, ma non si erano mai feriti di
proposito.
Non in quel modo.
Ignorò la tazza di tè
che Sakura le stava
porgendo e marciò dritta verso suo padre, che continuava a comportarsi
come se
nulla fosse.
« Sei contento, ora? »
« Non dare a me le
colpe dei tuoi problemi
di cuore, signorinella. »
« Continui a
provocarlo ogni volta che lo
vedi! » sberciò lei, « Continui a farlo sentire come se fosse tutta
colpa sua,
come se non fosse abbastanza, ma tu non lo conosci! »
Shintaro rimase in
silenzio, evitando lo
sguardo della figlia e bevendo lentamente; Ichigo rise sprezzante e si
asciugò
le lacrime con i palmi, cercando con gli occhi la propria borsa.
« Me ne vado a casa, »
mormorò, afferrando
con cautela il seggiolino di Kimberly senza più rivolgere sguardo al
padre.
Sakura le andò
incontro, porgendole il
resto delle sue cose: « Ti do un passaggio io, cara. »
Con un’ultima
occhiataccia di fuoco al
marito, che presagiva il discorsetto che sarebbe accaduto al suo
ritorno, la
signora Momomiya accompagnò Ichigo fino all’auto, tenendola ben stretta
per un
braccio. La figlia non proferì parola per tutto il tragitto, piangendo
in
silenzio con lo sguardo perso oltre al vetro del finestrino, e la donna
decise
che fosse meglio non disturbarla.
L’accompagnò fino alla
porta d’ingresso,
reggendo il seggiolino mentre Ichigo si fiondava su per le scale
chiamando
Shirogane a gran voce e spegnendosi ancora di più quando si rese conto
che la
casa era completamente vuota.
« La sua macchina è
qui, però, » pigolò con
voce rotta, e Sakura le accarezzò teneramente la schiena.
« Andrà tutto bene
tesoro, non
preoccuparti. Sarà andato a sbollire un po’. Ora tu cerca di
riprenderti e di
pensare come parlargli. »
L’altra annuì e
l’abbracciò stretta: «
Grazie, mamma. »
« Chiamami, se hai
bisogno. »
Quando la porta fu
chiusa con un tonfo
sottile, Ichigo si premurò di spostare Kimberly dal seggiolino alla sua
culletta, per un altro po’ di riposo; poi, tirando su con il naso,
frugò nella
borsa alla ricerca del cellulare e scelse con dita tremanti il numero
dai
contatti.
« Nee-san? Ciao, scusa
ma… » prese un altro
respiro e fallì miseramente a ricacciare indietro il pianto, « Ho fatto
un
casino. »
La ruota posteriore
della moto sdrucciolò
quanto bastava di lato, durante la curva, da fargli intendere che
doveva
rallentare, se non desiderava schiantarsi contro l’asfalto. Scalò
dolcemente,
zigzagando tra il traffico intenso di fine giornata, e continuò il suo
tragitto.
Aveva perso il conto
di quante ore aveva
passato in sella, da quando aveva lasciato casa Momomiya, ma il
crepuscolo
imminente gli diede una buona stima. Era uno dei pochi metodi che aveva
per
sfogare la propria rabbia e il malumore, e decisamente ne aveva avuto
bisogno.
Sapeva che forse non era la decisione più matura, prendere e iniziare a
vagare
per le strade con solo il rumore del vento a premergli contro, ma non
poteva
certo essere sempre lui quello delle scelte adulte.
All’ennesimo semaforo,
controllò dove fosse
finito e, per l’ennesima volta, sentì il cellulare vibrargli nella
tasca del
giubbotto di pelle. Questa volta, decise di richiamare la telefonata.
«
Dove sei? »
La voce di Keiichiro
gli rimbombò contro al
casco mentre lui accostava lentamente.
« Dalle parti di casa
tua. Ci possiamo
vedere? »
Gli parve che il moro
sospirasse divertito,
ma forse era solo il rumore delle altre auto: « Okay, ti
aspetto. »
Ryou tamburellò sul
manubrio: « Senti… »
«
Dai, muoviti, ho già qualcosa da
mangiare pronto. »
Sgasò un po’ troppo
alla ripartenza e pregò
di non trovare una sorpresina al prossimo controllo della buca delle
lettere,
ma la velocità gli ricaricò le membra stanche per le sue ore di
vagabondaggio.
Parcheggiò sotto casa
del suo mentore e non
dovette attendere molto perché gli aprisse senza nemmeno chiedere chi
fosse.
« Che déjà-vu, quella
faccia. »
Shirogane lo guardò
storto mentre si
toglieva le scarpe: « Non sono in vena di scherzare. »
« Immagino. Ho
chiamato Zakuro. »
Il biondo buttò la
testa e all’indietro e
sospirò, dandogli le spalle: « Non mi serve il gruppo di sostegno. »
« L’ha chiamata
Ichigo. »
« Ah. »
Precedette il padrone
di casa nel piccolo
salotto, buttandosi sulla vecchia poltrona di pelle che era arrivata
con loro
dagli Stati Uniti. Keiichiro lo raggiunse dopo pochi minuti, un vassoio
con
sopra tre ciotole fumanti di udon, una teiera e tre tazze, tutto
coordinato.
« Cos’è successo? »
Ryou si sporse subito
per afferrare una
scodella e un paio di bacchette: « Hai detto che lo sapete già. »
« Vorrei la tua
versione dei fatti. »
Lui rimestò un po’ nel
brodo prima di
rispondere: « Ho litigato con Ichigo. Più con suo padre, a dire il
vero. Ma
anche con lei. »
« Dove sarebbe la
novità? »
Gli occhi color cielo
ardirono guardare
male il pasticcere per il sarcasmo non richiesto, ma Ryou si dedicò
piuttosto
alla cena, rendendosi conto che in effetti stava morendo di fame e che,
a causa
dell’atmosfera poco piacevole, effettivamente a pranzo non aveva fatto
i
complimenti alla tavola come al solito.
Il campanello suonò
dopo poco, e Keiichiro
andò ad aprire mentre il biondo continuava a mangiare in silenzio.
« Di solito si
aspettano tutti gli ospiti,
» lo salutò Zakuro, con ironia.
« Hai da ridire anche
tu sul mio
comportamento? »
Modella e pasticcere
si scambiarono uno
sguardo d’intesa, non aggiunsero nulla e presero posto sul divano,
concentrandosi anche loro sulla pietanza calda.
« Ti ha raccontato? »
Zakuro non alzò la
testa quando, dopo
svariati minuti di silenzio, finalmente Ryou si decise a parlare.
« Non mi ha raccontato
tutti i dettagli, e
francamente non mi sembrava nelle condizioni migliori per esprimersi.
Ma mi
sembrava sinceramente dispiaciuta e preoccupata. »
Shirogane sbuffò e si
passò qualche volta
le mani nella frangia. In fondo era lì proprio perché parlare con
Keiichiro – e
Zakuro, che però non era tutte le volte dalla sua parte – era sempre
stata la
soluzione migliore, quindi tanto valeva vuotare il sacco.
Gli amici lo
ascoltarono in silenzio, come
avevano sempre fatto, senza interromperlo ma focalizzandosi sulla
propria cena
– sapevano entrambi che Ryou detestava conversazioni troppo formali,
soprattutto quando si trattava di cose così personali.
« Abbiamo sempre
saputo che Shintaro
Momomiya non sarebbe stata una persona semplice, » commentò il moro
alla fine
del lungo discorso del suo protetto, « È decisamente
all’antica, dopotutto, e tu e Ichigo non avete per nulla fatto le cose
in
maniera tradizionale. Ciò non lo giustifica, ma non possiamo negare il
suo
punto di vista. »
« Non lo nego, ma… non
riesco a capire come
lo veda Ichigo. »
Zakuro si allungò in
avanti per riempire di
nuovo le tazze di tè: « Di questo devi parlare con lei. »
« La fai facile.
Vorrei vedere se avesse
detto certe cose a te. »
« Siete entrambi
impulsivi, » s’intromise
velocemente Keiichiro, « In maniera diversa, ma lo siete. E Ichigo-chan
è
dovuta crescere in fretta, in un modo differente da voi due, questo è
vero, ma
è così, e lo è ancora. E soprattutto in questo momento di estremi
cambiamenti,
potrebbe farla sentire più protetta poter giocare alla ragazzina quando
è con i
suoi genitori. Ciò non vuol dire che metta in discussione te. »
Ryou annuì, ma poi
sbuffò dal naso: « Sulla
menzione ad Aoyama però non ha fatto una piega. »
« Non eri tu quello
che l’altro giorno
diceva di aver vinto, su Aoyama? »
« You are
not
being helpful. »
Il moro rise
affettuoso e tirò fuori dal
mobile in un angolo un pacchetto di biscotti chiusi da un fiocchetto.
« Mi sento di dire che
è un po’ comprensibile,
anche se sciocco, provare ancora un po’ di gelosia, visti i precedenti,
ma non
credo dovresti darci tanto peso. Ichigo-chan ha scelto di costruire una
vita
con te, e dovrebbe mettere a tacere tutto il resto. E poi, posso
permettermi? »
Shirogane lo scrutò
dubbioso, e Keiichiro
arrischiò solo un’occhiata a Zakuro prima di continuare: « Credo che
sia più
normale, per te e Ichigo-chan, in questo momento, essere più
irritabili,
comprendervi di meno. State vivendo qualcosa per cui nessuno è mai
preparato davvero,
e con tutte le modifiche alla vostra vita, alla vostra routine, anche
alla
vostra… affettività, è più facile cedere al nervosismo. »
« Aight,
thank ya, bye, » Ryou si
alzò di scatto, battendosi le mani sulle ginocchia e facendo un cenno
verso i
due, « Decisamente non sono qui per questo. »
Zakuro sorrise sotto i
baffi: « Sei tu che
ci hai chiamati. »
« Non per questo! »
La modella fece una
smorfia divertita e si
alzò, sfiorandogli il braccio: « Lo sai che non intendeva quello che ha
detto.
»
« Lo so, » il biondo
esalò e annuì, «
Meglio che vada a casa ora. »
« Sta’ attento, per
favore. »
Lui sollevò il casco
verso Keiichiro: « Sì,
papà. »
« Ah, non ci provare! »
Con un ultimo saluto,
si rivestì in fretta
e scese le scale insieme a Zakuro. Si era fatto buio ora, e l’aria
frizzante di
inizio estate gli punse piacevolmente le guance.
« Vuoi un passaggio? »
« Su quella? Nemmeno
morta. »
« Ti facevo più
spavalda. »
« Ma non stupida. »
Si scambiarono
un’occhiata divertita, poi
lei si avviò con un picchiettio di tacchi lungo il marciapiedi verso la
fermata
del treno più vicina. Ryou inspirò a pieni polmoni, all’improvviso
colmo di
voglia di tornare a casa, quando di nuovo fu distratto dalla vibrazione
del
cellulare. Lo tirò fuori, corrucciandosi nel vedere un numero che non
conosceva: « Pronto? »
« Ryou,
caro, sono Sakura, ti disturbo?
»
Lui rimase decisamente
sorpreso: « Signora
Momomiya, certo che no, non mi disturba affatto. È successo qualcosa,
Ichigo -
? »
« No, no, va
tutto bene, non
preoccuparti. Non volevo passare da casa e importunarvi, ma… c’è
qualcuno che
vorrebbe parlarti. »
Dall’altro lato della
linea, sentì il
rumore sommesso di due che litigavano sottovoce e – probabilmente – il
telefono
che veniva passato avanti e indietro un paio di volte, poi udì una voce
scura:
« Pronto. »
« … Momomiya-san. »
Shintaro si schiarì la
gola due volte,
chiaramente a disagio: « Mia moglie mi ha detto di chiamarti.
Credo che tu
abbia chiaro il caratterino delle donne della mia famiglia, »
altro rumore
di sottofondo che Shirogane interpretò come Sakura che si lamentava, « Non
che io non volessi, ovviamente. »
« Certo, signore. »
«
Volevo, uhm… scusarmi con te per avere
esagerato. Non avrei dovuto paragonarti a quell’Aoyama, tra l’altro.
Che si era
pure trascinato Ichigo in Inghilterra quando era ancora minorenne, lo
sciagurato! Comunque… so che stai facendo del tuo meglio per rendere
felice mia
figlia, » Shintaro
prese fiato, senza che il biondo lo
interrompesse, « Non dico di approvare tutte le vostre
scelte, ma so che lo
stai facendo. »
Ryou rimase interdetto
per qualche istante;
certamente non si era aspettato delle scuse dal signor Momomiya,
sicuramente
non così presto, anzi, gli giungevano decisamente inaspettate. Doveva
davvero
un regalo costoso a Sakura.
L’altro uomo
approfittò del suo silenzio
per continuare a parlare: « Quando Kimberly crescerà, capirai
perché sono
così paranoico. »
L’americano sorrise: «
Credo di capirlo già
da adesso, mi creda. »
«
Non pensare di poterla passare liscia
con tutto però ora. Ti tengo comunque d’occhio. »
« Non si preoccupi, »
Ryou sbuffò divertito
e calciò un sassolino dal marciapiedi, « La ringrazio, Momomiya-san. »
«
Vedi di prenderti cura di lei sempre,
ragazzo. »
« Certo, signore. Ci
può contare. »
Ichigo scattò su dal
divano come un gatto
non appena udì il rumore della serratura.
« Ryou! » quasi
miagolò quando se lo
ritrovò davanti ad appendere il giubbotto al gancio nell’ingresso, «
Stavo
morendo di paura, sei stato fuori tutto il pomeriggio e io… »
Si zittì, notando la
sua faccia ancora
scura, e Ryou quasi si sentì in colpa. Il giro in moto, la
chiacchierata con
Keiichiro e Zakuro, e la telefonata improvvisata con Shintaro gli erano
decisamente servite, ma lui non era soggetto a
repentini sbalzi d’umore
e gli serviva sempre un po’ di tempo per sbollirsi del tutto.
Perciò, sospirò solo e
accennò al piano di
sopra: « Dorme già? »
La rossa annuì e si
morse un labbro: « L’ho
appena messa giù, non sapevo a che ora saresti tornato… »
Shirogane si avviò su
per le scale e lei lo
seguì come un cane bastonato; non lo accompagnò però in camera di
Kimberly, ben
sapendo che gli piaceva controllarla per un po’ quando dormiva, ma si
diresse
invece verso la loro stanza da letto e si sedette sul bordo del letto,
infilandosi la camicia da notte giusto per non rimanere con le mani in
mano.
Si era ripetuta un
discorso tutta la
giornata, tre misere frasi in croce per spiegargli quanto si sentisse
un verme,
quanto fosse una persona orribile che non pensava mai a ciò che diceva,
ma
tutto il coraggio che aveva messo da parte era evaporato quando lui era
tornato, nonostante avesse solo voluto rivederlo.
Che ne era stato del
suo coraggio da
ragazzina?
Ryou entrò dopo pochi
minuti, poggiò il
baby monitor sulla loro cassettiera e si tolse la maglietta,
ripiegandola con
cura, tutto sotto gli occhi vigili della rossa che cercava una maniera
per
incominciare.
« Mi odi, adesso? »
pigolò infine.
Ryou, che stava
rovistando nel mobile alla
ricerca di un paio di pantaloni del pigiama, rilassò le spalle,
lanciando la
testa all'indietro con fare rassegnato: « Certo che non ti odio,
Ichigo. »
« Ho detto una cosa
orribile, » gli si
avvicinò subito, abbracciandolo da dietro, « Sono un mostro senza cuore
che non
pensa prima di parlare. »
Lui abbozzò un
sorriso, appoggiò le mani
sulle sue: « Forse solo un po’. »
Ichigo premette la
fronte tra le sue
scapole: « Lo sai che non intendevo quello che ho detto, vero? E che
non devi
prendere mio padre sul serio? »
Ryou sbuffò: « Lo so.
Ma tuo padre è molto
bravo a farmi perdere la pazienza. Un po’ come te. »
Ichigo arricciò il
naso e si sfregò ancora
di più contro di lui: « Avrei dovuto difenderti di più. »
Il biondo rise e si
voltò verso di lei,
prendendole il viso tra le mani: « Ah, ora riconosco la mia paladina
della
giustizia. »
« Sei ancora
arrabbiato? »
« Un po’, ma non ho
voglia di parlarne.
Passerà. »
La rossa fece un mezzo
broncio: « Sicuro? »
« Sicuro. »
La baciò dolcemente,
sospirando piano
contro le sue labbra quando Ichigo si tese contro di lui e incrociò le
braccia
dietro al suo collo.
« Facciamo la pace? »
gli sussurrò a un
millimetro dalla bocca.
Ryou sfiorò il naso
contro quello di lei: «
Non ho detto di averti perdonato. »
« Daiii,
» miagolò lei, e a
sottolineare il concetto fece scorrere le punte delle dita lungo il suo
petto,
« Un pochino di pace. »
«
Ginger, we can’t. »
« Le coccole sì, »
sospirò la rossa, «
Quelle sono caldamente consigliate. »
Riprese a baciarlo e –
come del resto molto
spesso quando si trattava di Ichigo – Ryou abbandonò l’ultima
resistenza
rimasta, stringendole più deciso il volto e facendo qualche passo in
avanti per
avvicinarla al loro letto.
Avvertire quanto gli
fosse mancato tenerla
così vicina quasi lo infastidì, quasi quanto il dover realizzare che
Keiichiro
non aveva tutti i torti nel sottolineare che in quel momento qualsiasi
cosa
veniva ingigantita anche per semplici ragioni fisiche.
Poi se Ichigo si
metteva a fare le fusa
così…
Scivolò con le mani
lungo tutto il corpo di
lei, saggiandone le forme più tenere mentre l’aiutava a stendersi sul
materasso, baciandola con quanta più calma possibile per godersi il
momento al
meglio, stringendole piano le curve ammorbidite e perdendosi ad
ascoltarla sospirare
sottovoce. Le sollevò appena il bordo della camicia da notte per
scoprirla un
po’ di più e si spostò per poter avere maggior libero accesso ad ogni
singolo
lembo di pelle nuda che poteva raggiungere. Poi qualcosa di fuori posto
attirò
la sua attenzione.
Un qualcosa
su cui non si era
focalizzato del tutto, ma che c’era stato.
Ichigo emise un gemito
come per dirgli di non
fermarsi, però lui spostò lo sguardo sulla sua coscia destra, e mosse
la mano.
« … shit. »
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