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Autore: Hypnotic Poison    23/11/2006    3 recensioni
Erano sei anni che poteva considerare la sua vita – quasi – normale. Anche se di cose ne erano cambiate parecchie. [...]
« Beh! Che c’è, non si salutano più gli amici da queste parti? »
« Cosa ci fai tu qui! »
[...]
« Stamattina… non è scattato nessun allarme, niente di niente, ma i computer si sono riaccesi automaticamente sui dati del progetto Mew. » [...]
« Ora voi parlate. E vi conviene dire tutta la verità. »

[ATTENZIONE: STORIA IN REVISIONE. Aggiornati al 04/02/2024: 1-18]
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Mint Aizawa/Mina, Nuovo Personaggio, Ryo Shirogane/Ryan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter Six – Not always rainbows and butterflies

 

 

 

 

 

 

 

 

Sembrava che in casa fosse scoppiata una bomba. Non importava quante volte al giorno raccoglieva vestitini, giocattoli, bavaglini, cuffiette, scarpine, ogni volta che si girava ne vedeva almeno altri tre abbandonati in un angolo del divano o su qualche mensola. Già lei non era famosa per il suo ordine, la casa era grande ma le cose al suo interno sembravano essersi moltiplicate esponenzialmente, sapeva anche che tutto ciò sarebbe solo peggiorato con il tempo…
Per fortuna che almeno c’era Ryou.
Ichigo si rilassò un po’ di più sul divano e, con un sorriso intenerito, lo osservò scendere piano le scale, in una mano il monitor della camera della bimba e nell’altra un mucchietto di vestiti da lavare, il che lo costringeva a parlare sottovoce con il cellulare invece incastrato contro la spalla. Lo stomaco le sfarfallò impudente, lei si sentiva ancora a pezzi e completamente sfasata, mentre lui magicamente sfoggiava solo un accenno di barba incolta che contribuiva a donargli esattamente l’effetto opposto.
D’accordo, però lui non è mai stato un campione del sonno.
Quando la notò sveglia, Ryou chiuse la telefonata velocemente con qualche altra parola inglese e le si avvicinò per sfiorarle una guancia con le nocche: « Lo sai che la regola aurea è dormire quando dorme lei. »
La rossa inclinò il viso di più verso la sua mano: « Volevo farmi una doccia ma mi sono stesa un attimo e ora non mi alzo più. »
« Nap. You’re good at that. »
Si allontanò dandole un buffetto sul naso mentre lei storceva il naso per la battutina. Affossandosi ancora di più tra i cuscini, tastò alla cieca finché trovò il cellulare, abbandonato da un paio di giorni sul tavolino.
Per evitare domande superflue – troppi ficcanaso con giudizi non richiesti – aveva evitato di divulgare troppe notizie tra i vari social, ben sapendo che già avrebbero viaggiato tra i compagni di università e che Shirogane stesso non fosse un amante dei fatti propri spiattellati ai quattro venti. Ciononostante, qualche giorno prima aveva ceduto e si era concessa di pubblicare una tenerissima foto dei piedini di Kimberly sopra la copertina regalata da Retasu. Presa dai ritmi frenetici di quelle giornate e dalla mancanza di sonno aveva poi quasi completamente ignorato il telefono se non per rispondere alle continue telefonate dei suoi genitori; infatti, non appena lo sbloccò, fu letteralmente invasa di notifiche, messaggi, e-mail e quant’altro.
Bramando un po’ di meritato oblio tecnologico, si estraniò per vari minuti, scorrendo e picchiettando con i pollici in maniera quasi automatica e rispondendo in modo più o meno sistematico.
Finché non notò una mail, finita in fondo alla pila perché spedita tra le prime, molto a ridosso della pubblicazione della fotografia.
 

 

From: RedDataKnight
 
Ehi Ichigo! Come stai?? :) Ora forse capisco perché non ti ho sentito al tuo compleanno! :D Spero che vada tutto bene – io sarò a casa per un po’ per un progetto di ricerca, mi farebbe piacere farti le congratulazioni dal vivo e aggiornarci un po’! Ovviamente senza fretta :)
 
M.

 

 

« Cavolo! » esclamò in un sussurro, continuando a fissare lo schermo. Rispondere agli auguri, quell’anno, non era stato decisamente tra le sue priorità (settimo e passa mese di gravidanza e concernenti pensieri a parte, dopo la cena a casa tutti insieme Ryou l’aveva portata in un bed and breakfast in montagna per il fine settimana con la molto poco necessaria scusa che da lì a poco i momenti per loro sarebbero diminuiti drasticamente, e anche se ci fosse stato abbastanza campo il telefono era l’ultima cosa a cui aveva prestato attenzione…), come sapeva di avere il diritto di raccontare ciò che voleva a chi voleva, ma non poté fare a meno di sentirsi in colpa.
Quello era Masaya, le era stato accanto in molti momenti importanti della sua vita e ancora lo era, anche se in maniera diversa. Certo, non si sentivano tutti i giorni e neanche tutti i mesi, ma erano sempre rimasti in contatto come due buoni amici potevano fare.
Invece lei si era completamente dimenticata di lui nel momento più significativo di sempre.
« Cavolo, cavolo, cavolo! »
« Tutto okay? »
Sobbalzò quando Ryou ricomparve alle sue spalle, lanciandole un’occhiatina preoccupata.
Ichigo scosse la testa: « Sì, mi sono accorta che… ho dimenticato di rispondere a qualche messaggio. »
Il biondo le picchiettò la testa con le dita: « Niente di grave direi, ginger. »
« No, no, però… » lei si mordicchiò il labbro e lo scrutò mentre le si sedeva accanto, buttava la testa all’indietro con un sospiro, e la guardava con un mezzo occhio aperto, aprendo il palmo per farsi dare il cellulare.
« Ginger, relax. Gli altri aspettano, tu non puoi non dormire. »
« Vuoi dirmi che stai per fare un pisolino insieme a me? »
« If you’re quick. »
Ichigo abbozzò una risata, poi digitò qualcosa di veloce in risposta e tirò Shirogane per un braccio, costringendolo ad accoccolarsi contro di lei per quei preziosi minuti di pausa.
 

 

From: Strawberrycat
 
Aoyama-kun, scusami tanto! Sono incasinatissima in questo periodo, come puoi immaginare :))) Mi farebbe piacere salutarti, ti faccio sapere appena possibile!! :))))

 

 
 
 
§§§
 
 
 
 
« Buona giornata, cara! Torni per cena? »
Retasu si appoggiò al muro dell’entrata per non perdere l’equilibrio mentre si infilava le scarpe: « Uhm… non credo mamma, dopo lezione ho un turno al Caffè ma ti faccio sapere! »
« Certo tesoro, in caso ti lascio qualcosa in caldo. »
Con un ultimo saluto, la ragazza afferrò un giacchetto leggero e si fiondò fuori dalla porta, stringendo la sacca con il computer al petto e avviandosi a passo spedito verso la stazione più vicina. Meglio non affidarsi troppo alle sue abilità da ciclista, quando aveva fretta.
Ebbe fortuna, e un treno si fermò al suo binario dopo pochi istanti; si sedette al primo posto finestrino libero e prese un respiro di sollievo, avrebbe recuperato sul suo ritardo e sarebbe potuta arrivare all’università con calma. Mancava poco all’inizio della sessione di esami estiva, e non era certo il momento di essere notata dai professori per i motivi sbagliati.
Poggiando la spalla al finestrino, si concesse di rilassarsi un po’ di più e ripassare mentalmente il programma della giornata; come al solito, l’idea di passare la serata al Caffè le riempì lo stomaco di aspettativa. Ciò che aveva detto a sua mamma era vero, aveva sul serio un turno di un paio d’ore subito dopo le lezioni, visto che coincideva con il momento più affollato, ma da quando lei e Pai aveva iniziato a frequentarsi, lei aveva anche incominciato ad allungare la sua permanenza nel locale.
Si frequentavano. Solo quel pensiero fece frullare il cuore della verde e tingere le guance, costringendola ad affondare il naso contro la borsa per nascondere un po’ l’imbarazzo. Probabilmente se qualcuno in passato le avesse detto come sarebbe finita, non ci avrebbe creduto. Con tutti i loro trascorsi, con tutto quello che c’era stato, con il solo fatto di come fosse in realtà il maggiore degli Ikisatashi… a volte avrebbe voluto pizzicarsi per credere che fosse tutto reale. Che era davvero lei quella cui rivolgeva gli scarsi sorrisi, quando la incrociava per le stanze del Caffè; davvero la sua mano che accarezzava con discrezione in mezzo agli altri; davvero la sua bocca che cercava nei momenti rubati tra la penombra del seminterrato.
Il suo tentativo di non arrossire fallì miseramente, e Retasu cacciò ancora di più il viso contro la tela colorata. Si sentiva di nuovo una scolaretta in preda a una tempesta di farfalle nello stomaco, estasiata dalle più piccole cose. Perché in effetti la loro relazione – faceva quasi fatica a chiamarla così – si basava sulle piccole cose: Pai l’attendeva sulla porta sul retro alla fine dei suoi turni al Caffè per riaccompagnarla a casa o all’università; lei lo raggiungeva in laboratorio per sederglisi accanto e studiare mentre lui continuava il suo lavoro, e insieme condividevano qualche avanzo regalato da Keiichiro; quando erano entrambi liberi, facevano lunghe passeggiate in cui lui l’ascoltava raccontare ciò che le passava per la testa o le chiedeva spiegazioni su varie cose che aveva osservato sulla Terra. E lei non avrebbe potuto chiedere di meglio, non le importava che Ichigo le facesse notare con una punta di malizia che non avevano mai avuto un vero e proprio primo appuntamento, perché il modo in cui l’alieno la guardava, la cercava, la sfiorava, la baciava, la potevano riempire più di qualsiasi altro luogo comune. Nessuno sapeva quanto calore in realtà l’algido alieno poteva trasmettere, e anche se lei non era d’accordo con ciò che le aveva detto un mese prima, dopo il compleanno di Kisshu, credeva con tutto il cuore alla promessa che le aveva fatto.
Anche se lei…
La frenata del treno e l’annuncio della sua fermata la riscossero dai suoi pensieri, e si dovette quasi lanciare di corsa prima che le porte si chiudessero costringendola a un doppio viaggio. L’aria calda di fine maggio la rinvigorì, e le sue labbra non smisero di incurvarsi in un sorriso.
Magari sarebbe potuta arrivare al Caffè un po’ prima, quel giorno, invece di rimanere a studiare in università. E magari, questa volta, avrebbe potuto davvero trovare un posto carino e romantico dove andare a cena.
 
 
 
 
« Terra chiama Pai, passo. »
Gli occhi ametista si girarono con fastidio verso Kisshu, seduto a gambe incrociate sulla sedia lì accanto.
« Siamo stanchi, stamattina? » continuò a prenderlo in giro il fratello minore, con quella sua brutta abitudine di non riuscire a star fermo e che quindi continuava a far girare la sedia a destra e sinistra, le braccia incrociate dietro la testa, « Ti ho chiamato due volte. »
« Al contrario di te, io riesco a concentrarmi, » replicò Pai, tornando a fissare la colonna di dati che riempivano lo schermo.
« Sì, diciamo così, » il verde ghignò e indicò con il mento il proprio monitor, « Ho comparato i dati mandati dal Comando Generale ai nostri, niente di che. »
« Mhhm, » l’altro continuò a digitare imperterrito, « Invece in questa zona la Mew Aqua è diminuita. Il che avallerebbe la tesi che il terreno la consuma proprio come fonte di energia. »
« Non è esattamente ottimista, come ipotesi, » Kisshu si sporse per vedere meglio, « E solo in quella zona? »
« Non ho ancora comparato i dati rispetto l’anno scorso. E qui non stiamo cercando solo cose ottimiste. »
« Scusami, mi ero dimenticato che negativo è il tuo secondo nome, » il fratello alzò gli occhi al cielo e si alzò dalla sedia con un sonoro scrocchiare di ossa, « Vado a farmi un giro e raggiungo la tortorella, se la trovo. Tu hai piani per oggi? »
Pai ignorò il suo ghignetto strafottente: « No. »
« Oh, andiamo! Per una volta puoi rivolgere più di quattro monosillabi al tuo fratellino adorato. »
« Quando avrò voglia di parlare con Taruto sarò io stesso a farlo. »
« Ah! » Kisshu buttò la testa indietro e rise aspro, « Almeno la pesciolina ti migliora il senso dell’umorismo. Te l’avevo detto. »
Pai piegò solo un sopracciglio: « Mi avresti detto cosa? »
« Che era la scelta migliore, visto quanto sei musone, » gli batté una mano sulla spalla, solo per ritirarla con un sibilo e una parolaccia data l’onda di elettricità che gli fece drizzare i capelli, « Ahia, cazzo, la devi piantare con questa aggressività! »
« Vai a disturbare Aizawa e lascia stare me. »
« Esatto, vado a cercare qualcuno che apprezza la mia compagnia. »
« Buona fortuna. »
Kisshu uscì dal laboratorio salutandolo con un dito medio alzato; quando la porta si bloccò con un sibilo, Pai si rilassò contro lo schienale della sedia.
Quanto detesto quand’ha ragione.
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
« Ah, senti che arietta! E che profumo di primavera! Mi sta venendo caldo. Perché mi guardi così? »
Ryou scosse la testa, nascondendo un sorrisetto, mentre continuava a spingere la carrozzina: « You’re funny, ginger. »
« Dai, è la nostra prima uscita ufficiale, sono contenta, » Ichigo gli strinse un po’ di più il braccio, poggiandovi la tempia e quasi zampettando accanto a lui, « Poi guarda come dorme! Quasi la invidio. »
« Se sei stanca, possiamo tornare a casa. »
« No, ancora un po’, » sospirò lei, « E poi dobbiamo ancora passare a prendere un paio di cose per stasera. »
Il biondo sbuffò sottovoce: « Ricordami perché stai già organizzando cene a tre settimane dal parto. »
« Intanto non sto organizzando niente, io metto solo a disposizione il luogo e il cibo lo portano gli altri, » puntualizzò divertita lei, « E poi mi mancano le mie amiche, ho voglia di fare due chiacchiere e non pensare a quanto sono stanca per un paio d’ore. »
« Mmhm, » Ryou le lanciò un’occhiatina divertita, « Stai forse dicendo che non ti basto io? »
Ichigo arricciò il naso e gli diede una leggera spinta: « Quanto sei sciocco, certo che no. Ma ho circa due mesi di gossip arretrati, soprattutto da parte di Reta-chan. »
« Mi chiedo come tu abbia fatto a sopravvivere senza. »
« Shirogane! Non fare l’antipatico. »
Lui rise ancora, lasciandole un bacio leggere sulla testa, e continuarono a camminare tra i curati vialetti del parco per un altro quarto d’ora, finché Ichigo non individuò una panchina sotto l’ombra di un grosso albero.
« Ora pausa! » annunciò, portandosi le mani sulle reni per stirare un po’ la schiena, « Ci sediamo cinque minuti? »
« Mi stavo giusto preoccupando di questo tuo eccesso d’agonismo. »
« Come premio per la tua simpatia, ti tocca andarmi a prendere un gelato. »
Ryou mise il freno alla carrozzina, accertandosi che non fosse al sole, e guardò la rossa con un sopracciglio alzato: « Qui non c’è il Caffè. »
« Non dirmi che ti fa paura la concorrenza! »
« Ti ho viziato troppo. »
Ichigo si sedette con un sospiro e in risposta gli mostrò un sorriso sfavillante da bambina, cui lui ribatté con un buffetto sul naso.
« Vaniglia e cioccolato? »
« E panna montata. »
Con un altro buffetto, Shirogane si allontanò verso un chioschetto poco lontano che vendeva bevande, merendine e gelati, mentre la rossa si rilassava sulla panchina e iniziava a giocherellare con il cellulare, tenendo d’occhio Kimberly che continuava a dormire beata.
Persa com’era a recuperare i messaggi scambiati nella chat delle ragazze, non si accorse della figura che le comparve accanto finché questa non la chiamò con voce allegra, facendola sussultare.
« Ichigo? Sei proprio tu? Che coincidenza! »
La rossa sbatté le palpebre un paio di volte, presa completamente alla sprovvista, per mettere a fuoco la silhouette contro luce: « A-Aoyama-kun? Ma… che ci fai tu qui? »
Masaya sorrise con la stessa vitalità di sempre: « Non ti ricordi? Sono tornato a Tokyo per un po’, per un lavoro che sarà il fulcro centrale della mia tesi di master. Passo spesso per questo parco, quando vado in università. »
Ichigo in realtà lo stava ascoltando solo con mezzo orecchio, troppo presa dal senso di colpa di essersi completamente (e nuovamente) dimenticata di rispondere al ragazzo in maniera decente e dalla mortificazione di trovarselo ora lì, davanti, in un parco che aveva cominciato a frequentare solo perché più vicino alla nuova casa.
« Allora, come stai? Congratulazioni, a proposito! Che avventura! »
« Eh già… » lei si morse il labbro, sentendosi a disagio come non mai con il ragazzo, « È stato tutto un po’… come dire… una sorpresa, già. »
Aoyama annuì comprensivo e sbirciò sotto la cupola della carrozzina: « È un sacco carina, complimenti davvero. Come si chiama? »
Ichigo strinse un po’ di più il manico: « Uhm… si chiama Kimberly. »
Non le sfuggì il viso interdetto del ragazzo mentre si raddrizzava e voltava verso di lei, incuriosito dal nome molto poco giapponese; non ebbe il tempo di chiedere, però, perché in quel momento ricomparve Ryou, il gelato in mano e la faccia più impassibile della storia, probabilmente fugando ogni suo dubbio.
« Aoyama. »
« Shirogane, buon pomeriggio, » lo salutò Masaya, decisamente più cordiale, « Credo che le congratulazioni siano di dovere anche a te, quindi. »
« Thank you. Ti intrattieni molto, a Tokyo? »
Ichigo si dovette trattenere dal dargli un pizzicotto mentre le porgeva il gelato, di cui le era completamente passata la voglia, ma Aoyama non apparve per nulla turbato.
« Un anno intero del mio master sarà dedicato a un progetto che sto seguendo qui, così da costruirci la tesi, » esclamò con pacatezza, « Avevo avvisato Ichigo, ma capisco che sia stata un po’ impegnata. »
La rossa condivise la risatina impacciata, muovendo l’indice tra lei e Ryou: « Già, noi due… ecco… »
Masaya non la lasciò finire, annuendo con fare comprensivo e sorridendo di più: « Sono contento per voi e vi auguro il meglio. Hai accanto una persona straordinaria, Shirogane, e sono certo che saprai prendertene cura. E complimenti ancora. »
« Grazie, Aoyama-kun, e davvero scusami se non ti ho risposto ma - »
« Non preoccuparti, Ichigo-chan, non posso nemmeno immaginare che momento sia questo! L’importante è che tu – voi – stiate bene e siate felici. »
Ryou fece un impercettibile passo verso la ragazza: « We are, thank you. »
Masaya annuì ancora e rivolse un ultimo sorriso a Ichigo: « È stato un piacere rivedervi. E l’offerta del caffè è sempre valida. »
« Ciao, Aoyama-kun… »
Ichigo lo salutò fievolmente e lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava, un ultimo gesto con la mano, e poi sprofondò ancora di più nella panchina: « Accidenti, che vergogna! Mi sono completamente dimenticata di dirgli… be’, tutto, e trovarmelo davanti così! »
Shirogane rimase impassibile, agguantando di nuovo il manico della carrozzina: « Non vedo cosa ci sia da vergognarsi. »
« Non in quel senso, però… e tu potevi anche essere più gentile! »
« Sono conciso, non sono certo scortese. »
« Certo, come no, » la rossa sbuffò e si tirò in piedi, scrocchiandosi la schiena una seconda volta, « Non abbiamo più quattordici anni, puoi avere una conversazione vera con qualcuno che non ti va a genio. »
« Let’s just go. »
Ichigo evitò di alzare troppo gli occhi al cielo e lo seguì lentamente verso l’uscita dalla parte opposta.
 
 
 
 
« Ogni volta che vengo qui da te, nee-chan, mangio come un maiale. »
Purin si stiracchiò vistosamente, allungando le gambe sul tappeto con un mugolio soddisfatto, e Ichigo sorrise sotto i baffi, poggiando un vassoio con teiera e tazze sul tavolino da caffè.
« Questa volta non è colpa mia, è stata Minto-chan a provvedere. »
« E infatti mangiando come se non ci fosse un domani, non avete gustato quasi nulla. Non vi meritate i miei ristoranti. »
« Abbiamo fatto onore alla tavola invece. »
« Ti dovresti regolare, Momomiya. »
« Tieni, bevi così ti rilassi, » la rossa le allungò una tazza già riempita, « Ora perché i maschietti non vanno a giocare da un’altra parte così noi ragazze possiamo fare un po’ di chiacchiere tranquille? »
« Be’, perché? » domandò Kisshu, quasi sinceramente offeso, « Anche io voglio sentire i gossip. »
« Come sei infantile. »
« Non so se ti convenga, nii-san, credo che Ichigo-chan voglia interrogare anche Minto nee-san. »
« Come no! »
« Scusate, questa doveva essere una serata tra ragazze, » Ichigo mise il broncio e lanciò un’occhiata torva ai due alieni e a Ryou, seduto accanto a lei, « Siete voi che vi siete imbucati. »
« I live here, you know. »
« Non mi sembra un problema per te non fare conversazione. »
Shirogane alzò un sopracciglio alla frecciatina, spostandosi per guardarla meglio: « Ancora con questa storia di oggi? »
Purin guardò in su dalla sua tazza, su cui soffiò prima di dare voce alla domanda condivisa da tutti: « Perché, cos’è successo oggi? »
« Niente. »
Ichigo lanciò un’altra occhiataccia al fidanzato: « Oggi siamo andati al parco qui dietro per far fare a Kimberly una prima passeggiata all’aperto. Non c’eravamo mai andati tanto, l’abbiamo scelto solo per comodità e… abbiamo incontrato Masaya. »
Le altre tre ragazze si lasciarono scappare un sussulto, mentre Zakuro si limitò ad alzare un sopracciglio alla rivelazione; la rossa prese un sorso di tè e scosse la testa:
« Così, me lo sono trovato davanti all’improvviso! Ve l’avevo detto che mi aveva scritto, no? Ma io - »
« Wait, he wrote you?! »
« - gli avevo solo risposto velocemente e mi ero completamente dimenticata di dirgli qualsiasi cosa! Mi ha pure ricordato che non lo avevo ringraziato per gli auguri di compleanno! Così quando mi è spuntato in fronte, non so, avrei voluto che il terreno mi mangiasse… e Ryou praticamente sembrava schifato a rivolgergli la parola, il che non ha aiutato! »
« Mmh, che bell’incontro… » commentò solo lugubre Kisshu, prendendo un lungo sorso dalla sua tazza e ricevendo una rara d’occhiata d’intesa dall’americano.
« È per questo che Shirogane è tutta sera che ha la faccia di uno che ha mangiato un limone? » criticò Minto, quasi divertita, e lui si limitò ad alzare gli occhi al cielo.
« E come sta Aoyama-san? » domandò Purin, allungandosi sul tavolino per afferrare un biscotto, « Credo di non vederlo da quando è partito per Londra la prima volta. »
La rossa fece spallucce: « Bene, direi. Ha detto è qui a Tokyo per un progetto del suo corso di studi, ma non so molto altro. Non abbiamo avuto molto tempo di parlare, ecco. Però… non so, devo dire che l'ho trovato un po'... strano. »
Retasu corrugò la fronte: « In che senso? »
« Non saprei spiegarlo, » l'amica scosse la testa, « Mi ha solo dato questa sensazione, ecco tutto. »
« Un po' di estraneità è comprensibile dopo tanti anni di lontananza, » intervenne pacata Zakuro, « Anche se avete mantenuto un buon rapporto dopo che vi siete lasciati, e sono passati tanti anni, è venuto a sapere all’improvviso che tu hai avuto una figlia niente di meno che con Ryou, che non era esattamente il suo migliore amico. Anzi, con il quale aveva un rapporto, come dire… competitivo. »
« Watch it, » borbottò il biondo con un’occhiataccia verso Purin e Kisshu, che avevano sogghignato platealmente, prima di bere un sorso di tè.
« Immagino di sì, » Ichigo esalò e si alzò dal divano, « Chi vuole altro da bere? »
Quando si fu allontanata verso la cucina, con la teiera in mano, l'attenzione degli altri si spostò su Shirogane, che sbuffò contrariato: « Non capisco perché continuate a guardarmi. »
« E dai, nii-san, » rise Purin, « La tua faccia dice tutto. »
« La mia faccia  non dice niente. E poi, se proprio volete discuterne, e se proprio volete ipotizzare che tra me e Aoyama ci sia mai stata una gara – che non è il caso perché ho avuto altro di meglio da fare al mondo che mettermi a competere con lui – se anche mai ci sia stata competizione, allora dovreste anche concludere che alla fine ho vinto io. »
Minto alzò gli occhi al cielo: « Parli di ego spropositato... »
« Avete iniziato voi. »
« Alla tua età ancora discuti di queste cose? » Ichigo ritornò in sala con un'espressione poco divertita in volto, « E guarda che non sono un premio da vincere. »
« Vallo a dire a tuo padre, » la prese in giro Ryou tetramente.
« Questo sabato siamo a pranzo da loro, non iniziare. »
Il biondo si limitò a scambiarsi un’occhiata silenziosa con Zakuro, che in tutta risposta piegò leggermente la propria tazza verso di lui.
« Comunque normale l’ameba non è mai stato, » dichiarò Kisshu con un ghignetto, « Ma sempre più simpatico dei suoi alter ego. »
« Kisshu! »
« Non fare quella faccia, tortorella, è vero. Fosse spuntato davanti a me non mi sarei limitato a non rivolgergli la parola. Qualunque sfumatura di blu fosse, avrei voluto fargli un po’ il culo io. »
Minto lo guardò in tralice mentre lo sguardo dorato sembrava perdersi nel vuoto, e cercando di non farsi notare poggiò con nonchalance il braccio sulla gamba di lui. Nello stesso momento, Retasu si schiarì la gola e sorrise, allungandosi verso la teiera di nuovo riempita e fumante.
« Chi ha bisogno di un altro giro? »
Non ebbe il tempo di ricevere risposta che il telefono di Ryou cominciò a suonare, facendoli sobbalzare quasi tutti, Ichigo che preoccupata si voltò verso il baby monitor sul tavolino della lampada.
« È Keiichiro, » esclamò il biondo controllando il display, « Ma non so cosa - »
Dal piano di sopra rimbombò debole l’allarme del computer del suo studio, seguito dall’esplosione di notifiche sul suo cellulare.
E gli parve subito un incredibile déjà-vu, soprattutto perché si udì un sibilo, e Taruto apparve all’improvviso nel bel mezzo del salotto.
 
 
 
 
Purin si sentiva come se il mondo intorno a lei fosse improvvisamente tutto ovattato e al rallentatore. Aveva osservato a occhi sgranati Pai e Kisshu alzarsi di scatto e quasi accerchiare il loro fratello minore, raggiunti poco dopo da Ryou, mentre Ichigo scattava al piano di sopra visto il pianto disperato di Kimberly, spaventata dal rumore dei sistemi e dalle grida stupite degli ospiti, ma in realtà i suoi occhi si erano focalizzati solo sul ragazzo dagli occhi color ambra e i capelli marroni ora sciolti sulle spalle.
« Possibile che tutte le volte debbano spuntare all’improvviso come funghi?! »
« Minto-chan, calmati… »
« Oh Retasu, non mi guardare così, ogni volta fanno tutto questo casino…! »
« Scusate! » la voce di Zakuro sovrastò quella delle altre, e tutte le teste, compresa quella della biondina, si voltarono verso di lei, « Adesso basta. Cosa sta succedendo qui? »
Taruto le rivolse un sorriso terribilmente simile a quello del fratello dai capelli verdi: « Ho finalmente finito il mio addestramento. Non potevo certo lasciare che solo i miei fratelli si divertissero, no? »
« Be’ certo, la Terra è il vostro nuovo luogo di villeggiatura. »
Il più giovane degli Ikisatashi guardò Shirogane con un misto di curiosità e fastidio: « Sono solo io, che problema c’è? »
« Anche l’ultima volta eravate solo voi tre e il vostro capo pazzoide. »
« Ryou! »
Pai ignorò il commento e si sfregò la fronte: « Come hai fatto? E perché non sono arrivate comunicazioni ufficiali? »
« È stato il Comando ad approvare la mia richiesta subito, se avessi anche dovuto aspettare le comunicazioni ufficiali non sarei mai arrivato, ci sono non so quali cambiamenti nell’Assemblea e… ehi, e quello cos’è? »
Ichigo continuò a cullare Kimberly e lo guardò storto: « Quello è mia figlia, disgraziato! »
« Ah però, vecchiaccia, l’età è avanzata davvero! »
« Brutto… ! »
Ryou le si avvicinò e le mise una mano sulle spalle per frenare il suo impeto vendicativo, la testa che già stava pulsando in maniera molto pericolosa.
« Volete dirmi che ora in periferia di Tokyo ci sono ben due astronavi aliene nascoste in una dimensione parallela. »
Taruto guardò i suoi fratelli con un moto d’orgoglio: « Ho inserito le coordinate che avevi mandato al Comando al vostro arrivo e sono riuscito ad ingrandire la dimensione. Per trovarvi stasera ho tracciato il segnale del vostro connettore. »
« Oh, he enlarged the dimension, ain’t that great. »
Zakuro cercò di blandire Shirogane con uno sguardo truce, ma cominciava a condividere con lui l’inizio dell’emicrania: « Quindi è per questo che Keiichiro stava chiamando, i nostri sistemi devono aver percepito il tuo arrivo. Ma la ragione di esso non ci è ancora stata data, o anche tu fai parte della missione dei tuoi fratelli, solo a scoppio ritardato? »
Il giovane alieno si strinse nelle spalle: « Puoi metterla così. »
« Io non voglio metterla, » replicò la modella, « Preferirei sapere. »
Non si perse l’occhiata che si scambiarono Pai e Kisshu, così come non se la persero gli altri; fu Minto la prima a parlare, con occhi pieni di istinto omicida:
« Kisshu giuro che ti squarto vivo se non apri quella bocca. »
« Ci sono delle cose che… non sapete. »
Zakuro inarcò impercettibilmente un sopracciglio alla risposta di Pai, incrociando simultaneamente gambe e braccia: « Allora raccontatecele. »
« La tortorella un po’ le sa già. »
« Non mettere in mezzo me, sai! »
Pai fissò la modella per qualche istante, e lei vi riconobbe quello sguardo duro e perso che ogni tanto gli aveva visto fare durante le loro notti insieme.
« Ve ne abbiamo già accennato. Dopo la caduta di Deep Blue, ci sono stati molti cambiamenti all’interno della nostra società che non sono stati graditi a tutti, chi credeva ancora al nostro vecchio signore ha continuato a rimanergli fedele per qualche tempo. Potete immaginare cosa fosse, essere le cause dirette della sua disfatta. »
Kisshu storse la bocca, mormorando qualcosa di incomprensibile ai terrestri e spostando il peso da un piede all’altro, ma il fratello continuò con un sospiro: « Taruto è riuscito a non viversi il peggio perché all’epoca era solo un bambino, nonostante il ruolo che gli era stato affidato. L’hanno reintegrato nei vari passaggi del nostro sistema educazionale, quasi chiudendo un occhio. »
« Noi invece eravamo i fratelloni traditori che l’avevano portato sulla cattiva strada, » intervenne il verde con una risatina aspra, « Ci hanno fatto mangiare della merda per anni, nonostante una folta parte di pubblico ci considerasse quasi come dei salvatori. Che non era nemmeno divertente, dopo un po’. Non potevamo vivere una vita normale senza essere perseguiti in qualche maniera. »
« La nostra missione è stato… un compromesso, » terminò ancora il moro, evitando di guardare Retasu e i suoi occhioni lucidi, « Avremmo condotto ricerche necessarie e importanti per il nostro pianeta, ricerche che possano assicurarne la longevità, ma senza abitarvi. Perché non era possibile. »
« Con la promessa che il moccioso qui ci avrebbe raggiunti, una volta consolidata ufficialmente la sua posizione di tenente, » Kisshu strinse affettuosamente una spalla a Taruto, ormai alto quasi quanto lui.
Zakuro sospirò e si abbandonò contro la spalliera, continuando a studiare i tre fratelli e scambiandosi un’occhiata con le sue amiche. Non poté evitare di soffermarsi su Purin, che incredibilmente non aveva ancora spiccicato una parola e proseguiva a fissare il più giovane dei tre ad occhi sgranati.
« D’accordo, » esalò poi, guardando direttamente Ryou, « Okay? »
Il biondo, le mani sui fianchi, si limitò ad annuire.
« Oh comunque non mi piace questa cosa che ci trattate ancora come minacce. »
« Kisshu, sta’ zitto. »
Il verde scosse le spalle e si riavvicinò a Minto, che si era appollaiata su un bracciolo del divano con un’espressione distratta. Finalmente, Taruto scrutò la stanza finché il suo sguardo non si posò sulla biondina seduta per terra; un sorriso timido gli si disegnò in volto mentre, a disagio, infilava le mani nelle tasche dei pantaloni.
« Ciao, scimmietta. »
Purin sbatté le palpebre un paio di volte, la bocca che si trasformò in una piccola o, e sembrò quasi risvegliarsi da un sogno. Il viso le si illuminò di un sorriso enorme mentre scattava in piedi con agilità straordinaria e gli si lanciava letteralmente addosso con uno strillo ad ultrasuoni: « Taru-Taru! »
Il tonfo della loro rovinosa caduta per terra fu coperto nuovamente dagli strilli di Kimberly, spaventata una seconda volta, e dal gemito sconfortato di Ichigo e Ryou.
 
 
 
 
Dopo aver ristabilito l’ordine, e aver aggiornato velocemente Keiichiro con una telefonata, anche il terzo Ikisatashi fu sistemato al secondo piano del Caffè (nonostante le proteste di Purin, che si era offerta profusamente di ospitare Taruto fino a nuovo ordine, vista l’ampiezza di casa sua e i continui viaggi di suo papà). Il pasticcere li accolse con il solito sorriso cordiale, accompagnandoli nella vecchia camera di Ryou – ora di Kisshu – nella quale aveva arrangiato la brandina d’emergenza con la promessa di aggiungere un letto più comodo al più presto.
« Mi sento improvvisamente adolescente, » ghignò il verde, « Pai ha sempre il diritto di prelazione, eh? »
Il viola lo ignorò: « Molte grazie, Akasaka-san. Continueremo a non essere di disturbo. »
L’altro sorrise e si tirò dietro la porta mentre usciva: « Nessun problema, Ikisatashi-san. Questo piano è assolutamente tutto vostro. Vi chiedo solamente di informare Taruto-san sulla maniera migliore per non attirare l’attenzione visto le nostre nuove collaboratrici. »
Pai annuì e lo salutò con un ultimo cenno; quando la porta fu chiusa, controllò il pomello e attese qualche istante, lasciando che Kisshu vi si appoggiasse contro con una spalla e il solito sorrisetto irriverente: « Be’, benvenuto nella nostra umile dimora. »
Taruto si guardò intorno, poi sghignazzò: « Come avete fatto a convincere Shirogane a farvi stare qui? »
« Era l’opzione che più gli conveniva, così può far finta di non starci tenendo d’occhio. »
Pai sospirò e si sedette sulla brandina appena installata: « Taruto. Lo sai cosa ti devo chiedere. »
D’improvviso, il fratello assunse una posa molto più composta e rigida: « Nessuna novità. La situazione non è cambiata dalla vostra partenza. I registri sono nella mia navetta. »
Gli altri due si scambiarono un’occhiata, poi Pai si sfregò la faccia, percependo tutta la stanchezza della giornata: « Dovrò andare a fare rapporto, immagino. »
« Io istruisco il fanciullo qui, prima che sparisca dietro una certa testa bionda. »
« Che cavolo dici?! »
« Ho notato un certo trasporto, in quel capitombolo. »
« Senti, vai a cagare. »
« Potete darmi tregua per dieci minuti? »
« E dai, » Kisshu rivolse a Pai un sorriso splendente, « Lo sai che ti eravamo mancati. »
Il maggiore scosse la testa, si alzò con uno sbuffo e si avviò lungo il corridoio, le spalle incurvate: « Vedete di non fare casino, vado alla nave. »
« Io te l’avevo detto di installare un comunicatore più vicino. »
« Dannazione, Kisshu! »
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Non ci fu maniera, ovviamente, di tenere Purin lontana dal Caffè più delle minime sei ore di sonno necessarie a essere funzionante. Al primo raggio di sole, si fiondò giù dal letto, si infilò il primo paio di pantaloni che trovò – un pinocchietto leggero di un azzurro allegro, perfetto vista la giornata – e quasi volò fuori casa, salutando i suoi fratelli con un grido quando era già oltre la porta.
Arrivò al locale a tempo di record e come per magia senza neanche una goccia di sudore, rallentando solo quando vide Keiichiro che rastrellava la ghiaia del vialetto per metterla in ordine.
« Buongiorno, Akasaka-san! »
Lui cercò di non apparire troppo divertito dal suo trillare agitata: « Purin-chan, buongiorno. Siamo mattinieri oggi. »
« Già, » lei sorrise a trentadue denti, saltellando sui talloni, « Posso chiederti un favore? »
« Ma certamente. »
« Lo so che oggi ho il turno, però… non è che potrei… ? »
Keiichiro sorrise affettuoso e annuì, poggiandosi al rastrello e facendole l’occhiolino: « Non mi ricordo l’ultima volta che hai preso un giorno di ferie, direi che è decisamente meritato! »
« Grazie mille! » Purin gli si avvicinò e gli diede un cinque energetico, « Ci vediamo dopo, ciao! »
« Purin-chan, aspetta, non sono ancora - ! »
Ma il suo richiamo non fu ascoltato, perché lei si era già lanciata all’interno e stava salendo i gradini a due a due. Con la chiave di riserva, aprì la porta che separava il secondo piano e – incurante del silenzio, o delle soglie chiuse, o delle luci spente – si tuffò verso la vecchia stanza di Shirogane, chiamando a pieni polmoni: « Buongiorno, Taru-Taru! »
Entrambi i ragazzi nella camera si svegliarono di soprassalto, tra l’essere investiti dalla luce e l’urlo, in un coretto di parolacce.
« Ma che cazz - » Kisshu riuscì solo ad aprire mezzo occhio, la faccia stampata dalle righe del cuscino, « Purin! È l’alba! »
« Ti sembra il caso di entrare così?! » sberciò pure Taruto, tenendosi il lenzuolo fino al mento e una mano sul cuore che batteva furioso.
La biondina sembrò non farci caso e marciò dentro, spalancando pure la finestra: « Forza, in piedi, pigrone! Ci sono un sacco di cose che dobbiamo fare! Uuuh, nii-san, tu dormi nudo? »
Il verde litigò con il lenzuolo per avvolgervisi il più possibile senza abbandonare la posizione prona, mugolando spropositi contro il guanciale mentre la biondina rideva sfacciata e piroettava verso la branda di Taruto.
« Si entra bussando, sai? Non si sveglia la gente come una cannonata! »
« Sono contenta che sei tornato, » esclamò candidamente lei, incrociando le dita dietro la schiena, « I nii-san non ti hanno mandato i miei messaggi? Chiedevo sempre di te! »
Un vago rossore si sparse sul naso dell’alieno: « E dopo un viaggio intergalattico non potevi farmi dormire!? »
« C’è tempo per dormire, ora dobbiamo dirci un sacco di cose! Ho chiesto apposta un giorno di ferie, mi devi raccontare tutto del tuo addestramento, del tuo pianeta, e scommetto che ci sono anche un sacco di cose che non sai! Te l’ha detto Kisshu nii-san che ora esce con Minto nee-san? »
Il suddetto riuscì finalmente a voltarsi a pancia in su, un piede a penzoloni fuori dal materasso e le braccia spalancate, ed esalò sfinito: « Non è che potreste portare la vostra toccante riunione fuori da qui? »
Il fratello minore gli lanciò un’occhiata truce e poi esalò: « D’accordo, Purin, sono sveglio, ma ora esci. Mi devo… uhm… »
La biondina fece una smorfia maliziosa: « Anche tu come Kisshu-san? »
Taruto divenne color melanzana, l’afferrò per un braccio mentre lei se la ghignava della grossa e, il lenzuolo ben stretto attorno al corpo, la spinse bruscamente fuori, sbattendole la porta alle spalle.
Svegliato dal trambusto, Pai passò lì davanti con la faccia scura e una tazza di caffè nero fumante in mano.
« Possibile che non ci sia mai un attimo di pace? »
 
 
 
 
Retasu tentennò un istante prima di varcare l’entrata posteriore del Caffè. Era arrivata un po’ in anticipo rispetto al suo turno, un po’ perché avvisata da Keiichiro sul giorno libero di Purin – che stava spammando senza pietà la loro chat di gruppo con foto della maratona cui stava costringendo Taruto – un po’ perché, viste le rivelazioni della sera precedente, avrebbe voluto sfruttare l’occasione per parlare con Pai.
La cosa, però, la rendeva nervosa: non era mai stata un’amante del confronto, per niente, e non era un confronto quello che voleva ottenere, però si rendeva conto di come le domande che aveva potessero risultare scomode, lo aveva capito dall’espressione dei tre alieni durante il loro racconto. Ciò la metteva in difficoltà; non le piaceva rivangare ferite che evidentemente avevano faticato a chiudersi, dall’altro lato aveva delle curiosità che non riusciva a placare.
Prese un respiro e si avviò dentro, il profumo dolce del Caffè che, come ogni volta, le solleticò le narici. Era appena dopo pranzo, sapeva che Pai avrebbe iniziato da lì a poco il suo secondo round di tazze di caffè, perciò se ne procurò una non appena ebbe lasciato le sue cose in spogliatoio. Stava dirigendosi con estrema cautela verso il laboratorio quando lo vide salire in direzione opposta e rivolgerle un accenno di sorriso, cui lei rispose con timidezza più marcata.
« Ciao, » gli mormorò, « Sono arrivata un po’ prima perché manca Purin. »
Pai annuì e le tolse l’onere di stringere la tazza fumante, ringraziandola sottovoce: « Ha preso in ostaggio mio fratello. »
Retasu sorrise divertita e congiunse le mani in grembo: « Ci sta mandando foto in continuazione, è ancora in ottima forma. »
Anche Pai rise, prendendo un sorso e assaporando un po’ più a lungo l’aroma caldo sulla lingua. Non era stupido, sapeva cosa volesse la ragazza, e non dovette aspettare molto per sentirla cominciare.
« Io… riguardo ieri sera… » tentennò infatti la verde, mentre gli lanciava uno sguardo da sopra il bordo degli occhiali, « Volevo solo… »
L’alieno le indicò le scale con un cenno della testa e la fece precederlo al piano di sopra, indirizzandola con una mano sull’incavo della schiena verso la sua camera da letto. Non erano certo discorsi che lui avrebbe apprezzato condurre, figuriamoci nel bel mezzo di un corridoio.
Lì, l’odore del ragazzo era molto più forte, e ciò le fece sfrigolare la pancia più del solito, ma Retasu s’impose di concentrarsi.
« Perché non me l’hai detto? » domandò d’un fiato dopo qualche istante.
Pai sospirò e poggiò la tazza sulla scrivania lucida, cercando le parole giuste.
« Non sono bei ricordi, Retasu. »
« Lo capisco. Per questo forse sarebbero da… condividere. Non ti fidi di me? »
Lui fece un passo avanti e le prese il viso tra le mani: « Non ha niente a che vedere con te. »
Lei si corrucciò, scrutando le iridi ametista: « Cosa vuoi… ? »
L’alieno esalò piano e la strinse un po’ di più: « Non sono il tipo di persona che… si trova a suo agio a chiedere aiuto, né grava i propri problemi sugli altri. Non voglio scatenare la tua pietà, non voglio farti stare male. È passato, e non ha più nessuna importanza. »
« Pai, io… io voglio sapere chi sei, » mormorò lei.
« Sai già tutto quello che conta. Non voglio guardare indietro, con te. Voglio andare avanti. »
Il cuore di Retasu batté così forte che per un istante quasi le cedettero le ginocchia; si aggrappò alle spalle di lui e lo studiò per qualche altro secondo, annuendo lentamente poi: « Però promettimi che… se ci fosse qualcos’altro, o in un momento in cui ti serve parlarne… che lo farai. »
Lui assentì con la testa, sfiorandole le labbra in un sussurro prima di baciarla: « Te l’ho detto che non ti merito. »
Retasu si lasciò scappare un sospiro quando avvertì la parete contro la schiena e inclinò di più la testa, perdendosi nel loro bacio. Il sapore di Pai si mischiava a quello del caffè, e come sempre iniziarono a ronzarle le orecchie mentre il petto le galoppava spedito e il sangue sembrava fluirle tutto nel ventre. Anche Pai esalò nel poggiare le mani sulla sua vita per premersi un po’ di più contro di lei, percependone le curve contro al corpo, il calore tiepido e il profumo fresco.
Sapeva di estate, pensò senza sapere il perché, rendendosi conto che non sarebbe riuscito a farne a meno, che presto avrebbe solamente bramato sentirlo maggiormente.
Un altro mormorio risalì dalla gola della ragazza quando Pai spostò un palmo per sfiorarle appena un seno, un mugolio che assomigliava terribilmente al suo nome e che, unito a Retasu che si sporgeva ancora contro di lui, gli azzerò del tutto i pensieri. Si piegò a baciarle il collo, l’altra mano che spiegazzò la stoffa della gonna che lei indossava per impedirsi di muoverla, avventurandosi lungo lo scollo della blusa, lì dove una volta aveva sfoggiato la sua voglia Mew, per poi ripercorrere la pelle rosea dalla parte opposta.
« Pai… » questa volta fu un rantolo vero e proprio nel momento in cui lui la strinse di più, poi le mani della ragazza gli si posarono sulle spalle, « A-aspetta… »
Riportò le mani sulla vita di lei per abbracciarla e le lasciò un ultimo bacio sotto l’orecchio, tracciando con il naso la scia di pelle d’oca che le causò; Retasu tremò appena e prese fiato, sistemandosi gli occhiali sul naso: « De-devo andare. »
Avrebbe voluto dirle di non farlo, invece Pai annuì e posò la fronte contro la sua.
Non puoi correre.
« Ti accompagno quando hai finito, » le disse sottovoce.
La verde fece sì con la testa, tossicchiò mentre si sistemava un po’ i vestiti, e si sporse in su per ottenere un ultimo bacio veloce, con buona pace del viso color peperone e del cuore in gola.
Forse aveva davvero ragione lui, si disse, l’unica cosa importante era continuare a guardare avanti, insieme.
 
 
 
 
« Dai, ammettilo che ti sei divertito! »
Purin diede una giocosa spallata a Taruto, che incrociò le braccia dietro la nuca e assunse un’espressione di superiorità: « Non è stato malaccio, ma sei una guida un po’ troppo frenetica. »
« Dovevo farti vedere un sacco di cose! E poi tu sei lento! »
« Per tua informazione, sono tra i migliori del mio corso! Sei tu che hai le gambe più corte e quindi devi correre, nanerottola! »
La biondina rise allegra, dandogli un altro colpetto e scoccandogli un’occhiata di nascosto mentre continuava a camminargli accanto, le ombre del tramonto che si facevano più scure. Ancora non si capacitava che Taruto fosse davvero lì, vicino a lei, che potesse toccarlo e vederlo sul serio. Né si spiegava come avessero passato la giornata in totale sintonia, come se non fossero passati davvero sette anni ma solamente sette giorni dall’ultima volta in cui si erano visti.
Eppure, sia lei che Taruto erano cambiati così tanto.
Gli scoccò un’altra occhiata, meravigliandosi del fatto che adesso era più alto di lei di almeno dieci centimetri e decisamente con le spalle più larghe di quanto si ricordava, ma con la stessa faccia da birbante, nonostante i lineamenti cresciuti.
Dal canto suo, anche Taruto faceva fatica a computare che la ragazza a fianco a lui fosse davvero la sua amica d’infanzia. Purin era rimasta snella e scattante anche da adolescente, però la chioma bionda le correva fino a metà schiena, con ancora qualche treccina tra le ciocche, e le curve si erano ammorbidite nei posti giusti, rendendola davvero…
La gola gli si chiuse come se avessero eliminato tutta l’aria dell’universo e distolse velocemente lo sguardo – cosa diavolo andava pensando?! Era stato lontano da Kisshu un anno intero, possibile che già soffrisse la sua influenza?!
Con due falcate doppiò la biondina e, le mani sempre dietro la nuca, camminò all’indietro per rivolgere un sorriso smaliziato: « Scommetti che ora ti porto io in un posto stratosferico? »
« Ah sì? » ribatté lei, incrociando le braccia, « Vediamo se mi batti! »
Taruto le fece una linguaccia, poi si guardò intorno e la prese per un polso per portarla in una stradina laterale, al riparo da occhiate curiose.
« È un po' che non uso il teletrasporto sulla Terra, quindi potrei essere un po' arrugginito, però… » le afferrò anche l’altra mano, chiuse gli occhi, e dopo pochi istanti sentirono una forte brezza sulla pelle, « Ecco, ci siamo. »
Purin dovette sbattere le palpebre un paio di volte per realizzare che davvero stava guardando l’intera città al crepuscolo dalla somma della Tokyo Tower: « È bellissimo! Era un sacco di tempo che non venivo qua. »
Il ragazzo sorrise trionfante: « Allora ho vinto, eh? »
« Giochi sporco, però, io non posso teletrasportarmi e nemmeno saltare più come facevo una volta. »
« Non sai perdere. »
La biondina gli rispose con una smorfia e lo tirò, impavida come sempre, così che potessero sedersi su una delle travi, la mano sempre stretta nella sua.
« D’accordo, è una cosa fantastica, » esalò dopo un po’ mentre lentamente le luci della città cominciavano ad accendersi sotto di loro, « Ma anche il mio giro di oggi non era male. Non ti ho portato a fare il turista. »
« Il che? »
« Lascia perdere. »
Taruto la guardò stranito mentre lei rideva, con i capelli che svolazzavano al vento e colpivano pure lui, portando con loro un soffio del suo profumo. Si ricordò di una cosa all’improvviso, e iniziò a rimestarsi in tasca sotto lo sguardo incuriosito di Purin.
« Che fai? »
« È stata un po' una faticaccia trovarle, » borbottò, tirando fuori il pugno chiuso, « Sai com'è, le cose sul nostro pianeta sono un po' diverse da quelle che avete voi, ma queste dovrebbero essere abbastanza simili. »
Le aprì il palmo sotto al naso, rivelando delle palline tonde avvolte da una carta plastificata di diversi colori.
Il viso di Purin si illuminò: « Sono... caramelle? »
Lui annuì: « La versione di Duuar. Sono morbide, ma non le devi masticare o ti si attaccano ai denti. »
Lei le guardò estasiata, cercando di scegliere la prima da provare: « Che gusti sono? »
« Verde, blu, e rosso. »
« Quelli non sono gusti, sono colori! »
« Scimmietta, non fare la difficile, non ne ho la minima idea, prendine una e basta. »
Purin ridacchiò di nuovo, sentendo un formicolio all’altezza del petto a quel nomignolo, e ne scelse una a caso, scartandola e lanciandosela in bocca: « Gwassie. »
Taruto sorrise, facendo un piccolo cenno con la testa: « Non c'è di che. »
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Neanche l’arrivo dell’ultimo fratello Ikisatashi – ed eventuali domande che Ryou avrebbe volentieri posto – era riuscito a far desistere Ichigo dall’appuntamento promesso ai propri genitori, il primo pranzo vero e proprio a casa loro dalla nascita della nipotina.
La nascita di quest’ultima da un lato aveva portato una ventata di euforia incredibile nei coniugi Momomiya, con Sakura più disponibile che mai e pronta a intervenire al minimo richiamo (cosa di cui Shirogane era più che grato, visto che nonostante i libri, i corsi, i video, l’ingegno, a volte ancora non aveva la minima idea di cosa fare, in più ogni pasto casalingo già pronto era sempre benvenuto) e Shintaro molto più di buon umore del solito; dall’altro, purtroppo, non aveva giovato quasi per nulla al rapporto tra i due maschi della famiglia.
Nonostante l’impegno di Sakura di domare l’imperiosità del marito e di fare da diplomatica tra le parti, Shintaro non perdeva occasione di lanciare al biondo velenose frecciatine che alla lunga gli stavano facendo perdere la pazienza; quella stessa pazienza che però non poteva permettersi di lasciarsi sfuggire per non scatenare le ire di Ichigo, che tanto lo pregava di provare ad essere tollerante e paziente, perché certo suo padre non sarebbe cambiato tutto d’un tratto.
Ryou, però, non si era mai ritenuto un campione di pazienza, soprattutto se vessato in continuazione senza un motivo oggettivo; quindi, ogni incontro con il suocero putativo lo rendeva di volta in volta di umore peggiore. In aggiunta, al già malumore in previsione dell’americano bisognava aggiungere la frustrazione causata della mancanza di sonno – collaterale alla neonata che invece al momento dormiva beata nel seggiolino – la mole di lavoro accumulatasi nell’ultimo mese – vedasi ragione precedente – e anche l’insofferenza ad avere da quasi una settimana non uno, non due, ma tre alieni nel suo Caffè a fare chissà cosa e al non poter davvero interrogarli come avrebbe voluto.
A quel pensiero scosse la testa e strinse un po’ di più il volante dell’automobile; iniziare il pranzo con quei pensieri non l’avrebbe certo aiutato a raggiungere una specie di nirvana dove i commenti di Shintaro sarebbero giunti solo come un ovattato mugolio.
« Tutto okay? »
Ichigo, accanto a lui, gli toccò appena una gamba, mentre continuava a voltarsi verso il sedile posteriore per accertarsi che Kimberly stesse bene.
« Sono solo stanco. »
La rossa non fu molto discreta ad occhieggiarlo per bene, non molto convinta: « Cerchiamo di rilassarci un po’, d’accordo? Sarà una cosa veloce. »
« Non capisco perché facciamo tutto a casa nostra, e oggi invece dobbiamo cambiare location. »
Lei si trattenne dallo sbuffare: « Perché stiamo sempre a casa ormai, cambiare un po’ d’aria ci farà bene. E poi così possiamo venire via quando vogliamo. »
Così non posso sparire in studio non appena tuo padre incomincia, avrebbe voluto rispondere Shirogane, ma si guardò bene dall’aprire bocca.
Come al solito, furono accolti da grandi feste di Sakura, che aveva dato fondo alle provviste della cucina per un ottimo pranzo – era convinta che almeno ghiotte distrazioni avrebbero potuto attutire un po' le discordie e le intenzioni bellicose della sua dolce metà.
Come al solito, suo marito fu di diverso avviso. Concesse giusto una mezz’ora di tregua a Ryou, godendosi la nipotina, prima di ricominciare con le solite punzecchiature e critiche.
« Sai, ho visto quella tua vecchia compagna di classe dai capelli biondi, tesoro, » iniziò non appena Sakura gli tolse da davanti il piatto ripulito, « Come si chiamava? »
« Si chiama Mowe, papà. »
« Ah, sì, giusto, » l’uomo si pulì velocemente la bocca con un fazzoletto, « Mi ha detto che ora frequenta un’ottima università, studia legge, le piace molto. »
Ichigo si strinse nelle spalle, già presagendo una svolta poco simpatica della conversazione: « Lo so, papà. Le sento ancora spesso per telefono, so sicuramente più di te, anche se non ho il tempo di vederle molto. »
« Immagino, sei sempre così impegnata, » Shintaro fece un lungo sospiro, « Eh, bambina mia, anche tu stavi andando così bene all’università, ti piaceva così tanto e avresti potuto raggiungere ottimi risultati, se non fossi stata sviata… »
Ichigo fu svelta ad appoggiare una mano sul ginocchio di Ryou non appena si accorse che, a quella affermazione, il biondo aveva stretto nel pugno un angolo del tovagliolo.
« Papà, ne abbiamo già parlato, lo sai che non ho intenzione di lasciare l’università, riprenderò più avanti. Sono solo indietro di un semestre, e anche se ci metto di più, non sarà certo un problema. »
« Poi lo sai che la nostra Ichigo non era una campionessa dello studio, » s’intromise Sakura con una risatina dolce, « Se non ci fosse stato Shirogane-san, non avrebbe certo studiato tanto come ha fatto nell’ultimo periodo prima di prendersi la pausa. È stato anche grazie a lui che ha scelto di entrare a Lettere. »
Shintaro scrollò le spalle, come se l’ultima affermazione non avesse avuto troppo peso: « Avresti avuto un tale futuro radioso… »
Ichigo strinse gli occhi: « Non mi sembra di essere in una situazione così disperata, ora. »
« E poi abbiamo una bellissima nipotina! » la moglie intervenne di nuovo velocemente, poggiando davanti al marito il piatto fumante della seconda portata, « Non credi che sia una cosa meravigliosa potersi godere quell’angioletto a pieno, ora che siamo ancora giovani e pieni di vita? »
« Sì, sì, » l’uomo sventolò una mano, « Ma avrei preferito che anche Ichigo potesse approfittare dell’essere giovane e piena di vita senza altre distrazioni, e concentrarsi sulle cose importanti. È ancora una bambina, dopotutto, se solo mi avesse ascoltato un po’ di più… »
« Sono ancora qua, papà. »
« … forse non si sarebbe fatta distrarre così incredibilmente. Senza che poi nessuna responsabilità sia stata assunta. »
« Papà, stiamo bene così. »
« Shintaro, caro, per favore. Credo che Shirogane-san si stia prendendo cura delle nostre ragazze in maniera ottimale, non hai assolutamente nessun motivo per lamentarti. Basta guardare Ichigo per capire quanto sono felici. »
Il patriarca Momomiya in risposta borbottò solamente qualcosa di inintelligibile, e Shirogane si concesse un sorso d’acqua per calmare il ribollire che sentiva crescere in petto. In altre circostanze, non avrebbe certo esitato a ribattere – soprattutto quando da frecciatine si passava a vere e proprie ingiurie – ma la pressione che Ichigo continuava ad esercitare sul suo ginocchio era l’unica cosa che lo teneva fermo, insieme alla riconoscenza nei confronti di Sakura. Probabilmente avrebbe dovuto ereggere una statua a quella donna, o quantomeno regalarle qualcosa di estremamente costoso.
La tregua, aimè, non durò molto.
« Ai miei tempi, certe cose non si facevano, » ricominciò Shintaro all’arrivo del dolce, con la voce più imperiosa che mai, « C’era un ordine, nella vita, ed era molto importante rispettarlo. »
« I tempi sono cambiati, caro. E poi certe cose capitavano anche allora. »
« Era certamente una cosa più rara, e in ogni caso si faceva qualcosa a riguardo, » controbatté lui, « Ad esempio, penso che quel bravo ragazzo di Aoyama, sicuramente si sarebbe assunto le sue responsabilità, anzi, sicuramente lui non l’avrebbe convinta a giocare d’azzardo così tanto con il suo futuro. »
Nella stanza calò il silenzio; le unghie di Ichigo quasi incisero la carne di Ryou, che però sentivo riusciva solo a sentire la rabbia straripare definitivamente.
« Lei si rende conto, signore, che sua figlia è un’adulta anche dal punto di vista legale, e che quindi ogni decisione riguardo il suo futuro è stata presa con cognizione di causa e non di certo perché da me circuita? Ichigo non è decisamente più una bambina, e lei dovrebbe smetterla di trattarla come tale e addossare le colpe ad altri. »
« Bada al tuo tono, ragazzino, potrai anche essere parecchio sveglio, ma non ti permetto di parlarmi in questa maniera a casa mia. »
« Non c’è problema, tolgo il disturbo, » si alzò da tavola e rivolse a Sakura uno sguardo di scuse, « Mi dispiace, Momomiya-san. »
« Ryou, caro… »
« Vedi, ti sembrano questi dei giovani responsabili? »
Entrambe le donne Momomiya lanciarono a Shintaro uno sguardo di fuoco, e la più giovane rincorse Ryou fino alla porta d’ingresso.
« Ryou, aspetta - »
« Cosa aspetto, Ichigo, di venire insultato ancora un po’ da tuo padre? » sbottò lui sottovoce, « Io ci ho provato, ho avuto pazienza, ma addirittura sentirmi dire che ti ho rovinato la vita fregandomene altamente, questo no. »
« Lo so, mi dispiace, ma anche tu sai com’è fatto e - »
« Non vuol dire che mi debba andare bene e che mi debba far scivolare tutto addosso per farlo contento. »
« Non devi far contento lui, ma almeno per me potresti… »
« Cosa? Star lì a guardare mentre ti fai trattare come una bambina senza nemmeno tentare di spendere due parole a mio favore mentre rimpiangiamo Aoyama? »
Ichigo sospirò esasperata: « Ora non tirare in ballo Masaya-kun, non c’entra niente. »
« Bene, difendi lui allora, evidentemente o la pensi come tuo padre, o ti fa comodo che lui in qualche maniera ti ritenga totalmente innocente. »
« Questo non è assolutamente vero, e lo sai. Ryou, per favore, » la rossa gli si avvicinò implorante, prendendogli una mano, « Non voglio litigare con te per colpa di mio padre, possiamo semplicemente andarcene a casa e dimenticarci tutto? »
« Invece stiamo litigando, Ichigo, perché non ho intenzione di nascondere la testa sotto la sabbia per dieci minuti di quieto vivere e continuare ad essere il capro espiatorio di un padre che non vuole accettare la realtà della situazione e che preferisce continuare a vedere la sua bambina in un'aurea di totale purezza. Raccontando pure delle gran balle, perché la storia dell’incontro di kendo con Aoyama la conosciamo tutti. »
La rossa prese un respiro profondo, cercando di calmare entrambi: « Cercherò di parlargli, d’accordo? Di provare a spiegargli che quello che pensa è completamente sbagliato, ma ti chiedo di avere pazienza. Magari quando Kimberly sarà grande capirai perché a volte i genitori si comportano così, ma - »
Ryou le rivolse un’occhiata così sbalordita che le parole le morirono in gola e sentì il cuore precipitarle nello stomaco.
« Cosa diavolo stai dicendo, Ichigo, » sibilò con rabbia, « Avanti, finisci la frase. »
Lei gli afferrò di scatto le mani, soffocata dal senso di colpa: « Ryou, io - »
Il biondo si ritrasse d’impulso, guardandola irato con gli occhi ridotti a due fessure: « Dillo, forza. Dillo che io non so cosa vuol dire avere dei genitori e quindi mi devo far andare bene quelli degli altri. »
« N-no, Ryou, scusam - »
Shirogane scostò malamente la mano che la rossa tentava di poggiargli sul braccio e girò sui tacchi, avviandosi a passo spedito lungo il vialetto d’ingresso: « Meglio se mi lasci stare ora, Ichigo. »
Vergognandosi immensamente, Ichigo non riuscì a fermare il singhiozzo che le rimbombò in gola mentre lo guardava allontanarsi; Sakura, che non aveva potuto fare a meno di ascoltare tutto dalla porta aperta, le fu accanto in un secondo, avvolgendola tra le braccia calde mentre lei scoppiava a piangere.
« Vieni di là, piccola mia, » le sussurrò, « Ti porto una tazza di tè, d'accordo? »
« No, mamma, » Ichigo cercò di liberarsi dalla stretta mentre sentiva l’auto mettersi in moto, « Devo andare da lui, devo scusarmi e… »
« Lascialo sbollire un attimo, tesoro, » Sakura le accarezzò i capelli, « Dagli il tempo di schiarirsi le idee. »
La riaccompagnò in salotto scoccando un’occhiataccia feroce al marito, che era rimasto in silenzio seduto a tavola a giocherellare con la propria tazza di tè e i rimasugli del dolce. Ichigo si lasciò condurre sul divano, sul quale sprofondò prendendosi la testa tra le mani.
Non sapeva nemmeno lei come aveva solamente potuto pensare a quelle parole, men che meno come avevano davvero lasciato la sua bocca. Il suo viziaccio di non pensare più di un secondo alle sue azioni le si era rivoltato prepotentemente contro, ferendo la persona a cui lei più teneva.
Forse suo padre aveva ragione, forse lei non era ancora in grado di comportarsi in maniera razionale, di prendersi la responsabilità di comportarsi come un’adulta e non come una sciocca.
Lei non era come Ryou, che analizzava le situazioni da ogni possibile angolo per trovare la soluzione più confacente.
Prese un respiro tremulo che uscì in un ennesimo singhiozzo. Erano abituati a battibeccare, certo, era stato il fondamento della loro relazione da quando si erano conosciuti e a volte avevano avuto terrificanti litigate esplosive, ma non si erano mai feriti di proposito. Non in quel modo.
Ignorò la tazza di tè che Sakura le stava porgendo e marciò dritta verso suo padre, che continuava a comportarsi come se nulla fosse.
« Sei contento, ora? »
« Non dare a me le colpe dei tuoi problemi di cuore, signorinella. »
« Continui a provocarlo ogni volta che lo vedi! » sberciò lei, « Continui a farlo sentire come se fosse tutta colpa sua, come se non fosse abbastanza, ma tu non lo conosci! »
Shintaro rimase in silenzio, evitando lo sguardo della figlia e bevendo lentamente; Ichigo rise sprezzante e si asciugò le lacrime con i palmi, cercando con gli occhi la propria borsa.
« Me ne vado a casa, » mormorò, afferrando con cautela il seggiolino di Kimberly senza più rivolgere sguardo al padre.
Sakura le andò incontro, porgendole il resto delle sue cose: « Ti do un passaggio io, cara. »
Con un’ultima occhiataccia di fuoco al marito, che presagiva il discorsetto che sarebbe accaduto al suo ritorno, la signora Momomiya accompagnò Ichigo fino all’auto, tenendola ben stretta per un braccio. La figlia non proferì parola per tutto il tragitto, piangendo in silenzio con lo sguardo perso oltre al vetro del finestrino, e la donna decise che fosse meglio non disturbarla.
L’accompagnò fino alla porta d’ingresso, reggendo il seggiolino mentre Ichigo si fiondava su per le scale chiamando Shirogane a gran voce e spegnendosi ancora di più quando si rese conto che la casa era completamente vuota.
« La sua macchina è qui, però, » pigolò con voce rotta, e Sakura le accarezzò teneramente la schiena.
« Andrà tutto bene tesoro, non preoccuparti. Sarà andato a sbollire un po’. Ora tu cerca di riprenderti e di pensare come parlargli. »
L’altra annuì e l’abbracciò stretta: « Grazie, mamma. »
« Chiamami, se hai bisogno. »
Quando la porta fu chiusa con un tonfo sottile, Ichigo si premurò di spostare Kimberly dal seggiolino alla sua culletta, per un altro po’ di riposo; poi, tirando su con il naso, frugò nella borsa alla ricerca del cellulare e scelse con dita tremanti il numero dai contatti.
« Nee-san? Ciao, scusa ma… » prese un altro respiro e fallì miseramente a ricacciare indietro il pianto, « Ho fatto un casino. »
 
 
 
 
La ruota posteriore della moto sdrucciolò quanto bastava di lato, durante la curva, da fargli intendere che doveva rallentare, se non desiderava schiantarsi contro l’asfalto. Scalò dolcemente, zigzagando tra il traffico intenso di fine giornata, e continuò il suo tragitto.
Aveva perso il conto di quante ore aveva passato in sella, da quando aveva lasciato casa Momomiya, ma il crepuscolo imminente gli diede una buona stima. Era uno dei pochi metodi che aveva per sfogare la propria rabbia e il malumore, e decisamente ne aveva avuto bisogno. Sapeva che forse non era la decisione più matura, prendere e iniziare a vagare per le strade con solo il rumore del vento a premergli contro, ma non poteva certo essere sempre lui quello delle scelte adulte.
All’ennesimo semaforo, controllò dove fosse finito e, per l’ennesima volta, sentì il cellulare vibrargli nella tasca del giubbotto di pelle. Questa volta, decise di richiamare la telefonata.
« Dove sei? » 
La voce di Keiichiro gli rimbombò contro al casco mentre lui accostava lentamente.
« Dalle parti di casa tua. Ci possiamo vedere? »
Gli parve che il moro sospirasse divertito, ma forse era solo il rumore delle altre auto: « Okay, ti aspetto. »
Ryou tamburellò sul manubrio: « Senti… »
« Dai, muoviti, ho già qualcosa da mangiare pronto. »
Sgasò un po’ troppo alla ripartenza e pregò di non trovare una sorpresina al prossimo controllo della buca delle lettere, ma la velocità gli ricaricò le membra stanche per le sue ore di vagabondaggio.
Parcheggiò sotto casa del suo mentore e non dovette attendere molto perché gli aprisse senza nemmeno chiedere chi fosse.
« Che déjà-vu, quella faccia. »
Shirogane lo guardò storto mentre si toglieva le scarpe: « Non sono in vena di scherzare. »
« Immagino. Ho chiamato Zakuro. »
Il biondo buttò la testa e all’indietro e sospirò, dandogli le spalle: « Non mi serve il gruppo di sostegno. »
« L’ha chiamata Ichigo. »
« Ah. »
Precedette il padrone di casa nel piccolo salotto, buttandosi sulla vecchia poltrona di pelle che era arrivata con loro dagli Stati Uniti. Keiichiro lo raggiunse dopo pochi minuti, un vassoio con sopra tre ciotole fumanti di udon, una teiera e tre tazze, tutto coordinato.
« Cos’è successo? »
Ryou si sporse subito per afferrare una scodella e un paio di bacchette: « Hai detto che lo sapete già. »
« Vorrei la tua versione dei fatti. »
Lui rimestò un po’ nel brodo prima di rispondere: « Ho litigato con Ichigo. Più con suo padre, a dire il vero. Ma anche con lei. »
« Dove sarebbe la novità? »
Gli occhi color cielo ardirono guardare male il pasticcere per il sarcasmo non richiesto, ma Ryou si dedicò piuttosto alla cena, rendendosi conto che in effetti stava morendo di fame e che, a causa dell’atmosfera poco piacevole, effettivamente a pranzo non aveva fatto i complimenti alla tavola come al solito.
Il campanello suonò dopo poco, e Keiichiro andò ad aprire mentre il biondo continuava a mangiare in silenzio.
« Di solito si aspettano tutti gli ospiti, » lo salutò Zakuro, con ironia.
« Hai da ridire anche tu sul mio comportamento? »
Modella e pasticcere si scambiarono uno sguardo d’intesa, non aggiunsero nulla e presero posto sul divano, concentrandosi anche loro sulla pietanza calda.
« Ti ha raccontato? »
Zakuro non alzò la testa quando, dopo svariati minuti di silenzio, finalmente Ryou si decise a parlare.
« Non mi ha raccontato tutti i dettagli, e francamente non mi sembrava nelle condizioni migliori per esprimersi. Ma mi sembrava sinceramente dispiaciuta e preoccupata. »
Shirogane sbuffò e si passò qualche volta le mani nella frangia. In fondo era lì proprio perché parlare con Keiichiro – e Zakuro, che però non era tutte le volte dalla sua parte – era sempre stata la soluzione migliore, quindi tanto valeva vuotare il sacco.
Gli amici lo ascoltarono in silenzio, come avevano sempre fatto, senza interromperlo ma focalizzandosi sulla propria cena – sapevano entrambi che Ryou detestava conversazioni troppo formali, soprattutto quando si trattava di cose così personali.
« Abbiamo sempre saputo che Shintaro Momomiya non sarebbe stata una persona semplice, » commentò il moro alla fine del lungo discorso del suo protetto, « È decisamente all’antica, dopotutto, e tu e Ichigo non avete per nulla fatto le cose in maniera tradizionale. Ciò non lo giustifica, ma non possiamo negare il suo punto di vista. »
« Non lo nego, ma… non riesco a capire come lo veda Ichigo. »
Zakuro si allungò in avanti per riempire di nuovo le tazze di tè: « Di questo devi parlare con lei. »
« La fai facile. Vorrei vedere se avesse detto certe cose a te. »
« Siete entrambi impulsivi, » s’intromise velocemente Keiichiro, « In maniera diversa, ma lo siete. E Ichigo-chan è dovuta crescere in fretta, in un modo differente da voi due, questo è vero, ma è così, e lo è ancora. E soprattutto in questo momento di estremi cambiamenti, potrebbe farla sentire più protetta poter giocare alla ragazzina quando è con i suoi genitori. Ciò non vuol dire che metta in discussione te. »
Ryou annuì, ma poi sbuffò dal naso: « Sulla menzione ad Aoyama però non ha fatto una piega. »
« Non eri tu quello che l’altro giorno diceva di aver vinto, su Aoyama? »
« You are not being helpful. »
Il moro rise affettuoso e tirò fuori dal mobile in un angolo un pacchetto di biscotti chiusi da un fiocchetto.
« Mi sento di dire che è un po’ comprensibile, anche se sciocco, provare ancora un po’ di gelosia, visti i precedenti, ma non credo dovresti darci tanto peso. Ichigo-chan ha scelto di costruire una vita con te, e dovrebbe mettere a tacere tutto il resto. E poi, posso permettermi? »
Shirogane lo scrutò dubbioso, e Keiichiro arrischiò solo un’occhiata a Zakuro prima di continuare: « Credo che sia più normale, per te e Ichigo-chan, in questo momento, essere più irritabili, comprendervi di meno. State vivendo qualcosa per cui nessuno è mai preparato davvero, e con tutte le modifiche alla vostra vita, alla vostra routine, anche alla vostra… affettività, è più facile cedere al nervosismo. »
« Aight, thank ya, bye, » Ryou si alzò di scatto, battendosi le mani sulle ginocchia e facendo un cenno verso i due, « Decisamente non sono qui per questo. »
Zakuro sorrise sotto i baffi: « Sei tu che ci hai chiamati. »
« Non per questo! »
La modella fece una smorfia divertita e si alzò, sfiorandogli il braccio: « Lo sai che non intendeva quello che ha detto. »
« Lo so, » il biondo esalò e annuì, « Meglio che vada a casa ora. »
« Sta’ attento, per favore. »
Lui sollevò il casco verso Keiichiro: « Sì, papà. »
« Ah, non ci provare! »
Con un ultimo saluto, si rivestì in fretta e scese le scale insieme a Zakuro. Si era fatto buio ora, e l’aria frizzante di inizio estate gli punse piacevolmente le guance.
« Vuoi un passaggio? »
« Su quella? Nemmeno morta. »
« Ti facevo più spavalda. »
« Ma non stupida. »
Si scambiarono un’occhiata divertita, poi lei si avviò con un picchiettio di tacchi lungo il marciapiedi verso la fermata del treno più vicina. Ryou inspirò a pieni polmoni, all’improvviso colmo di voglia di tornare a casa, quando di nuovo fu distratto dalla vibrazione del cellulare. Lo tirò fuori, corrucciandosi nel vedere un numero che non conosceva: « Pronto? »
« Ryou, caro, sono Sakura, ti disturbo? »
Lui rimase decisamente sorpreso: « Signora Momomiya, certo che no, non mi disturba affatto. È successo qualcosa, Ichigo - ? »
« No, no, va tutto bene, non preoccuparti. Non volevo passare da casa e importunarvi, ma… c’è qualcuno che vorrebbe parlarti. »
Dall’altro lato della linea, sentì il rumore sommesso di due che litigavano sottovoce e – probabilmente – il telefono che veniva passato avanti e indietro un paio di volte, poi udì una voce scura: « Pronto. »
« … Momomiya-san. »
Shintaro si schiarì la gola due volte, chiaramente a disagio: « Mia moglie mi ha detto di chiamarti. Credo che tu abbia chiaro il caratterino delle donne della mia famiglia, » altro rumore di sottofondo che Shirogane interpretò come Sakura che si lamentava, « Non che io non volessi, ovviamente. »
« Certo, signore. »
« Volevo, uhm… scusarmi con te per avere esagerato. Non avrei dovuto paragonarti a quell’Aoyama, tra l’altro. Che si era pure trascinato Ichigo in Inghilterra quando era ancora minorenne, lo sciagurato! Comunque… so che stai facendo del tuo meglio per rendere felice mia figlia, » Shintaro prese fiato, senza che il biondo lo interrompesse, « Non dico di approvare tutte le vostre scelte, ma so che lo stai facendo. »
Ryou rimase interdetto per qualche istante; certamente non si era aspettato delle scuse dal signor Momomiya, sicuramente non così presto, anzi, gli giungevano decisamente inaspettate. Doveva davvero un regalo costoso a Sakura.
L’altro uomo approfittò del suo silenzio per continuare a parlare: « Quando Kimberly crescerà, capirai perché sono così paranoico. »
L’americano sorrise: « Credo di capirlo già da adesso, mi creda. »
« Non pensare di poterla passare liscia con tutto però ora. Ti tengo comunque d’occhio. »
« Non si preoccupi, » Ryou sbuffò divertito e calciò un sassolino dal marciapiedi, « La ringrazio, Momomiya-san. »
« Vedi di prenderti cura di lei sempre, ragazzo. »
« Certo, signore. Ci può contare. »
 
 
 
 
Ichigo scattò su dal divano come un gatto non appena udì il rumore della serratura.
« Ryou! » quasi miagolò quando se lo ritrovò davanti ad appendere il giubbotto al gancio nell’ingresso, « Stavo morendo di paura, sei stato fuori tutto il pomeriggio e io… »
Si zittì, notando la sua faccia ancora scura, e Ryou quasi si sentì in colpa. Il giro in moto, la chiacchierata con Keiichiro e Zakuro, e la telefonata improvvisata con Shintaro gli erano decisamente servite, ma lui non era soggetto a repentini sbalzi d’umore e gli serviva sempre un po’ di tempo per sbollirsi del tutto.
Perciò, sospirò solo e accennò al piano di sopra: « Dorme già? »
La rossa annuì e si morse un labbro: « L’ho appena messa giù, non sapevo a che ora saresti tornato… »
Shirogane si avviò su per le scale e lei lo seguì come un cane bastonato; non lo accompagnò però in camera di Kimberly, ben sapendo che gli piaceva controllarla per un po’ quando dormiva, ma si diresse invece verso la loro stanza da letto e si sedette sul bordo del letto, infilandosi la camicia da notte giusto per non rimanere con le mani in mano.
Si era ripetuta un discorso tutta la giornata, tre misere frasi in croce per spiegargli quanto si sentisse un verme, quanto fosse una persona orribile che non pensava mai a ciò che diceva, ma tutto il coraggio che aveva messo da parte era evaporato quando lui era tornato, nonostante avesse solo voluto rivederlo.
Che ne era stato del suo coraggio da ragazzina?
Ryou entrò dopo pochi minuti, poggiò il baby monitor sulla loro cassettiera e si tolse la maglietta, ripiegandola con cura, tutto sotto gli occhi vigili della rossa che cercava una maniera per incominciare.
« Mi odi, adesso? » pigolò infine.
Ryou, che stava rovistando nel mobile alla ricerca di un paio di pantaloni del pigiama, rilassò le spalle, lanciando la testa all'indietro con fare rassegnato: « Certo che non ti odio, Ichigo. »
« Ho detto una cosa orribile, » gli si avvicinò subito, abbracciandolo da dietro, « Sono un mostro senza cuore che non pensa prima di parlare. »
Lui abbozzò un sorriso, appoggiò le mani sulle sue: « Forse solo un po’. »
Ichigo premette la fronte tra le sue scapole: « Lo sai che non intendevo quello che ho detto, vero? E che non devi prendere mio padre sul serio? »
Ryou sbuffò: « Lo so. Ma tuo padre è molto bravo a farmi perdere la pazienza. Un po’ come te. »
Ichigo arricciò il naso e si sfregò ancora di più contro di lui: « Avrei dovuto difenderti di più. »
Il biondo rise e si voltò verso di lei, prendendole il viso tra le mani: « Ah, ora riconosco la mia paladina della giustizia. »
« Sei ancora arrabbiato? »
« Un po’, ma non ho voglia di parlarne. Passerà. »
La rossa fece un mezzo broncio: « Sicuro? »
« Sicuro. »
La baciò dolcemente, sospirando piano contro le sue labbra quando Ichigo si tese contro di lui e incrociò le braccia dietro al suo collo.
« Facciamo la pace? » gli sussurrò a un millimetro dalla bocca.
Ryou sfiorò il naso contro quello di lei: « Non ho detto di averti perdonato. »
« Daiii, » miagolò lei, e a sottolineare il concetto fece scorrere le punte delle dita lungo il suo petto, « Un pochino di pace. »
« Ginger, we can’t. »
« Le coccole sì, » sospirò la rossa, « Quelle sono caldamente consigliate. »
Riprese a baciarlo e – come del resto molto spesso quando si trattava di Ichigo – Ryou abbandonò l’ultima resistenza rimasta, stringendole più deciso il volto e facendo qualche passo in avanti per avvicinarla al loro letto.
Avvertire quanto gli fosse mancato tenerla così vicina quasi lo infastidì, quasi quanto il dover realizzare che Keiichiro non aveva tutti i torti nel sottolineare che in quel momento qualsiasi cosa veniva ingigantita anche per semplici ragioni fisiche.
Poi se Ichigo si metteva a fare le fusa così…
Scivolò con le mani lungo tutto il corpo di lei, saggiandone le forme più tenere mentre l’aiutava a stendersi sul materasso, baciandola con quanta più calma possibile per godersi il momento al meglio, stringendole piano le curve ammorbidite e perdendosi ad ascoltarla sospirare sottovoce. Le sollevò appena il bordo della camicia da notte per scoprirla un po’ di più e si spostò per poter avere maggior libero accesso ad ogni singolo lembo di pelle nuda che poteva raggiungere. Poi qualcosa di fuori posto attirò la sua attenzione.
Un qualcosa su cui non si era focalizzato del tutto, ma che c’era stato.
Ichigo emise un gemito come per dirgli di non fermarsi, però lui spostò lo sguardo sulla sua coscia destra, e mosse la mano.
« … shit. »
 

 

  

   
 
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