Chapter
Seven – Oops! I did it again
« Sei qui un po’ troppo
spesso. »
Kisshu, seduto a gambe
incrociate nel bel mezzo del letto
ad armeggiare con il telecomando, non la guardò nemmeno, ma Minto
riconobbe il
ghigno nelle sue parole: « E scommetto che ti dispiace moltissimo. »
La mora non rispose,
mascherando un sorrisetto e
continuando a piegare accuratamente i vestiti della giornata mentre
pensava a
quelli per il giorno dopo.
No che non le
dispiaceva, ma non gli avrebbe certo dato
anche quella soddisfazione. Sapeva benissimo che lui sapeva quanto lei
avesse
preso a desiderare la sua compagnia, ora che si era infilato nella sua
quotidianità, battutina irritante dopo battutina irritante, sorriso
scanzonato
dopo sorriso scanzonato. Realizzare che si era presa una cotta (coi
controfiocchi) per Kisshu era stato come un fulmine a ciel sereno – o
uno
schiaffo a mano aperta in piena faccia – poco prima del suo compleanno.
Non
ricordava nemmeno l’occasione, solo che erano stati insieme agli altri,
lui
aveva detto una delle sue solite sciocchezze e lei aveva riso,
rimbeccandogli a
tono e automaticamente rivolgendogli un’occhiata d’intesa – ed era
stata in
quell’occhiata, nella maniera in cui aveva sentito lo stomaco annodarsi
inequivocabilmente che si era resa conto di essersi cacciata in un
guaio. Ci
aveva provato, all’inizio, a costringersi a cambiare idea, a ricordarsi
come
fosse una donna tutta d’un pezzo e che certe cose non erano certo da
lei, ma
aveva evidentemente fallito, e alla grande.
Rimettendo insieme i
pezzi, poi, aveva capito che in
effetti lui non era stato troppo discreto nei suoi tentativi di
apprezzamento e
che il suo incedere lento ma deciso l’aveva effettivamente fatta
cedere; e ce
n’era voluto di tempo per convincerla che realmente non fosse solamente
tutto
un trucchetto, una specie di maligna rivincita di qualche tipo, ma che
lui era
davvero e fin troppo onesto. Una volta sicura di questo, Kisshu aveva
avuto il
via libera per aprirsi a poco a poco un varco sempre più grande nella
corazza
della mora e rendersi – non che gliel’avrebbe mai ammesso – sempre più
indispensabile.
Si era accorta che,
per certi versi, erano anche simili:
entrambi testardi, tenaci, proni a perdere la pazienza molto
facilmente, e
anzi, per l’alieno sembrava quasi un passatempo trovare motivi per
irritarla e
prenderla in giro.
Forse perché sapeva
benissimo come fare pace.
A quel pensiero, Minto
storse il naso di nascosto,
continuando a sistemare l’armadio; fosse stato solo quello, il loro
rapporto, forse in parte si sarebbe sentita più capace di controllarlo,
di
mettere i paletti necessari, e ci aveva provato, davvero. Invece era
cosciente
che si cercavano per altri motivi: fin da subito, Kisshu le si era
presentato
innumerevoli volte a casa, ovviamente senza passare dalle porte
ufficiali, per
chiederle di risolvere dubbi che aveva sulla società umana o curiosità
che
aveva visto succedere intorno a lui e che erano così nuove, o per
raccontarle
qualche storia di Duaar e della loro vita dopo la Terra (anche se non
sempre
finiva bene, vista la volta in cui aveva smesso di parlargli per un’ora
e mezza
perché aveva accidentalmente raccontato di una scappatella di troppo).
E lei si
era ritrovata a cercarlo quando si presentava al Caffè, quasi a
controllare che
ci fosse ancora, solo per uno scambio idiota di battutine che però la
facevano
ridere, e a detestare il silenzio di casa propria ancora di più nelle
rare
volte in cui la sera non udiva il leggero bussare alla sua porta
finestra.
Minto sapeva che era
un gioco pericoloso, a causa del
modo in cui le batteva il cuore e in cui le si scaldava il ventre nel
sentirlo
vicino, mentre Kisshu sembrava sempre così scanzonato e leggero.
Quindi poteva
benissimo farlo soffrire un po’.
« Mi ignori? » la
prese in giro, allungandosi sul
materasso come un gatto e prendendole il polso, « Non hai nemmeno un
po’ di
pietà per il fatto che ora devo condividere la camera con il mio
fratellino? »
Minto alzò gli occhi
al cielo e si lasciò tirare verso il
letto: « È passata solo una settimana, e avrai dormito al Caffè due
sere. »
« Al Caffè non ho la
compagnia della mia palla di pelo
preferita, » insistette lui, lanciò uno sguardo a Mikey, appallottolato
ai
piedi del letto (e che l’aveva preso in simpatia dopo molte insistenze
e
corruzioni a suon di coccole e dolcetti), poi invece le infilò le mani
nei
capelli per arruffarglieli tutti, « Parlo di te, ovviamente. »
« Kisshu! Sei un
deficiente! »
Lui rise e l’agguantò
per la vita, buttandola quasi di
peso (come se non l’avesse, realtà) sul letto e prendendole a farle il
solletico, il cagnolino che prima abbaiò spaventato e poi iniziò a
scodinzolare
contento.
« Smettil-ah! Dai, per fav… Kissh… ti prego! »
Lui fermò il suo
dimenarsi come un’anguilla prendendole
con gentile fermezza i polsi e bloccandoglieli dietro la schiena con
una
leggera pressione, e avvicinò il viso alla guancia di lei: « Queste
sono le
cose che mi piace sentire. »
Minto, schiacciata a
pancia in giù, sbuffò sonoramente al
sussurro roco e malizioso, e cercò di allungare il collo per guardarlo:
« Mi
ripeto. »
« Intanto ti ho fatto
ridere, » insistette lui,
mollandole le braccia per concentrarsi sul sollevare la camicia del
pigiama di
seta che indossava e iniziando a baciarle la schiena partendo dal
basso, « Mi
merito un premio per questa prodezza. »
« Non meriti un bel
niente, » rise lei un po’ affannata,
il viso ancora premuto contro il materasso e il corpo che reagiva in
maniera
diversa al solletico dei suoi baci, « Già mi stai occupando il letto. »
« Mmmhm, » Kisshu le
arrotolò il pigiama fin sotto al
seno e poi riscese, mordendole piano la curva alta della coscia, «
D’accordo,
allora mandami via. »
Lei cercò di sgusciare
via con una risata, ma le stava
premendo sulle gambe e riuscì solo a torcersi su un fianco: « Sei
troppo
pesante. »
« Sbagliato,
tortorella, io sono estremamente prestante.
»
« Tu sei scemo, ecco
cosa. »
Kisshu sbuffò contro
la sua pelle e ringhiò piano mentre
risaliva una seconda volta, accarezzandola a palmi aperti: « Se
continui a
insultarmi, mi vedrò costretto a - »
Minto attese qualche
istante di sentirlo finire la frase,
poi si contorse ancora per poterlo guardare: « A cosa? » domandò,
corrugando la
fronte quando lui non rispose, concentrato a osservarle la schiena, «
Kisshu? »
In risposta le arrivò
solamente una sequenza di parole in
una lingua che non capì, ma che erano decisamente volgari.
Purin tastò alla cieca
sul ripiano più in alto del
pensile in cucina, alla ricerca dei cioccolatini segreti che Keiichiro
nascondeva
fin troppo bene: « Ma i tuoi fratelli stanno sempre in giro! »
Taruto la scostò con
un colpo poco aggraziato di bacino
per prendere il suo posto: « Forse perché ora ci sei sempre tu tra i
piedi! »
Lei esalò un ah-a! trionfante quando finalmente
il
ragazzo trovò la scatola desiderata e gliela rubò dalla mano con uno
scatto
degno di una volpe: « Per te uno in meno perché sei antipatico. »
« Ehi! Così non vale! »
Ridendo sguaiata,
Purin scartò di lato e cominciò a
correre per il locale vuoto, stringendo la scatola al petto e scappando
da
Taruto.
« Maledet – fermati,
sei scorretta! »
Cercò di afferrarla
girando in senso opposto a lei
attorno a una colonna, ma la biondina fu più svelta e sgusciò sotto al
braccio
di lui, arrampicandosi sopra un tavolo e usandolo come trampolino di
lancio per
raggiungere l’altro lato della stanza.
« Non mi prender-ah! » senza fiato per la corsa e
le risate, Purin inchiodò quando l’alieno le si parò davanti di
sorpresa,
teletrasportatosi per afferrarla; ma Taruto doveva aver mal calcolato
le
distanze e gli slanci, perché non ci fu nessuna distanza di sicurezza
tra i
due, e la biondina gli si schiantò addosso con un fragore di fronti.
« Ahioooo, » gemette lui, rotolandosi in
terra e
reggendosi la testa tra le mani, « Ma cosa sei, un bisonte?! »
Purin boccheggiò un
paio di volte, incredibilmente ancora
con voglia di ridere mentre si strofinava la frangetta: « Sei proprio
scorretto, e guarda cos’hai combinato! »
« La scorretta sei tu
che rubi cioccolata! »
Lei ridacchiò, si
sdraiò sulla schiena e tastò di nuovo
accanto a sé, agguantando la scatola a poca distanza – un po’
schiacciata e con
il fiocco stropicciato – e stringendola al petto con fare protettivo: «
Ho
comunque vinto io. »
« Non era una gara, »
bofonchiò Taruto, rimettendosi
lentamente in piedi e porgendole una mano per aiutarla a fare lo stesso.
« Che botta, » rise la
ragazza, massaggiandosi la fronte,
« Credo che domani mi spunterà un bel livido, sarà divertente da
spiegare. »
« Non credo si
stupiranno più di tanto, visto che hai la
grazia di un rinoceronte, » la prese in giro lui, lasciando cadere la
mano di
lei come se scottasse e al tempo stesso osservandole meglio la fronte,
«
Accidenti, però sembra già che - »
Purin rimase immobile,
un accenno di sorriso che tentò di
nascondere il più velocemente possibile, quando l’alieno le si avvicinò
e le
scostò con due dita la frangetta per esaminare il punto dolente, così
vicino
che poteva contargli le lentiggini sul naso.
All’improvviso, però,
Taruto fece una faccia strana,
strinse gli occhi e la guardò con tutta l’attenzione di cui era capace,
prima
di saltare all’indietro: « Oh cazzo. »
L’aria della sera era
fresca, condita da un leggero
venticello, e Pai non poté evitare di allungare il naso in su e fare
una
smorfia: non importava quanto tempo rimaneva sulla Terra, l’odore dello
smog e
dell’inquinamento continuava a infastidirgli le narici e riportare a
galla idee
che – ne era ben conscio – erano condivise anche dai suoi vecchi
rivali. La
vita su Duuar non era stata certo idilliaca né mai avrebbe cercato di
convincere qualcuno del contrario, ma almeno il vento non aveva mai
portato con
sé odore di fumo e deperimento naturale.
Si sentì osservato e
aprì solo un occhio: Retasu, accanto
a lui, in effetti lo stava guardando con curiosità divertita.
« Non so se ci farò
mai l’abitudine, » si giustificò lui
subito, storcendo il viso questa volta in un’espressione infastidita.
La verde annuì
comprensiva e si morse il labbro: « Lo
capisco. In città è fastidioso anche per me, a volte. Magari questa
estate
potremmo… andare da qualche parte un po’ fuori, in montagna o in
campagna. Per
cambiare un po’ aria. Letteralmente. »
« Sì, » Pai le rivolse
un sorriso dall’alto, « Potremmo.
»
Retasu annuì contenta
e gli si fece un po’ più vicina
mentre continuavano a camminare verso casa della ragazza. Era la terza
volta
che andavano ufficialmente fuori a cena nel giro di una
decina di giorni,
forse il fatto che era tornato anche Taruto e quindi il Caffè fosse più
occupato del solito spingeva anche Pai a voler cercare momenti il più
possibile
solo per loro due, quindi le era venuto quasi spontaneo proporgli anche
solo
l’idea di una vacanza da qualche parte, da soli, insieme. Si morse le
labbra
per cercare di non sorridere in maniera troppo esagerata, mentre lo
stomaco le
ballava una marcetta al pensiero.
Da soli. Noi due.
Il cuore le sfarfallò
un po’ più forte e s’impose di
concentrarsi su ciò che le stava raccontando, ma la sua voce le causava
l’effetto opposto.
Che cavolo però.
« Tutto okay? »
l’alieno la scrutò, preoccupato
probabilmente per la smorfia che aveva fatto e la sfumatura delle sue
guance, e
le strinse un paio di volte la mano.
Retasu si sistemò gli
occhiali sul naso e annuì con più
forza del necessario: « Sì, scusa, » mugugnò, e non appena svoltarono
l’angolo
occhieggiò la propria casa, « Stavo solo pensando a una cosa. »
Pessima risposta da
dare a qualcuno che di mestiere
cercava risposte a domande interplanetarie.
Pai, infatti, continuò
a fissarla con sguardo interrogativo,
fermandosi a pochi metri dal suo cancello d’ingresso, lì nell’ombra
dello
spazio tra due lampioni, e Retasu si morse un labbro alla ricerca di
una
maniera per cavarsela. Il suo cervello doveva davvero darsi una
regolata.
« Be’… sono arrivata,
» esclamò poi in un respiro,
indicando l’abitazione, « Grazie di avermi accompagnata. »
« Retasu, » la riprese
lui con uno sbuffo divertito, e le
sfiorò una guancia, « Cosa c’è? »
« Niente, » mormorò,
fissando il collo di lui, « Pensavo
che… noi, uh… io… »
L’alieno corrugò la
fronte e l’accarezzò una seconda
volta, certamente non capendo l’assurdo filo dei suoi pensieri; fece
per aprire
la bocca e spingerla a spiegarsi, quando uno squillo che Retasu non
aveva mai
sentito riempì il silenzio. Pai si scostò da lei, ravanò in tasca
qualche
istante e ne estrasse un aggeggio che la verde non aveva mai visto, ma
su cui
lesse con chiarezza le parole SOS Taruto, insieme a un altro mucchio di
segni che non riuscì a interpretare.
« Che… che succede? »
boccheggiò spaventata, non capendo
perché l’alieno la stesse fissando con nervosismo, né perché – senza
chiedere e
facendole perdere qualche battito – le scostò un poco il cardigan che
indossava
per scoprirle il petto.
Poi abbassò anche lei
lo sguardo.
Ichigo mugolò
contrariata, aprendo solamente mezza
palpebra per contemplare per quale assurdo motivo Ryou si fosse fermato
proprio
in quel momento, già pregustandosi in realtà una piacevole tortura come
pegno
per la litigata di quella giornata. Si corrucciò quando invece lo vide
completamente distratto.
Con gli occhi sul suo
interno coscia.
« Cosa? Shit cosa? »
Ryou esalò soltanto.
« … Shirogane, cosa?! »
Il biondo borbottò
qualche altra sequela in inglese che
lei decisamente non volle capire, e spostò la mano.
La bolla d’ansia che
via via le si era andata formando in
gola in quei secondi scoppiò all’improvviso come a sottolinearle un te
l’avevo detto
mentre i suoi occhi effettivamente mettevano a fuoco i
contorni della voglia che svettava sulla sua pelle chiara.
La voglia rosa.
Quella a forma di
cuore con due codine di gatto sopra.
La sua voglia da Mew Mew.
« Shirogane. »
Ichigo si poggiò sui
gomiti, poi si contorse in avanti
per controllare effettivamente che non stesse sognando, si sfregò la
pelle con
forza, quasi graffiandola, nella vana speranza che fosse un tatuaggio,
uno
scherzo.
« Oh no. No, no, no,
no! » si tirò a sedere di scatto,
continuando a stirare la pelle per osservare i contorni del marchio, «
Cosa diamine
significa?! »
« I have no idea… » bofonchiò lui, passandosi
nervosamente una mano tra i capelli, « I computer non hanno segnalato
niente se
non Taruto, e… o almeno, Keiichiro non mi ha detto niente… »
« Che vuol dire che
non ti ha detto niente?! Siete sempre
imbucati in quel diavolo di laboratorio! »
Ryou avrebbe voluto
sottolineare che da un mese a quella
parte in realtà si era dedicato ben poco al suo nascondiglio nel
seminterrato,
ma sapeva che non avrebbe sortito alcun effetto. Tentò di allungare una
mano
verso Ichigo, che invece saltò giù da letto come una furia, le dita
infilate
nei capelli.
« Questa è follia, »
esalò, camminando avanti e indietro,
« Ti rendi conto di ciò che potrebbe significare? L’ultima volta che questo è
spuntato fuori, noi… e ora che… che… »
Si bloccò
all’improvviso, colta da un pensiero, fissando
Shirogane a bocca aperta per l'incredulità, per qualche istante. Poi,
il suo
volto si trasformò in un’espressione spaventata.
Senza aggiungere una
parola, corse fuori dalla camera per
andare in quella di Kimberly, che stava ancora dormendo tranquilla ed
indisturbata. Le si avvicinò, scostandole la copertina rosa per
controllarle la
gambina paffuta.
L'intero corpo le si
congelò alla vista del segno Mew
sulla coscia della bambina, e si dovette portare una mano alla bocca
per non
singhiozzare.
Ryou sentì un brivido
ghiacciato corrergli lungo tutta la
spina dorsale.
« Porca vacca! » Purin
corse per l’ennesima volta davanti
allo specchio, sollevandosi la frangetta per controllare di non star
avendo
un’allucinazione, « Lo vedi anche tu, vero? »
Taruto – impegnato a
trafficare con uno strano aggeggio
cui lei non prestò troppa attenzione – le lanciò uno sguardo di sbieco:
« Mi
pare evidente, scimmietta. »
« Dobbiamo andare
subito dalle altre! » esclamò,
voltandosi e afferrandolo per un polso, « Serve una riunione generale,
questa
cosa è grossa! E poi… ah. »
Si bloccò
all’improvviso e tentennò, guardandolo da sopra
la spalla: « Le nee-san saranno tutte arrabbiatissime, vero? Tipo…
Ichigo-chan
e Minto-chan… »
Lui sospirò e si
grattò la fronte: « Ho appena avvisato
Pai, era con Retasu… non mi sembra l’abbia presa molto male. »
« Ti sei dimenticato
di come sono le nee-san, vero? »
« Pensi che la
vecchiaccia starà sclerando di brutto? »
« Penso che non vorrei
essere il Ryou nii-san, in questo
momento. »
Fu come una
vibrazione, un palpito remoto. Un richiamo
antico che si accendeva all’improvviso.
Zakuro si bloccò nel
bel mezzo dell’ingresso, le chiavi
ancora sospese a mezz’aria sopra lo svuotatasche dove le riponeva
sempre.
Si era sicuramente
sbagliata, magari era stato solamente
un terremoto. Forse quasi l’avrebbe preferito. Eppure, il suo cellulare
era
settato per gli avvisi automatici, ed era rimasto muto.
Si diresse svelta
verso la camera da letto, lo specchio a
parete di fianco all’armadio, e si arrotolò la t-shirt che indossava
per
scoprirsi l’ombelico.
Che sciocca, si disse
sfiorandosi la pancia, l’istinto
del lupo non si era mai sbagliato.
Quel giorno Shirogane
gliene doveva proprio tante.
« Ichigo, ti prego,
calmati. »
« Calmarmi? Calmarmi?! » sibilò irata la rossa,
sforzandosi di non urlare solamente perché teneva Kimberly in braccio,
ancora
addormentata, « Stasera dal nulla mi è rispuntato il marchio da
mutante
che è comparso pure a nostra figlia! Che ha un mese, Shirogane! E io
dovrei calmarmi!?
»
« Non sappiamo ancora
cosa significhi. Potrebbe non
significare niente. »
« Ah certo, » rise lei
sprezzante, « È sempre andata
molto bene, in effetti. »
Le si bloccò un
singhiozzo in gola e avvicinò la bimba al
volto per inspirarne il suo dolce profumo, l’angoscia che però di
contro non
smise di crescere.
« Tu lo sapevi, vero?
»
Quel mormorio fu per
Ryou come una pugnalata di senso di
colpa al cuore.
« Ichigo, era semplice
genetica, » esclamò quasi
implorante, « Entrambi abbiamo il gene del gatto Iriomote, attivo, e - »
« Semplice genetica un
corno! » sbraitò lei in un
sussurro, « Come ti è potuto passare per la testa di non dirmelo!? »
« Mi dispiace, l'ho
fatto per non farti preoccupare! » replicò
il biondo, tentando nuovamente di avvicinarsi, « Io non... non credevo
che
avremmo mai dovuto incappare in questa possibilità, e non volevo che tu
ti
preoccupassi inutilmente. »
« Ah, perché invece
adesso sono tranquilla! »
Ryou fece per
replicare, quando contemporaneamente lo
squillo di entrambi i loro cellulari e un sonoro bussare alla porta
d’ingresso riempirono
la stanza. Ichigo si affrettò a portare Kimberly nella sua stanzetta
per
evitare che si svegliasse, l’americano invece si diresse al piano di
sotto
litigando pure con il telefono su cui svettava l’avviso di chiamata di
Zakuro.
Shit, shit, shit.
« Shirogane, questa è
la volta buona che io ti uccido sul
serio. »
Minto quasi non
aspettò che la porta si aprisse,
marciando dentro come una furia e pressoché spingendo via il ragazzo,
seguita
da un Kisshu con un’aria invece appena divertita.
« Si avvisa prima di
arrivare… » borbottò lui, declinando
la telefonata per un più semplice messaggio, e la mora lo trucidò con
lo
sguardo:
« Si avvisa prima di
iniettare DNA di animali in via
d’estinzione che si riaccendono all’improvviso. »
Ryou decise fosse
meglio mordersi la lingua, per una
volta Kisshu gli rivolse un’occhiata comprensiva mentre si aggregavano
in
salotto.
« Ho detto a Purin e
Retasu di venire qui, » Ichigo
rispuntò dal piano superiore, in mano il baby monitor, « Puoi andare a
prendere
Zakuro e Akasaka-san? »
Kisshu fece un buffo
saluto militare, sparendo senza
aggiungere una parola.
In meno di tre minuti
– rigorosamente passati in
silenzio, Shirogane a testa bassa e invece lampi che uscivano dai
capelli delle
altre due ragazze – il salone di casa Shirogane si riempì come
d’abitudine, ma
con un’atmosfera molto diversa dal solito.
« Potete spiegarci
cosa sta succedendo? » domandò Zakuro,
senza molti preamboli, incrociando le braccia al petto.
Ryou e Keiichiro si
scambiarono un’occhiata silenziosa,
il secondo che accennò con la testa verso i divani in maniera di
stemperare un
minimo la situazione.
« Non ne siamo
esattamente sicuri, » esclamò poi sottovoce
quando si furono accomodati tutti, Ichigo esattamente dal lato opposto
rispetto
al suo fidanzato e attaccata invece a Minto, combattiva tanto quanto
lei, « I
computer hanno rivelato solamente l’arrivo di Taruto, niente più. »
« Potrebbe essere
stato quello? » domandò Purin – come
sempre seduta sul tappeto in mezzo a tutti – lanciando un’occhiata
all’ultimo
arrivato.
Keiichiro si limitò a
stringersi nelle spalle: « Non si
spiega il ritardo nella comparsa dei vostri marchi, però. Ma è una
possibilità.
»
Pai annuì
sovrappensiero: « Forse il fatto che ora siamo
tutti e tre qui ha scatenato la risposta dei vostri geni dei Red Data.
Come una
volta. »
Zakuro voltò appena il
viso verso di lui: « Non è che ne
sapete qualcosa, voi tre, appunto? »
Kisshu si appoggiò
allo schienale con un sorrisetto
sarcastico: « Non è che è sempre colpa nostra quando succede qualcosa
qui
intorno, dolcezza. »
« Non abbiamo rilevato
niente di anomalo con i nostri
sistemi, » s’intromise velocemente il fratello maggiore, lanciandogli
un’occhiataccia,
« Direi che più concretamente, un ripetersi delle condizioni originali
che
hanno portato alla nascita delle Mew Mew ha innescato un rinforzarsi
dei vostri
poteri e quindi la comparsa del vostro simbolo. »
« Be', sarà quel che
sarà ma vedete risolverlo in fretta,
perché Kimberly ha la nostra voglia nel mio stesso identico punto, ed
il
signorino qui non si è neanche degnato di avvisarmi! » esclamò Ichigo.
Mentre un sussulto di
sorpresa correva tra i presenti,
Keiichiro si sporse in avanti, tentando di portare soccorso all’amico:
« Ichigo
cara, non devi preoccuparti. Senza la spilla che attiva i poteri, il
DNA di
Kimberly è innocuo. La terremo sempre controllata, non è grave. »
« Avrebbe dovuto
dirmelo, e lo sai benissimo. Non tenerlo
segreto solo tra voi due. E come cavolo avete fatto, quando è nata, le
hanno
fatto degli esami e nessuno… »
« Abbiamo un contatto
all’interno della struttura, »
bofonchiò Shirogane, torturandosi ancora la frangia, « Si chiama Joel,
lavorava
nei nostri laboratori negli Stati Uniti e ha… collaborato anche un po’
durante
il progetto Mew. È fidato, e ha preso lui in carico tutti gli esami. »
« Ah be’, se c’è Joel
allora… »
« Ichigo, era comunque
tutto a posto - »
« Sì ma io te l’ho chiesto, » sibilò lei,
guardandolo per la prima volta da quando si erano seduti con occhi
pieni di
rancore, « Io ti ho
chiesto se
fosse tutto a posto, tutto normale,
e tu mi hai detto sì! E mi hai mentito! »
« Ma è tutto a posto! »
« Come minimo tra
tredici anni dovrà trovare dei passeri
da baciare per tornare umana! »
« Adesso basta,
Ichigo, » Zakuro allungò una mano verso
di lei, toccandole gentilmente il polso per tranquillizzarla, « È
tardi, non ha
senso litigare a quest’ora, ancor più che siamo tutti confusi su ciò
che sta
succedendo. Dormiamoci sopra e pensiamoci domani. »
« Mi sembra un’ottima
idea, » concordò Keiichiro, « Così
possiamo cominciare anche a fare un aggiornamento più profondo dei
nostri
sistemi di monitoraggio, o capire cosa possa essere stato. Pensarci a
mente
fresca sarà meglio. »
« Io vado a dormire da
Minto, » Ichigo si tirò in piedi
di scatto, senza guardare in faccia nessuno, « E Kim viene con me. »
« Ichigo, » Ryou si
alzò e la raggiunse, quasi
rincorrendola su per le scale, « Ichigo, parliamone un secondo. »
« Non c’è niente da
dire, » replicò secca lei sottovoce,
agguantando nel buio della stanzetta il borsone della bimba con cui di
solito
uscivano e le prime cose che le capitarono sottomano, « Tutto quello da
dire
andava detto prima. »
« Se anche l’avessi
saputo, cosa sarebbe cambiato? Nessuno
di noi aveva previsto che la voglia sarebbe ricomparsa. »
« Tu sei quello che capisce queste
cose, tu sei
quello che ha deciso
queste cose,
quindi tu dovevi far in modo
che fosse tutto sotto controllo! »
Shirogane abbassò le
braccia di scatto, ferito come tutte
le volte da quell’accusa, rimanendo in silenzio mentre la rossa
prendeva in
braccio la bambina, cercando di non svegliarla. Senza guardarlo, Ichigo
marciò
di nuovo al piano di sotto e la sistemò nella sua carrozzina,
voltandosi poi
verso Kisshu.
« Andiamo? »
Il verde evitò di
sbuffare vistosamente giusto per non
peggiorare ancora la situazione, vista la tensione tagliabile con un
coltello,
e lanciò solo uno sguardo a Minto; lei per tutta risposta si alzò e
sibilò una buonanotte
pieno di
significato.
« A domani, nee-chan,
» cercò di mormorare solamente
Purin, venendo completamente ignorata da entrambe le amiche.
Il fischio sottile del
teletrasporto fu seguito da una
sequela sottovoce di parolacce inglesi da parte di Ryou, che finì di
scendere
le scale lentamente.
« C’è… qualcosa che
possiamo fare? » gli domandò
titubante Retasu, ancora sconvolta dal rapido declino della situazione.
L’americano scosse
solo la testa in risposta: « No,
andate a casa a riposare. Tanto non c’è molto da fare. »
Keiichiro si alzò e
gli andò incontro con fare fraterno:
« Domattina per prima cosa andrò a controllare i nostri computer. Se
Ikisatashi-san potesse… »
« Andrò a controllare
che non ci siano avvisi anche sui
nostri sistemi, » Pai annuì e guardò suo fratello minore, che annuì
lentamente,
« Ma finora non abbiamo ricevuto segnalazioni di nessun tipo. »
« Grazie mille,
Ikisatashi-san. »
Fece un cenno di
saluto e si scambiò un’altra occhiata
con Taruto, che si alzò e porse una mano a Purin, la quale la afferrò
senza
aggiungere altro.
Una volta che il
salotto si fu svuotato, ad eccezione di
Zakuro e Keiichiro, Ryou raggiunse il sofà e vi si lasciò letteralmente
cadere
sopra con un lamento esasperato.
« What the fucking hell. »
Zakuro stessa affondò
un po’ di più nel divano, poggiando
la testa contro lo schienale e girando appena il volto per guardarlo: «
Perché
oggi ti cacci in tutti questi guai? »
L’americano le lanciò
un’occhiataccia prima di sfregarsi
la faccia: « Grazie del supporto. »
« Questa te la sei
cercata. »
Akasaka intervenne
prima che Ryou aprisse bocca: « Devi
dare a Ichigo-chan solo una notte per calmarsi e processare la
questione. Sai
che è particolarmente fragile in questo momento. »
« I know, I know, » l’americano continuò a
spingersi i pugni contro gli occhi, improvvisamente secchi e doloranti,
« Era
l’ultima cosa che mi serviva. »
« Magari ti serve per
aprirti di più al dialogo. »
« Da che pulpito. »
« Ciò che mi preme è
scoprire cosa stia succedendo, »
insistette Keiichiro, « Ma mi fido di entrambi i nostri sistemi, e se
effettivamente non hanno rilevato anomalie, potrebbe essere
semplicemente una
reazione alla presenza dei tre Ikisatashi. E se serve che spieghi a
Ichigo
perché Kimberly non si troverà comunque in pericolo, basta chiamarmi. »
« Dubito che voglia
ascoltare qualcuno, » borbottò solo
Ryou, più cupo che mai.
« Inutile piangere sul
latte versato, » con uno sbuffo,
Zakuro si tirò in piedi e distese le rughe invisibili della sua
maglietta,
soffermandosi qualche secondo in più sull’ombelico come ad accertarsi
che fosse
davvero coperto, « Ora trova una spiegazione a tutto ciò e una maniera
di
parlare con Ichigo. »
« Decisamente
semplici. »
« Non sarà il sarcasmo
a tirarti fuori da questa
situazione, Shirogane. »
« Vi prego, non
litigate voi due, almeno. »
« Non stiamo
litigando, » la modella si concesse un
sorrisetto mentre si avviava verso la porta, « Sto solo cercando di
riscuoterlo
dal suo sconforto, che è inutile, con un metodo del tutto suo. »
Ryou scelse di non
rispondere, contenendosi a soffiare
tra i denti, e rimase fermo sul divano anche quando sentì l’uscio
chiudersi e
Keiichiro sospirare. Il moro attese qualche altro istante, poi si batté
le mani
sulle ginocchia e si alzò anch’egli.
« Chiamami se serve,
d’accordo? » ripeté stancamente al
suo protetto, cui rivolse anche una stretta alla spalla.
« Ci aggiorniamo
domattina. »
La casa divenne
incredibilmente silenziosa non appena il
pasticcere si fu tirato la porta alle spalle, e Ryou tossì solo per
riempire il
ronzio nelle orecchie. Aveva tanto bramato un po’ di calma negli ultimi
tempi
che gli sembrò invece insopportabile, in quel momento.
Si decise finalmente a
staccarsi le mani dal viso e si
alzò di scatto, recuperando il cellulare e tentando una telefonata che
– lo
seppe non appena sbloccò lo schermo – non avrebbe avuto risposta.
Sibilò una
sequenza di maledizioni in lingua madre e riprovò ancora, maledicendo
la
testardaggine di entrambi; una scarica di emicrania gli attraversò il
cervello,
già abbastanza provato, e un’incredibile stanchezza assalì le sue
membra.
Doveva solo riposare,
si costrinse, ordinando alle gambe
di dirigersi in camera da letto, far ricaricare il cervello e ritrovare
la
concentrazione necessaria a risolvere tutto quel casino. A costo di
hackerare
il cellulare di Ichigo per far in modo che alzasse quella benedetta
cornetta.
Retasu si strinse al
braccio di Pai quando lasciarono
casa di Ichigo e Ryou: « Che serata! » sospirò « Sei preoccupato? »
Il moro la guardò
dall’alto con curiosità: lei era
quella a cui era rispuntato il marchio che attestava il suo incrocio
genetico
con un animale in via d’estinzione, e lei era quella che chiedeva a lui
se era preoccupato?
« No, » rispose
soltanto, cercando di essere
rassicurante, « Tu? »
La ragazza esalò un
lungo respiro tremolante prima di
rispondere, sistemandosi gli occhiali un paio di volte: « Non lo so.
Forse
vorrei… delle risposte, più che altro. O delle certezze. »
Si grattò
sovrappensiero il petto, lì dove era rispuntata
la voglia, e all’improvviso le sembrò più esposta che mai. Pai
probabilmente
riconobbe il gesto nervoso, perché chiuse dolcemente le dita sulle sue,
costringendola a smettere, poi lei avvertì il risucchio gentile del
teletrasporto all’ombelico e in pochi secondi furono di nuovo tra i
lampioni,
lì dov’erano rimasti solo mezz’ora prima.
« Cercheremo di darvi
tutte le risposte al più presto
possibile, » le disse l’alieno, continuando a stringerle la mano.
« Lo so, » Retasu
tentò di sorridere in maniera
convincente, « E in ogni caso… stavolta siamo insieme, giusto? »
Le iridi ametista
furono attraversate per un istante da
ciò che parve rimpianto: « Giusto, » le confermò l’alieno sottovoce.
La ragazza prese un
sospiro e intrecciò le loro dita
d’entrambe le mani, guardandolo dritto negli occhi: « Sai che non mi
piaceva
combattere, non mi piace tutt’ora e non cambierò idea. Ma… se non ci
fosse
stato questo, non… non ti avrei mai
conosciuto. Quindi, in qualche modo,
gli sono grata. »
Di nuovo, Pai avvertì
il senso di colpa divampargli nel
petto: « Avrei preferito conoscerti in circostanze differenti, »
mormorò con
una punta di ironia che le strappò uno sbuffo divertito, « Avrei
voluto… trovarti
prima. »
« Lo so, » ripeté lei,
costretta a spostare lo sguardo
perché incapace di sostenere l’intensità del suo viso, « Ora però
abbiamo un
sacco di tempo per recuperare. »
L’alieno l’attrasse a
sé nello stesso istante in cui lei
si sporse verso di lui, avvolgendogli le braccia intorno al collo. Pai
la
strinse per la nuca e mischiò i loro respiri con forza, sfruttando il
cono
d’ombra per far aderire i loro corpi il più possibile. Anche se fosse
passato
qualcuno, pensò, in quel momento non gli sarebbe importato più di
tanto: il
calore, la morbidezza, la realtà del corpo di Retasu contro al suo era
la sola
cosa che gli premeva avvertire. Sapeva, però, nonostante il trasporto,
che non
sarebbe stato lo stesso per la ragazza e non voleva, d’altronde,
spingerla
troppo, quasi correre un rischio o in qualche maniera sfruttare una
situazione
così complessa e improvvisa; a malincuore, dunque, e con estrema
lentezza, si
staccò da lei, senza riuscire tuttavia a non bearsi dell’espressione
persa che
le vide fare, o del fiatone, o del rossore decise sulle gote.
Retasu stessa si
allungò ancora una volta verso di lui
per strappargli un ultimo bacio più lento, con un sospiro
deliziosamente rilassato,
le dita che si intrecciarono alle sue.
« Devi andare, » le
sussurrò poi contro le labbra, che
baciò di nuovo, scostando una mano per sfiorarle il collo e avvertendo
il suo
battito impazzito, « O i tuoi si preoccuperanno. »
Alla ragazza quasi
scappò uno sbuffo divertito
all’avvertimento, che suonava così strano e anche un po’ infastidito
detto da
lui, ma annuì e di malavoglia fece un passo indietro.
« Ci vediamo domani, »
sussurrò senza fiato, sentendo le
gote infiammarsi ancora di più mentre pian piano riprendeva il
controllo di se
stessa.
Pai fece cenno di sì e
rimase nel suo cono d’ombra finché
non la vide scomparire dentro casa: « A domani. »
« Ce l’ha anche lei,
ti rendi conto! » sussurrò Ichigo
con rabbia per l’ennesima volta, continuando a cullare piano Kimberly
contro la
spalla, più per tenerla vicino a sé che per effettiva necessità della
bimba,
che dormiva beata, « E non
me l’ha detto,
non mi ha palesato la
possibilità, no!, la certezza della questione! »
Minto, seduta a gambe
incrociate sul suo letto, si
massaggiò la fronte con una mano e sospirò; non era dell’umore di
difendere
Shirogane – per niente – però era stanca e confusa e desiderosa
solamente di
infilarsi tra le lenzuola: « Lo so, Ichigo, ma hai sentito che ha detto
Akasaka-san… »
« Ah, e mi telefona
pure, adesso! » riprese la rossa come
se non l’avesse nemmeno ascoltata (cosa del tutto probabile, si rese
conto
l’altra), lanciando uno sguardo pieno d’astio al telefono che vibrava
nel bel
mezzo del materasso, « Doveva trovarla prima, la voglia di parlare! »
« Forse dovresti
sentire cos’ha da dire. »
Ichigo si bloccò a
metà del suo giro della stanza e la
guardò storto: « Da che parte stai, scusa? »
« Non è questione di
parti, Ichigo, però… Shirogane non è
stupido. Distratto da te, molto probabile, l’abbiamo sempre saputo, ma
decisamente non un idiota. Su certe cose lo ritengo abbastanza pronto. »
« Sulle mie randomiche
trasformazioni feline non era
certo preparato! »
« Ichigo, lo sai pure
tu che sei sempre stata
esageratamente emotiva, non incolpare gli altri per le tue disfunzioni
ormonali. »
La rossa emise un
suono vagamente simile a un ruggito,
scuotendo la testa; compì qualche altro giro per la camera da letto di
Minto,
poi adagiò con cura la bimba nella carrozzina, sua culla per la notte,
e si
appoggiò con entrambe le mani sui bordi, gemendo sottovoce disperata: «
Guardala, Minto, è… è così piccola, e io non posso pensare ad altro che
a
proteggerla, però con questo… »
Alla mora si strinse
il cuore a vederla tanto angosciata,
così si alzò e le si avvicinò per accarezzarle dolcemente la schiena: «
Ho
piena fiducia nelle parole di Akasaka-san e in quelle degli altri
quando dicono
che non è niente. E in ogni caso, stavolta il segno Mew non ci ha prese
del
tutto alla
sprovvista, non abbiamo più tredici anni, sappiamo cavarcela.
Ora vado a prenderti un pigiama e mi faccio portare del tè, d’accordo? »
Ichigo annuì, tirando
su con il naso e continuando ad
accarezzare piano i capelli biondo-rossicci di Kimberly. In silenzio,
Minto
uscì dalla stanza, si chiuse la porta alle spalle ed esalò, cercando di
calmarsi. Era più facile ostentare tranquillità quando doveva
rassicurare
Ichigo, ma non poteva negare a sé stessa quella sensazione opprimente
di ansia
che le stava restringendo la gola e le faceva pizzicare quel punto tra
le scapole. E aveva pure mentito, realizzò, nel cercare di
tranquillizzare
l’amica, cosa che non le rendeva la situazione più leggera.
« Ehi, » sobbalzò
quando vide Kisshu, in penombra,
staccarsi dal muro a braccia incrociate e andare verso di lei, « Tutto
okay? »
« Più o meno… » prese
un respiro e lo guardò, « Sei
ancora qui? »
« Certo, » rispose lui
con ovvietà, « Rimango anche, se
necessario. »
« Meglio di no, » la
mora scosse la testa e accennò alla
porta, « Ichigo ha bisogno di non rimanere da sola, stasera, e… già
faremo
fatica a dormire, se ci metti pure la bimba… »
Kisshu, per una volta,
tenne a freno la lingua vista la
situazione e le prese il volto tra le mani: « Chiamami domani,
d’accordo? Andrò
presto con i miei fratelli all’astronave, ma un secondo e sono da te. »
Minto scrutò gli occhi
dorati, accigliandosi: « Kisshu,
mi devi giurare che non sta succedendo nulla
e che voi non ne sapete
niente. »
« Proprio non ti fidi,
eh? »
« Kisshu. »
L’alieno sospirò e
poggiò la fronte contro quella di lei:
« Pensi che ti metterei mai in pericolo volontariamente? »
La smorfia sul viso
della mora perdurò qualche altro
secondo mentre continuava a indagare il suo sguardo, poi lei rilassò un
poco le
spalle e fece un passo indietro: « Meglio che vada, non vorrei che
Ichigo mi
distrugga la stanza. »
Kisshu la strinse un
momento di più, dandole un bacio e
mormorandole la buonanotte; anche quando lei si avviò per il corridoio,
stringendosi un poco la vestaglia sulle spalle, rimase ad attendere
qualche
istante, prima di scomparire con un soffio.
§§§
Ryou sbuffò e per l’ennesima
volta si rigirò tra le
lenzuola, alla ricerca della posizione più comoda per riprendere un
briciolo di
sonno.
Quella era stata
decisamente la settimana più stressante
della sua vita: l’incontro con Aoyama che – si vergognava quasi ad
ammetterlo a
sé stesso – ogni volta riportava a galla irritanti ricordi, il ritorno
improvviso di Taruto – come se non ci fossero già abbastanza alieni tra
loro –
la litigata con i Momomiya, e per finire la ciliegina sulla torta di
quella
sera.
Qualcuno lassù mi deve
proprio detestare.
Lanciò un’occhiata
alla sveglia sul comodino: l’alba
sarebbe arrivata di lì a poco, grazie all’arrivo dell’estate, ma era
comunque
un orario indegno. Emise un altro sbuffo di irritazione e lanciò il
lenzuolo
via da sé; non aveva senso continuare a insistere, era perfettamente
conscio
che non si sarebbe riaddormentato quindi tanto valeva iniziare a
cercare di
risolvere almeno uno dei problemi.
L’odore del caffè
bollente appena fatto gli solleticò
piacevolmente le narici e accese alcuni dei suoi neuroni, che
intrapresero a
mettere insieme i vari pezzi del puzzle, e il ronzio del computer nel
suo
studio riempì il silenzio, riportandolo a situazioni molto simili di
tanti anni
prima. Una volta avviati i suoi programmi, si immerse totalmente nel
lavoro,
ricadendo in un modello ormai collaudato e familiare, anche se si rese
conto
che stava facendo più fatica del solito e non sapeva se addossare la
colpa ai
vari pensieri che gli vorticavano in testa o al fatto che la mancanza
di sonno
era più acuita che mai.
Solo quando la luce
del mattino si fece più prepotente
decise che fosse arrivato il momento di prendersi una pausa; si
stropicciò gli
occhi secchi e arrossati e si lasciò cadere contro lo schienale della
sedia,
afferrando il cellulare svogliatamente. Quasi se l’aspettava, ma si era
dimenticato in effetti dell’innata capacità di Ichigo di tenere il
muso:
nonostante le avesse mandato innumerevoli messaggi, email, e telefonate
nel
corso della notte, il suo telefono non mostrava nemmeno uno straccio di
notifica.
Con uno sbuffo lo
lanciò sul divano di pelle e si sfregò
nuovamente la faccia, alzandosi per riempirsi una terza volta la tazza;
avrebbe
voluto andare al laboratorio e utilizzare i computer più potenti per
indagini
più approfondita, ma sapeva che prima avrebbe dovuto sistemare la
faccenda con
la rossa.
Il che voleva dire
marciare a villa Aizawa e pretendere
di parlare faccia a faccia con lei. Come esattamente passare attraverso
il Cerbero che sicuramente Minto sarebbe stata in quel momento, sarebbe
stata
la fase due del piano.
Ben sapendo che anche
in quella situazione Ichigo non si
sarebbe tirata giù dal letto prima delle otto, a costo di dormire con
Kimberly
attaccata al seno, bevve con molta lentezza la sua tazza di caffè,
riflettendo su
come incastrare i passaggi successivi.
E se giocare sporco
almeno un pochino.
« Niente? »
« Niente, » Pai si
passò una mano tra i capelli e scosse
la testa in risposta a Kisshu, tentando invano di sciogliere la
tensione delle
spalle.
« Io ve l’avevo detto,
» commentò a voce bassa Taruto,
staccandosi dal tronco su cui si era poggiato, « Anche i registri sono
puliti.
»
I tre fratelli
Ikisatashi si incamminarono nel boschetto
appena fuori Tokyo in cui avevano deciso di creare la dimensione
parallela in
cui nascondere l’astronave, approfittando dell’aria fresca e piena di
rugiada
di quella mattina per schiarirsi un po’ le idee.
« Che casino, »
considerò Kisshu con un sospiro,
cacciando la testa all’indietro, « Già è tanto che la tortorella non si
sia
messa a lanciare vasi. »
« Quella è la tua preoccupazione? »
« Come se tu non
stessi per correre dalla pesciolina a
controllare che vada tutto bene. »
Pai rispose con un
grugnito non meglio definito e si
allontanò di qualche passo rispetto ai fratelli, per poi fermarsi di
scatto e
voltarsi verso di loro con sguardo duro: « Raddoppiamo i turni di
comunicazione. »
« Ah, ma sei serio? »
si lamentò Kisshu, infilando le
mani nelle tasche e alzando gli occhi al cielo, « Anche in questo modo,
con il
tempo che ci vuole… si fa solo prima a - »
« Dì un’altra volta un
comunicatore
al Caffè e
ti
stacco la lingua. »
Il verde si limitò a
muovere la testa in una maniera che
sembrava significare te
l’avevo detto, ma
si guardò bene dall’aggiungere
altro e riprese la sua marcia.
Per qualche minuto
continuarono a camminare senza
parlarsi, ascoltando solo i rumori quasi rassicuranti del boschetto,
poi Taruto
scrutò dal basso la schiena del maggiore: « E se…? »
« No, » Pai nemmeno si
voltò, scostando solo un ramo dal
suo tragitto, « Continuiamo a monitorare. »
Aveva contravvenuto
alle sue abitudini solo perché sapeva
che con un mezzo di trasporto proprio avrebbe probabilmente, in quel
momento e
con un po’ troppa caffeina in corpo, violato qualche limite di
velocità, che non
sarebbe stato una gioiosa ciliegina extra sulla torta. In più, l’aria
fresca
del mattino e l’esercizio fisico avevano contribuito a schiarirgli le
idee, ma si
concesse in ogni caso un grosso respiro profondo non appena svoltò
l’angolo del
lussuoso quartiere dove si trovava casa di Minto.
Si tastò la giacca di
jeans e ne estrasse il cellulare,
su cui aveva ricevuto solo qualche aggiornamento da Keiichiro e da Pai;
Einstein aveva detto che la follia era ripetere alla nausea la stessa
azione
aspettandosi risultati differenti, quindi finalmente compose un numero
diverso.
« Con me le tue tecniche di
seduzione non funzionano.
»
Ryou strinse le labbra
per non sbuffare, incredibilmente
divertito: « Buongiorno, Aizawa. Ti ho svegliato? »
« Non sono una pigrona
come la tua fidanzata, » rispose
Minto, ma la voce arrochita gli fece capire che doveva essere parecchio
stanca,
« E
comunque, è già tanto se abbiamo dormito quattro ore. »
« Come sta? »
Poté quasi udire la
mora alzare gli occhi al cielo: « Questo
tuo favoritismo nei confronti di Momomiya sta cominciando a diventare
esasperante. »
« Minto. »
« Ho cercato di mediare a
tuo favore, cosa per cui mi
sei ancor più debitore, ma Ichigo neo-mamma è ancora più sensibile di
quella
normale, » sospirò
esausta, « Ci
siamo addormentate tardi, e si è
rotolata tutta notte. Però non posso dire che non la capisco, Ryou.
Questa cosa
ci ha fatto paura a tredici anni, non è meno complicata ora, anzi.
Credo ti ci
vorrà un po’ ad ammorbidirla. »
« D’accordo, » Ryou
calciò un sassolino del pavé e poi
alzò lo sguardo verso il portone che gli stava di fronte, « Allora se
mi apri,
vengo a parlarle. »
Un’esclamazione di
sorpresa – la versione Aizawa di una
parolaccia – gli rimbombò nell’orecchio, prima che la linea fosse
interrotta.
Non aspettò a lungo per vedere un maggiordomo in livrea affacciarsi da
dietro
al legno per accoglierlo, e poi Minto, accuratamente pettinata
nonostante la
nottataccia e con una elegante vestaglia di seta sopra il pigiama, che
scendeva
lo scalone e gli andava incontro con deciso cipiglio.
« L’ha presa da te
questa brutta abitudine di presentarsi
senza preavviso? »
Shirogane osò varcare
la soglia: « Minto, te lo chiedo
come favore. Sai benissimo che ho tutto il diritto di andarle a
parlare, e
soprattutto di vedere Kimberly. Sai meglio di me quanto sia fastidiosa
l’abitudine di Ichigo di prendere e partire. »
La maniera in cui la
padrona di casa mosse la bocca gli
fece capire che aveva centrato nel segno, ma lei si ostinò comunque ad
incrociare le braccia: « Anche quando Ichigo ti perdonerà, perché tanto
lo
sappiamo come siete voi due, sappi che io non te la farò scontare tanto
facilmente. »
« Cosa saremmo noi –
anzi, fa niente, non voglio saperlo,
» Ryou sbuffò e accennò al piano di sopra, « Posso passare? »
Minto gli lanciò
un’ultima occhiataccia, poi sospirò e
fece mezzo passo di lato: « È in camera mia. Io vado a fare colazione. »
« Thank you. »
Shirogane si trattenne
dal fare i gradini a due a due solo
per il via vai di personale che si aggirava per le stanze e perché non
gli
sarebbe convenuto, in realtà, arrivare sudato. Un po’ a memoria, un po’
a
intuito, individuò la stanza di suo interesse, da cui udì provenire la
voce
sottile di Ichigo che canticchiava una delle ninna-nanne di Kimberly.
Prese un respiro e
bussò leggero le nocche contro la
porta: «
Ginger, sono
io. »
La canzoncina
s’interruppe di colpo, ma quando lui provò
ad abbassare la maniglia, trovò la serratura bloccata.
Forse Minto non aveva
fatto poi molti sforzi a mediare
per lui.
« Ichigo, apri la
porta, » insistette e attese qualche
istante percependo solo silenzio dall’altra parte, e le parole di
Shintaro gli
fluttuarono proverbiali in mente, « Ichigo, smetti di fare la bambina e
apri
questa porta. Voglio vedere mia figlia e io e te dobbiamo parlare. Per
favore, »
aggiunse in tono più calmo.
Sentì il rumore della
serratura che scattava, ma la porta
stessa rimase chiusa, così Ryou attese qualche secondo di più e poi
entrò in
camera di Minto con tutta la pazienza che poteva avere.
Ichigo era seduta a
gambe incrociate nel centro del letto
a giocare con Kimberly, che sgambettava allegramente, e non lo guardò
né al suo
ingresso, né quando le si avvicinò.
« Ora posso essere
messa al corrente della situazione? »
mormorò solo, la voce distorta dal magone.
Ryou prese un respiro
e si passò una mano tra i capelli:
« Non puoi davvero pensare che l’abbia fatto apposta, o che non abbia
pensato a
cosa fosse meglio per te e per lei. »
« Me lo dovevi dire, »
ripeté la rossa in un sibilo
incollerito, « Ora queste cose le devi condividere con me. »
« Non stavo cercando
di tenerlo segreto. »
Lei emise uno sbuffo
sarcastico: « Ah no? Mi avresti
avvisato quando al primo bacio le sarebbero spuntate orecchie e coda? O
quando
al suo primo appuntamento sarebbe stata assalita da un topo gigante? »
« Ichigo… »
l’americano aggirò il letto e le si
inginocchiò di fianco, ma lei rimase con il capo chino a rivolgere
sorrisi
tristi alla bambina.
« Se non fosse
successo questo, forse avrei anche
capito… » aggiunse dopo un po’, sfiorandosi la voglia rosa sulla
coscia, « Però
è successo, e mi fa paura. Soprattutto per lei. E se c’è una cosa di
cui mi
fidavo, con te, è che avresti sempre avuto tutta questa situazione
sotto controllo.
»
« Ginger, » Ryou si decise a prendere una
mano e
tirarla appena verso di sé, « Ho fatto una cazzata a non dirti
chiaramente dei
geni di Kimberly, d’accordo? E mi dispiace. Ma per una volta che tutto
stava andando bene, me ne sono dimenticato, non gli ho dato importanza,
perché
credevo non avrebbe avuto rilevanza ora. Era tutto come doveva essere,
e per
una sola volta ho voluto provare a
vivere una vita che fosse normale,
per quanto incredibilmente inappropriata sia quella parola. »
La ragazza finalmente
spostò gli occhioni verso di lui,
arrossati e di nuovo pieni di lacrime, e Shirogane sospirò prima di
riprendere
a parlare: « Però ti giuro che non abbiamo riscontrato niente nei
nostri
sistemi, né in quelli degli Ikisatashi, e non c’è un segnale che può
prevedere
la ricomparsa dei vostri poteri. Potrebbe davvero avere solamente a che
fare
con il fatto che sono tornati tutti e tre, portandosi dietro della Mew
Aqua. »
Ichigo storse il naso,
lasciando però la mano in quella
di lui: « Ci sono un po’ troppi condizionali perché possa essere
rassicurante.
»
Il biondo si lasciò
scappare un mezzo sorriso: « Forse
dovremmo già essere abituati a una vita piena di imprevisti, non trovi?
»
Lei emise un mugolio
indefinito, spostando di nuovo lo
sguardo sulla bimba che stava sbadigliando. Una parte di lei le stava
sottolineando
di sapere che lui aveva ragione: era stato tutto così perfetto e
meravigliosamente imprevisto, fino a quel momento, che tutti loro si
erano
abituati a vivere a quel modo, senza ulteriori preoccupazioni, perché
ne erano
successe ormai così tante che il resto sembrava paradossale.
Dall’altra, non
poteva negare di starsi sentendo morire al pensiero che quella
creaturina così
piccola, così indifesa, che era uscita da lei così poco tempo prima
potesse
essere esposta anche solo a una frazione di ciò che aveva dovuto vivere
lei.
« Ho paura, » sussurrò
solo, ricacciando indietro un
singulto. Avvertì la mano di Ryou stringersi più forte intorno alla
sua, poi il
dondolio del materasso e le braccia che l’avvolsero e in cui lei decise
di
lasciarsi cadere.
« Lo so, ma qualunque
cosa succeda, l’affronteremo
insieme. Come sempre. »
Ichigo si staccò
quanto bastava per guardarlo da sotto in
su: « Ora però mi stra-giuri che mi dirai sempre tutto. »
« Yes ma’am, » replicò lui con una punta di
ironia, sfiorandole le guance con i pollici, « Però mi devi credere
quando ti
dico che non pensavo sarebbe successo. Io stavo... pianificando altre
cose, e il resto mi è passato di mente. Non significa che non ritenga
importante
nostra figlia o la nostra relazione, o tutto il resto. Semplicemente
l’ho…
accantonato. »
La rossa si accigliò e
il suo viso fu attraversato da
un’espressione confusa e dubbiosa: « In che senso altre cose? »
L’americano, invece,
sorrise con fare misterioso. Logico
che avesse carpito solo quella parte del discorso: « Other things. »
« Shirogane, non sei
nella posizione migliore ora! »
sberciò lei, più dubbiosa che mai, spostandosi un pochino di più, «
Cosa stai
tramando?! »
« Se vieni a casa te
lo spiego. »
Ichigo lo osservò
ancora qualche istante, stringendo gli
occhi: « Sono troppo stanca per questi giochetti. E guarda che sono
ancora
arrabbiata con te. »
« Prometto che ti
passa. »
Lei persistette a
scrutarlo una manciata di secondi in
più, poi gli si arrampicò addosso come un koala, rilassandosi più che
poté nel
suo abbraccio.
« Questo pannolino lo
cambi tu. »
« Alright, alright. »
Sistemata Kimberly,
recuperate le poche cose che Ichigo
si era portata dietro, e salutata con molta diplomazia una Minto ancora
poco
convinta della situazione, Ryou afferrò il manico della carrozzina e
insieme si
incamminarono lentamente verso casa. La rossa rimase in silenzio per la
maggior
parte del tempo, a braccetto con lui e praticamente seguendolo in
maniera
automatica, e il biondo le lasciò qualche bacio sulla testa come a
rassicurarla
di tutto ciò che le aveva detto. Si riscosse solo quando notò, con una
certa
curiosità, che non si stavano dirigendo direttamente verso casa, ma che
l’americano in realtà l’aveva condotta al parco.
« Così allunghiamo,
però, » mormorò in maniera lamentosa,
soffocando uno sbadiglio.
« Fidati un secondo, »
insistette lui, svoltando in uno
dei sentierini ben tenuti.
Ichigo iniziò a
guardarsi intorno con più interesse, riconoscendo
meglio l’area dove la stava conducendo; si morse il labbro inferiore
quando, in
un punto quasi a caso, Ryou si fermò, mise i freni alla carrozzina, e
poi la
guardò con un’espressione quasi divertita. Lei attese in silenzio,
alzando
appena le sopracciglia, e quando lui non proferì parola, fece un mezzo
giro su
sé stessa per localizzarsi del tutto.
« Qui è dove il topo
gigante ha attaccato me e
Aoyama-kun, » dichiarò infine, anche se la sua stessa realizzazione non
la
stava aiutando, « Che ci facciamo qui? »
« Qui è dove ti ho
incontrata la prima volta, thank
you very much, »
la corresse lui, dandole un buffetto sul naso, « E dove ho
capito fin da subito che eri un tipetto interessante. »
Ichigo fece una
smorfia al ricordo e poi incrociò le
braccia al petto con aria di sfida: « Mi hai anche accusato di essere
grassa. »
« Assolutamente no. Ho
solo detto che eri più pesante di
quanto pensassi. »
Controllando che non
ci fosse nessuno, che Kimberly fosse
al sicuro e ben addormentata, svelto come un gatto Ryou afferrò Ichigo
e con un
balzo scattò sull’albero, come tanti anni prima, facendoli atterrare in
piedi.
« E vale ancora,
direi. »
La rossa spalancò la
bocca, a metà tra l’essere sorpresa,
offesa, ed agitata: « E tu sei il solito sfrontato! »
« Ichigo Momomiya, »
la interruppe con una mezza risata,
« Avevo già pensato di portarti qui, ma devo dire che ora è quasi…
profetico. »
Ci volle qualche
secondo perché la ragazza potesse
processare le parole: all’inizio, tutto il colore scomparì dal suo
viso, per poi
ritornare prepotente tutto in una volta, causandole una notevole
sfumatura
violetta.
« Shirogane… che stai
facendo? »
Lui rovistò nella
tasca della giacca e ne tirò fuori una
scatoletta in velluto nero: « Ce l’ho da febbraio. Lo porto con me da
allora. E
nonostante tutte le invettive di tuo padre, che mi accusa di non
renderti una
donna onesta, ho sempre aspettato il momento giusto. Perché vorrei che
mi
dicessi di sì perché lo vuoi davvero, e non perché ti sembra che la
situazione
lo richieda. Ecco perché mi sono arrabbiato così tanto con lui, l’altro
giorno.
Perché sono mesi, per non dire anni, che vorrei chiedertelo. »
Ichigo dovette
appoggiarsi al tronco dell’albero per non
perdere l’equilibrio, visto che i suoi polmoni si svuotarono di colpo:
« Tu… tu
stai per… ? »
Ryou piegò appena un
sopracciglio: « Se devi reagire
male, mi rimangio tutto. »
« No! » lei portò
avanti le mani e poi si riappiccicò
all’albero, con il cuore che le batteva in gola, « No, basta che non ci
sia…
pubblico o cose strane. »
« Vuoi dire più strane
di noi sull’albero dove ci siamo
conosciuti sette anni fa? »
« Che ne so, tu sei
americano. »
Il biondo rise e
giocherellò con una ciocca rubino prima
di accarezzarle una guancia: « Ti ho portato qui perché è dove è
iniziato
tutto. Quando ti ho incontrata, ho pensato subito che fossi una
ragazzina
lagnosa, pasticciona, irritante, dall’orribile caratteraccio. E non è
cambiato
molto. »
« Shirogane! Ti sem – »
« Ma, » continuò lui
con un sorriso, « Ho anche sempre
pensato che tu fossi solare, combattiva, testarda in quello che vuoi e
premurosa con le persone a cui vuoi bene. Ti ho vista sacrificarti
senza
pensarci un secondo, e ho sempre saputo che avrei fatto lo stesso per
te. »
Ichigo dovette
impartire un ordine vero e proprio ai suoi
polmoni di riempirsi e ricominciare a funzionare, perché sembrava che
il suo
intero corpo avesse smesso di lavorare, completamente rapito dagli
occhi
azzurri che la stavano scrutando con un’intensità tale da farle cedere
le
ginocchia. Ryou approfittò del suo silenzio per avvicinarsi ancora di
più e
poggiare la fronte contro quella di lei:
« Purtroppo è vero che
ho sempre avuto un debole per te,
fin dall’inizio. E ora che posso amarti come vorrei, ho intenzione di
farlo per
sempre, se me lo concederai. Mi hai fatto il regalo più grande che
potessi mai
meritarmi, e in cambio posso solo darti tutto me stesso. »
La rossa boccheggiò un
paio di secondi, spostò lo sguardo
sulla maglietta di lui per potere riconquistare un minimo di lucidità:
« … purtroppo?
» lo prese
in giro infine.
« Di tutto quello che
ti ho detto, ginger,
seriously?
»
Lei sbuffò e deglutì
qualche altro secondo,
giocherellando con il cotone e guardandolo da sotto in su: « Shirogane,
tu però
giochi sporco. »
Lui rise e le domandò
a bassa voce: « Sei ancora
arrabbiata con me? »
« … dipende. »
« Ah, » lui inarcò le
sopracciglia, divertito, e le mise
la scatolina sotto al naso, « Da cosa dipende? »
Ichigo prese un
ennesimo respiro e poi alzò il mento in
maniera di sfida: « Ti devi mettere in ginocchio, o non vale. »
« Non c’è dubbio,
Momomiya, » replicò lui, prendendola un
po’ in giro, « Credo che andrà bene anche così. »
Con un piccolo scattò,
aprì il coperchio e – per la
seconda volta – mozzò il fiato alla ragazza nel mostrarle l’anello: due
cerchi
di piccoli diamanti, con al centro una tormalina rosa, di una sfumatura
che
ironicamente le ricordava il suo costume da Mew Mew, su una banda di
platino
anch’essa ricoperta di diamanti(*). La rossa guardò il gioiello,
poi
guardò Ryou, poi ancora l’anello, azzardandosi a sfiorarlo con la punta
di un
dito senza poter emettere suono; infine, le scappò un risolino nervoso
ed
emozionato e scosse la testa:
« Non stai scherzando?
»
Ryou scosse la testa e
le prese la mano libera,
inspirando profondamente con quanta più circospezione possibile: «
Ichigo… »
mormorò a voce bassissima, le labbra che sfiorarono quelle di lei, che
rispose
in un mugolio indefinito come a intimargli di non fermarsi, « Vorresti
sposarmi? »
Prima ci fu un
silenzio così assordante, nonostante la
città attorno a loro, che Shirogane fu sicuro fosse chiaramente udibile
il
galoppare impossibile del suo cuore; poi Ichigo emise uno strillo più
simile a
un fischio ad ultrasuoni che a qualcosa di umano e gli si gettò al
collo,
completamente dimentica del fatto che erano appollaiati su di un ramo e
che
solo l’agilità ritrovata permise loro di non rovinare disastrosamente a
terra.
« … sarebbe un sì? »
« Oh, Shirogane, sta’
zitto. »
Il tintinnio di un
campanellino rintoccò nell’aria.
Retasu chiuse il libro
di scatto, poggiandoci poi la
fronte contro con uno sbuffo esasperato: non riusciva a concentrarsi,
non
importava quanto ci stesse provando. Tra la temperatura che stava
salendo, la
stanchezza e tutta la faccenda della sera precedente, le sembrava che
il suo
cervello avesse deciso di non essere più in grado di raccogliere
informazioni.
Aveva anche deciso di spostarsi dalla sua camera al salotto,
approfittando
della casa vuota, così che magari l’ambiente più ampio e lontano dal
letto
l’avrebbe persuasa a darsi da fare, ma non era valso a nulla.
Girò il collo di lato
e controllò il cellulare: sapeva
che quella mattina presto Pai e i suoi fratelli sarebbero andati a
controllare
i sistemi nella propria nave, ma non aveva ancora ricevuto nessun tipo
di
notizia. Il che poteva anche essere una cosa positiva, si disse,
trovare
qualcosa di importante avrebbe sicuramente fatto scattare un altro
allarme
generale. E lei dopotutto non aveva mentito, il giorno prima, quando
gli aveva
detto di non essere preoccupata… ma non negava che un po’ più di
chiarezza
avrebbe fatto bene a tutti.
Lo stomaco le diede
una capriola al pensiero della
conclusione di quella sera, e si diede della sciocca: come poteva
soffermarsi
su una cosa del genere in un momento simile?! Le pareva di essere
un’adolescente in piena tempesta ormonale, non ne era decisamente il
caso!
Avrebbe fatto meglio a concentrarsi sugli studi visti gli esami in
arrivo, e
smetterla di vagare con la mente.
Il cellulare le vibrò
a pochi centimetri dal naso e
sobbalzò, ma era solamente Purin che, nella chat di gruppo, chiedeva un
vago come
va? che
sapeva non essere diretto a lei.
Anche dopo un paio di
minuti non ci fu risposta,
ovviamente, e Retasu quasi si dispiacque per la biondina, che cercava
sempre di
dimostrare a tutti i lati positivi delle situazioni o quantomeno di
stemperare
l’atmosfera più cupa.
Sospirò, si rimise
dritta e afferrò di nuovo la matita,
ricominciando da capo quel paragrafo che proprio non ne voleva sapere
di
entrarle in testa. Non passò che una manciata di minuti che udì un
leggero
bussare alla porta di casa, che la fece sobbalzare di nuovo. Ci impiegò
un po’
più del solito a reagire, chiedendosi se potesse essere il postino, e
decisamente non si aspettò di trovarsi la figura di Pai sull’uscio.
« P-Pai! » boccheggiò,
sistemandosi gli occhiali sul
naso, « Non… non pensavo fossi tu. »
L’alieno le mostrò un
sorriso: « Ti disturbo? »
« No, no, » lei scosse
la testa e si fece da parte per
farlo passare, « Mi hai solo… presa alla sprovvista. Stavo studiando,
non
aspettavo nessuno. »
Lo sguardo analitico
dell’alieno scrutò brevemente
l’ambiente, così tipicamente giapponese per lei, eppure così diverso
per lui.
« Come mai… ? »
s’azzardò a domandare, incuriosita: era
la prima volta che lui si presentava spontaneamente a casa sua, o che
ci
entrava, se era per quello.
« Volevo vederti. »
Il cuore le sobbalzò
per un miscuglio di motivi diversi:
« È… è successo qualcosa? »
Pai dovette notare di
aver scelto le parole sbagliate,
perché si corrucciò preoccupato: « No, non abbiamo rilevato niente di
anomalo,
ma… pensavo che dopo ieri sera, avresti preferito non… rimanere sola. »
Retasu impose al
proprio muscolo cardiaco di comportarsi
bene: « Se dici così mi preoccupo, però. »
« Scusa, » rispose lui
a bassa voce con un accenno di
sorriso, poi indicò con il mento i libri aperti sul tavolo, « Come sta
andando?
»
« Male, » ammise con
uno sbuffo divertito, « Non… riesco
a concentrarmi. »
E decisamente non
sarebbe riuscita a farlo ora, si disse,
con un ragazzo – con Pai
– in casa
sua. Vuota.
Ovvio, continuò poi:
non erano certo a livello di
presentarsi ufficialmente ai genitori (il solo pensiero le mozzò il
fiato), né
Pai era un tipo particolarmente espansivo o desideroso di farsi
conoscere. E
poi lei gli aveva raccontato della sua famiglia, del padre che lavorava
in
banca e la mamma che aveva ripreso a lavorare da quando Uri, suo
fratello,
aveva cominciato il liceo, conosceva i loro orari. Quindi…
Quindi.
Osservò la schiena del
ragazzo che si avvicinava al
tavolo da pranzo e scrutava i tomi e i suoi appunti, sfiorandoli con un
dito;
lei riconobbe la curiosità e la fame di conoscenza nel suo sguardo, e
dovette
nascondere un sorrisino.
« Ti sembreranno
sciocchezze, rispetto a ciò su cui
lavori tu. »
« Nient’affatto, »
rispose lui, guardandola da sopra la
spalla, « È affascinante vedere i vostri testi. E di queste cose
conosco ben
poco. Biologia marina, giusto? »
« Giusto, » confermò
Retasu con un sorriso, incrociando
le dita dietro la schiena, « E… ovvio, forse. Ora più che mai. »
« Continui a non saper
nuotare, » la prese in giro
dolcemente lui, facendole partire l’ennesimo attacco di extrasistole.
Lei annuì e gli fece
segno di accomodarsi sul divano: «
Posso offrirti qualcosa? »
« No, grazie, » le
sembrò che si rilassasse un po’ di più
tra i cuscini, emettendo un sospiro leggero, « Sono passato da
Akasaka-san dopo
il nostro controllo per incrociare i dati, è molto difficile rifiutare
le sue
offerte di caffè. Soprattutto con Kisshu e Taruto che non dicono mai di
no. »
La verde ridacchiò e
gli si sedette accanto, togliendosi
gli occhiali per pulirli contro la maglietta: « Hai detto che non avete
rilevato nulla? »
« Esatto. Siamo
risaliti nei nostri registri, nella
remota possibilità di aver mancato qualcosa, ma le comunicazioni erano
chiare.
Così come i sistemi di Shirogane, seppur non altrettanto sensibili più
settati
su notifiche di pericolo, non è stato registrato nulla. Il che
solidifica la
mia teoria che la comparsa del vostro marchio sia una reazione alla
presenza di
tutti e tre, ovvero le condizioni di partenza del progetto Mew. »
« Capisco, » Retasu
sospirò e lanciò uno sguardo al
cellulare, « Le altre non hanno ancora detto nulla, anche Purin ha
provato a
scrivere ma… credo non siano proprio di buon umore. »
« L’hai detto tu
stessa che l’idea di combattere non ti
entusiasma, ed è proprio ciò che il vostro marchio vi ricorda. »
« Non mi entusiasma è
un eufemismo. »
Pai condivise la
risata e le prese la mano: « E le tue
amiche sono un po’ più… cocciute di te. »
Lei tentò di
lanciargli un’occhiataccia ma sbuffò
divertita: « A questo punto credo che tu possa anche dire che sono
amiche tue.
»
« Mi terrei più sul conoscenti. »
« Una è praticamente
tua cognata. »
« Il triste destino di
Aizawa è stata però una scelta diretta.
»
Retasu rise e si
sporse verso di lui, poggiando la fronte
al suo petto: « Quindi andrà tutto bene? »
Il braccio di Pai si
strinse attorno alle sue spalle: «
Non smetteremo di tenere la situazione sotto controllo. »
Lei soffiò contro il
tessuto della sua camicia: « Non è
propriamente un sì. »
L’alieno le prese una
guancia e le sollevò il viso: « Io
vengo da un altro pianeta e tu hai in te il gene di un animale in via
d’estinzione. Sono sempre molto cauto a ragione per assoluti, viste le
probabilità.
»
La verde rise di nuovo
e si abbandonò in un sospiro
quando la bocca di lui catturò la sua. In un lampo, i ricordi della
sera
precedente le invasero la mente e una pioggia di brividi le corse lungo
tutta
la spina dorsale, e gli si strinse addosso un po’ di più. Non era mai
stata una
persona audace, o sfacciata, ma le sensazioni che provava stretta tra
le
braccia del ragazzo la facevano sentire protetta ed esposta allo stesso
tempo,
spingendola a cercarlo come mai prima. Gli sfiorò con titubante
dolcezza la
schiena, scivolando il palmo sotto la maglietta in cerca della sua
pelle calda
e graffiandolo appena con le unghie quando lui le accarezzò la
lunghezza della
coscia, scostandole il vestito estivo.
Forse una parte di lei
lo sapeva, realizzò mentre piegava
la testa all’indietro per regalargli più spazio sul collo, sulle
spalle, lì sul
petto dove ora svettava la sua voglia, lo aveva sempre saputo che era
proprio
lui che aveva aspettato.
« Retasu… » sussurrò
Pai, così leggero da essere quasi
inaudibile, e in quel momento lei decise di lasciarsi andare del tutto.
Non le importava più
niente, niente se non sentire il
corpo dell’alieno il più possibile contro al suo; si stese sul divano e
lasciò
che scivolasse sopra di lei, afferrandogli il viso tra le mani per
poterlo
baciare con quanto più trasporto fosse capace. Lo avvertì titubare
quando si
attaccò ancora alla sua maglia per liberarsene, ma lo trattenne e lo
strinse a
sé; era stanca di pensare, stanca di attendere, stanca di troppa
timidezza e
timore. Il rombo del suo cuore al sentirsi completamente abbandonata a
lui le
stava dicendo che era giusto, che quello era il momento, e che anche se
non
gliel’aveva mai detto, lei era perdutamente innamorata di lui e non
aveva
smesso di esserlo in quegli anni.
Lo baciò ancora quando
Pai si sistemò meglio tra le sue
gambe, i vestiti già gettati sul pavimento, rendendosi conto solo in
quel
momento quanto davvero bruciassero le loro pelli a contatto, e quanto
bruciasse
lei sotto lo sguardo ametista. Lui si fermò ancora, sfiorandole il naso
con il
suo e raddrizzandole con una risata gli occhiali storti ma che
magicamente
avevano resistito in equilibrio, e Retasu deglutì: non avrebbe avuto il
coraggio di dirgli quello che provava, non ora, ma forse avrebbe potuto
farglielo
capire.
« Pai, io… non… »
L’alieno l’accarezzò
lento, quasi assaporandola con gli
occhi, stringendole piano un fianco morbido quasi a tenersi saldo lui
stesso: «
Sei sicura? »
Lei annuì prima di
rendersene conto, avvolgendogli le
braccia intorno al collo: « Sì… » mormorò senza fiato, il cuore che le
minacciava di scoppiarle in petto e il ventre che avvampava, « Con te,
sì. »
Mentre la baciava con
forza, stringendole una mano nella
sua, Pai avvertì di nuovo quel pizzicore nel torace, quel senso di
colpa che
ancora non riusciva a demolire. Non se la meritava, e lo sapeva, ma ciò
non
l’avrebbe mai distolto dal riuscirci.
§§§
Ovviamente, Ichigo non
riuscì a tenere nascosta la
notizia a lungo; fu soltanto il realismo di Shirogane, che le ricordò
loro
avessero comunque un po’ di cose di cui parlare e che fosse meglio non
allarmare tutti, quella mattina, riuscirono a farla tergiversare per
qualche
ora. Passato il momento del pranzo, però, la rossa esplose: con un
messaggio
particolarmente ambiguo, che scatenò non poca agitazione, intimò a
tutti gli
altri di presentarsi al più presto a casa sua. Quando, per la seconda
volta in
poco più di dodici ore, l’intero gruppetto di umani e alieni si ritrovò
in
salotto, presagendo funeste novelle vista l’urgenza della chiamata, lei
invece
tuonò in un urlo di sorpresa e sventolò la mano davanti alle amiche.
Purin fu la prima a
reagire, rispondendo con uno strillo
altrettanto spaccatimpani e praticamente placcando insieme Ichigo e
Ryou,
mentre Minto sibilò qualcosa che sembrò molto simile a una minaccia nei
confronti dell’amica visto il mancato infarto e Zakuro si limitò a
scambiarsi
un’occhiata esasperata con i tre alieni e il novello fidanzato.
« Congratulazioni,
ragazzi, » intercedette poi Keiichiro
(in realtà avvertito segretamente da Shirogane in anteprima e che si
era
premurato di tenere in braccio Kimberly ben sapendo quali sarebbero
state le
reazioni), « Immagino che anche i tuoi genitori saranno al settimo
cielo,
Ichigo-chan. »
Lei si lasciò cadere
sul divano, continuando a lanciare
occhiate estasiate al suo gioiello: « In realtà non glielo abbiamo
ancora
detto. Vogliamo farlo un po’ per bene, non con una telefonata, o mia
mamma si
offende. »
« Sicuri che Shirogane
abbia la benedizione? » li prese
in giro Zakuro, ricevendo in cambio un’occhiataccia dal biondo.
« È tutto molto bello,
» constatò Minto funerea, seduta a
braccia incrociate sul divano che continuava a muovere la tibia su e
giù, « Ma
per quanto Ichigo possa essere abbagliata dalla lucentezza del suo
nuovo
tesoro, non abbiamo ancora risolto il problema principale. »
Purin sghignazzò sotto
i baffi e diede di gomito a
Retasu: « Secondo me la nee-chan è un po’ gelosa. »
« Non dire
sciocchezze! »
Retasu si limitò a
ridacchiare sotto i baffi, le guance
un po’ più rosee del solito, e la biondina le lanciò un’occhiata
incuriosita: «
Tutto bene, nee-chan? »
« Sì, sì, » si
affrettò a rispondere, ben attenta a non
incrociare lo sguardo dell’alieno in fronte a sé, « Sono solo… così
contenta
per voi! »
Ichigo le sorrise e
ricambiò la stretta della sua mano,
poi si voltò verso Keiichiro: « Allora ci sono… novità? »
Lui continuò a cullare
dolcemente la sua figlioccia: «
Io, Ryou, e Ikisatashi-san abbiamo passato la mattina a controllare i
nostri
sistemi, e confermiamo che non ci sono stati rilevamenti di sorta. Ciò
vuol
dire che non c’è nessuna minaccia in corso, e che probabilmente davvero
il
ritorno della vostra voglia è una reazione alla presenza di tutti e tre
gli
Ikisatashi. Ovviamente, continueremo a monitorare la situazione,
abbiamo già
allargato il raggio d’azione dei nostri rilevatori, ma voglio che ora
stiate
tranquille. »
La rossa sembrò
pensarci su un poco prima di annuire,
scambiandosi un’occhiata d’intesa con le altre ragazze, tutte più o
meno
convinte.
« Possiamo pensare a
festeggiare, quindi, » esclamò
Zakuro con affetto, sfiorando l’altra mano di Ichigo, che sorrise un
po’ più
decisa:
« A questo proposito…
c’è una cosa che non vi abbiamo
ancora detto. »
« Senti, Momomiya, non
sono in vena di altre sorprese. »
Lei ignorò il commento
di Minto e si sfiorò
sovrappensiero la coscia: « A causa di… questo, vorrei… vorremmo…
sposarci presto. Ho sempre voluto un matrimonio a Settembre, perciò… »
La mora la guardò
quasi con gli occhi fuori dalle orbite:
« Tra tre mesi!? Ma siete impazziti?! »
Ichigo sorrise
sorniona: « L’aiuto della mia testimone e
amica organizzatissima sarà inestimabile, quindi. »
Per qualche istante,
Minto rimase a mezza bocca aperta,
mentre le altre ridacchiavano sottovoce, poi scosse la testa e alzò il
naso
all’insù: « Meglio che inizi ad ascoltarmi quanto ti dico di non
abbuffarti,
Momomiya, o non ti darò nessunissimo aiuto. »
« Anche io voglio
aiutare a organizzare! Quando andiamo a
scegliere i vestiti? Zakuro-nee, per te lo scelgo io altrimenti sei
troppo
figa. »
« Purin! »
« La torta la fa
Akasaka nii-san, vero? »
Il suddetto si limitò
a scambiarsi un’occhiata divertita
con Shirogane e gli altri ragazzi mentre il volume nella stanza si
alzava di un
paio di decibel. La bimba stretta tra le sue braccia, però, continuò a
dormire
imperterrita, e intanto che lui guardava la sua famiglia lanciarsi
nelle loro
solite, esagerate, esplosive dinamiche, pensò che fosse tutto come
doveva essere.
(*)
Per i delfini curiosi (cit.)
l’ispirazione è venuta da qui (tenetevi xD): https://www.tiffany.com/jewelry/diamond-jewelry/tiffany-soleste-ring-67905148/
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