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Autore: Hypnotic Poison    25/11/2006    8 recensioni
Erano sei anni che poteva considerare la sua vita – quasi – normale. Anche se di cose ne erano cambiate parecchie. [...]
« Beh! Che c’è, non si salutano più gli amici da queste parti? »
« Cosa ci fai tu qui! »
[...]
« Stamattina… non è scattato nessun allarme, niente di niente, ma i computer si sono riaccesi automaticamente sui dati del progetto Mew. » [...]
« Ora voi parlate. E vi conviene dire tutta la verità. »

[ATTENZIONE: STORIA IN REVISIONE. Aggiornati al 04/02/2024: 1-18]
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Mint Aizawa/Mina, Nuovo Personaggio, Ryo Shirogane/Ryan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter Seven – Oops! I did it again

 
 
 
 
 
 
 
 
« Sei qui un po’ troppo spesso. »
Kisshu, seduto a gambe incrociate nel bel mezzo del letto ad armeggiare con il telecomando, non la guardò nemmeno, ma Minto riconobbe il ghigno nelle sue parole: « E scommetto che ti dispiace moltissimo. »
La mora non rispose, mascherando un sorrisetto e continuando a piegare accuratamente i vestiti della giornata mentre pensava a quelli per il giorno dopo.
No che non le dispiaceva, ma non gli avrebbe certo dato anche quella soddisfazione. Sapeva benissimo che lui sapeva quanto lei avesse preso a desiderare la sua compagnia, ora che si era infilato nella sua quotidianità, battutina irritante dopo battutina irritante, sorriso scanzonato dopo sorriso scanzonato. Realizzare che si era presa una cotta (coi controfiocchi) per Kisshu era stato come un fulmine a ciel sereno – o uno schiaffo a mano aperta in piena faccia – poco prima del suo compleanno. Non ricordava nemmeno l’occasione, solo che erano stati insieme agli altri, lui aveva detto una delle sue solite sciocchezze e lei aveva riso, rimbeccandogli a tono e automaticamente rivolgendogli un’occhiata d’intesa – ed era stata in quell’occhiata, nella maniera in cui aveva sentito lo stomaco annodarsi inequivocabilmente che si era resa conto di essersi cacciata in un guaio. Ci aveva provato, all’inizio, a costringersi a cambiare idea, a ricordarsi come fosse una donna tutta d’un pezzo e che certe cose non erano certo da lei, ma aveva evidentemente fallito, e alla grande.
Rimettendo insieme i pezzi, poi, aveva capito che in effetti lui non era stato troppo discreto nei suoi tentativi di apprezzamento e che il suo incedere lento ma deciso l’aveva effettivamente fatta cedere; e ce n’era voluto di tempo per convincerla che realmente non fosse solamente tutto un trucchetto, una specie di maligna rivincita di qualche tipo, ma che lui era davvero e fin troppo onesto. Una volta sicura di questo, Kisshu aveva avuto il via libera per aprirsi a poco a poco un varco sempre più grande nella corazza della mora e rendersi – non che gliel’avrebbe mai ammesso – sempre più indispensabile.
Si era accorta che, per certi versi, erano anche simili: entrambi testardi, tenaci, proni a perdere la pazienza molto facilmente, e anzi, per l’alieno sembrava quasi un passatempo trovare motivi per irritarla e prenderla in giro.
Forse perché sapeva benissimo come fare pace.
A quel pensiero, Minto storse il naso di nascosto, continuando a sistemare l’armadio; fosse stato solo quello, il loro rapporto, forse in parte si sarebbe sentita più capace di controllarlo, di mettere i paletti necessari, e ci aveva provato, davvero. Invece era cosciente che si cercavano per altri motivi: fin da subito, Kisshu le si era presentato innumerevoli volte a casa, ovviamente senza passare dalle porte ufficiali, per chiederle di risolvere dubbi che aveva sulla società umana o curiosità che aveva visto succedere intorno a lui e che erano così nuove, o per raccontarle qualche storia di Duaar e della loro vita dopo la Terra (anche se non sempre finiva bene, vista la volta in cui aveva smesso di parlargli per un’ora e mezza perché aveva accidentalmente raccontato di una scappatella di troppo). E lei si era ritrovata a cercarlo quando si presentava al Caffè, quasi a controllare che ci fosse ancora, solo per uno scambio idiota di battutine che però la facevano ridere, e a detestare il silenzio di casa propria ancora di più nelle rare volte in cui la sera non udiva il leggero bussare alla sua porta finestra.
Minto sapeva che era un gioco pericoloso, a causa del modo in cui le batteva il cuore e in cui le si scaldava il ventre nel sentirlo vicino, mentre Kisshu sembrava sempre così scanzonato e leggero.
Quindi poteva benissimo farlo soffrire un po’.
« Mi ignori? » la prese in giro, allungandosi sul materasso come un gatto e prendendole il polso, « Non hai nemmeno un po’ di pietà per il fatto che ora devo condividere la camera con il mio fratellino? »
Minto alzò gli occhi al cielo e si lasciò tirare verso il letto: « È passata solo una settimana, e avrai dormito al Caffè due sere. »
« Al Caffè non ho la compagnia della mia palla di pelo preferita, » insistette lui, lanciò uno sguardo a Mikey, appallottolato ai piedi del letto (e che l’aveva preso in simpatia dopo molte insistenze e corruzioni a suon di coccole e dolcetti), poi invece le infilò le mani nei capelli per arruffarglieli tutti, « Parlo di te, ovviamente. »
« Kisshu! Sei un deficiente! »
Lui rise e l’agguantò per la vita, buttandola quasi di peso (come se non l’avesse, realtà) sul letto e prendendole a farle il solletico, il cagnolino che prima abbaiò spaventato e poi iniziò a scodinzolare contento.
« Smettil-ah! Dai, per fav… Kissh… ti prego! »
Lui fermò il suo dimenarsi come un’anguilla prendendole con gentile fermezza i polsi e bloccandoglieli dietro la schiena con una leggera pressione, e avvicinò il viso alla guancia di lei: « Queste sono le cose che mi piace sentire. »
Minto, schiacciata a pancia in giù, sbuffò sonoramente al sussurro roco e malizioso, e cercò di allungare il collo per guardarlo: « Mi ripeto. »
« Intanto ti ho fatto ridere, » insistette lui, mollandole le braccia per concentrarsi sul sollevare la camicia del pigiama di seta che indossava e iniziando a baciarle la schiena partendo dal basso, « Mi merito un premio per questa prodezza. »
« Non meriti un bel niente, » rise lei un po’ affannata, il viso ancora premuto contro il materasso e il corpo che reagiva in maniera diversa al solletico dei suoi baci, « Già mi stai occupando il letto. »
« Mmmhm, » Kisshu le arrotolò il pigiama fin sotto al seno e poi riscese, mordendole piano la curva alta della coscia, « D’accordo, allora mandami via. »
Lei cercò di sgusciare via con una risata, ma le stava premendo sulle gambe e riuscì solo a torcersi su un fianco: « Sei troppo pesante. »
« Sbagliato, tortorella, io sono estremamente prestante. »
« Tu sei scemo, ecco cosa. »
Kisshu sbuffò contro la sua pelle e ringhiò piano mentre risaliva una seconda volta, accarezzandola a palmi aperti: « Se continui a insultarmi, mi vedrò costretto a - »
Minto attese qualche istante di sentirlo finire la frase, poi si contorse ancora per poterlo guardare: « A cosa? » domandò, corrugando la fronte quando lui non rispose, concentrato a osservarle la schiena, « Kisshu? »
In risposta le arrivò solamente una sequenza di parole in una lingua che non capì, ma che erano decisamente volgari.
 
 
 
 
Purin tastò alla cieca sul ripiano più in alto del pensile in cucina, alla ricerca dei cioccolatini segreti che Keiichiro nascondeva fin troppo bene: « Ma i tuoi fratelli stanno sempre in giro! »
Taruto la scostò con un colpo poco aggraziato di bacino per prendere il suo posto: « Forse perché ora ci sei sempre tu tra i piedi! »
Lei esalò un ah-a! trionfante quando finalmente il ragazzo trovò la scatola desiderata e gliela rubò dalla mano con uno scatto degno di una volpe: « Per te uno in meno perché sei antipatico. »
« Ehi! Così non vale! »
Ridendo sguaiata, Purin scartò di lato e cominciò a correre per il locale vuoto, stringendo la scatola al petto e scappando da Taruto.
« Maledet – fermati, sei scorretta! »
Cercò di afferrarla girando in senso opposto a lei attorno a una colonna, ma la biondina fu più svelta e sgusciò sotto al braccio di lui, arrampicandosi sopra un tavolo e usandolo come trampolino di lancio per raggiungere l’altro lato della stanza.
« Non mi prender-ah! » senza fiato per la corsa e le risate, Purin inchiodò quando l’alieno le si parò davanti di sorpresa, teletrasportatosi per afferrarla; ma Taruto doveva aver mal calcolato le distanze e gli slanci, perché non ci fu nessuna distanza di sicurezza tra i due, e la biondina gli si schiantò addosso con un fragore di fronti.
« Ahioooo, » gemette lui, rotolandosi in terra e reggendosi la testa tra le mani, « Ma cosa sei, un bisonte?! »
Purin boccheggiò un paio di volte, incredibilmente ancora con voglia di ridere mentre si strofinava la frangetta: « Sei proprio scorretto, e guarda cos’hai combinato! »
« La scorretta sei tu che rubi cioccolata! »
Lei ridacchiò, si sdraiò sulla schiena e tastò di nuovo accanto a sé, agguantando la scatola a poca distanza – un po’ schiacciata e con il fiocco stropicciato – e stringendola al petto con fare protettivo: « Ho comunque vinto io. »
« Non era una gara, » bofonchiò Taruto, rimettendosi lentamente in piedi e porgendole una mano per aiutarla a fare lo stesso.
« Che botta, » rise la ragazza, massaggiandosi la fronte, « Credo che domani mi spunterà un bel livido, sarà divertente da spiegare. »
« Non credo si stupiranno più di tanto, visto che hai la grazia di un rinoceronte, » la prese in giro lui, lasciando cadere la mano di lei come se scottasse e al tempo stesso osservandole meglio la fronte, « Accidenti, però sembra già che - »
Purin rimase immobile, un accenno di sorriso che tentò di nascondere il più velocemente possibile, quando l’alieno le si avvicinò e le scostò con due dita la frangetta per esaminare il punto dolente, così vicino che poteva contargli le lentiggini sul naso.
All’improvviso, però, Taruto fece una faccia strana, strinse gli occhi e la guardò con tutta l’attenzione di cui era capace, prima di saltare all’indietro: « Oh cazzo. »
 
 
 
 
L’aria della sera era fresca, condita da un leggero venticello, e Pai non poté evitare di allungare il naso in su e fare una smorfia: non importava quanto tempo rimaneva sulla Terra, l’odore dello smog e dell’inquinamento continuava a infastidirgli le narici e riportare a galla idee che – ne era ben conscio – erano condivise anche dai suoi vecchi rivali. La vita su Duuar non era stata certo idilliaca né mai avrebbe cercato di convincere qualcuno del contrario, ma almeno il vento non aveva mai portato con sé odore di fumo e deperimento naturale.
Si sentì osservato e aprì solo un occhio: Retasu, accanto a lui, in effetti lo stava guardando con curiosità divertita.
« Non so se ci farò mai l’abitudine, » si giustificò lui subito, storcendo il viso questa volta in un’espressione infastidita.
La verde annuì comprensiva e si morse il labbro: « Lo capisco. In città è fastidioso anche per me, a volte. Magari questa estate potremmo… andare da qualche parte un po’ fuori, in montagna o in campagna. Per cambiare un po’ aria. Letteralmente. »
« Sì, » Pai le rivolse un sorriso dall’alto, « Potremmo. »
Retasu annuì contenta e gli si fece un po’ più vicina mentre continuavano a camminare verso casa della ragazza. Era la terza volta che andavano ufficialmente fuori a cena nel giro di una decina di giorni, forse il fatto che era tornato anche Taruto e quindi il Caffè fosse più occupato del solito spingeva anche Pai a voler cercare momenti il più possibile solo per loro due, quindi le era venuto quasi spontaneo proporgli anche solo l’idea di una vacanza da qualche parte, da soli, insieme. Si morse le labbra per cercare di non sorridere in maniera troppo esagerata, mentre lo stomaco le ballava una marcetta al pensiero.
Da soli. Noi due.
Il cuore le sfarfallò un po’ più forte e s’impose di concentrarsi su ciò che le stava raccontando, ma la sua voce le causava l’effetto opposto.
Che cavolo però.
« Tutto okay? » l’alieno la scrutò, preoccupato probabilmente per la smorfia che aveva fatto e la sfumatura delle sue guance, e le strinse un paio di volte la mano.
Retasu si sistemò gli occhiali sul naso e annuì con più forza del necessario: « Sì, scusa, » mugugnò, e non appena svoltarono l’angolo occhieggiò la propria casa, « Stavo solo pensando a una cosa. »
Pessima risposta da dare a qualcuno che di mestiere cercava risposte a domande interplanetarie.
Pai, infatti, continuò a fissarla con sguardo interrogativo, fermandosi a pochi metri dal suo cancello d’ingresso, lì nell’ombra dello spazio tra due lampioni, e Retasu si morse un labbro alla ricerca di una maniera per cavarsela. Il suo cervello doveva davvero darsi una regolata.
« Be’… sono arrivata, » esclamò poi in un respiro, indicando l’abitazione, « Grazie di avermi accompagnata. »
« Retasu, » la riprese lui con uno sbuffo divertito, e le sfiorò una guancia, « Cosa c’è? »
« Niente, » mormorò, fissando il collo di lui, « Pensavo che… noi, uh… io… »
L’alieno corrugò la fronte e l’accarezzò una seconda volta, certamente non capendo l’assurdo filo dei suoi pensieri; fece per aprire la bocca e spingerla a spiegarsi, quando uno squillo che Retasu non aveva mai sentito riempì il silenzio. Pai si scostò da lei, ravanò in tasca qualche istante e ne estrasse un aggeggio che la verde non aveva mai visto, ma su cui lesse con chiarezza le parole SOS Taruto, insieme a un altro mucchio di segni che non riuscì a interpretare.
« Che… che succede? » boccheggiò spaventata, non capendo perché l’alieno la stesse fissando con nervosismo, né perché – senza chiedere e facendole perdere qualche battito – le scostò un poco il cardigan che indossava per scoprirle il petto.
Poi abbassò anche lei lo sguardo.
 
 
 
 
Ichigo mugolò contrariata, aprendo solamente mezza palpebra per contemplare per quale assurdo motivo Ryou si fosse fermato proprio in quel momento, già pregustandosi in realtà una piacevole tortura come pegno per la litigata di quella giornata. Si corrucciò quando invece lo vide completamente distratto.
Con gli occhi sul suo interno coscia.
« Cosa? Shit cosa? »
Ryou esalò soltanto.
« … Shirogane, cosa?! »
Il biondo borbottò qualche altra sequela in inglese che lei decisamente non volle capire, e spostò la mano.
La bolla d’ansia che via via le si era andata formando in gola in quei secondi scoppiò all’improvviso come a sottolinearle un te l’avevo detto mentre i suoi occhi effettivamente mettevano a fuoco i contorni della voglia che svettava sulla sua pelle chiara.
La voglia rosa.
Quella a forma di cuore con due codine di gatto sopra.
La sua voglia da Mew Mew.
« Shirogane. »
Ichigo si poggiò sui gomiti, poi si contorse in avanti per controllare effettivamente che non stesse sognando, si sfregò la pelle con forza, quasi graffiandola, nella vana speranza che fosse un tatuaggio, uno scherzo.
« Oh no. No, no, no, no! » si tirò a sedere di scatto, continuando a stirare la pelle per osservare i contorni del marchio, « Cosa diamine significa?! »
« I have no idea… » bofonchiò lui, passandosi nervosamente una mano tra i capelli, « I computer non hanno segnalato niente se non Taruto, e… o almeno, Keiichiro non mi ha detto niente… »
« Che vuol dire che non ti ha detto niente?! Siete sempre imbucati in quel diavolo di laboratorio! »
Ryou avrebbe voluto sottolineare che da un mese a quella parte in realtà si era dedicato ben poco al suo nascondiglio nel seminterrato, ma sapeva che non avrebbe sortito alcun effetto. Tentò di allungare una mano verso Ichigo, che invece saltò giù da letto come una furia, le dita infilate nei capelli.
« Questa è follia, » esalò, camminando avanti e indietro, « Ti rendi conto di ciò che potrebbe significare? L’ultima volta che questo è spuntato fuori, noi… e ora che… che… »
Si bloccò all’improvviso, colta da un pensiero, fissando Shirogane a bocca aperta per l'incredulità, per qualche istante. Poi, il suo volto si trasformò in un’espressione spaventata.
Senza aggiungere una parola, corse fuori dalla camera per andare in quella di Kimberly, che stava ancora dormendo tranquilla ed indisturbata. Le si avvicinò, scostandole la copertina rosa per controllarle la gambina paffuta.
L'intero corpo le si congelò alla vista del segno Mew sulla coscia della bambina, e si dovette portare una mano alla bocca per non singhiozzare.
Ryou sentì un brivido ghiacciato corrergli lungo tutta la spina dorsale.
 
 
 
 
« Porca vacca! » Purin corse per l’ennesima volta davanti allo specchio, sollevandosi la frangetta per controllare di non star avendo un’allucinazione, « Lo vedi anche tu, vero? »
Taruto – impegnato a trafficare con uno strano aggeggio cui lei non prestò troppa attenzione – le lanciò uno sguardo di sbieco: « Mi pare evidente, scimmietta. »
« Dobbiamo andare subito dalle altre! » esclamò, voltandosi e afferrandolo per un polso, « Serve una riunione generale, questa cosa è grossa! E poi… ah. »
Si bloccò all’improvviso e tentennò, guardandolo da sopra la spalla: « Le nee-san saranno tutte arrabbiatissime, vero? Tipo… Ichigo-chan e Minto-chan… »
Lui sospirò e si grattò la fronte: « Ho appena avvisato Pai, era con Retasu… non mi sembra l’abbia presa molto male. »
« Ti sei dimenticato di come sono le nee-san, vero? »
« Pensi che la vecchiaccia starà sclerando di brutto? »
« Penso che non vorrei essere il Ryou nii-san, in questo momento. »
 
 
 
 
Fu come una vibrazione, un palpito remoto. Un richiamo antico che si accendeva all’improvviso.
Zakuro si bloccò nel bel mezzo dell’ingresso, le chiavi ancora sospese a mezz’aria sopra lo svuotatasche dove le riponeva sempre.
Si era sicuramente sbagliata, magari era stato solamente un terremoto. Forse quasi l’avrebbe preferito. Eppure, il suo cellulare era settato per gli avvisi automatici, ed era rimasto muto.
Si diresse svelta verso la camera da letto, lo specchio a parete di fianco all’armadio, e si arrotolò la t-shirt che indossava per scoprirsi l’ombelico.
Che sciocca, si disse sfiorandosi la pancia, l’istinto del lupo non si era mai sbagliato.
Quel giorno Shirogane gliene doveva proprio tante.
 
 
 
 
« Ichigo, ti prego, calmati. »
« Calmarmi? Calmarmi?! » sibilò irata la rossa, sforzandosi di non urlare solamente perché teneva Kimberly in braccio, ancora addormentata, « Stasera dal nulla mi è rispuntato il marchio da mutante che è comparso pure a nostra figlia! Che ha un mese, Shirogane! E io dovrei calmarmi!? »
« Non sappiamo ancora cosa significhi. Potrebbe non significare niente. »
« Ah certo, » rise lei sprezzante, « È sempre andata molto bene, in effetti. »
Le si bloccò un singhiozzo in gola e avvicinò la bimba al volto per inspirarne il suo dolce profumo, l’angoscia che però di contro non smise di crescere.
« Tu lo sapevi, vero? »
Quel mormorio fu per Ryou come una pugnalata di senso di colpa al cuore.
« Ichigo, era semplice genetica, » esclamò quasi implorante, « Entrambi abbiamo il gene del gatto Iriomote, attivo, e - »
« Semplice genetica un corno! » sbraitò lei in un sussurro, « Come ti è potuto passare per la testa di non dirmelo!? »
« Mi dispiace, l'ho fatto per non farti preoccupare! » replicò il biondo, tentando nuovamente di avvicinarsi, « Io non... non credevo che avremmo mai dovuto incappare in questa possibilità, e non volevo che tu ti preoccupassi inutilmente. »
« Ah, perché invece adesso sono tranquilla! »
Ryou fece per replicare, quando contemporaneamente lo squillo di entrambi i loro cellulari e un sonoro bussare alla porta d’ingresso riempirono la stanza. Ichigo si affrettò a portare Kimberly nella sua stanzetta per evitare che si svegliasse, l’americano invece si diresse al piano di sotto litigando pure con il telefono su cui svettava l’avviso di chiamata di Zakuro.
Shit, shit, shit.
« Shirogane, questa è la volta buona che io ti uccido sul serio. »
Minto quasi non aspettò che la porta si aprisse, marciando dentro come una furia e pressoché spingendo via il ragazzo, seguita da un Kisshu con un’aria invece appena divertita.
« Si avvisa prima di arrivare… » borbottò lui, declinando la telefonata per un più semplice messaggio, e la mora lo trucidò con lo sguardo:
« Si avvisa prima di iniettare DNA di animali in via d’estinzione che si riaccendono all’improvviso. »
Ryou decise fosse meglio mordersi la lingua, per una volta Kisshu gli rivolse un’occhiata comprensiva mentre si aggregavano in salotto.
« Ho detto a Purin e Retasu di venire qui, » Ichigo rispuntò dal piano superiore, in mano il baby monitor, « Puoi andare a prendere Zakuro e Akasaka-san? »
Kisshu fece un buffo saluto militare, sparendo senza aggiungere una parola.
In meno di tre minuti – rigorosamente passati in silenzio, Shirogane a testa bassa e invece lampi che uscivano dai capelli delle altre due ragazze – il salone di casa Shirogane si riempì come d’abitudine, ma con un’atmosfera molto diversa dal solito.
« Potete spiegarci cosa sta succedendo? » domandò Zakuro, senza molti preamboli, incrociando le braccia al petto.
Ryou e Keiichiro si scambiarono un’occhiata silenziosa, il secondo che accennò con la testa verso i divani in maniera di stemperare un minimo la situazione.
« Non ne siamo esattamente sicuri, » esclamò poi sottovoce quando si furono accomodati tutti, Ichigo esattamente dal lato opposto rispetto al suo fidanzato e attaccata invece a Minto, combattiva tanto quanto lei, « I computer hanno rivelato solamente l’arrivo di Taruto, niente più. »
« Potrebbe essere stato quello? » domandò Purin – come sempre seduta sul tappeto in mezzo a tutti – lanciando un’occhiata all’ultimo arrivato.
Keiichiro si limitò a stringersi nelle spalle: « Non si spiega il ritardo nella comparsa dei vostri marchi, però. Ma è una possibilità. »
Pai annuì sovrappensiero: « Forse il fatto che ora siamo tutti e tre qui ha scatenato la risposta dei vostri geni dei Red Data. Come una volta. »
Zakuro voltò appena il viso verso di lui: « Non è che ne sapete qualcosa, voi tre, appunto? »
Kisshu si appoggiò allo schienale con un sorrisetto sarcastico: « Non è che è sempre colpa nostra quando succede qualcosa qui intorno, dolcezza. »
« Non abbiamo rilevato niente di anomalo con i nostri sistemi, » s’intromise velocemente il fratello maggiore, lanciandogli un’occhiataccia, « Direi che più concretamente, un ripetersi delle condizioni originali che hanno portato alla nascita delle Mew Mew ha innescato un rinforzarsi dei vostri poteri e quindi la comparsa del vostro simbolo. »
« Be', sarà quel che sarà ma vedete risolverlo in fretta, perché Kimberly ha la nostra voglia nel mio stesso identico punto, ed il signorino qui non si è neanche degnato di avvisarmi! » esclamò Ichigo.
Mentre un sussulto di sorpresa correva tra i presenti, Keiichiro si sporse in avanti, tentando di portare soccorso all’amico: « Ichigo cara, non devi preoccuparti. Senza la spilla che attiva i poteri, il DNA di Kimberly è innocuo. La terremo sempre controllata, non è grave. »
« Avrebbe dovuto dirmelo, e lo sai benissimo. Non tenerlo segreto solo tra voi due. E come cavolo avete fatto, quando è nata, le hanno fatto degli esami e nessuno… »
« Abbiamo un contatto all’interno della struttura, » bofonchiò Shirogane, torturandosi ancora la frangia, « Si chiama Joel, lavorava nei nostri laboratori negli Stati Uniti e ha… collaborato anche un po’ durante il progetto Mew. È fidato, e ha preso lui in carico tutti gli esami. »
« Ah be’, se c’è Joel allora… »
« Ichigo, era comunque tutto a posto - »
« Sì ma io te l’ho chiesto, » sibilò lei, guardandolo per la prima volta da quando si erano seduti con occhi pieni di rancore, « Io ti ho chiesto se fosse tutto a posto, tutto normale, e tu mi hai detto sì! E mi hai mentito! »
« Ma è tutto a posto! »
« Come minimo tra tredici anni dovrà trovare dei passeri da baciare per tornare umana! »
« Adesso basta, Ichigo, » Zakuro allungò una mano verso di lei, toccandole gentilmente il polso per tranquillizzarla, « È tardi, non ha senso litigare a quest’ora, ancor più che siamo tutti confusi su ciò che sta succedendo. Dormiamoci sopra e pensiamoci domani. »
« Mi sembra un’ottima idea, » concordò Keiichiro, « Così possiamo cominciare anche a fare un aggiornamento più profondo dei nostri sistemi di monitoraggio, o capire cosa possa essere stato. Pensarci a mente fresca sarà meglio. »
« Io vado a dormire da Minto, » Ichigo si tirò in piedi di scatto, senza guardare in faccia nessuno, « E Kim viene con me. »
« Ichigo, » Ryou si alzò e la raggiunse, quasi rincorrendola su per le scale, « Ichigo, parliamone un secondo. »
« Non c’è niente da dire, » replicò secca lei sottovoce, agguantando nel buio della stanzetta il borsone della bimba con cui di solito uscivano e le prime cose che le capitarono sottomano, « Tutto quello da dire andava detto prima. »
« Se anche l’avessi saputo, cosa sarebbe cambiato? Nessuno di noi aveva previsto che la voglia sarebbe ricomparsa. »
« Tu sei quello che capisce queste cose, tu sei quello che ha deciso queste cose, quindi tu dovevi far in modo che fosse tutto sotto controllo! »
Shirogane abbassò le braccia di scatto, ferito come tutte le volte da quell’accusa, rimanendo in silenzio mentre la rossa prendeva in braccio la bambina, cercando di non svegliarla. Senza guardarlo, Ichigo marciò di nuovo al piano di sotto e la sistemò nella sua carrozzina, voltandosi poi verso Kisshu.
« Andiamo? »
Il verde evitò di sbuffare vistosamente giusto per non peggiorare ancora la situazione, vista la tensione tagliabile con un coltello, e lanciò solo uno sguardo a Minto; lei per tutta risposta si alzò e sibilò una buonanotte pieno di significato.
« A domani, nee-chan, » cercò di mormorare solamente Purin, venendo completamente ignorata da entrambe le amiche.
Il fischio sottile del teletrasporto fu seguito da una sequela sottovoce di parolacce inglesi da parte di Ryou, che finì di scendere le scale lentamente.
« C’è… qualcosa che possiamo fare? » gli domandò titubante Retasu, ancora sconvolta dal rapido declino della situazione.
L’americano scosse solo la testa in risposta: « No, andate a casa a riposare. Tanto non c’è molto da fare. »
Keiichiro si alzò e gli andò incontro con fare fraterno: « Domattina per prima cosa andrò a controllare i nostri computer. Se Ikisatashi-san potesse… »
« Andrò a controllare che non ci siano avvisi anche sui nostri sistemi, » Pai annuì e guardò suo fratello minore, che annuì lentamente, « Ma finora non abbiamo ricevuto segnalazioni di nessun tipo. »
« Grazie mille, Ikisatashi-san. »
Fece un cenno di saluto e si scambiò un’altra occhiata con Taruto, che si alzò e porse una mano a Purin, la quale la afferrò senza aggiungere altro.
Una volta che il salotto si fu svuotato, ad eccezione di Zakuro e Keiichiro, Ryou raggiunse il sofà e vi si lasciò letteralmente cadere sopra con un lamento esasperato.
« What the fucking hell. »
Zakuro stessa affondò un po’ di più nel divano, poggiando la testa contro lo schienale e girando appena il volto per guardarlo: « Perché oggi ti cacci in tutti questi guai? »
L’americano le lanciò un’occhiataccia prima di sfregarsi la faccia: « Grazie del supporto. »
« Questa te la sei cercata. »
Akasaka intervenne prima che Ryou aprisse bocca: « Devi dare a Ichigo-chan solo una notte per calmarsi e processare la questione. Sai che è particolarmente fragile in questo momento. »
« I know, I know, » l’americano continuò a spingersi i pugni contro gli occhi, improvvisamente secchi e doloranti, « Era l’ultima cosa che mi serviva. »
« Magari ti serve per aprirti di più al dialogo. »
« Da che pulpito. »
« Ciò che mi preme è scoprire cosa stia succedendo, » insistette Keiichiro, « Ma mi fido di entrambi i nostri sistemi, e se effettivamente non hanno rilevato anomalie, potrebbe essere semplicemente una reazione alla presenza dei tre Ikisatashi. E se serve che spieghi a Ichigo perché Kimberly non si troverà comunque in pericolo, basta chiamarmi. »
« Dubito che voglia ascoltare qualcuno, » borbottò solo Ryou, più cupo che mai.
« Inutile piangere sul latte versato, » con uno sbuffo, Zakuro si tirò in piedi e distese le rughe invisibili della sua maglietta, soffermandosi qualche secondo in più sull’ombelico come ad accertarsi che fosse davvero coperto, « Ora trova una spiegazione a tutto ciò e una maniera di parlare con Ichigo. »
« Decisamente semplici. »
« Non sarà il sarcasmo a tirarti fuori da questa situazione, Shirogane. »
« Vi prego, non litigate voi due, almeno. »
« Non stiamo litigando, » la modella si concesse un sorrisetto mentre si avviava verso la porta, « Sto solo cercando di riscuoterlo dal suo sconforto, che è inutile, con un metodo del tutto suo. »
Ryou scelse di non rispondere, contenendosi a soffiare tra i denti, e rimase fermo sul divano anche quando sentì l’uscio chiudersi e Keiichiro sospirare. Il moro attese qualche altro istante, poi si batté le mani sulle ginocchia e si alzò anch’egli.
« Chiamami se serve, d’accordo? » ripeté stancamente al suo protetto, cui rivolse anche una stretta alla spalla.
« Ci aggiorniamo domattina. »
La casa divenne incredibilmente silenziosa non appena il pasticcere si fu tirato la porta alle spalle, e Ryou tossì solo per riempire il ronzio nelle orecchie. Aveva tanto bramato un po’ di calma negli ultimi tempi che gli sembrò invece insopportabile, in quel momento.
Si decise finalmente a staccarsi le mani dal viso e si alzò di scatto, recuperando il cellulare e tentando una telefonata che – lo seppe non appena sbloccò lo schermo – non avrebbe avuto risposta. Sibilò una sequenza di maledizioni in lingua madre e riprovò ancora, maledicendo la testardaggine di entrambi; una scarica di emicrania gli attraversò il cervello, già abbastanza provato, e un’incredibile stanchezza assalì le sue membra.
Doveva solo riposare, si costrinse, ordinando alle gambe di dirigersi in camera da letto, far ricaricare il cervello e ritrovare la concentrazione necessaria a risolvere tutto quel casino. A costo di hackerare il cellulare di Ichigo per far in modo che alzasse quella benedetta cornetta.
 
 
 
 
Retasu si strinse al braccio di Pai quando lasciarono casa di Ichigo e Ryou: « Che serata! » sospirò « Sei preoccupato? »
Il moro la guardò dall’alto con curiosità: lei era quella a cui era rispuntato il marchio che attestava il suo incrocio genetico con un animale in via d’estinzione, e lei era quella che chiedeva a lui se era preoccupato?
« No, » rispose soltanto, cercando di essere rassicurante, « Tu? »
La ragazza esalò un lungo respiro tremolante prima di rispondere, sistemandosi gli occhiali un paio di volte: « Non lo so. Forse vorrei… delle risposte, più che altro. O delle certezze. »
Si grattò sovrappensiero il petto, lì dove era rispuntata la voglia, e all’improvviso le sembrò più esposta che mai. Pai probabilmente riconobbe il gesto nervoso, perché chiuse dolcemente le dita sulle sue, costringendola a smettere, poi lei avvertì il risucchio gentile del teletrasporto all’ombelico e in pochi secondi furono di nuovo tra i lampioni, lì dov’erano rimasti solo mezz’ora prima.
« Cercheremo di darvi tutte le risposte al più presto possibile, » le disse l’alieno, continuando a stringerle la mano.
« Lo so, » Retasu tentò di sorridere in maniera convincente, « E in ogni caso… stavolta siamo insieme, giusto? »
Le iridi ametista furono attraversate per un istante da ciò che parve rimpianto: « Giusto, » le confermò l’alieno sottovoce.
La ragazza prese un sospiro e intrecciò le loro dita d’entrambe le mani, guardandolo dritto negli occhi: « Sai che non mi piaceva combattere, non mi piace tutt’ora e non cambierò idea. Ma… se non ci fosse stato questo, non… non ti avrei mai conosciuto. Quindi, in qualche modo, gli sono grata. »
Di nuovo, Pai avvertì il senso di colpa divampargli nel petto: « Avrei preferito conoscerti in circostanze differenti, » mormorò con una punta di ironia che le strappò uno sbuffo divertito, « Avrei voluto… trovarti prima. »
« Lo so, » ripeté lei, costretta a spostare lo sguardo perché incapace di sostenere l’intensità del suo viso, « Ora però abbiamo un sacco di tempo per recuperare. »
L’alieno l’attrasse a sé nello stesso istante in cui lei si sporse verso di lui, avvolgendogli le braccia intorno al collo. Pai la strinse per la nuca e mischiò i loro respiri con forza, sfruttando il cono d’ombra per far aderire i loro corpi il più possibile. Anche se fosse passato qualcuno, pensò, in quel momento non gli sarebbe importato più di tanto: il calore, la morbidezza, la realtà del corpo di Retasu contro al suo era la sola cosa che gli premeva avvertire. Sapeva, però, nonostante il trasporto, che non sarebbe stato lo stesso per la ragazza e non voleva, d’altronde, spingerla troppo, quasi correre un rischio o in qualche maniera sfruttare una situazione così complessa e improvvisa; a malincuore, dunque, e con estrema lentezza, si staccò da lei, senza riuscire tuttavia a non bearsi dell’espressione persa che le vide fare, o del fiatone, o del rossore decise sulle gote.
Retasu stessa si allungò ancora una volta verso di lui per strappargli un ultimo bacio più lento, con un sospiro deliziosamente rilassato, le dita che si intrecciarono alle sue.
« Devi andare, » le sussurrò poi contro le labbra, che baciò di nuovo, scostando una mano per sfiorarle il collo e avvertendo il suo battito impazzito, « O i tuoi si preoccuperanno. »
Alla ragazza quasi scappò uno sbuffo divertito all’avvertimento, che suonava così strano e anche un po’ infastidito detto da lui, ma annuì e di malavoglia fece un passo indietro.
« Ci vediamo domani, » sussurrò senza fiato, sentendo le gote infiammarsi ancora di più mentre pian piano riprendeva il controllo di se stessa.
Pai fece cenno di sì e rimase nel suo cono d’ombra finché non la vide scomparire dentro casa: « A domani. »
 
 
 
 
« Ce l’ha anche lei, ti rendi conto! » sussurrò Ichigo con rabbia per l’ennesima volta, continuando a cullare piano Kimberly contro la spalla, più per tenerla vicino a sé che per effettiva necessità della bimba, che dormiva beata, « E non me l’ha detto, non mi ha palesato la possibilità, no!, la certezza della questione! »
Minto, seduta a gambe incrociate sul suo letto, si massaggiò la fronte con una mano e sospirò; non era dell’umore di difendere Shirogane – per niente – però era stanca e confusa e desiderosa solamente di infilarsi tra le lenzuola: « Lo so, Ichigo, ma hai sentito che ha detto Akasaka-san… »
« Ah, e mi telefona pure, adesso! » riprese la rossa come se non l’avesse nemmeno ascoltata (cosa del tutto probabile, si rese conto l’altra), lanciando uno sguardo pieno d’astio al telefono che vibrava nel bel mezzo del materasso, « Doveva trovarla prima, la voglia di parlare! »
« Forse dovresti sentire cos’ha da dire. »
Ichigo si bloccò a metà del suo giro della stanza e la guardò storto: « Da che parte stai, scusa? »
« Non è questione di parti, Ichigo, però… Shirogane non è stupido. Distratto da te, molto probabile, l’abbiamo sempre saputo, ma decisamente non un idiota. Su certe cose lo ritengo abbastanza pronto. »
« Sulle mie randomiche trasformazioni feline non era certo preparato! »
« Ichigo, lo sai pure tu che sei sempre stata esageratamente emotiva, non incolpare gli altri per le tue disfunzioni ormonali. »
La rossa emise un suono vagamente simile a un ruggito, scuotendo la testa; compì qualche altro giro per la camera da letto di Minto, poi adagiò con cura la bimba nella carrozzina, sua culla per la notte, e si appoggiò con entrambe le mani sui bordi, gemendo sottovoce disperata: « Guardala, Minto, è… è così piccola, e io non posso pensare ad altro che a proteggerla, però con questo… »
Alla mora si strinse il cuore a vederla tanto angosciata, così si alzò e le si avvicinò per accarezzarle dolcemente la schiena: « Ho piena fiducia nelle parole di Akasaka-san e in quelle degli altri quando dicono che non è niente. E in ogni caso, stavolta il segno Mew non ci ha prese del tutto alla sprovvista, non abbiamo più tredici anni, sappiamo cavarcela. Ora vado a prenderti un pigiama e mi faccio portare del tè, d’accordo? »
Ichigo annuì, tirando su con il naso e continuando ad accarezzare piano i capelli biondo-rossicci di Kimberly. In silenzio, Minto uscì dalla stanza, si chiuse la porta alle spalle ed esalò, cercando di calmarsi. Era più facile ostentare tranquillità quando doveva rassicurare Ichigo, ma non poteva negare a sé stessa quella sensazione opprimente di ansia che le stava restringendo la gola e le faceva pizzicare quel punto tra le scapole. E aveva pure mentito, realizzò, nel cercare di tranquillizzare l’amica, cosa che non le rendeva la situazione più leggera.
« Ehi, » sobbalzò quando vide Kisshu, in penombra, staccarsi dal muro a braccia incrociate e andare verso di lei, « Tutto okay? »
« Più o meno… » prese un respiro e lo guardò, « Sei ancora qui? »
« Certo, » rispose lui con ovvietà, « Rimango anche, se necessario. »
« Meglio di no, » la mora scosse la testa e accennò alla porta, « Ichigo ha bisogno di non rimanere da sola, stasera, e… già faremo fatica a dormire, se ci metti pure la bimba… »
Kisshu, per una volta, tenne a freno la lingua vista la situazione e le prese il volto tra le mani: « Chiamami domani, d’accordo? Andrò presto con i miei fratelli all’astronave, ma un secondo e sono da te. »
Minto scrutò gli occhi dorati, accigliandosi: « Kisshu, mi devi giurare che non sta succedendo nulla e che voi non ne sapete niente. »
« Proprio non ti fidi, eh? »
« Kisshu. »
L’alieno sospirò e poggiò la fronte contro quella di lei: « Pensi che ti metterei mai in pericolo volontariamente? »
La smorfia sul viso della mora perdurò qualche altro secondo mentre continuava a indagare il suo sguardo, poi lei rilassò un poco le spalle e fece un passo indietro: « Meglio che vada, non vorrei che Ichigo mi distrugga la stanza. »
Kisshu la strinse un momento di più, dandole un bacio e mormorandole la buonanotte; anche quando lei si avviò per il corridoio, stringendosi un poco la vestaglia sulle spalle, rimase ad attendere qualche istante, prima di scomparire con un soffio.
 
 
 
 
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Ryou sbuffò e per l’ennesima volta si rigirò tra le lenzuola, alla ricerca della posizione più comoda per riprendere un briciolo di sonno.
Quella era stata decisamente la settimana più stressante della sua vita: l’incontro con Aoyama che – si vergognava quasi ad ammetterlo a sé stesso – ogni volta riportava a galla irritanti ricordi, il ritorno improvviso di Taruto – come se non ci fossero già abbastanza alieni tra loro – la litigata con i Momomiya, e per finire la ciliegina sulla torta di quella sera.
Qualcuno lassù mi deve proprio detestare.
Lanciò un’occhiata alla sveglia sul comodino: l’alba sarebbe arrivata di lì a poco, grazie all’arrivo dell’estate, ma era comunque un orario indegno. Emise un altro sbuffo di irritazione e lanciò il lenzuolo via da sé; non aveva senso continuare a insistere, era perfettamente conscio che non si sarebbe riaddormentato quindi tanto valeva iniziare a cercare di risolvere almeno uno dei problemi.
L’odore del caffè bollente appena fatto gli solleticò piacevolmente le narici e accese alcuni dei suoi neuroni, che intrapresero a mettere insieme i vari pezzi del puzzle, e il ronzio del computer nel suo studio riempì il silenzio, riportandolo a situazioni molto simili di tanti anni prima. Una volta avviati i suoi programmi, si immerse totalmente nel lavoro, ricadendo in un modello ormai collaudato e familiare, anche se si rese conto che stava facendo più fatica del solito e non sapeva se addossare la colpa ai vari pensieri che gli vorticavano in testa o al fatto che la mancanza di sonno era più acuita che mai.
Solo quando la luce del mattino si fece più prepotente decise che fosse arrivato il momento di prendersi una pausa; si stropicciò gli occhi secchi e arrossati e si lasciò cadere contro lo schienale della sedia, afferrando il cellulare svogliatamente. Quasi se l’aspettava, ma si era dimenticato in effetti dell’innata capacità di Ichigo di tenere il muso: nonostante le avesse mandato innumerevoli messaggi, email, e telefonate nel corso della notte, il suo telefono non mostrava nemmeno uno straccio di notifica.
Con uno sbuffo lo lanciò sul divano di pelle e si sfregò nuovamente la faccia, alzandosi per riempirsi una terza volta la tazza; avrebbe voluto andare al laboratorio e utilizzare i computer più potenti per indagini più approfondita, ma sapeva che prima avrebbe dovuto sistemare la faccenda con la rossa.
Il che voleva dire marciare a villa Aizawa e pretendere di parlare faccia a faccia con lei. Come esattamente passare attraverso il Cerbero che sicuramente Minto sarebbe stata in quel momento, sarebbe stata la fase due del piano.
Ben sapendo che anche in quella situazione Ichigo non si sarebbe tirata giù dal letto prima delle otto, a costo di dormire con Kimberly attaccata al seno, bevve con molta lentezza la sua tazza di caffè, riflettendo su come incastrare i passaggi successivi.
E se giocare sporco almeno un pochino.
 
 
 
 
« Niente? »
« Niente, » Pai si passò una mano tra i capelli e scosse la testa in risposta a Kisshu, tentando invano di sciogliere la tensione delle spalle.
« Io ve l’avevo detto, » commentò a voce bassa Taruto, staccandosi dal tronco su cui si era poggiato, « Anche i registri sono puliti. »
I tre fratelli Ikisatashi si incamminarono nel boschetto appena fuori Tokyo in cui avevano deciso di creare la dimensione parallela in cui nascondere l’astronave, approfittando dell’aria fresca e piena di rugiada di quella mattina per schiarirsi un po’ le idee.
« Che casino, » considerò Kisshu con un sospiro, cacciando la testa all’indietro, « Già è tanto che la tortorella non si sia messa a lanciare vasi. »
« Quella è la tua preoccupazione? »
« Come se tu non stessi per correre dalla pesciolina a controllare che vada tutto bene. »
Pai rispose con un grugnito non meglio definito e si allontanò di qualche passo rispetto ai fratelli, per poi fermarsi di scatto e voltarsi verso di loro con sguardo duro: « Raddoppiamo i turni di comunicazione. »
« Ah, ma sei serio? » si lamentò Kisshu, infilando le mani nelle tasche e alzando gli occhi al cielo, « Anche in questo modo, con il tempo che ci vuole… si fa solo prima a - »
« Dì un’altra volta un comunicatore al Caffè e ti stacco la lingua. »
Il verde si limitò a muovere la testa in una maniera che sembrava significare te l’avevo detto, ma si guardò bene dall’aggiungere altro e riprese la sua marcia.
Per qualche minuto continuarono a camminare senza parlarsi, ascoltando solo i rumori quasi rassicuranti del boschetto, poi Taruto scrutò dal basso la schiena del maggiore: « E se…? »
« No, » Pai nemmeno si voltò, scostando solo un ramo dal suo tragitto, « Continuiamo a monitorare. »
 
 
 
 
Aveva contravvenuto alle sue abitudini solo perché sapeva che con un mezzo di trasporto proprio avrebbe probabilmente, in quel momento e con un po’ troppa caffeina in corpo, violato qualche limite di velocità, che non sarebbe stato una gioiosa ciliegina extra sulla torta. In più, l’aria fresca del mattino e l’esercizio fisico avevano contribuito a schiarirgli le idee, ma si concesse in ogni caso un grosso respiro profondo non appena svoltò l’angolo del lussuoso quartiere dove si trovava casa di Minto.
Si tastò la giacca di jeans e ne estrasse il cellulare, su cui aveva ricevuto solo qualche aggiornamento da Keiichiro e da Pai; Einstein aveva detto che la follia era ripetere alla nausea la stessa azione aspettandosi risultati differenti, quindi finalmente compose un numero diverso.
« Con me le tue tecniche di seduzione non funzionano. »
Ryou strinse le labbra per non sbuffare, incredibilmente divertito: « Buongiorno, Aizawa. Ti ho svegliato? »
« Non sono una pigrona come la tua fidanzata, » rispose Minto, ma la voce arrochita gli fece capire che doveva essere parecchio stanca, « E comunque, è già tanto se abbiamo dormito quattro ore. »
« Come sta? »
Poté quasi udire la mora alzare gli occhi al cielo: « Questo tuo favoritismo nei confronti di Momomiya sta cominciando a diventare esasperante. »
« Minto. »
« Ho cercato di mediare a tuo favore, cosa per cui mi sei ancor più debitore, ma Ichigo neo-mamma è ancora più sensibile di quella normale, » sospirò esausta, « Ci siamo addormentate tardi, e si è rotolata tutta notte. Però non posso dire che non la capisco, Ryou. Questa cosa ci ha fatto paura a tredici anni, non è meno complicata ora, anzi. Credo ti ci vorrà un po’ ad ammorbidirla. »
« D’accordo, » Ryou calciò un sassolino del pavé e poi alzò lo sguardo verso il portone che gli stava di fronte, « Allora se mi apri, vengo a parlarle. »
Un’esclamazione di sorpresa – la versione Aizawa di una parolaccia – gli rimbombò nell’orecchio, prima che la linea fosse interrotta. Non aspettò a lungo per vedere un maggiordomo in livrea affacciarsi da dietro al legno per accoglierlo, e poi Minto, accuratamente pettinata nonostante la nottataccia e con una elegante vestaglia di seta sopra il pigiama, che scendeva lo scalone e gli andava incontro con deciso cipiglio.
« L’ha presa da te questa brutta abitudine di presentarsi senza preavviso? »
Shirogane osò varcare la soglia: « Minto, te lo chiedo come favore. Sai benissimo che ho tutto il diritto di andarle a parlare, e soprattutto di vedere Kimberly. Sai meglio di me quanto sia fastidiosa l’abitudine di Ichigo di prendere e partire. »
La maniera in cui la padrona di casa mosse la bocca gli fece capire che aveva centrato nel segno, ma lei si ostinò comunque ad incrociare le braccia: « Anche quando Ichigo ti perdonerà, perché tanto lo sappiamo come siete voi due, sappi che io non te la farò scontare tanto facilmente. »
« Cosa saremmo noi – anzi, fa niente, non voglio saperlo, » Ryou sbuffò e accennò al piano di sopra, « Posso passare? »
Minto gli lanciò un’ultima occhiataccia, poi sospirò e fece mezzo passo di lato: « È in camera mia. Io vado a fare colazione. »
« Thank you. »
Shirogane si trattenne dal fare i gradini a due a due solo per il via vai di personale che si aggirava per le stanze e perché non gli sarebbe convenuto, in realtà, arrivare sudato. Un po’ a memoria, un po’ a intuito, individuò la stanza di suo interesse, da cui udì provenire la voce sottile di Ichigo che canticchiava una delle ninna-nanne di Kimberly.
Prese un respiro e bussò leggero le nocche contro la porta: « Ginger, sono io. »
La canzoncina s’interruppe di colpo, ma quando lui provò ad abbassare la maniglia, trovò la serratura bloccata.
Forse Minto non aveva fatto poi molti sforzi a mediare per lui.
« Ichigo, apri la porta, » insistette e attese qualche istante percependo solo silenzio dall’altra parte, e le parole di Shintaro gli fluttuarono proverbiali in mente, « Ichigo, smetti di fare la bambina e apri questa porta. Voglio vedere mia figlia e io e te dobbiamo parlare. Per favore, » aggiunse in tono più calmo.
Sentì il rumore della serratura che scattava, ma la porta stessa rimase chiusa, così Ryou attese qualche secondo di più e poi entrò in camera di Minto con tutta la pazienza che poteva avere.
Ichigo era seduta a gambe incrociate nel centro del letto a giocare con Kimberly, che sgambettava allegramente, e non lo guardò né al suo ingresso, né quando le si avvicinò.
« Ora posso essere messa al corrente della situazione? » mormorò solo, la voce distorta dal magone.
Ryou prese un respiro e si passò una mano tra i capelli: « Non puoi davvero pensare che l’abbia fatto apposta, o che non abbia pensato a cosa fosse meglio per te e per lei. »
« Me lo dovevi dire, » ripeté la rossa in un sibilo incollerito, « Ora queste cose le devi condividere con me. »
« Non stavo cercando di tenerlo segreto. »
Lei emise uno sbuffo sarcastico: « Ah no? Mi avresti avvisato quando al primo bacio le sarebbero spuntate orecchie e coda? O quando al suo primo appuntamento sarebbe stata assalita da un topo gigante? »
« Ichigo… » l’americano aggirò il letto e le si inginocchiò di fianco, ma lei rimase con il capo chino a rivolgere sorrisi tristi alla bambina.
« Se non fosse successo questo, forse avrei anche capito… » aggiunse dopo un po’, sfiorandosi la voglia rosa sulla coscia, « Però è successo, e mi fa paura. Soprattutto per lei. E se c’è una cosa di cui mi fidavo, con te, è che avresti sempre avuto tutta questa situazione sotto controllo. »
« Ginger, » Ryou si decise a prendere una mano e tirarla appena verso di sé, « Ho fatto una cazzata a non dirti chiaramente dei geni di Kimberly, d’accordo? E mi dispiace. Ma per una volta che tutto stava andando bene, me ne sono dimenticato, non gli ho dato importanza, perché credevo non avrebbe avuto rilevanza ora. Era tutto come doveva essere, e per una sola volta ho voluto provare a vivere una vita che fosse normale, per quanto incredibilmente inappropriata sia quella parola. »
La ragazza finalmente spostò gli occhioni verso di lui, arrossati e di nuovo pieni di lacrime, e Shirogane sospirò prima di riprendere a parlare: « Però ti giuro che non abbiamo riscontrato niente nei nostri sistemi, né in quelli degli Ikisatashi, e non c’è un segnale che può prevedere la ricomparsa dei vostri poteri. Potrebbe davvero avere solamente a che fare con il fatto che sono tornati tutti e tre, portandosi dietro della Mew Aqua. »
Ichigo storse il naso, lasciando però la mano in quella di lui: « Ci sono un po’ troppi condizionali perché possa essere rassicurante. »
Il biondo si lasciò scappare un mezzo sorriso: « Forse dovremmo già essere abituati a una vita piena di imprevisti, non trovi? »
Lei emise un mugolio indefinito, spostando di nuovo lo sguardo sulla bimba che stava sbadigliando. Una parte di lei le stava sottolineando di sapere che lui aveva ragione: era stato tutto così perfetto e meravigliosamente imprevisto, fino a quel momento, che tutti loro si erano abituati a vivere a quel modo, senza ulteriori preoccupazioni, perché ne erano successe ormai così tante che il resto sembrava paradossale. Dall’altra, non poteva negare di starsi sentendo morire al pensiero che quella creaturina così piccola, così indifesa, che era uscita da lei così poco tempo prima potesse essere esposta anche solo a una frazione di ciò che aveva dovuto vivere lei.
« Ho paura, » sussurrò solo, ricacciando indietro un singulto. Avvertì la mano di Ryou stringersi più forte intorno alla sua, poi il dondolio del materasso e le braccia che l’avvolsero e in cui lei decise di lasciarsi cadere.
« Lo so, ma qualunque cosa succeda, l’affronteremo insieme. Come sempre. »
Ichigo si staccò quanto bastava per guardarlo da sotto in su: « Ora però mi stra-giuri che mi dirai sempre tutto. »
« Yes ma’am, » replicò lui con una punta di ironia, sfiorandole le guance con i pollici, « Però mi devi credere quando ti dico che non pensavo sarebbe successo. Io stavo... pianificando altre cose, e il resto mi è passato di mente. Non significa che non ritenga importante nostra figlia o la nostra relazione, o tutto il resto. Semplicemente l’ho… accantonato. »
La rossa si accigliò e il suo viso fu attraversato da un’espressione confusa e dubbiosa: « In che senso altre cose? »
L’americano, invece, sorrise con fare misterioso. Logico che avesse carpito solo quella parte del discorso: « Other things. »
« Shirogane, non sei nella posizione migliore ora! » sberciò lei, più dubbiosa che mai, spostandosi un pochino di più, « Cosa stai tramando?! »
« Se vieni a casa te lo spiego. »
Ichigo lo osservò ancora qualche istante, stringendo gli occhi: « Sono troppo stanca per questi giochetti. E guarda che sono ancora arrabbiata con te. »
« Prometto che ti passa. »
Lei persistette a scrutarlo una manciata di secondi in più, poi gli si arrampicò addosso come un koala, rilassandosi più che poté nel suo abbraccio.
« Questo pannolino lo cambi tu. »
« Alright, alright. »
 
 
 
 
Sistemata Kimberly, recuperate le poche cose che Ichigo si era portata dietro, e salutata con molta diplomazia una Minto ancora poco convinta della situazione, Ryou afferrò il manico della carrozzina e insieme si incamminarono lentamente verso casa. La rossa rimase in silenzio per la maggior parte del tempo, a braccetto con lui e praticamente seguendolo in maniera automatica, e il biondo le lasciò qualche bacio sulla testa come a rassicurarla di tutto ciò che le aveva detto. Si riscosse solo quando notò, con una certa curiosità, che non si stavano dirigendo direttamente verso casa, ma che l’americano in realtà l’aveva condotta al parco.
« Così allunghiamo, però, » mormorò in maniera lamentosa, soffocando uno sbadiglio.
« Fidati un secondo, » insistette lui, svoltando in uno dei sentierini ben tenuti.
Ichigo iniziò a guardarsi intorno con più interesse, riconoscendo meglio l’area dove la stava conducendo; si morse il labbro inferiore quando, in un punto quasi a caso, Ryou si fermò, mise i freni alla carrozzina, e poi la guardò con un’espressione quasi divertita. Lei attese in silenzio, alzando appena le sopracciglia, e quando lui non proferì parola, fece un mezzo giro su sé stessa per localizzarsi del tutto.
« Qui è dove il topo gigante ha attaccato me e Aoyama-kun, » dichiarò infine, anche se la sua stessa realizzazione non la stava aiutando, « Che ci facciamo qui? »
« Qui è dove ti ho incontrata la prima volta, thank you very much, » la corresse lui, dandole un buffetto sul naso, « E dove ho capito fin da subito che eri un tipetto interessante. »
Ichigo fece una smorfia al ricordo e poi incrociò le braccia al petto con aria di sfida: « Mi hai anche accusato di essere grassa. »
« Assolutamente no. Ho solo detto che eri più pesante di quanto pensassi. »
Controllando che non ci fosse nessuno, che Kimberly fosse al sicuro e ben addormentata, svelto come un gatto Ryou afferrò Ichigo e con un balzo scattò sull’albero, come tanti anni prima, facendoli atterrare in piedi.
« E vale ancora, direi. »
La rossa spalancò la bocca, a metà tra l’essere sorpresa, offesa, ed agitata: « E tu sei il solito sfrontato! »
« Ichigo Momomiya, » la interruppe con una mezza risata, « Avevo già pensato di portarti qui, ma devo dire che ora è quasi… profetico. »
Ci volle qualche secondo perché la ragazza potesse processare le parole: all’inizio, tutto il colore scomparì dal suo viso, per poi ritornare prepotente tutto in una volta, causandole una notevole sfumatura violetta.
« Shirogane… che stai facendo? »
Lui rovistò nella tasca della giacca e ne tirò fuori una scatoletta in velluto nero: « Ce l’ho da febbraio. Lo porto con me da allora. E nonostante tutte le invettive di tuo padre, che mi accusa di non renderti una donna onesta, ho sempre aspettato il momento giusto. Perché vorrei che mi dicessi di sì perché lo vuoi davvero, e non perché ti sembra che la situazione lo richieda. Ecco perché mi sono arrabbiato così tanto con lui, l’altro giorno. Perché sono mesi, per non dire anni, che vorrei chiedertelo. »
Ichigo dovette appoggiarsi al tronco dell’albero per non perdere l’equilibrio, visto che i suoi polmoni si svuotarono di colpo: « Tu… tu stai per… ? »
Ryou piegò appena un sopracciglio: « Se devi reagire male, mi rimangio tutto. »
« No! » lei portò avanti le mani e poi si riappiccicò all’albero, con il cuore che le batteva in gola, « No, basta che non ci sia… pubblico o cose strane. »
« Vuoi dire più strane di noi sull’albero dove ci siamo conosciuti sette anni fa? »
« Che ne so, tu sei americano. »
Il biondo rise e giocherellò con una ciocca rubino prima di accarezzarle una guancia: « Ti ho portato qui perché è dove è iniziato tutto. Quando ti ho incontrata, ho pensato subito che fossi una ragazzina lagnosa, pasticciona, irritante, dall’orribile caratteraccio. E non è cambiato molto. »
« Shirogane! Ti sem – »
« Ma, » continuò lui con un sorriso, « Ho anche sempre pensato che tu fossi solare, combattiva, testarda in quello che vuoi e premurosa con le persone a cui vuoi bene. Ti ho vista sacrificarti senza pensarci un secondo, e ho sempre saputo che avrei fatto lo stesso per te. »
Ichigo dovette impartire un ordine vero e proprio ai suoi polmoni di riempirsi e ricominciare a funzionare, perché sembrava che il suo intero corpo avesse smesso di lavorare, completamente rapito dagli occhi azzurri che la stavano scrutando con un’intensità tale da farle cedere le ginocchia. Ryou approfittò del suo silenzio per avvicinarsi ancora di più e poggiare la fronte contro quella di lei:
« Purtroppo è vero che ho sempre avuto un debole per te, fin dall’inizio. E ora che posso amarti come vorrei, ho intenzione di farlo per sempre, se me lo concederai. Mi hai fatto il regalo più grande che potessi mai meritarmi, e in cambio posso solo darti tutto me stesso. »
La rossa boccheggiò un paio di secondi, spostò lo sguardo sulla maglietta di lui per potere riconquistare un minimo di lucidità: « … purtroppo? » lo prese in giro infine.
« Di tutto quello che ti ho detto, ginger, seriously? »
Lei sbuffò e deglutì qualche altro secondo, giocherellando con il cotone e guardandolo da sotto in su: « Shirogane, tu però giochi sporco. »
Lui rise e le domandò a bassa voce: « Sei ancora arrabbiata con me? »
« … dipende. »
« Ah, » lui inarcò le sopracciglia, divertito, e le mise la scatolina sotto al naso, « Da cosa dipende? »
Ichigo prese un ennesimo respiro e poi alzò il mento in maniera di sfida: « Ti devi mettere in ginocchio, o non vale. »
« Non c’è dubbio, Momomiya, » replicò lui, prendendola un po’ in giro, « Credo che andrà bene anche così. »
Con un piccolo scattò, aprì il coperchio e – per la seconda volta – mozzò il fiato alla ragazza nel mostrarle l’anello: due cerchi di piccoli diamanti, con al centro una tormalina rosa, di una sfumatura che ironicamente le ricordava il suo costume da Mew Mew, su una banda di platino anch’essa ricoperta di diamanti(*). La rossa guardò il gioiello, poi guardò Ryou, poi ancora l’anello, azzardandosi a sfiorarlo con la punta di un dito senza poter emettere suono; infine, le scappò un risolino nervoso ed emozionato e scosse la testa:
« Non stai scherzando? »
Ryou scosse la testa e le prese la mano libera, inspirando profondamente con quanta più circospezione possibile: « Ichigo… » mormorò a voce bassissima, le labbra che sfiorarono quelle di lei, che rispose in un mugolio indefinito come a intimargli di non fermarsi, « Vorresti sposarmi? »
Prima ci fu un silenzio così assordante, nonostante la città attorno a loro, che Shirogane fu sicuro fosse chiaramente udibile il galoppare impossibile del suo cuore; poi Ichigo emise uno strillo più simile a un fischio ad ultrasuoni che a qualcosa di umano e gli si gettò al collo, completamente dimentica del fatto che erano appollaiati su di un ramo e che solo l’agilità ritrovata permise loro di non rovinare disastrosamente a terra.
« … sarebbe un sì? »
« Oh, Shirogane, sta’ zitto. »
Il tintinnio di un campanellino rintoccò nell’aria.
 
 
 
 
Retasu chiuse il libro di scatto, poggiandoci poi la fronte contro con uno sbuffo esasperato: non riusciva a concentrarsi, non importava quanto ci stesse provando. Tra la temperatura che stava salendo, la stanchezza e tutta la faccenda della sera precedente, le sembrava che il suo cervello avesse deciso di non essere più in grado di raccogliere informazioni. Aveva anche deciso di spostarsi dalla sua camera al salotto, approfittando della casa vuota, così che magari l’ambiente più ampio e lontano dal letto l’avrebbe persuasa a darsi da fare, ma non era valso a nulla.
Girò il collo di lato e controllò il cellulare: sapeva che quella mattina presto Pai e i suoi fratelli sarebbero andati a controllare i sistemi nella propria nave, ma non aveva ancora ricevuto nessun tipo di notizia. Il che poteva anche essere una cosa positiva, si disse, trovare qualcosa di importante avrebbe sicuramente fatto scattare un altro allarme generale. E lei dopotutto non aveva mentito, il giorno prima, quando gli aveva detto di non essere preoccupata… ma non negava che un po’ più di chiarezza avrebbe fatto bene a tutti.
Lo stomaco le diede una capriola al pensiero della conclusione di quella sera, e si diede della sciocca: come poteva soffermarsi su una cosa del genere in un momento simile?! Le pareva di essere un’adolescente in piena tempesta ormonale, non ne era decisamente il caso! Avrebbe fatto meglio a concentrarsi sugli studi visti gli esami in arrivo, e smetterla di vagare con la mente.
Il cellulare le vibrò a pochi centimetri dal naso e sobbalzò, ma era solamente Purin che, nella chat di gruppo, chiedeva un vago come va? che sapeva non essere diretto a lei.
Anche dopo un paio di minuti non ci fu risposta, ovviamente, e Retasu quasi si dispiacque per la biondina, che cercava sempre di dimostrare a tutti i lati positivi delle situazioni o quantomeno di stemperare l’atmosfera più cupa.
Sospirò, si rimise dritta e afferrò di nuovo la matita, ricominciando da capo quel paragrafo che proprio non ne voleva sapere di entrarle in testa. Non passò che una manciata di minuti che udì un leggero bussare alla porta di casa, che la fece sobbalzare di nuovo. Ci impiegò un po’ più del solito a reagire, chiedendosi se potesse essere il postino, e decisamente non si aspettò di trovarsi la figura di Pai sull’uscio.
« P-Pai! » boccheggiò, sistemandosi gli occhiali sul naso, « Non… non pensavo fossi tu. »
L’alieno le mostrò un sorriso: « Ti disturbo? »
« No, no, » lei scosse la testa e si fece da parte per farlo passare, « Mi hai solo… presa alla sprovvista. Stavo studiando, non aspettavo nessuno. »
Lo sguardo analitico dell’alieno scrutò brevemente l’ambiente, così tipicamente giapponese per lei, eppure così diverso per lui.
« Come mai… ? » s’azzardò a domandare, incuriosita: era la prima volta che lui si presentava spontaneamente a casa sua, o che ci entrava, se era per quello.
« Volevo vederti. »
Il cuore le sobbalzò per un miscuglio di motivi diversi: « È… è successo qualcosa? »
Pai dovette notare di aver scelto le parole sbagliate, perché si corrucciò preoccupato: « No, non abbiamo rilevato niente di anomalo, ma… pensavo che dopo ieri sera, avresti preferito non… rimanere sola. »
Retasu impose al proprio muscolo cardiaco di comportarsi bene: « Se dici così mi preoccupo, però. »
« Scusa, » rispose lui a bassa voce con un accenno di sorriso, poi indicò con il mento i libri aperti sul tavolo, « Come sta andando? »
« Male, » ammise con uno sbuffo divertito, « Non… riesco a concentrarmi. »
E decisamente non sarebbe riuscita a farlo ora, si disse, con un ragazzo – con Pai – in casa sua. Vuota.
Ovvio, continuò poi: non erano certo a livello di presentarsi ufficialmente ai genitori (il solo pensiero le mozzò il fiato), né Pai era un tipo particolarmente espansivo o desideroso di farsi conoscere. E poi lei gli aveva raccontato della sua famiglia, del padre che lavorava in banca e la mamma che aveva ripreso a lavorare da quando Uri, suo fratello, aveva cominciato il liceo, conosceva i loro orari. Quindi…
Quindi.
Osservò la schiena del ragazzo che si avvicinava al tavolo da pranzo e scrutava i tomi e i suoi appunti, sfiorandoli con un dito; lei riconobbe la curiosità e la fame di conoscenza nel suo sguardo, e dovette nascondere un sorrisino.
« Ti sembreranno sciocchezze, rispetto a ciò su cui lavori tu. »
« Nient’affatto, » rispose lui, guardandola da sopra la spalla, « È affascinante vedere i vostri testi. E di queste cose conosco ben poco. Biologia marina, giusto? »
« Giusto, » confermò Retasu con un sorriso, incrociando le dita dietro la schiena, « E… ovvio, forse. Ora più che mai. »
« Continui a non saper nuotare, » la prese in giro dolcemente lui, facendole partire l’ennesimo attacco di extrasistole.
Lei annuì e gli fece segno di accomodarsi sul divano: « Posso offrirti qualcosa? »
« No, grazie, » le sembrò che si rilassasse un po’ di più tra i cuscini, emettendo un sospiro leggero, « Sono passato da Akasaka-san dopo il nostro controllo per incrociare i dati, è molto difficile rifiutare le sue offerte di caffè. Soprattutto con Kisshu e Taruto che non dicono mai di no. »
La verde ridacchiò e gli si sedette accanto, togliendosi gli occhiali per pulirli contro la maglietta: « Hai detto che non avete rilevato nulla? »
« Esatto. Siamo risaliti nei nostri registri, nella remota possibilità di aver mancato qualcosa, ma le comunicazioni erano chiare. Così come i sistemi di Shirogane, seppur non altrettanto sensibili più settati su notifiche di pericolo, non è stato registrato nulla. Il che solidifica la mia teoria che la comparsa del vostro marchio sia una reazione alla presenza di tutti e tre, ovvero le condizioni di partenza del progetto Mew. »
« Capisco, » Retasu sospirò e lanciò uno sguardo al cellulare, « Le altre non hanno ancora detto nulla, anche Purin ha provato a scrivere ma… credo non siano proprio di buon umore. »
« L’hai detto tu stessa che l’idea di combattere non ti entusiasma, ed è proprio ciò che il vostro marchio vi ricorda. »
« Non mi entusiasma è un eufemismo. »
Pai condivise la risata e le prese la mano: « E le tue amiche sono un po’ più… cocciute di te. »
Lei tentò di lanciargli un’occhiataccia ma sbuffò divertita: « A questo punto credo che tu possa anche dire che sono amiche tue. »
« Mi terrei più sul conoscenti. »
« Una è praticamente tua cognata. »
« Il triste destino di Aizawa è stata però una scelta diretta. »
Retasu rise e si sporse verso di lui, poggiando la fronte al suo petto: « Quindi andrà tutto bene? »
Il braccio di Pai si strinse attorno alle sue spalle: « Non smetteremo di tenere la situazione sotto controllo. »
Lei soffiò contro il tessuto della sua camicia: « Non è propriamente un sì. »
L’alieno le prese una guancia e le sollevò il viso: « Io vengo da un altro pianeta e tu hai in te il gene di un animale in via d’estinzione. Sono sempre molto cauto a ragione per assoluti, viste le probabilità. »
La verde rise di nuovo e si abbandonò in un sospiro quando la bocca di lui catturò la sua. In un lampo, i ricordi della sera precedente le invasero la mente e una pioggia di brividi le corse lungo tutta la spina dorsale, e gli si strinse addosso un po’ di più. Non era mai stata una persona audace, o sfacciata, ma le sensazioni che provava stretta tra le braccia del ragazzo la facevano sentire protetta ed esposta allo stesso tempo, spingendola a cercarlo come mai prima. Gli sfiorò con titubante dolcezza la schiena, scivolando il palmo sotto la maglietta in cerca della sua pelle calda e graffiandolo appena con le unghie quando lui le accarezzò la lunghezza della coscia, scostandole il vestito estivo.
Forse una parte di lei lo sapeva, realizzò mentre piegava la testa all’indietro per regalargli più spazio sul collo, sulle spalle, lì sul petto dove ora svettava la sua voglia, lo aveva sempre saputo che era proprio lui che aveva aspettato.
« Retasu… » sussurrò Pai, così leggero da essere quasi inaudibile, e in quel momento lei decise di lasciarsi andare del tutto.
Non le importava più niente, niente se non sentire il corpo dell’alieno il più possibile contro al suo; si stese sul divano e lasciò che scivolasse sopra di lei, afferrandogli il viso tra le mani per poterlo baciare con quanto più trasporto fosse capace. Lo avvertì titubare quando si attaccò ancora alla sua maglia per liberarsene, ma lo trattenne e lo strinse a sé; era stanca di pensare, stanca di attendere, stanca di troppa timidezza e timore. Il rombo del suo cuore al sentirsi completamente abbandonata a lui le stava dicendo che era giusto, che quello era il momento, e che anche se non gliel’aveva mai detto, lei era perdutamente innamorata di lui e non aveva smesso di esserlo in quegli anni.
Lo baciò ancora quando Pai si sistemò meglio tra le sue gambe, i vestiti già gettati sul pavimento, rendendosi conto solo in quel momento quanto davvero bruciassero le loro pelli a contatto, e quanto bruciasse lei sotto lo sguardo ametista. Lui si fermò ancora, sfiorandole il naso con il suo e raddrizzandole con una risata gli occhiali storti ma che magicamente avevano resistito in equilibrio, e Retasu deglutì: non avrebbe avuto il coraggio di dirgli quello che provava, non ora, ma forse avrebbe potuto farglielo capire.
« Pai, io… non… »
L’alieno l’accarezzò lento, quasi assaporandola con gli occhi, stringendole piano un fianco morbido quasi a tenersi saldo lui stesso: « Sei sicura? »
Lei annuì prima di rendersene conto, avvolgendogli le braccia intorno al collo: « Sì… » mormorò senza fiato, il cuore che le minacciava di scoppiarle in petto e il ventre che avvampava, « Con te, sì. »
Mentre la baciava con forza, stringendole una mano nella sua, Pai avvertì di nuovo quel pizzicore nel torace, quel senso di colpa che ancora non riusciva a demolire. Non se la meritava, e lo sapeva, ma ciò non l’avrebbe mai distolto dal riuscirci.
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Ovviamente, Ichigo non riuscì a tenere nascosta la notizia a lungo; fu soltanto il realismo di Shirogane, che le ricordò loro avessero comunque un po’ di cose di cui parlare e che fosse meglio non allarmare tutti, quella mattina, riuscirono a farla tergiversare per qualche ora. Passato il momento del pranzo, però, la rossa esplose: con un messaggio particolarmente ambiguo, che scatenò non poca agitazione, intimò a tutti gli altri di presentarsi al più presto a casa sua. Quando, per la seconda volta in poco più di dodici ore, l’intero gruppetto di umani e alieni si ritrovò in salotto, presagendo funeste novelle vista l’urgenza della chiamata, lei invece tuonò in un urlo di sorpresa e sventolò la mano davanti alle amiche.
Purin fu la prima a reagire, rispondendo con uno strillo altrettanto spaccatimpani e praticamente placcando insieme Ichigo e Ryou, mentre Minto sibilò qualcosa che sembrò molto simile a una minaccia nei confronti dell’amica visto il mancato infarto e Zakuro si limitò a scambiarsi un’occhiata esasperata con i tre alieni e il novello fidanzato.
« Congratulazioni, ragazzi, » intercedette poi Keiichiro (in realtà avvertito segretamente da Shirogane in anteprima e che si era premurato di tenere in braccio Kimberly ben sapendo quali sarebbero state le reazioni), « Immagino che anche i tuoi genitori saranno al settimo cielo, Ichigo-chan. »
Lei si lasciò cadere sul divano, continuando a lanciare occhiate estasiate al suo gioiello: « In realtà non glielo abbiamo ancora detto. Vogliamo farlo un po’ per bene, non con una telefonata, o mia mamma si offende. »
« Sicuri che Shirogane abbia la benedizione? » li prese in giro Zakuro, ricevendo in cambio un’occhiataccia dal biondo.
« È tutto molto bello, » constatò Minto funerea, seduta a braccia incrociate sul divano che continuava a muovere la tibia su e giù, « Ma per quanto Ichigo possa essere abbagliata dalla lucentezza del suo nuovo tesoro, non abbiamo ancora risolto il problema principale. »
Purin sghignazzò sotto i baffi e diede di gomito a Retasu: « Secondo me la nee-chan è un po’ gelosa. »
« Non dire sciocchezze! »
Retasu si limitò a ridacchiare sotto i baffi, le guance un po’ più rosee del solito, e la biondina le lanciò un’occhiata incuriosita: « Tutto bene, nee-chan? »
« Sì, sì, » si affrettò a rispondere, ben attenta a non incrociare lo sguardo dell’alieno in fronte a sé, « Sono solo… così contenta per voi! »
Ichigo le sorrise e ricambiò la stretta della sua mano, poi si voltò verso Keiichiro: « Allora ci sono… novità? »
Lui continuò a cullare dolcemente la sua figlioccia: « Io, Ryou, e Ikisatashi-san abbiamo passato la mattina a controllare i nostri sistemi, e confermiamo che non ci sono stati rilevamenti di sorta. Ciò vuol dire che non c’è nessuna minaccia in corso, e che probabilmente davvero il ritorno della vostra voglia è una reazione alla presenza di tutti e tre gli Ikisatashi. Ovviamente, continueremo a monitorare la situazione, abbiamo già allargato il raggio d’azione dei nostri rilevatori, ma voglio che ora stiate tranquille. »
La rossa sembrò pensarci su un poco prima di annuire, scambiandosi un’occhiata d’intesa con le altre ragazze, tutte più o meno convinte.
« Possiamo pensare a festeggiare, quindi, » esclamò Zakuro con affetto, sfiorando l’altra mano di Ichigo, che sorrise un po’ più decisa:
« A questo proposito… c’è una cosa che non vi abbiamo ancora detto. »
« Senti, Momomiya, non sono in vena di altre sorprese. »
Lei ignorò il commento di Minto e si sfiorò sovrappensiero la coscia: « A causa di… questo, vorrei… vorremmo… sposarci presto. Ho sempre voluto un matrimonio a Settembre, perciò… »
La mora la guardò quasi con gli occhi fuori dalle orbite: « Tra tre mesi!? Ma siete impazziti?! »
Ichigo sorrise sorniona: « L’aiuto della mia testimone e amica organizzatissima sarà inestimabile, quindi. »
Per qualche istante, Minto rimase a mezza bocca aperta, mentre le altre ridacchiavano sottovoce, poi scosse la testa e alzò il naso all’insù: « Meglio che inizi ad ascoltarmi quanto ti dico di non abbuffarti, Momomiya, o non ti darò nessunissimo aiuto. »
« Anche io voglio aiutare a organizzare! Quando andiamo a scegliere i vestiti? Zakuro-nee, per te lo scelgo io altrimenti sei troppo figa. »
« Purin! »
« La torta la fa Akasaka nii-san, vero? »
Il suddetto si limitò a scambiarsi un’occhiata divertita con Shirogane e gli altri ragazzi mentre il volume nella stanza si alzava di un paio di decibel. La bimba stretta tra le sue braccia, però, continuò a dormire imperterrita, e intanto che lui guardava la sua famiglia lanciarsi nelle loro solite, esagerate, esplosive dinamiche, pensò che fosse tutto come doveva essere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) Per i delfini curiosi (cit.) l’ispirazione è venuta da qui (tenetevi xD): https://www.tiffany.com/jewelry/diamond-jewelry/tiffany-soleste-ring-67905148/
   
 
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