Epilogo
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Prize
«Ti… ti amo quindi
vattene?» ripeté Wilson, con un filo di voce. «Cos’è, vuoi cacciare anche me?»
«Non ti sto cacciando. Ti
ho detto di andartene.»
«Spiegami la differenza.»
House si strinse le mani
sopra il muretto, sfregandosi le nocche con le dita. «Devo pensare.»
«Non vedo l’iPod né il Game
Boy.»
«Wilson.»
«House.»
Il vento fischiò in mezzo a
loro, invadente.
«… va bene» mormorò il più
giovane, alzando le mani. «Va bene, come vuoi tu.» Si voltò, tornando alla
porta, e deciso stavolta ad andarsene davvero.
«Tu cosa preferiresti?»
riprese House, senza muoversi. «Che dessi ragione alla tua brillante teoria su
come mi piaccia essere infelice, o che la smentissi clamorosamente?»
Wilson rispose lentamente,
misurando le parole. «Tu preferiresti piantarti un chiodo in una mano che darmi
ragione.»
«Il che ci riporta alla
domanda: che cosa preferiresti?»
«Come dici sempre tu,
per fortuna non sono io a dover decidere.»
«Ehi, io lo dico dei
pazienti. Credevo che ti importasse di me più di quanto a me importi di loro.»
Wilson sospirò, strofinando
il pollice contro la maniglia che non aveva ancora lasciato. «Va bene, allora,
fallo. Smentiscimi. Dimostrami che anche un pazzo autolesionista e drogato come
te ha qualche legame col mondo normale.» Pausa. «Per quanto ne dubito.»
Poi il silenzio stagnò così
profondo per almeno un minuto o due che Wilson dovette voltarsi per capire cosa
House stesse facendo. Lo trovò fermo dove l’aveva lasciato, intento a fissarlo.
«… stasera a casa mia?»
Una goccia di pioggia gli
bagnò le labbra nell’attimo esatto in cui le dischiuse per rispondere.
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