Capitolo 4
Mi
sentivo particolarmente intontita. Il lieve formicolio che sentivo alla gamba
destra, mi avvertì che era decisamente troppo tempo che ero nella stessa
posizione, e provai a girarmi, ma era terribilmente difficile. Il mio corpo
sembrava essere pesantissimo, anche il solo sollevare le palpebre mi era
faticoso. Le pilloline colorate che mi aveva dato Carlisle, dovevano essere
abbastanza potenti da stordire un cavallo, ero tutta indolenzita eppure non
riuscivo a non essergli grata. Avevo dormito, e.. e non sentivo nulla. Era come
se tutta la frustrazione, la rabbia, la delusione e l’avvilimento che provavo
fossero svanite, anestetizzate in qualche angolo del mio cuore e per un momento
non provare quel tormento era come una manna dal cielo.
Con
qualche difficoltà riuscì ad allungare un pochino la schiena in modo da
stirare un po’ i muscoli indolenziti, ma non durò che pochi attimi, ben
presto la mia testa ricadde pesante sul divano di pelle nera e mi ritrovai a sospirare profondamente, consapevole del fatto che da sola
non avrei potuto muovermi di un millimetro, per di più, pian piano quel torpore
stava per aggredirmi ancora una volta, per farmi ripiombare in quel tunnel nero,
di sonno profondo, che mi attirava come non mai.
Prima
di abbandonare ogni resistenza, però avevo bisogno di vedere ancora una volta,
il mio carnefice, il mio angelo, la mia vita.
Edward
però non c’era. Non nelle vicinanze, altrimenti l’avrei sentito, eppure
udivo delle voci non molto lontane, dietro la porta appena socchiusa, perciò
concentrai le mie forze nel cercare di ascoltare cosa si stavano bisbigliando.
“Edward,
credo che forse dovresti..” Era Carlisle. Un mortificato, avvilito ed anche
abbastanza imbarazzato Carlisle. Il suo tono era così dispiaciuto, che mi fece
addirittura tenerezza. Solo un secondo dopo mi resi conto di quale fosse
l’argomento in questione. Più precisamente fu il “NO!” secco di Edward a
farmelo intuire.
Era
così duro ed irremovibile, solo un ‘certo’ argomento.
“Non
puoi farle questo, la stai distruggendo, Edward. Non è giusto come ti stai
comportando. Le stai negando qualcosa di troppo grande.”
“Non
lo farò.” Rispose lui gelido.“Io la mia anima, l’ho già persa, non
permetterò che accada anche a lei.” Disse senza lasciar spazio alla minima
speranza.
“Non
è tutto o bianco o nero, dovresti averlo imparato dalla tua esperienza. Pensa a
lei, pensa a quello che ti ha dato, tu nemmeno immaginavi che avresti potuto
provare certe emozioni, certe sensazioni, non credevi che un giorno avresti
avuto la voglia di ‘vivere’ che hai adesso e pensi davvero che un uomo senza
anima sarebbe in grado di sentire certe cose?”
“Io
non sono un uomo, e tutto ciò che lei mi sta dando, io lo sto rubando” gli
rispose Edward, assolutamente serio. Sembrava quasi un pazzo, in preda ad una
sorta di lucida follia. Assolutamente persuaso delle sue assurde convinzioni
“Quello che Bella sta dando a me, era destinato ad un altro, uno come lei, un
umano che potrebbe darle la vita che vuole, che merita, una famiglia vera,
magari un giorno dei figli. E presto o tardi arriverà il momento in cui io dovrò
lasciare il posto a quest’uomo, conscio di avergli tolto qualcosa, di cui
adesso non posso fare a meno e di cui non riuscirei a privarmi.”
“E’
irragionevole questo tuo modo di vedere le cose. Bella ama te,
incondizionatamente, assolutamente ed irrimediabilmente te, e non perché sei un
vampiro. Ti rendi conto che nessuno mai potrà sostituirti nella sua vita? A
volte penso che ti preoccupi troppo di proteggerla, piuttosto che impegnarti ad
amarla. Bè, Edward, permettimi di dirti solo una cosa… Quello che ho fatto a
te, ad Esme, ad Alice… l’ho fatto per salvarvi la vita.” Il ragazzo, guardò
colui che era abituato a considerare suo padre, perplesso e incredulo. Cosa
significava quella uscita?
“Lo
so.” Rispose, pur continuando a non capirne il nesso.
“Ci
sono diversi modi di morire, Edward, e tu stai spingendo lei verso il più
doloroso di tutti. Gli occhi di Bella non sono più gli stessi, si sta
spegnendo, ti ama così tanto, da rinunciare alla sua vita stessa. Ieri erano i
pianti, oggi sono le crisi di panico, domani quando potresti trovarti davanti
una persona completamente diversa da quella che ami. Spenta, completamente
vuota, senza avere più nemmeno la forza e la voglia di parlare, allora saprai a
chi dare la colpa…” Era stato duro, insolitamente duro. Carlisle
abitualmente era una persona molto razionale e assolutamente flemmatica, eppure
in quelle sue parole, c’era una strana severità, non un rimprovero, più un
rimpianto per un errore forse già vissuto, o forse no.
Sentivo
quelle parole pesare su di me come un giudizio. Razionalmente capivo che erano
rivolte ad Edward, ma era come se ce l’avesse con me. Mi sentivo quasi in
colpa per quella situazione. Era vero, Edward si stava comportando in maniera
egoisticamente protettiva, ma non lo faceva di certo per cattiveria, o per farmi
bastion contrario. Era un uomo.. un vampiro di poche parole, ma mi amava, forse
in un modo che ritenevo sbagliato, ma mi amava e da morire, su questo non avevo
alcun dubbio. Seppur in maniera non decisa come sarebbe stato necessario per
smuoverlo dalle sue convinzioni, la sua famiglia non concordava con lui e ne
soffriva, e per riflesso questo faceva star male anche me. Non volevo metterlo
in quella situazione, non volevo fargli fare la parte del cattivo, desideravo
semplicemente non dover limitare il bisogno che avevo di lui, la necessità di
baciarlo fino a restare senza fiato e anche il solo desiderio di stringerlo
forte a me.
Pian
piano mi riaddormentai, ripiombando in quello stato di sonno profondo.
Quando
riaprì gli occhi ero nel mio letto, a casa di Charlie. Tutto era al suo posto,
esattamente come l’avevo lasciato l’ultima volta. Mi chiesi che razza di
scusa Edward doveva aver inventato per giustificare a mio padre il perché fossi
arrivata a Forks in pigiama, e profondamente addormentata, ma il problema mi
sfiorò relativamente. Ormai, mio malgrado, quei due erano diventati grandi
amiconi. Erano quasi teneri mentre vedevano le partite in tv dimenandosi e
arrabbiandosi come due matti. Sapevo benissimo che Edward lo faceva solo per me,
per risultare simpatico e affidabile a mio padre, e non potevo non apprezzarlo.
Conseguentemente qualsiasi cosa Edward avesse detto al mio stanco papà, lui se
la sarebbe bevuta senza far troppe domande. Tutto sommato però gli fui grata
per avermi riportato a ‘casa’, alle origini, dove tutto era iniziato…
Forse
era solo quello ciò di cui avevo bisogno, staccare dalla frenetica quotidianità
di San Francisco, raggomitolarmi nelle umide coperte di Forks e trovare uno
straccio di equilibrio che mi aiutasse ad andare avanti ancora un altro po’.
I
seguenti due giorni passarono velocissimamente. Charlie mi tartassò per tutto
il tempo di domande sulla mia vita a San Francisco. Aveva ragione, da quando ero
andata a vivere lì, la mia vita era diventata talmente frenetica da chiamare a
casa pochissimo e per di più riducendo le conversazioni al minimo sindacale, ma
non era del tutto colpa mia.
Andai
a trovare Angela ed il suo meraviglioso bimbo. Un frugoletto di appena tre anni,
ma intelligente come non mai, con due occhietti azzurri vispissimi ed i
riccioloni neri. Somigliava molto a sua madre, era iper attivo, ma educato e
gentile. Anche Edward convenne su questo, sebbene, in maniera abbastanza
immotivata, si rifiutò di scendere dall’auto, quando mi venne a prendere.
Angela capì subito e non insistette. Probabilmente aveva intuito che qualcosa
non andava fin da quando ero arrivata a casa sua con indosso un paio di jeans
larghi dei tempi del liceo, ed una felpa del WWF anche quella ricordo dei tempi
passati. Quando ero partita, o meglio scappata per andare da Carlisle, ero
uscita di casa in pigiama, e orami tutta la vecchia roba che avevo lasciato a
Forks, o era appunto, vecchia, o mi andava larga come un sacco di iuta. Ad ogni
modo, fu discreta e non cercò di indagare lasciando a me la decisione sul
confidarmi o meno, ma mi feci scappare quell’occasione. Avevo parlato fin
troppo, per quel week end.
Tornammo
a casa quando ormai era buio inoltrato. Tra me ed Edward era calato un silenzio
quasi pesante per quanto consiste era. Io non provai a parlare con lui, lui non
provò a parlare con me. Sentivo tutta la nostra storia scivolarmi tra le dita,
come sabbia, eppure non riuscivo e forse nemmeno volevo fare qualcosa per
fermarla. Era il suo turno questa volta, toccava a lui dimostrarmi quanto mi
amava, il guaio è che probabilmente a modo suo lo stava facendo, ma io non
capivo.
L’intera
settimana passò così.
In
silenzio.
Le
uniche frasi che ci eravamo scambiati erano quelle di circostanza, addirittura
mi portai il lavoro a casa, in modo da essere in qualche modo più presente, ma
non cambiò nulla. Sentivo il suo sguardo su di me, sentivo i suoi occhi quasi
attraversarmi, mentre cercavo di concentrarmi sulle mie cartacce, ma appena mi
voltavo, lui sembrava impegnato nei suoi affari ignorandomi. Era un assurdo e
logorante giocare al gatto con il topo.
Ad
ogni modo il mio espediente non aveva portato ad alcun vantaggio, perciò quel
sabato sera, per via di una causa molto importante, alla quale stavamo lavorando
da parecchie settimane, rimasi in ufficio fino a notte tarda con Martin. Non era
la prima volta, era già successo,
Edward sembrava non curarsene nemmeno più, perciò non mi feci scrupoli, in
fondo era solo lavoro.
Solo
che le cose non vanno sempre esattamente come ci si aspetta. Non so esattamente
cosa accadde, o perché, eravamo nella sala riunioni ormai da un numero di ore
spropositate, con cartoni di cibo cinese abbandonati sul tavolo dietro i nostri
incartamenti, e pile di libri e fascicoli ritirati dall’archivio polveroso.
Tra un articolo e l’altro, una risata, una battuta, un prendere una penna
scivolata dal lato sbagliato, uno scrivere un appunto su un tovagliolino
capitato sotto mano, mi ritrovai in una di quelle situazioni alquanto
pericolose. Pericolose non tanto per se stessei, quanto per la reazione a catena
violenta e dolorosa che provocano. Una di quelle situazioni in cui da quando ero
arrivata Forks in quella piovosa mattina, e incontrato un certo vampiro non mi
pero più trovata e non per caso. Non che prima avessi avuto questa gran vita
sociale, ma di certo, non avevo vincoli all’epoca.
Martin
mi stava guardando come non aveva mai fatto prima. Non si trattava di uno
sbaglio, o di un’altra, stava fissando proprio me.
Aveva
gli occhi leggermente lucidi vicinissimi ai miei, la sua pelle era calda e
profumata, non l’avevo nemmeno sfiorata, ma era abbastanza prossimo da
lasciarlo intuire. Si trattava di quel tepore così umano, così fragile, così
invitante…le sue labbra poi erano così vicine.
Non
ero attratta da lui, sì, era oggettivamente un bel ragazzo, ma non aveva su di
me alcuna attrattiva, però in quel momento lui rappresentava tutto ciò che io
volevo. Una vita normale, un ragazzo normale, una persona da poter abbracciare,
coccolare, stringere, senza dover provare quel freddo che ti entra nelle ossa,
con cui.. con cui poter fare l’amore… e quel calore, quel dannato calore che
mi bruciava l’anima…
“Bella…”
sussurrò lui avvicinandosi ancora e poggiando una mano sul mio viso.
Era
tutto quello che desideravo, solo che non era Edward.
“No,
Martin..” lo respinsi decisa allontanandomi, al che lui stesso
imbarazzatissimo si tirò indietro mortificato.
“Perdonami,
credo di essermi lasciato prendere un po’ troppo dalla situazione.. Scusami,
non so davvero cosa mi sia preso.” A quel punto capimmo entrambi che non
saremmo più riusciti a lavorare, almeno per quella notte.
Nonostante
l’accaduto, mi lasciai convincere da Martin, era troppo un bravo ragazzo per
poter avere davvero qualche mira maligna su di me, era stato un insieme di
fattori che avevano creato quell’imbarazzante situazione. Alla fine dei conti
non era accaduto nulla, non c’era stato nessun bacio, c’era stata solo una
vicinanza un po’ troppo ravvicinata, ma niente di più. Anzi paradossalmente
qualcosa in me si era smosso, e non era direttamente legato a Martin, quanto al
fatto che mi ero chiaramente resa conto non solo che amavo Edward, come del
resto sapevo già, ma che tutto quello che desideravo, non era dovuto al mio
essere cresciuta, essere diventata donna, ma era il bisogno di avere un rapporto
completo, con lui e lui solo. Non volevo una famiglia, non volevo un’unione
che fosse davvero tale, solo per esigenze fisiologiche, ma perché volevo lui.
Il
problema adesso sarebbe stato adesso spiegare ad Edward quello che era successo,
Martin mi avrebbe riaccompagnata a casa, come ormai era solito fare, ed il mio
vampiro se non era in grado di leggere la mia di mente, con quella del poveretto
non aveva nessuna difficoltà. Sarebbe saltato su tutte le furie, avrebbe perso
la ragione e già immaginavo la testa di Martin spiaccicata contro il sedile.
Per tutto i tragitto fino a casa ero tormentata da visioni di sangue e violenza,
o anche solo scatti di rabbia inconsulti ed invece.. non accadde nulla di tutto
ciò.
L’auto
di Martin si fermò sotto il mio portone e di Edward non vi era ombra. Mi salutò
in maniera impacciata ed assolutamente innocua e ancora niente, salì in casa e
finalmente lo trovai poggiato alla finestra perso nei suoi pensieri. La quieta
prima della tempesta. Era di certo quello, dopo tutto ci stava che noi
sconvolgessimo tutte le regole della fisica e della natura. Richiusi la porta,
ma Edward sembrò quasi non accorgersene.
“C..
ciao..” abbozzai una volta dentro. Lui si voltò solo per fare un cenno con la
testa, ma sembrava calmo. Troppo calmo. Che non si fosse reso conto? Possibile
che non avesse dato una sbirciatina alla mente del mio collega? Impossibile,
quel dono particolare Edward non l’aveva chiesto, i pensieri delle persone lo
martellavano anche se lui non voleva. Sapevo che aveva visto tutto quello che
era accaduto, ed era troppo tranquillo.
“Edward
non far finta di nulla, sappiamo tutti e due quello che è accaduto,anzi quello
che NON è accaduto..” gli dissi seria lasciando andare la mia borsa sul
divano.
“Se
non è accaduto perché vuoi parlarne?” mi domandò lui senza nemmeno
guardarmi. La sua freddezza mi ferì. Non era una freddezza rabbiosa, o magari
sintomo di qualche recondita vendetta psicologica sembrava proprio non
importargli.
“Perché
potresti farti un’idea sbagliata brutto caprone!!” gli urlai contro, al che
lui con quell’insopportabile flemma si voltò verso di me, fino a quasi
trafiggermi con quei suoi occhi.
“Non
importa. Non è accaduto niente che io non sapessi già..”
“Che
vuoi dire?” gli domandai davvero perplessa, come poteva saperlo? Di che stava
parlando.
“Niente.”
Si limitò a rispondere lui alzando le spalle. “Te l’avevo detto che a
Martin piacevi, no?” quella sua affermazione doveva essere ironica, doveva
avere lo scopo di sdrammatizzare, ma non sdrammatizzò proprio nulla. Ero
abbastanza certa che l’avesse tirata fuori solo per rattoppare la situazione.
A quel punto non sapevo nemmeno più cosa dirgli. D’altronde cosa lui volesse
dire non potevo certo immaginarlo. Mi preoccupò molto quel suo comportamento,
ma non volli indagare oltre, ero troppo stanca mentalmente e fisicamente per
poter affrontare una discussione.
“Ne
parliamo domani.. “ sussurrai appena esausta.
Quella
sera Edward venne subito a letto con me. Mi prese tra le braccia e lì mi
addormentai.
Che
l’episodio con Martin l’avesse svegliato un po’?
Non
potevo saperlo e nemmeno volevo. Mi andava bene così, almeno per quel momento
ero serena così. Era da un po’ che spontaneamente non mi coccolava così a
lungo.
Mi
risvegliai nel pieno che era mattino presto. Non badai molto all’ora, lil
trillo incessante del telefono di casa mi stava martellando. Quando mi tirai su
a sedere mi resi conto che il telefono squillava.. fuori pioveva
incessantemente. Il cielo era nero, sembrava quasi notte, ma doveva essere
giorno. In casa non si udiva il minimo rumore se non il trillo cadenzato
dell’apparecchio che avevo sul comodino.
Immediatamente
una certezza inquietante e terribile mi colse.
Sollevai
la cornetta. “Bella…” Era Alice ed era quasi disperata. Non abbastanza però
per eguagliare quello che provavo in quel momento.
“Se
n’è andato..” sussurrò lei con la voce rotta dalle lacrime.
“Lo
so..” mormorai io fredda e consapevole.
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