17 cap Capitolo 17 A sweet, fond hope
La
sua macchina era lì. Qualcuno, forse Elena, l’aveva guidata, dal Grill
dove l’aveva lasciata quella mattina, e parcheggiata nel vialetto di
casa sua, pronta per essere utilizzata nuovamente. Nicole notò che era
aperta e le chiavi erano poggiate sulla ruota anteriore sinistra, ove
solitamente suo padre, Grayson, previdente e responsabile, le poggiava
nel caso che qualcuno lo chiamasse per qualche parto non programmato, e
non erano state rare le volte. Nicole le prese ed entrò nella jeep,
appena riscaldata da un lieve tepore. Mise in moto, non accendendo i
fanali per non turbare la quiete notturna, e indietreggiò verso la
strada. Solo quando fu certa che nessuno si sarebbe accorto di lei,
illuminò il paesaggio circostante e avanzò per le vie vuote e prive di
qualsivoglia respiro. Mystic Falls, a quell’ora di notte, appariva
ancora più inquietante per l’assenza di vita e per quel vento gelido
che soffiava ininterrottamente. Si scostò una ciocca di capelli dorati
dal viso pallido e sorrise, una lieve increspatura delle labbra
sottili. Non era nemmeno lei consapevole di come riuscisse davvero a
sorridere dopo tutto quello che le era accaduto quel giorno, però il
solo pensiero di poter rivedere Klaus le sollevava l’animo, rendendolo
leggero e privo di nervosismo, trepidazione e ansia del futuro. Era una
riflessione infantile, ne era pienamente cosciente, eppure le offriva
quella pace di cui necessitava dopo un giorno tanto faticoso. Guidava
lentamente, ma arrivò in poco tempo dinanzi all’imponente struttura
bianca e parcheggiò dietro la Porsche di Klaus. Uscì e notò subito che
vi era una luce accesa, nella vecchia cucina. La porta era aperta e
avanzò, quasi timorosa, per il corridoio oscuro. Percepì delle voci,
una sicuramente era di Klaus, ma v’era una nota sbagliata. Era triste,
quasi spenta e afflitta, e le strinse il cuore in una morsa di puro
dolore. L’altra era femminile, ancora più addolorata di quella di
Klaus. Apparteneva quasi con certezza a Rebekah. Infatti fu lei che
vide per prima, splendente nel suo bell’abito scarlatto e corto. Le
dava le spalle mentre Klaus, con entrambe le mani appoggiate sul
tavolo, quasi spezzandolo tra le se dita, avrebbe potuto scorgerla se
non avesse avuto il capo chino. Mikael era nella stanza, sulla
sinistra, e osservava con un certo distacco la scena, gelido e
imperturbabile. Fu lui ad accorgersi di lei per primo. « Nicole
Bishop, qual buon vento ti porta qui? Vorresti assistere a un momento
di verità, finalmente?» le domandò ironico, issandosi in piedi e
raggiungendola velocemente tanto da indurla ad arretrare. Non lo fece
per mostrargli che aveva paura di lui, anche se per un istante tremò
impercettibilmente. Dovette alzare il capo per poter guardare
all’interno dei suoi occhi azzurri come il ghiaccio e ciò che vide la
turbò. Non era del tutto indifferente, anzi era palpabile la sofferenza
nelle sue iridi chiarissime. Probabilmente Klaus aveva raccontato loro
di Esther. « Nicole, » la chiamò con la sua voce roca, l’accento
inglese marcato, ma atono, come se non fosse certo che si trovasse
davvero lì, « Che ci fai qui?» continuò quando Mikael si scostò per
potergli permettere di vederla nella sua interezza. Nicole si immerse
nei suoi occhi che le fecero battere il cuore anche da quella distanza.
Era provato, spossato, sofferente come se avesse appena ricevuto un
pugnale dritto nel cuore, eppure fu capace di rivolgerle un timido
sorriso, una leggera increspatura delle belle labbra rosse e piene.
Percepì anche gli occhi di Rebekah fissa su di sé e, obbligandosi, a
malincuore, spostò lo sguardo su di lei. Era furente, ma non con lei. «
Quando troverò tua sorella, le prosciugherò la carotide, poi la
smembrerò pezzo per pezzo e li darò in pasto ai cani,» esclamò con fare
innocente mentre gli occhi dardeggianti mandavano fiamme malevole e
tenebrose, tanto da mutare il bell’azzurro calmo e limpido in un blu
notte colmo di oscurità. Nicole trattenne il fiato e sgranò gli occhi
chiarissimi, il respiro corto e la mente attraversata da quella
minaccia che incombeva sul capo della sua sorellina come una
ghigliottina pronta a spezzarle la vita. Tremò impercettibilmente, però
continuò a guardarla. Sembrava talmente ferita da farle tenerezza.
Elena l’aveva tradita, pugnalandola alle spalle, proprio come una
vigliacca, quando Rebekah le aveva offerto la sua amicizia più che
sincera. Era stata terribile e non poteva non comprendere l’Originale. «
Mi dispiace. Mi scuso a nome suo per quello che ti ha fatto,» sussurrò
davvero amareggiata. L’onestà del suo tono e dei suoi occhi afflitti
colpì Rebekah che sobbalzò visibilmente. Nicole chinò il capo solo per
un attimo, fino a che non sentì Klaus avvicinarsi a lei, come per darle
conforto, « La verità è che io stessa non ci sto capendo più nulla. È
tutto così diverso,» mormorò più rivolta a se stessa che ai tre
vampiri. Si cinse le braccia, per proteggersi da quel mare di emozioni
che le stavano scuotendo il cuore facendola sentire un relitto in una
tempesta nel pieno Oceano, « La mia famiglia è diversa, sembra quasi
non ci sia più. Non è che un ricordo,» rivelò in un bisbiglio
impercettibile. Percepì i polpastrelli delle mani di Klaus sfiorarle
dolcemente la spalla destra, trasmettendole quel calore che le diede la
possibilità di continuare a parlare e non lasciarsi piegare dalle
lacrime, « Papà aveva ragione. Non sarei mai dovuta tornare a Mystic
Falls. Questa città è capace solo di farmi del male,» concluse mentre
una lacrima le rigava il volto troppo pallido. L’asciugò prontamente,
con il dorso della mano, quasi ferendosi per l’avventatezza di quel
gesto che oramai le era divenuto consueto. Lei che non piangeva mai,
solo quando tutto diveniva troppo insopportabile per poter essere
tollerato, solo quando i ricordi prendevano il sopravvento, solo quando
la felicità di sapere che non era sola, che poteva ancora provare gioia
e calore, le occupava l’anima giovane, ma insieme così antica. V’era
tutta la discendenza delle Bishop dentro di lei così come in Bonnie
v’era quella delle Bennett. Percepiva lo sguardo dei tre Originali su
di sé e tentò un sorriso che sarebbe apparso falso persino a un cieco. «
Nicole, sei sicura di sentirti bene? » domandò Klaus preoccupato.
Aggrottò le sopracciglia, poi annuì e gli sorrise. Quando incontrò i
suoi occhi azzurrini, le labbra di distesero automaticamente in un
sorriso sereno e pacato e Klaus stesso sembrò più sollevato. Nel suo
sguardo, però, tanto antico e saggio, fine ed elegante, v’era solo
dolore a causa del ricordo di un passato troppo triste per poterlo
rimembrare senza conseguenze. « Sì, scusatemi. È una serata
abbastanza strana. Andare al cimitero mi mette sempre di cattivo umore
e trovarsi un vampiro alle spalle non ha molto migliorato le cose,»
esclamò sarcastica, spostando una ciocca di capelli che le era ricaduta
sul viso stanco. Sarebbe potuta crollare da un momento all’altro per il
sonno, però, in quel momento, con Klaus a un soffio da lei, non
riusciva a pensare ad altro che non fosse lui. Avrebbe voluto
stringerlo contro di sé per poter scorgere un lieve sorriso
distendergli le belle labbra, per poterlo consolare e assicurargli, in
qualche modo, che lei ci sarebbe stata per lui, almeno sino a quando la
vita glielo avesse permesso. Quel pensiero le fece chinare per un
istante il capo. Non avrebbe dovuto rimuginare sul suo rapporto con
Klaus, sebbene non potesse più negare di provare un forte sentimento
per lui. Nonostante la famiglia le avesse di poco volto le spalle,
Nicole ben sapeva che non avrebbe potuto escluderla per molto tempo. Le
liti tra lei ed Elena erano sempre state frequenti, anche se ognuna
delle due si sforzasse di dimenticarle ogni volta, ma si erano sempre
riappacificate e l’affetto che nutrivano l’una dei confronti dell’altra
non era mai venuto intaccato da quelle futilità. Con Jeremy non v’era
stata mai ragione di creare diverbi però era pienamente certa che
avrebbero potuto risolvere tutto, domandandosi perdono vicendevolmente.
Con poche parole sarebbero potuti tornare a essere una famiglia unita,
sebbene mai quella antecedente alla sua fuga, e non poteva permettere
ai suoi sentimenti di intaccare quell’armonia. Sarebbe stato più
semplice cedere, non pensare a nulla che non fosse Klaus, ma era tanto
immorale che non era nemmeno in grado di rimuginare su quella
prospettiva. Poi quanto sarebbe potuto durare? Un anno? Un decennio? Non di più.
Lei sarebbe invecchiata e, dopo, morta e Klaus avrebbe continuato a
vivere la propria eternità, incontrando altre donne, amandole, fino a
dimenticarsi di lei. Sarebbe stata un’avventura come un’altra, non
avrebbe mai potuto possedere quel posto, quello che ogni persona
avrebbe sognato di fruire con la propria anima affine, nel cuore
dell’ibrido immortale, e quella constatazione le stringeva il cuore in
una morsa insopportabile di gelosia e tanta, troppa, amarezza. Non
sarebbe mai divenuta un vampiro, a nessuna condizione, non perché li
odiasse, bensì perché non avrebbe mai potuto pensare di vivere
l’eternità. Le faceva paura quella prospettiva, la spaventava, e non
riusciva a comprendere come delle persone potessero anche solo
desiderarla. Nicole già solo tremava al pensiero del futuro più
prossimo, del domani, di un giorno successivo a quello che viveva.
L’eternità era troppo lontana, irraggiungibile, e non voleva neppure
conoscerla. « Quale vampiro? » domandò Mikael gentilmente,
facendole cenno con la mano di accomodarsi nella sala. Klaus l’anticipò
e si appoggiò contro una scala, sedendosi sul secondo piolo mentre
Rebekah sul tavolo. Nicole si accomodò sulla sedia di semplice legno
scuro che prima aveva occupato Mikael e l’Originale rimase in piedi. «
Damon Salvatore. Poi come facesse lui a sapere che ero al cimitero
rimarrà un mistero,» rimuginò tra sé. Sembrava che non l’avesse cercata
tanto a lungo. Aveva lasciato casa sua solo da una mezzora, ne era
pienamente certa. Forse doveva aver immaginato tutto, però era così
reale. Stava divenendo paranoica. Non era possibile che si immaginasse
Damon Salvatore tra tutti quelli che sarebbero potuti venirle in mente.
Era reale, tutto. Klaus sbuffò e un ironico sorriso gli increspò le
labbra piene. Si passò una mano tra i corti ricci dorati per
ravvivarli, poi la guardò, furbo, uno sguardo che l’avrebbe fatta
arrossire in un’altra situazione. « Seguito il consiglio velato di
tua sorella? Non ci posso credere,» esclamò scettico, sollevando il
sopracciglio destro e l’angolo delle labbra. Nicole arrossì, di poco,
poi scosse il capo, ridendo lievemente. « Nemmeno io, in tutta
onestà,» scherzò divertita mentre un’ombra di tristezza era in
prossimità di velarle gli occhi chiarissimi, « Forse era arrivato il
tempo che salutassi mamma e papà,» mormorò chinando il capo, lo sguardo
sulle converse rosse e basse, « Mi hanno aspettato più che a
sufficienza,» aggiunse in un sussurro impercettibile. Elena aveva
ragione. Avrebbe dovuto recarsi al cimitero molto tempo prima, non
appena aveva messo piede a Mystic Falls. Eppure era come se quel posto
l’avesse allontanata da sé, facendole rimandare quell’incontro che le
sarebbe stato necessario per continuare la propria vita. Dire addio ai
suoi genitori adottivi sarebbe stato doloroso. Loro l’avevano amata con
tanto sentimento da impedirle di riuscire a dimenticarli di colpo, come
se nulla fosse accaduto tra loro. Elena non poteva sapere quanto le
aveva fatto male venire a conoscenza di quella verità. John gliel’aveva
comunicata sottovoce, una mattina d’estate, mentre stava facendo
colazione e guardando il telegiornale. Aveva spento la televisione e si
era accomodato sulla sedia di fronte alla sua. Le aveva preso le mani
tra le proprie e Nicole aveva aggrottato le sopracciglia, incerta del
significato di quegli atteggiamenti tanto inconsueti. John le aveva
rivolto un timido sorriso mentre una lacrima gli rigava il volto
abbronzato e Nicole aveva schiuso le labbra, chiamandolo con
quell’appellativo, papà, che
oramai le era divenuto ordinario e usuale, non più timido o
imbarazzato. Il sorriso di John si era per un attimo allargato,
emozionato ancora di sentirsi nominare in quel modo tanto dolce, poi
spense il sorriso. Non indorò la pillola, andò dritto al punto, per
nulla timoroso. Sua figlia adorava la verità, essendo ella stessa una
persona onesta, e John gliela voleva offrire così com’era, non
tergiversata. Nicole ricordava benissimo di essere sobbalzata, il
battito del cuore accelerato, gli occhi velati di lacrime, le labbra
tremanti. Non aveva pianto subito, solo quando aveva sentito le braccia
di suo padre cingerla in un abbraccio pieno d’affetto poiché aveva
atteso di essere al sicuro. Si era aggrappata a lui e aveva versato
tutte le lacrime che possedeva dentro di sé. John l’aveva abbracciata a
lungo, scostandosi solo quando aveva percepito l’ultima lacrima
inumidirgli la camicia bianca, poi le aveva carezzato il capo e le
aveva posato un bacio tra i capelli, domandandole se volesse tornare a
Mystic Falls per il loro funerale. Avrebbe tenuto lui a bada il
Consiglio, non avrebbe dovuto preoccuparsi di nulla. Nicole aveva
scosso il capo, con veemenza e foga, certa delle sue intenzioni che non
mutarono mai nei giorni a venire. Non sarebbe tornata a casa. Tre
giorni dopo John, vestito interamente di nero, gli occhi spenti e
tristi, privi della consueta luminosità, aveva sospirato, l’aveva
guardata per l’ultima volta e aveva annuito prima di lasciare la loro
casa. Nicole non aveva più pianto. Era rimasta inerme dinanzi al
Destino che era stato prospettato per i suoi genitori. Non aveva
chiesto nulla, né se Elena stesse bene né la modalità dell’incidente.
Non ne aveva avuto mai la forza e suo padre, ben sapendo quanto Nicole
potesse soffrire, non l’aveva mai forzata, sebbene certe volte l’avesse
sorpreso ad osservarla con un cipiglio pensieroso e attento, come se si
fosse aspettato di vederla crollare da un momento all’altro. Nicole, in
verità, era crollata, ma l’aveva fatto internamente, implodendo e
mantenendo tutto, il risentimento, la collera, il dolore, le lacrime,
all’interno del suo animo. Non voleva essere un peso per John. Aveva
perso suo fratello, la sua guida e punto di riferimento. Non voleva
aggiungere il proprio dolore a quello di suo padre e non lo fece mai,
seppur tante volte avrebbe voluto fuggire da quella realtà così
malevola. Non aveva dove andare, Nicole, se non rimanere a Richmond,
con suo padre che l’adorava immensamente, senza voler nulla in cambio,
ringraziando il Signore di avergli offerto una seconda possibilità,
almeno con lei. « Nicole,» la chiamò una bella voce maschile,
bassa e lievemente arrochita. Alzò il capo e incontrò lo sguardo di
Klaus, posato su di lei, a pochi centimetri di distanza. Gli sorrise,
timidamente, e annuì. Dovevano essere trascorsi molti istanti da quando
la sua mente aveva incominciato a ricordare e, oramai, erano rimasti
soli nell’ampia sala. Klaus le stava porgendo la mano e Nicole posò la
propria, piccola e candida, sulla sua, grande e lievemente abbronzata.
L’aiutò a issarsi in piedi e poggiò le labbra sulla sua fronte,
facendole chiudere gli occhi e sospirare. Percepì le labbra di Klaus,
vellutate e morbide, sulle sue e gli carezzò il volto, lo sguardo
ancora serrato. Klaus si scostò da lei, lievemente, poggiando la fronte
sulla propria, dopo pochi istanti, e Nicole riaprì gli occhi, tornando
a osservarlo. Le stava sorridendo, gentilmente e delicatamente, un
sorriso che Nicole ricambiò prontamente, carezzandogli la guancia
coperta da una lieve peluria bionda, « Avrei voluto esserci io, al
posto di Damon, per te. Dev’essere stato così difficile,» aggiunse
attirandola verso di sé poggiando una mano sulla sua schiena. Nicole
sorrise, amareggiata, poi scosse il capo. « Sicuramente non ero un
bello spettacolo, e non sono certa di esserlo neanche adesso,» aggiunse
facendolo sorridere mentre le carezzava gentilmente la guancia,
facendola fremere per l’emozione, « Poi avevi Rebekah da risvegliare.
Sono felice che stia bene e mi dispiace sia così ferita, anche se posso
capirla,» sussurrò facendoglisi più vicina, a un soffio dalle sue
labbra. Percepì il suo respiro caldo infiammarle il volto e respirò
profondamente per calmare i battiti del proprio cuore che rischiavano
di aumentare a dismisura, « Questa città sta andando in malora,»
aggiunse facendolo ridere. Era una riso basso, roco, sensuale, che la
fece avvampare e tremare lievemente. Poco dopo, però, interruppe la
risata e si allontanò da lei, arretrando di un solo passo, chiudendo
gli occhi limpidi e scostando la mano dalla sua guancia. Nicole lo
osservò, timorosa di aver detto o fatto qualcosa che avesse avuto il
potere di turbarlo, e aggrottò le sopracciglia dorate, non capendo cosa
avesse sbagliato. I suoi occhi, quando li spalancò, erano gelidi tanto
da intimorirla, ma non tremò. Attese che lui le parlasse, che si
aprisse con lei. « Bekah non mi perdonerà mai per ciò che ho fatto a
nostra madre,» le confessò sottovoce mentre nello sguardo era visibile
una sfumatura di tristezza mista a dispiacere. Nicole, più sollevata,
gli sorrise, distendendo appena le labbra sottili, e gli prese il volto
tra le mani, carezzandogli gli zigomi con le punte dei polpastrelli, «
Mi ha guardato come se fossi un mostro, come se volesse uccidermi ed è
vero. Non avrei mai dovuto farlo,» ammise non guardandola neppure,
avendo chinato il capo. Le sue mani tremanti, però, corsero sui fianchi
della giovane attirandola verso di sé per percepire il suo calore,
quello dell’unica persona che sembrava non odiarlo, tra le dita, «
Avrei dovuto mettere a tacere la rabbia, controllarmi, non lasciare che
l’ira si impadronisse di me, ma non l’ho fatto,» aggiunse tornando a
guardarla seriamente. Nicole sbatté le palpebre per l’intensità del suo
sguardo così colmo di sentimenti ed emozioni contrastanti, confuse,
indecifrabili, « La verità è che io volevo ucciderla, sebbene sia così
sbagliato,» soggiunse, vendendola tremare e sgranare gli occhi. Le
carezzò i fianchi docilmente, come per implorarla di non abbandonarlo a
se stesso e Nicole non lo fece. Poggiò le labbra sulle sue in un casto
bacio e toccò a Klaus sobbalzare. Non si aspettava quella reazione da
parte sua, sebbene la ringraziasse per quel calore. « Il passato
non può essere cambiato, Klaus,» gli sussurrò teneramente
scostandosi di poco dal bel volto magro dell’eterno trentenne che le
sorrise, per poi sbuffare, « E non sono io a dovertelo dire. Hai
vissuto per una decina di secoli, lo sai molto meglio di me. Sai tutto
meglio di me,» aggiunse a malincuore, chinando per un istante il capo.
Una mano, la sinistra, risalì tutto il suo corpo, facendola tremare e
avvampare, fermandosi sul suo mento, sollevandolo gentilmente. «
C’è qualcosa che tu conosci e che a me è stato negato per cotanto tempo
che l’ho oramai dimenticato. Tu lo riporti alla mente tanto da indurmi
a credere che potrei nuovamente sentirne il sapore,» le confessò in un
lieve sussurro carico di passione e sentimento. Arrossì maggiormente e
spalancò lo sguardo chiaro reso leggermente più scuro da tutte le
emozioni che si stavano avvicendando nel suo animo. I battiti del cuore
erano oramai incontrollati e le labbra schiuse, sorprese da quelle
parole così pure e meravigliose. « L’amore? » domandò senza quasi
accorgersene, la voce soffocata dall’emozione e lo stupore. Klaus
sorrise e annuì, un piccolo cenno del capo più forte e potente di ogni
parola. « Ho amato solo una donna nella mia vita e non è mai stata
mia del tutto,» mormorò immerso nei ricordi, sfiorandole la guancia
arrossata. « Tatia?» bisbigliò in un sospiro intristito da quella
verità. Per un solo attimo aveva pensato che l’amore che lui aveva
riconosciuto in lei potesse avere un altro significato. Non era così.
Non era Nicole la persona nel suo cuore, bensì Tatia, il suo amore
passato. Klaus sobbalzò e la guardò interrogativo, aggrottando le
sopracciglia dorate. « Come fai a conoscere il suo nome? » le
domandò incredulo. Nicole era in procinto di rispondergli quando Klaus
sospirò e chiuse gli occhi, « Mikael, ovviamente,» esclamò irritato,
quasi con sdegno. Nicole sospirò lievemente e annuì, sebbene non
potesse vederla. Era stata una sciocca a credere davvero che Klaus
potesse provare qualcosa per lei. Il cuore perse un battito mentre le
lacrime le velano gli occhi. Si allontanò da lui, indietreggiando, e
Klaus la lasciò andare prima di spalancare lo sguardo limpido e colmo
di ricordi, « Puoi dormire qui, se vuoi. Ti accompagno nella stanza,»
esclamò gentilmente porgendole la mano che Nicole afferrò timorosa e
attenta, quasi guardinga, come se non si fidasse più di lui. Klaus
sembrò quasi sbalordito da quello sguardo gelido, così tanto dissimile
dall’animo della giovani dinanzi a lui, ma non diede a vedere il
proprio turbamento, sebbene Nicole si fosse accorta di
quell’espressione, « Non voglio che torni a casa a quest’ora di notte,»
aggiunse atono, non un’inclinazione nella sua bella voce. Nicole annuì,
fredda, e si lasciò guidare per il corridoio buio, affidandosi a lui
poiché non era in grado di distinguere nulla nelle tenebre della casa.
Era stata una sciocca e non si sarebbe mai perdonata quell’attimo di
cedimento poiché aveva aperto una finestra nel suo animo che non si
sarebbe mai potuta richiudere. Amore.
Era stata un’illusa a credere che Klaus potesse provarlo per lei. Era
sempre Tatia e sarebbe rimasta per sempre lei, pur non avendolo mai
amato come avrebbe potuto, invece, fare lei. Era gelosia quella che provava?
Si domandò, aggrottando le sopracciglia. Non era mai stata gelosa in
tutta una vita, forse solo in un’occasione, ma quella poteva benissimo
essere stata irritazione, come di quella Tatiana Petrova, la prima
doppleganger, una ragazza che aveva avuto le stesse sembianze di Elena.
Era totalmente insensato nutrire invidia nei confronti di una donna che
era morta secoli e secoli prima, uccisa dalla madre di Klaus per far
rinascere i propri figli, però Nicole non poteva farne a meno.
Camminava meccanicamente al fianco dell’ibrido e si bloccò quando
anch’egli lo fece. Accese una luce e le mostrò un’enorme camera non
ancora arredata. Solo un letto, abbastanza improvvisato, un materasso
con un lenzuolo candido sopra, era presente nella stanza. Klaus
sembrava persino imbarazzato di averla fatta entrare lì e non ne
comprese la ragione, « Perdonami. È il meglio che posso offrirti per
questa notte. La casa dev’essere ancora ristrutturata a dovere e non
posso ancora arredarla come vorrei,» le confessò irritato. Nicole
aggrottò le sopracciglia e schiuse le labbra, sorpresa e sbalordita. «
È il letto dove dormi tu?» gli domandò in un sussurro appena
percettibile, mentre nuovamente l’emozione, traditrice e disonesta, le
attraversava il cuore. Klaus si passò una mano tra i capelli,
frizionandoseli, arrossendo lievemente. Era strabiliante vedere un
vampiro arrossire, però forse la parte mannara, legata all’umanità, era
ancora capace di provare quelle sensazioni d’imbarazzo. Annuì una volta
sola, « E, allora, dove dormirai tu? Non posso rubarti il letto,»
esclamò divertita prima di ridere lievemente della sua espressione
meravigliata. Le sorrise, dolcemente, e scosse il capo, ironico, prima
di sorriderle con aria furba e scaltra, facendola avvampare
inconsapevolmente. « Se vuoi, dormo al tuo fianco. In fondo, abbiamo
già dormito insieme,» le ricordò sollevando entrambe le sopracciglia,
avanzando verso di lei. Nicole arretrò, imbarazzata, sfiorando il muro
dietro di lei e scuotendo il capo. Klaus la osservò, giunse le mani e
se le portò dietro la schiena, sorridendole astuto, assottigliando lo
sguardo e inumidendosi le labbra. Percepì un rumore al piano di sotto.
Probabilmente Rebekah era tornata dalla caccia a sentire il rumore dei
suoi tacchi contro il pavimento, « Ma per questa notte è tutto tuo, mia
cara,» le mormorò sfiorandole la guancia in un lieve bacio appena
accennato, poi si allontanò velocemente, discendendo le scale e
apparendo dinanzi a sua sorella. Il volto aveva ripreso il solito
colore e le parve più calma e rilassata. Mikael era dietro di lei. « La ragazza? » gli domandò incuriosito. Klaus indicò il piano superiore con lo sguardo, poi si mise le mani in tasca. «
Lei mi piace. È carina con me e non assomiglia per niente a sua
sorella,» esclamò Rebekah sedendosi sul tavolo, quasi annoiata
guardandosi le unghie delle mani, « Trattala bene,» aggiunse più seria,
osservandolo con discrezione. Klaus inclinò il capo e sorrise, poi si
sedette nuovamente sul piolo della scala e Mikael si accomodò sulla
sedia, « A proposito, l’hai già baciata?» gli domandò con falsa
innocenza facendo sorridere suo padre. Klaus arrossì, di poco, per
quanto gli permettesse la sua parte più umana, e digrignò i denti. « Rebekah,» ringhiò roco, facendola ridere di gusto e oscillare le gambe snelle e flessuose. «
Siete andati già oltre? » domandò suadente. Klaus scosse il capo e
sorrise, esasperato dalla sua sorellina che gli sorrise, scendendo dal
tavolo e dirigendosi verso un piccolo mobile che fungeva da minibar
improvvisato. Scelse una bottiglia di brandy d’ottima annata,
analizzandola con fare criptico prima di imbronciare le labbra carnose
e rosse, alzare le spalle e stapparla. Ne bevve un’abbondante sorso e
Klaus la osservò prima di sbuffare sonoramente, come per intimarle di
non finirla. « Quella ragazza è buona e gentile,» mormorò Mikael
assorto nei propri pensieri. L’ibrido lo guardò per un solo istante,
l’espressione indecifrabile e le labbra appena schiuse e
imbronciate. « Si chiama Nicole,» borbottò Klaus, issandosi in piedi
e camminando verso la finestra che mostrava il giardino. In lontananza
era in grado di distinguere solo le ombre delle fronde degli alberi
mosse dal vento gelido. Probabilmente la giovane strega avrebbe
percepito freddo con quel misero lenzuolo a coprirla, però non aveva
una coperta, a lui non serviva e non avrebbe mai pensato di accoglierla
nella propria dimora che non poteva ancora essere definita tale. Non si
voltò verso il patrigno, ma fu ben capace di immaginare il suo solito
sorriso increspagli le labbra sottili. « So come si chiama,
Niklaus,» asserì leggero, « Conosco tutta la sua dinastia, da Rowena a
Elizabeth. Lei, però, è diversa dalle sue antenate, soprattutto da sua
nonna,» rimuginò meditabondo. Klaus tornò a guardarlo, un cipiglio
serio sul volto antico, poi annuì. « Perché? » domandò Rebekah
incuriosita da quella frase che suo padre aveva appena pronunciato.
Poggiò la bottiglia, colma per due terzi, sul tavolo e si sedette
accanto a essa, guardando dall’uno all’altra, attendendo una
spiegazione. Mikael gli fece cenno, scostando gli occhi da lui a sua
sorella, di raccontare e Klaus annuì nuovamente. « Elizabeth Bishop
non è mai stata una buona strega, almeno durante gli anni della
gioventù. Non ha mai accettato la propria vocazione, non seguendo le
idee di sua madre, Khloe, poi si è sposata e suo marito ha combattuto
la guerra in Vietnam. Non credo sia mai tornato, ma, per averne
certezza, dovresti domandarlo a Nicole. Però posso assicurarti che era
un’ottima cacciatrice e devo averlo trasmesso ai suoi figli. John, il
padre di Nicole, era abile, anche se Grayson era migliore,» raccontò
atono poggiando la mano sul piolo più alto della scala. Rebekah annuì e
lo invitò a continuare. Klaus si passò una mano sugli occhi. Era stanco
e quella storia lo avvicinava talmente tanto a Nicole, a quella piccola
ragazza che dormiva sul suo letto, tranquilla e sicura, da indurre il
suo cuore a riprendere il battito. Nicole era molto diversa da sua
nonna. Elizabeth era furba, scaltra, avvenente e consapevole di quella
verità, tante volte terribile con chi le andava contro per qualche
ragione. Sì, Nicole era davvero dissimile da quella donna che aveva
conosciuto bene negli anni ’60, quando la guerra stava prendendo il
proprio inizio nel sud dell’Asia. Anche nell’aspetto. Rimembrava alla
perfezione le gemme color degli zaffiri della donna e i capelli neri
come la pece, « Elizabeth era una buona strega, ma era abbastanza
intelligente da comprendere che in questa città non v’è posto per gli
esseri soprannaturali. Non voleva avere problemi in città, soprattutto
per i suoi figli,» aggiunse con più gentilezza, per temperare quel
giudizio che sarebbe apparso troppo negativo alle orecchie della sua
sorellina. Elizabeth Bishop in Gilbert era una brava donna, moglie e
madre, alle volte eccessiva e iraconda, ma non malvagia. Nicole e il
suo amore era le prove più evidenti di quella realtà. « Invece
Nicole non è stata tanto furba, mi par di capire,» mormorò Rebekah,
pensosa, massaggiandosi il mento arrotondato e candido, le sopracciglia
dorate aggrottate in un’espressione meditabonda, « Perché è andata via?
Non lo capisco. Aveva la sua famiglia qui e non mi sembra che non la
ami, anzi,» esclamò sollevando il capo verso suo fratello, come per
domandarlo lui. Klaus non fece alcun cenno. Non lo sapeva. Nicole non
lo aveva mai raccontato, non che lui l’avesse chiesto. Desiderava
rispettare la volontà della giovane. Quando le sarebbe parso opportuno,
sarebbe stata lei ad aprire il discorso e Klaus l’avrebbe ascoltata e
supportata, « Poi sembra quasi che questa città la detesti e non è
giusto. È solo una ragazzina,» soggiunse incredula, e anche collerica,
non essendo in grado di comprendere le ragioni degli abitanti di Mystic
Falls. « Non è ho la più pallida idea, Bekah,» mormorò spossato in
un sospiro appena accennato, gli occhi chiusi, serrati. Necessitava di
riposo, di lasciare che la mente provata potesse ristorarsi, e Rebekah
lo comprese. « Niklaus, c’è un posto in questa città che possa
essere considerato un albergo? » domandò Mikael, ironico. Klaus sbuffò
e poi sorrise, tornando a guardare il patrigno. « La pensione di
Theophilia Flowers. In verità, appartiene ai Salvatore, ma non credo
sia importante. Tra una settimana i lavori dovrebbero essere conclusi,
lo spero, e questa casa sarà accessibile. Forse ci vedrà nuovamente
uniti,» mormorò, chinando gli occhi verso il pavimento impolverato, la
fronte aggrottata e un sorriso timido, quasi impacciato, ad abbellirgli
le labbra piene, « Come una famiglia,» aggiunse, rialzando lo sguardo,
spostandolo, poi, dall’uno all’altro. Rebekah sorrideva, dolcemente
come poche volte l’aveva vista, poi scostò un boccolo dorato dal bel
volto e annuì, imbarazzata anch’ella, forse poiché stava trattenendo le
lacrime. Mikael, al contrario, era imperturbabile, un muro di ghiaccio
che non sarebbe mai potuto essere penetrato, non da lui, sebbene
qualcosa nei suoi occhi si fosse incriminato. « Domani andremo dai
Salvatore e ci faremo restituire le bare di Elijah, Finn, Kol e quella
di vostra madre. Nicole ha detto che non può riportarla in vita, che
v’è la necessità di una lignea di sangue, una dinastia di streghe per
farlo,» raccontò loro, una nota di sentimento indecifrabile nella voce
grave. Klaus annuì e lo invitò a continuare, « Abigail Bennett mi
rinchiuse a Charlotte sedici anni fa. È alle Bennett che dobbiamo
rivolgerci. Tu ti occuperai dei Salvatore, io di ritrovarla,» propose
quasi con gentilezza, per ammorbidire quello che doveva sembrare un
ordine. « E io? Cosa farò? Voglio aiutare. È la mia famiglia,»
esclamò Rebekah, collerica, le sopracciglia arcuate e i pugni serrati,
guardando prima Klaus, poi, quando notò il suo sguardo deciso, Mikael.
L’Originale scosse il capo con foga e Rebekah puntellò i tacchi contro
il suolo, le labbra contratte in una smorfia irata, gli occhi
assottigliati, prima di volgersi verso il fratello. « Mikael ha ragione. Dobbiamo saperti al sicuro,» concordò con il patrigno con voce greve e bassa. Rebekah scosse il capo. «
Non ho cinque anni, Niklaus. Non ho bisogno della balia e, soprattutto,
non ho bisogno che voi due vi preoccupiate per me,» chiarì sua sorella,
le labbra imbronciate in un’espressione di pura costernazione e
fastidio, « Cosa dovrei fare domani? Sentiamo,» lo invitò innervosita.
Klaus sospirò, irritato da tutta quella contrarietà, poi spalancò gli
occhi azzurrini e schiuse le labbra. « Potresti andare a fare
shopping, con Nicole,» propose tentando di imprimere nella propria voce
un tono calmo, pacato e ragionevole. Rebekah ci pensò, per qualche
istante, poi annuì e sospirò. « Bene, ma non credete che rimarrò a
braccia conserte come una bambolina,» esclamò irritata, poi scomparve
con una folata di vento. Mikael sbuffò e scosse il capo e sul volto di
Klaus apparve un lieve sorriso, vittorioso e, allo stesso tempo, stanco. «
Fai attenzione, Niklaus,» gli raccomandò il patrigno atono, mentre si
dirigeva verso la porta d’uscita. Klaus lo guardò, assottigliando lo
sguardo antico, le labbra contratte in un’espressione irata e
collerica. « Sono fuggito mille anni da te, Mikael,» sibilò
serrando i pugni, « Ora ti preoccupi per me? O per Bekah? Tu non sei un
padre, non lo sei mai stato, e se fossi stato tuo figlio, non sarebbe
cambiato nulla,» esclamò tremante. Suo padre, quello che Klaus avrebbe
tanto voluto essere il suo genitore, si voltò a guardarlo, non la
collera negli occhi azzurri, di ghiaccio, bensì l’incredulità, qualcosa
di umano, « Persino Finn, seppur amasse la mamma come nessuno, nemmeno
Bekah, aveva saputo fare, non avrebbe esitato a ucciderti. Elijah, il
virtuoso, che avrebbe fatto di tutto per la nostra famiglia, è fuggito
da te. Non li ho portati via io da te, nemmeno Rebekah. È stata lei a
scegliere. E ha scelto me,» continuò scandendo ogni parola come per
imprimerla nella mente di Mikael, e anche nella propria, non con
rabbia, ma con amarezza. Mikael annuì e sospirò. « Ne sono
consapevole, Niklaus. Ho sbagliato. Tutto. Domanderò perdono a ognuno
di voi quando saremo uniti. Se non l’otterrò, comprenderò e me ne andrò
per sempre, lasciandovi essere una famiglia,» gli promise prima di
scomparire nella notte buia, lasciandolo solo. Una lacrima gli rigò il
bel volto, poi si inumidì le labbra e scosse il capo, dirigendosi
velocemente verso il piano superiore, nella stanza in cui la bella
giovane dormiva. Rimase sulla soglia, quasi timoroso, poi avanzò, non
facendo il minimo rumore, sino ad essere al fianco del suo volto
infantile, illuminato da un piccolo sorriso. I capelli dorati le
incorniciavano il viso e le ciglia lunghe sfioravano gli zigomi
arrotondati. Era rannicchiata, coperta solo da quel sottile lenzuolo
che non poteva offrirle calore, la mano sul cuscino, accanto al volto e
l’altra abbandonata lungo il fianco. Sembrava una bambina. Innocente e
pura. Non avrebbe mai dovuto contaminarla con la propria malvagità, le
tenebre che regnavano nel proprio animo colmo di antico dolore. Le
carezzò la guancia, seguendone il contorno con i polpastrelli, dopo
essere chinato alla sua altezza. Vide il sorriso di Nicole distendere
maggiormente le sue belle labbra. Era sereno, felice. « Klaus,»
sussurrò, la voce impastata dal sonno, ma emozionata e sincera. Aprì
gli occhi, di poco, socchiudendoli appena e Klaus le sorrise. «
Perdonami, non avevo intenzione di destarti dal tuo riposo,» mormorò
dolcemente dispiaciuto, « Adesso vado,» aggiunse più amareggiato
nell’atto di scostare la mano dal volto della giovane che prontamente
l’afferrò. « Resta con me. Solo per questa notte,» aggiunse più
timorosa, come se avesse paura di un suo rifiuto. Klaus annuì e si
diresse velocemente dall’altra parte del letto, distendersi al suo
fianco, sopra il lenzuolo. Nicole aveva ancora gli occhi aperti e
sorrideva quando lui le sfiorò i capelli, scostandoli dalla guancia e
dal collo. Le posò un gentile bacio su entrambi e la strinse a sé, per
infonderle calore. Nicole chiuse gli occhi e si accoccolò meglio contro
il suo petto, distendendo le gambe snelle. Dopo poco tempo, il suo
respiro divenne regolare e profondo, i battiti del suo cuore calmi e
rilassati. S’era addormentata. Klaus sorrise e chiuse anch’egli gli
occhi, sulle labbra un sussurro che non si spanse mai nell’aria. |