Chapter
Nine – Things left unsaid
« Oh, accident – ahi! Ma
dov’è la lu
– oh, Mickey, tesoro mio, scusa! »
Palesemente divertito, e grato che con il
buio Minto non fosse in grado di vedere bene quanto lui, Kisshu la
osservò
cercare di entrare con quanta più dignità possibile dalla porta sul
retro senza
scontrarsi con i vari mobili e senza pestare una seconda volta la coda
del
proprio cagnolino.
« Vedi che è più facile utilizzare il mio
metodo. »
« Non posso continuare a spuntare
all’improvviso
quando le porte sono chiuse a chiave, » rimbrottò lei, innervosita dal
suo tono
ilare, « Già scommetto che si chiedono cosa ci fai sempre tu in giro
per casa.
»
« Avranno sicuramente molti dubbi al
riguardo. »
La mora sbuffò contrariata, affondando il
naso nel pelo profumato di Mickey per non vedere il ghignetto
soddisfatto
dell’alieno, ma non si lamentò troppo quando l’afferrò per la vita e
bruciò la
distanza rimanente fino alla sua camera con l’aiuto del teletrasporto.
« Qualche bicchiere di troppo, tortorella?
» le domandò sottovoce con una punta di divertimento, sfiorandole la
nuca con
il naso, e lei barcollò via di due passi, lasciando libero il cagnetto
di
scorrazzare per il pavimento.
« Dopo tutta questa fatica, mi sono
meritata il mio divertimento, » asserì, facendo leva sul baldacchino
per
slacciarsi i sandali con il tacco e calciarli via, « E comunque sono
perfettamente
in me. »
« Mmmhm, » commentò lui divertito,
osservandola ondeggiare leggermente nel vestito rosa per raggiungere la
toeletta,
« È una versione di te molto piacevole. »
Minto non rispose, sollevò solo un dito a
mo’ di minaccia mentre si toglieva i gioielli e li riponeva con
eccezionale
cautela – nonostante le sue mani fossero un po’ più lente del solito –
poi
zampettò indietro e si lasciò cadere seduta sul letto con un sospiro.
« La luce è ancora spenta, » si lamentò
poi, come se l’avesse compreso solo in quel momento, e Kisshu, mani in
tasca,
le si avvicinò ridendo:
« Lo so, ma io ti vedo lo stesso. »
Lei mugolò e fece una smorfia, inclinando
appena la testa di lato: « Mmmmph, ottimo, sei più
bravo di me. »
L’alieno si corrucciò, confuso, nonostante
il sorriso che perdurò sulle labbra: « Tortorella? »
« Guardatemi, sono Kisshu, vedo al buio,
riesco
a volare, » blaterò lei, a voce forse un po’ troppo alta, « E sono così
bravo a
esprimere i miei sentimenti! »
Lui sbuffò divertito, osservando il
broncio
che le si disegnò in faccia nella penombra, e le si inginocchiò
davanti: «
Quindi sei un’ubriaca riottosa, eh? »
« Non sono ubriaca. »
« Avessi saputo che era questo il trucco…
»
Kisshu rise e le prese una mano, « Stai ancora rimuginando sulla
conversazione
di qualche settimana fa? »
« Io non rimugino, » si
difese
subito lei, indispettita, beccandosi un’occhiata scettica, « Io rifletto
sulle cose prima di agire. »
« Tortorella, guarda che se non - »
« Non sono capace, » ammise con rabbia, le
guance che si tinsero di rosa, « Non… l’ho mai detto. E se… se poi lo
dico,
diventa vero, e se diventa vero e non… »
La sua voce si affievolì e lei scostò lo
sguardo,
prendendo a giocherellare con la cravatta di lui, che tentò di farsi
ancora più
vicino:
« Se ti ho già detto che mi sono
innamorato
di te, » le mormorò, causandole uno strano singhiozzo, « Come fa a non
essere
già vero? »
Minto aprì e chiuse la bocca un paio di
volte, la mente troppo offuscata per poter ribattere a suon di logica,
e si
arrischiò a lanciargli un’occhiata da sotto le ciglia scure.
Certo che era vero, le strillò il suo
cuore
al vedere lo scintillio delle iridi dorate, e lo sapeva da mesi lei
ormai
quanto vero fosse, ecco perché la spaventava così tanto confessarlo.
« Comunque non devi dirlo per forza, »
Kisshu si alzò e le scoccò un bacio sulla guancia, « Sarebbe solo
carino
sentirsi dire qualcosa di diverso da sei un cretino.
»
La mora sbuffò irritata, però lo trattenne
per la cravatta e deglutì piano: « Io non sono innamorata di te, »
scandì,
percependolo irrigidirsi, « Io ti amo e basta. Da un po’, anche. »
Le sembrò che Kisshu ci mettesse fin
troppo
a reagire e che l’unico rumore distinguibile nella stanza fosse il
battito
erratico del suo cuore, poi lo udì ridacchiare mentre premeva le labbra
sulla
sommità della sua testa: « Lo so. »
Minto rantolò e si scostò d’un tratto per
guardarlo malissimo: « Ikisatashi, che vuol dire lo so?! »
sberciò in un
sussurro.
Si alzò per seguirlo mentre lui prendeva
Mickey in braccio e, con più o meno grazia, lo lasciava in corridoio e
gli
chiudeva la porta sul musetto, ma non riuscì ad aggiungere altro perché
lui la
zittì con un bacio e la placcò tra il materasso e il proprio corpo.
Quando le prime luci del giorno filtrarono
attraverso la tenda chiusa male, colpendolo negli occhi, Taruto era già
sveglio
da un pezzo; o forse era meglio dire che non si era mai addormento del
tutto,
visto quanto si era girato e rigirato tutta notte, non curandosi
nemmeno di
tirare su dal pavimento uno dei cuscini, caduto a forza delle sue
piroette. Ringraziava
solo che Kisshu (come al solito) non fosse rientrato, perché non
avrebbe avuto
molta voglia di vederlo, ancora memore della loro chiacchieratina di
poche ore
prima, e che la camera di Pai fosse dall’altro lato del corridoio, così
che non
potesse sentire praticamente mai cosa succedesse con Retasu.
Affondò la testa contro il guanciale e
grugnì ad alta voce, tirandosi anche il lenzuolo fin sopra la testa per
ricreare un po’ di oscurità. La causa della sua insonnia era ovviamente
quella
vocetta irritante – e così simile a quella del secondo di loro tre –
che gli
ricordava di quanto Purin fosse stata splendida nel vestito da
damigella, di
quell’innocente bacio sulla guancia che gli aveva causato quindici
minuti di
fibrillazione atriale, di come alla fine della serata lei l’avesse
afferrato
per un braccio e portato a ballare in mezzo a loro, al tempo stesso
rimpinzandolo di pasticcini. Se ballare era il termine giusto per essere
rimasto imbambolato e rigido come un’asse da stiro.
Non era neanche riuscito ad accompagnarla
a
casa, lasciando che ci pensasse Keiichiro con la sua auto, troppo
innervosito
dalla situazione.
O dalla sua incapacità di gestirla, se
proprio voleva essere sincero.
Ha continuato a chiedermi di te
finché
non sei tornato.
Perché Kisshu non era capace di badare ai
fatti propri? Perché aveva sempre quella necessità di infilare il becco
dove
non gli competeva? Che ne sapeva lui di cosa volesse dire incontrare la
propria
migliore amica a undici anni, non vederla per una vita intera ma
pensarla
costantemente, desiderare raccontarle di ogni cambiamento, ogni
successo, ogni
problema, per poi tornare all’improvviso e trovarsi davanti…
E poi cos’era quella storia di lui e Purin
che si scambiavano confidenze?!
Un coglione ficcanaso, suo fratello non
era
altro che un deficiente con troppo tempo libero e troppo gusto per le
chiacchiere e le donne, non era per niente produttivo continuare a
rimuginare
sopra le sue parole. Sbuffando come un toro, Taruto buttò giù i piedi
dal letto
e si avviò in bagno a passi pesanti, così da scongiurare anche di
trovarlo
occupato da qualcun altro (ossia Retasu, che a quanto pare era
parecchio
perspicace anch’essa a leggergli la faccia, visti i sottili e fugaci
riferimenti che ogni tanto gli rivolgeva); aprì l’acqua gelida e quasi
ci buttò
sotto il collo, volendo cancellare il sonno e il fastidio che ancora
gli
opprimevano il cervello.
Si appoggiò poi con le mani al lavandino,
lasciando che le gocce fredde gli scorressero dai capelli sulla
ceramica: la
verità era che suo fratello molto spesso non considerava le conseguenze
delle
proprie azioni – e aveva parecchi marchi a dimostrarlo – mentre lui ci
rifletteva parecchio. Fin troppo. Fino alla nausea.
Soprattutto se una delle conseguenze
avrebbe potuto essere mandare al diavolo la sua amicizia con Purin.
Era palese che anche a lui avrebbe fatto
piacere danzare davvero con lei, dirle quanto la trovava magnifica in
quel
vestito così diverso, stringerla e non lasciarla andare mai più, però
se dopo…
Anche se mai sarebbero dovuti tornare a
Duuar, richiamati all’ordine, se ci fosse stato qualcosa, non avrebbe
mai
potuto…
E allora cosa facciamo, i codardi
perché
non sappiamo predire il futuro?
Gli venne voglia di prendere a testate lo
specchio, forse allora sì la voce fastidiosa di Kisshu avrebbe smesso
di fargli
da grillo parlante.
Fece dietrofront, si sbatté la porta alle
spalle e recuperò qualcuno dei suoi vestiti normali dalla seggiola
della
scrivania, quelli all’apparenza meno stropicciati, infilandoseli quasi
con
rabbia, poi con uno schiocco si teletrasportò davanti alla camera di
Purin.
Non gli interessava che fosse appena
appena
l’alba, che avesse bypassato la porta d’ingresso, che i suoi fratelli –
o lei –
stessero ancora probabilmente dormendo, chiuse la mano a pugno e bussò
deciso
contro al legno un paio di volte, prima di cambiare completamente idea.
Il suo udito fine lo aiutò a percepire un
movimento aldilà della porta, il frusciare delle coperte e un rumore
leggero di
passi.
« Taru-Taru? » Purin lo accolse
stropicciandosi gli occhi ancora mezzi chiusi, arruffatissimi dall’aver
sciolto
la crocchia e dall’incontro col cuscino, e poi sbatté le palpebre un
paio di
volte con più concentrazione, « Ma che… è successo qualcosa? »
Taruto la spinse dentro di malagrazia,
chiudendo di nuovo la porta dietro di sé per cercare di limitare
d’attirare
l’attenzione, e poi prese un respiro profondo, sollevando le spalle.
Magari avrebbe dovuto prepararsi un
qualche
tipo di discorso.
« Senti! » esclamò d’un fiato, le orecchie
che fischiavano, « Tu sei la mia migliore amica. Dico davvero. Mi piace
un
sacco passare del tempo con te, e… e… »
Il viso di Purin si andava rischiarando
sempre più mentre lei continuava a fissarlo senza dire una parola, le
braccia
incrociate al petto e l’espressione un po’ truce, che faceva a cazzotti
con la
sua abituale solarità.
« Però io… e se tu poi non… non te l’ho… »
Un neonato balbettava meno di lui.
Possibile che quando stava davanti a lei perdesse sempre l’uso della
favella?
Senza indugiare oltre, e senza sottoporsi
di più a quella vergognosa tortura, l’afferrò per le spalle con un po’
troppa
veemenza e la tirò a sé per baciarla d’improvviso, strappandole un
sussulto
sorpreso. In petto gli scoppiarono dozzine di farfalle: Purin era
morbida, più
calda del solito, e per qualche assurda ragione lui si ricordava
perfettamente
del suo sapore, da quel bacio che si erano scambiati da bambini(*).
Si staccò da lei solo per il bisogno
fisiologico di appurare la sua reazione, trattenendo in ogni caso il
respiro
per paura di aver fatto la cretinata più grossa della vita.
Purin rimase ferma, con gli occhi
socchiusi
e il mento un po’ verso di lui, poi lo guardò storto e si lasciò andare
a una
specie di risata mista a un sospiro: « Taru-Taru, sei proprio un
cretino. »
Il sole di inizio settembre non era forte,
ma era abbastanza caldo per permettergli di passare una giornata sulla
spiaggia,
per assorbire quanto più tepore possibile.
Per quanto fosse breve quell’anticipazione
di viaggio di nozze, per quanto fossero vicini a casa e spesso al
telefono per
controllare la loro bimba, era anche estremamente rinfrescante poter
stare solo
loro due, senza nessuno attorno, senza nessun dovere o pensiero se non
quello
di godere della presenza dell’altro, in tutte le nuove sfumature che
gli si
stavano presentando.
Se fosse stato solo per Ryou, sarebbe
stato
un momento che sarebbe durante all’infinito: la costa silenziosa, il
rumore
delle onde che scandiva ogni loro momento entrando dalle finestre
lasciate
aperte, il sapore del sale che si mischiava a quello di Ichigo mentre
percorreva il profilo della sua abbronzatura con le labbra.
« Dobbiamo stare attenti, » mormorò la
rossa con una risata roca, « Un anno fa ormai abbiamo fatto Kim proprio
qui. »
Ryou continuò a prestare la sua totale
attenzione al suo decolleté, armeggiando con i fili del suo bikini: «
Fine
by me, » rispose distratto, facendo scivolare le dita lungo
le curve
morbide dei suoi fianchi, « Tu dimmelo e facciamo una squadra di
calcio. »
Ichigo rise di nuovo e sospirò più forte,
inarcandosi di più verso di lui: « Mi pare esagerato… »
Lui rispose con un mormorio indefinito
mentre riusciva finalmente a sbarazzarsi del costume e scendeva
lentamente
verso la ritrovata voglia sulla sua coscia.
« You’re my family, ginger, » sussurrò strappandole un sospiro, le dita sottili
che gli spettinarono
i capelli, « So let’s make a family. »
Sapeva che Ichigo ci avrebbe messo qualche
secondo di più a computare la frase, ma non si sarebbe aspettato di
sentirla
irrigidirsi all’improvviso e di udire – con un tenace colpo al cuore –
il
trillo di un campanellino. Né di vederla in lacrime all’alzare gli
occhi su di
lei.
Fu combattuto tra la preoccupazione, la
voglia di ridere, e un inusuale ma familiare e inconfessabile frullo
allo
stomaco nel vederla nuda sotto di lui con le orecchiette nere che
spuntavano
tra la chioma infuocata; si mise a gattoni sopra di lei e le asciugò
una
lacrima col pollice.
« Ichigo, » sbuffò poi solamente,
lasciando
trapelare un soffio di divertimento.
La rossa miagolò distintamente, arrossendo
con prepotenza e schiacciandosi le orecchie feline per farle scomparire
mentre
la codina continuava a sferzare decisa l’aria: « Scusa… » borbottò, con
un
mezzo singhiozzo, « Ma la-la cosa che hai detto… e io… io ti amo così
tanto. »
Forse il cervello di Ryou non aveva ancora
metabolizzato del tutto che in effetti solamente il giorno prima Ichigo
era
diventata ufficialmente, legalmente, indisputabilmente sua
(per quanto
il pensiero stesso gli sembrò appena arcaico, ma non se ne sarebbe
preoccupato
in quel momento) vista la giravolta che gli diede il suo cuore. Quasi
pensò che
avrebbe dovuto darsi un pizzicotto per accertarsi che fosse la realtà,
invece
si fece bastare la sensazione dei due anelli sulla mano di lei quando
intrecciò
le dita con le sue e la baciò con forza, prendendo a sussurrarle il suo
amore
mentre scivolava dentro di lei.
§§§
La sola abat-jour sulla scrivania creava
un
cono di luce ridotto e ingiallito, in contrasto con lo schermo luminoso
e
bianco del monitor, e il ronzio delle macchine rendeva l’atmosfera
quantomeno
soffocante. Non che gli importasse più di tanto, c’era talmente tanto
abituato
da poter riconoscere esattamente quale brusio appartenesse a quale
apparecchio.
Keiichiro si sistemò gli occhiali sul naso
e si sporse appena in avanti per poter meglio leggere i dati sullo
schermo,
premendo un tasto per riaggiornare il sistema. Davanti a lui scorrevano
veloci
i dati del primo progetto Mew, uguali a come li aveva lasciati sette
anni prima:
li aveva ricontrollati da capo, e non c’era nessuno cambiamento.
Il che aumentava la sua tensione riguardo
al fatto che i file sembravano essersi aperti spontaneamente.
Eppure, non c’era stato nessun tipo di
segnale, o di allarme, si era assicurato due volte che così fosse e che
non ci
fosse stato un glitch nei sistemi. Funzionava tutto come avrebbe dovuto
funzionare.
Però c’era ancora qualcosa che non lo
convinceva.
« Un altro giro, » si disse sottovoce,
avviando l’ennesimo controllo di ogni satellite, antenna, apparecchio,
mentre
con la mano sinistra tastava il tavolo alla ricerca del suo cellulare,
senza
mai staccare gli occhi dal monitor.
Magari era solo uno sciocco bug, non aveva
senso disturbare Ryou o allarmarlo per niente, men che meno doveva
farlo con le
ragazze.
Però compose lo stesso il numero.
« Buongioooooorno, »
con un sorriso
felino, Kisshu si allungò sul bancone centrale della cucina e rubò un
pasticcino da quelli che Purin stava scegliendo per i clienti, « Mi era
mancato
il tuo faccino qui intorno. »
La biondina lo guardò con astuzia: « Il
Caffè è stato chiuso per il matrimonio, nii-san. »
« Non ti ha mai ostacolato prima da
passare
tutto il tuo tempo disponibile qui, » continuò lui con noncuranza,
adocchiando
un’altra preda, « Ci sono forse… novità? »
Purin rise cristallina e mise al sicuro il
vassoietto in frigorifero, guardandolo da sopra la spalla: « Nii-san? »
« Dimmi tutto. »
« Non sei molto discreto. »
« Mai detto di esserlo, » esclamò
trionfante lui, mostrandole il suo sorriso migliore, « Ma qualcosa mi
dice che
sto in zona fuochino. »
« Muta come un pesce. »
« E dai, scimmietta! Almeno tu dai
soddisfazioni al tuo fratellone. Credo di meritarmi di essere il primo
a
saperlo. »
« Sapere cosa? »
Con tono funereo, Taruto comparve sulla
soglia e lanciò un’occhiata truce a Kisshu, che persistette a ghignare
come un
mascalzone, ben conscio che al fratello minore dessero fastidio sia la
familiarità che lui aveva con Purin, sia ovviamente l’oggetto del
discorso.
« Mah, niente, » finse, scrollando le
spalle e scambiandosi un altro sguardo divertito con la ragazza, « Mi
stavo
giusto chiedendo se per caso fosse successo qualcosa, visto che non
abbiamo
avuto la nanerottola qui tra le scatole per qualche giorno. »
Lo guardò con due iridi talmente schiette
che Taruto percepì il proprio fegato prendere fuoco, mentre Purin
sgattaiolava
via ridendo sotto i baffi.
Il che peggiorò solo la situazione, perché
Kisshu scattò in avanti e gli batté una mano sulla schiena così forte
da farlo
sputacchiare.
« Allora, ci siamo dati una mossa!?
Avanti,
te lo si legge in faccia, e poi non ti si è visto qui in giro dal
mattino dopo
il matrimonio! Quindi, quante basi abbiamo coperto? Ehi, mi auguro tu
sia stato
un gentleman! »
Taruto avrebbe desiderato poterlo
accoltellare
lì e in quel momento, o almeno di condividere il potere di Pai di
lanciare
scariche elettriche a piacimento.
« Fatti una barca di cazzi tuoi, » sibilò
con il viso in fiamme, guardando con nervosismo verso le due porte per
accertarsi che non ci fosse nessuno in avvicinamento, « E poi comunque
che
razza di domande sono?! »
« Li ho avuti anche io diciannove anni, so
esattamente
come funziona. Anzi. »
« Ecco, appunto, » il moro fece una
smorfia
disgustata, « Io non vado in giro a mettere le mani sotto le gonne di
ogni donna
che passa! »
« Tanto per cominciare non è più qualcosa
che puoi usare contro di me, visto che le uniche gonne a cui sono
interessato
sono quelle molto corte della tortorella, e poi cosa c’è di male? Un
po’ di
divertimento non ha mai fatto male a nessuno. Specialmente se ci si
vuole bene.
»
Taruto non seppe più se l’ennesima
tonalità
di rosso comparsa fin sul suo collo fosse data dall’affermazione o
dall’espressione sagace del fratello.
« Non farti strane idee, capito!? »
blaterò, vergognosissimo, « Non c’è… non è così, con
Purin. »
Il cuore gli sfarfallò così forte in petto
che per un istante pensò gli stesse venendo un infarto mentre ripensava
a quei
due giorni in cui avevano vissuto ancora più appiccati del solito.
Molto
appiccicati. Soprattutto negli angoli più nascosti di casa di lei, dove
i suoi
fratellini arrivavano con cinque secondi di ritardo.
Ma nonostante i roboanti ormoni della sua
tarda
adolescenza, nonostante fosse assolutamente magnifico baciare Purin con
trasporto, spostare piano i palmi per scoprire ogni volta un millimetro
in più
di lei, con cautela, mischiare il respiro al suo quando la stringeva un
po’ più
forte, davvero non voleva che qualcuno – che lei – pensasse
che la
componente fisica fosse quella prevalente. Lui voleva solo passare
tutto il
tempo possibile con lei, a sentirla ridere, a guardare le pagliuzze
dorate nei
suoi occhi accendersi quando raccontava qualcosa che l’aveva
entusiasmata
molto, ad arrotolarsi una delle ciocche bionde attorno al dito per
portarsela
al naso e sentirne l’odore di agrumi. A farla ridere, a rincorrerla, a
tenerla
per mano, a…
Fischiò sottovoce e guardò Kisshu da sotto
in su pur superandolo di qualche millimetro, e strinse gli occhi a
vedere che
stava ancora sorridendo così spudoratamente che era un miracolo non gli
fossero
ancora cadute le guance.
« Devo prepararmi a un’altra cerimonia
elegante? »
Il cassetto dei coltelli era
pericolosamente vicino.
« Sei proprio un idiota. »
« Su questo non posso che essere
d’accordo,
» Pai spuntò dall’uscita laterale e guardò Kisshu con rabbia, «
Possibile che
tu non tenga mai il comunicatore accesso? »
Il fratello lo guardò come se fosse matto:
« L’ho lasciato al piano di sopra, siamo tutti qui… che succede? »
Senza aggiungere altro, il moro gli fece
cenno con la testa di seguirlo.
« Dov’è il topolino della mamma? »
Appena varcata la soglia della casa dei
suoi genitori, Ichigo abbandonò la propria valigia e si diresse a
braccia tese
verso Sakura, con in braccio Kimberly, che dopo un primo istante di
dubbio si lanciò
in un gorgoglio contento e scalciò prepotente verso di lei.
« Ma ciao, » la rossa la sollevò e le
baciò
una guancia paffuta, inalandole il profumo, « Mi sei mancata
tantissimo! Hai
fatto la brava con i nonni? »
« È stata un angioletto, » la
tranquillizzò
Sakura, « Non ha nemmeno fatto i capricci per dormire. »
« Vedi allora che qualcuno ti vizia, »
commentò Ichigo con ironia, lanciando un’occhiata a Ryou, dietro di
lei, che rimasse
impassibile prima di prendere anche lui la bambina in braccio.
« Com’è andato il vostro fine settimana,
cari? »
« Benissimo, mamma, ci voleva proprio.
Grazie per aver badato a lei. »
« Ma di che, tesoro, è sempre un piacere
avere la luce dei miei occhi tutta per me, » Sakura rivolse un altro
paio di
faccette buffe a Kimberly, impegnata a tirare impunemente i capelli
biondi del
padre, poi sorrise loro, « Volete un tè? »
« No, grazie, andiamo un po’ a riposarci a
casa, » Ichigo si stiracchiò la schiena, poi sorrise eccitata, «
Dovrebbero
anche essere arrivati tutti i regali! »
« Come se non avessi già abbastanza cose, ginger,
» Ryou le rivolse un’occhiata divertita, « Vorrei anche
passare al Caffè,
prima. »
« Non posso dire di no ai dolci di
Akasaka-san, lo sai, » gongolò lei contenta, recuperando le cose della
bimba, «
Anzi, ne ho proprio voglia. »
« È quasi ora di pranzo, » la riprese con
affetto lui, ma Ichigo si limitò a sorridere furba:
« Vuoi dire che è ora della seconda
colazione! »
« As you wish, ginger. »
Sakura sorrise sotto i baffi, porgendogli
il cappotto della nipotina, e pensando che non fosse certo solo
Kimberly quella
viziata da Shirogane.
« Non capisco cosa sto guardando. »
Pai non fece mistero del suo roteare gli
occhi: « I dati del primo progetto Mew, » rispose scocciato, aumentando
la
confusione di Kisshu, che gesticolò verso lo schermo.
« Okay, perfetto, e quindi? Non c’è niente
di nuovo. »
« Su questo hai ragione, Ikisatashi-san, »
intervenne Keiichiro, girando la sedia verso di lui, « Il fatto strano
è che i
dati hanno ricominciato a scorrere stamattina, da soli. Senza nessun
cambiamento, è vero, ma mi chiedevo se magari dalla vostra parte fosse
arrivato
qualcosa. »
Il verde si strinse nelle spalle e con il
mento indicò il comunicatore accanto a uno dei vari computer: « Quello
è
collegato direttamente ai nostri apparecchi, finalmente mio fratello si
è
deciso ad ascoltarmi. Se è rimasto muto, allora siamo a posto. »
Il moro osservò la scatolina nera e annuì
lentamente, come riflettendo, poi sorrise: « Credo abbiate ragione. Non
voglio
creare allarmismi per niente, quindi non informerò Ryou per ora, ma se
qualcosa
dovesse cambiare, vi prego di aggiornarmi. »
« Certamente, Akasaka-san. Anche io sarei
più a mio agio a scoprire l’origine di questa… anomalia. »
« Magari solo un refresh
di sistema?
»
« Potrebbe essere, » Keiichiro sospirò,
con
un sorriso un po’ stanco, « Potrebbe. Lancerò un’altra scansione, ma
credo che
i risultati non varieranno troppo. »
Con un ultimo cenno del capo, i due alieni
lasciarono il laboratorio a passi lenti, e Kisshu seguì Pai lungo la
seconda
rampa di scale, ben conoscendo il cervello iperattivo del fratello
maggiore.
Il viola, infatti, si fermò a metà
corridoio, quando fu sicuro di essere abbastanza lontano da orecchie
sgradevoli: « C’è uno schermo inserito, vero? »
Kisshu lo guardò sbigottito: « Cosa?
Ovviamente no, Pai! Andiamo, altrimenti che senso avrebbe? Il punto del
comunicatore qui al Caffè è avere comunicazioni immediate! »
L’altro fissò un punto nel vuoto, come se
stesse riflettendo, poi si passò una mano sul viso: « D’accordo, il che
vuol
dire che davvero non c’è niente. »
« Niente di rilevabile, almeno. »
« Impossibile, siamo settati per rilevare
le minime cose, » grugnì il maggiore, « Ho ricontrollato tutto apposta
dopo il
ritorno di Taruto, per espandere maggiormente la finestra di preavviso.
»
« Vedi che sei d’accordo con me che il
comunicatore ci serve pulito e istantaneo. »
Pai lo guardò male e fece per aprire la
bocca, quando un frastuono dal piano di sotto li fece sobbalzare
entrambi e quasi
volare giù per le scale; ma entrambi non lesinarono un sospiro di
sollievo nel
vedere la scena che gli si presentò davanti.
Retasu, infatti, era per terra, circondata
da cocci di piatti fortunatamente vuoti, che si massaggiava una coscia
dolorante, Purin inginocchiata davanti a lei con un viso contrito.
« Ma che è successo? »
Pai s’affrettò a raggiungere la ragazza e
l’aiutò ad alzarsi in piedi, mentre lei cercava di sistemarsi la
crestina che
si era affossata da un lato, il viso rosso per l’imbarazzo.
« Purin ha tirato fuori la palla… »
gemette, lasciando che l’alieno le controllasse velocemente i palmi
alla
ricerca di eventuali tagli o escoriazioni, e la biondina fece un
sorriso
colpevole, iniziando a raccogliere i pezzi.
« Mi è venuto da starnutire e ho perso il
controllo, nee-chan, mi dispiace! »
« Non fa niente, Purin, tranquilla, non mi
sono fatta nulla. Ah, Keiichiro-san, i piatti… ! »
Il moro, rispuntato dal seminterrato, le
rivolse il suo splendido sorriso: « Ne abbiamo scorte a sufficienza,
Retasu-san,
nessun problema. Magari Tamiko-san può darci una mano? » aggiunse dopo
poco,
scoccando un’occhiata cordiale ma acuta alla cameriera che non
nascondeva il
suo sghignazzare allegra alla scenetta e che arrossì di colpo lo stesso
all’essere colta in fallo.
« Siamo un po’ distratti, scimmietta? »
commentò sarcastico Kisshu, lanciando un’occhiata a Taruto, in
ginocchio vicino
alla biondina.
« Sei simpatico quanto un calcio in culo. »
Lei storse il naso e poi se lo grattò con
convinzione: « Forse mi sta venendo il raffreddore. »
« Ahimè, mio fratello sarà assolutamente
vittima dello stesso malessere. »
« Senti, vai a farti - ! »
« Etciù! » Minto
starnutì
elegantemente nella piega del gomito poi riprese la sua camminata verso
la
manager di Zakuro, porgendole un plico di fogli, « Una copia
dell’agenda per le
prossime due settimane e una copia delle dichiarazioni alla stampa per
il
lancio della seconda stagione. »
La manager, una nervosa donna sulla
quarantina di nome Yuzuki Tanizaki, la ringraziò con un cenno del capo:
« Tutto
a posto? »
La mora annuì e fece un’altra smorfia, il
naso che continuò a prudere dispettoso: « Dev’essere questa lacca per
capelli
che continuano ad usare, » si lamentò, lanciando un’occhiata
all’affollato set
della pubblicità per la serie tv, « Ha un odore terribile. »
« Speriamo, non è certo il momento giusto
per ammalarsi, con tutti i contratti nuovi che stanno per partire! »
Minto si limitò ad annuire, sforzandosi di
non far trasparire quanto trovasse insopportabile – e poco
professionale – il
suo essere costantemente negativa e ansiosa. Si congedò con un ultimo
sorriso e
si avvicinò un po’ di più al fulcro dell’azione, avvertendo il calore
delle
luci che le scaldava la nuca scoperta. Zakuro era circondata dai suoi
colleghi
della serie, tutti impegnati a mostrarsi più in confidenza e felici di
quanto
non fossero per favore delle macchine fotografiche, ma lei poteva
capire come la
mora si stesse stancando delle pose esageratamente energiche.
Adocchiata la sedia della modella,
attaccate alla quale c’erano entrambe le loro borse, vi si diresse
spedita per
controllare l’orario e il cellulare; il direttore dello shooting aveva
promesso
di terminare prima di pranzo, e se c’era una cosa cui Yuzuki era brava,
era
quella di far mantenere la parola ai vari personaggi che gravitavano
nel mondo
dello spettacolo.
Si sfiorò di nuovo il naso sovrappensiero
mentre scorreva le varie email che aveva ricevuto durante la mattina,
tra cui
una di Kisshu di pochi minuti prima con allegata una fotografia di vari
piatti
rotti sul pavimento del Caffè e un commento sciocco sull’effetto
deconcentrante
degli Ikisatashi su loro ragazze. Minto sbuffò, ma non fece in tempo a
replicare a tono che il cellulare iniziò a vibrarle tra le dita, una
telefonata
di Ichigo in arrivo.
« Minto-chan, buongiorno! Ti
disturbo?
Stiamo tornando, riuscite a passare al Caffè per pranzo? »
La mora si appartò velocemente in un
angolo, sia per non disturbare sia per allontanarsi dalla musica ad
alto
volume, e sbuffò sarcastica: « Sei già stanca di stare da sola con
Shirogane? »
« Guarda che sei in vivavoce, » le
rispose la voce del ragazzo, mentre la risata della rossa echeggiava in
sottofondo e poi Ichigo continuava:
« No, volevo sapere se per caso
hai già
preso la carta per i ringraziamenti… e poi sto morendo dalla voglia di
mangiare
una éclair di Akasaka-san. »
« Avete già fatto il secondo che hai le
voglie, Ichigo? »
« La vuoi smettere? »
Minto rise e guardò di nuovo l’orologio: «
Ho trovato tre tipi diversi che potrebbero piacerti, ce le ho con me.
Ne
abbiamo per un’altra mezz’ora e poi non ci sono altri appuntamenti fino
a
domani. »
« Noi saremo al Caffè tra un
quarto
d’ora, ci vediamo lì! »
E buttò giù senza attendere risposta.
Il sopracciglio di Minto tremò
visibilmente: neanche la maternità o il matrimonio aveva insegnato a
quella
sciagurata di Ichigo un po’ di buone maniere, quasi le veniva voglia di
non
andarci, al Caffè, per ripicca! Scosse la testa e tornò lentamente
indietro,
pensando che però in realtà uno di quei sandwich alle verdure
ipocalorici di
Keiichiro e un pasticcino alla crema suonavano proprio bene.
« Se non la smette con le sue dannate
battutine, lo butto nel cespuglio di rose e faccio diventare i fiori
cannibali.
»
Purin rise e infilò un pezzo di pane
extralarge in bocca a Taruto giusto per non farlo lamentare: « È il suo
modo di
mostrare approvazione. »
Il ragazzo cercò di parlare, rischiò di
strozzarsi, e masticò furioso prima di borbottare: « Me ne frego della
sua
approvazione! »
« Invece è carino. »
« Non dire che mio fratello è carino. »
« Sei geloso? » la biondina lo guardò con
malizia, riempendo il vassoio con cura, e Taruto rispose in cagnesco:
« … gli monti solo la testa. »
Purin rise e gli fece cenno di dirigersi
verso il tavolo occupato dai loro amici mentre sollevava con cautela il
cabarè:
« Su, vatti a sedere o non rimarrà nulla per te. »
Lui brontolò, ma poi si avviò davanti a
lei
e si concesse di pensare quanto fosse ancora un po’ strano per lui
vedere i
suoi fratelli seduti al tavolo con le umane che avevano combattuto, e
fin
troppo a loro agio con loro.
« Eeeecco qui, » la
biondina posò il
vassoio al centro del tavolo e cominciò a distribuire i vari ordini, «
Kayio-san sta per portare il resto. »
« Sempre che non ci sputi dentro. »
« Ichigo! »
« Che c’è?! » lei guardò Shirogane come se
avesse detto la cosa più ovvia del mondo, « Da quando è ufficiale che
non può
mettere le sue zampacce su Pai, fa fatica a rivolgerci la parola. »
« O forse è perché le sue colleghe sono al
tavolo a mangiare mentre lei lavora? » commentò divertita Zakuro,
mescolando la
propria macedonia di frutta.
« Io sono in pausa pranzo, » Purin si
limitò a scrollare le spalle e ad addentare un panino grosso quanto la
sua
faccia, « A lei tocca tra mezz’ora, questi sono i turni. »
« Non preoccuparti, pesciolina, in caso ti
difendiamo noi, » esclamò Kisshu, notando il viso impensierito della
verde ai
commenti precedenti, « Anche se siete brave a fare a botte. »
« Ti prego. »
Retasu ridacchiò, ma lanciò comunque
un’occhiata poco convinta alla collega quando apparve con un altro
vassoio e un
sorriso esageratamente cordiale in volto.
« Secondo me neanche Ichigo-chan le va a
genio, ora, » interpretò con una punta di malizia Minto, notando
l’occhiataccia
che Kayio rivolse loro quando si allontanò, « Soprattutto ora che è
ufficialmente la moglie del capo. »
Shirogane guardò con intensa nonchalance
la
rossa: « Questo non le dà certo autorità sulle altre. »
« Come scusa? »
« Oh, Ichigo, seriously!? Soprattutto
per lo stesso motivo! »
« Allora non è divertente, » commentò lei
con l’accenno di un broncio, « E poi comunque sono loro che hanno
iniziato ad
essere antipatiche dal primo giorno, noi ci abbiamo provato! »
« Ma se Minto nee-san quasi non rivolge
loro un saluto. »
« Questo è falso, io sono sempre cortese
con tutti, se poi testano la mia pazienza… »
« La tua gelosia, intendi? »
« Purin! »
Altre risate si levarono dal tavolo, e
Keiichiro, dalla finestrella della cucina, lanciò loro uno sguardo
intenerito,
continuando ad impastare della pasta choux per il giorno dopo. Se solo
non
avesse avuto quella strana sensazione…
« Allora avete deciso dove andare in
viaggio di nozze? » domandò con gentile curiosità Retasu, prima di
addentare
una manciata di riso.
« Il problema è più quando,
» mugolò
Ichigo, un po’ sconsolata, « Ci piacerebbe andare sulla costa ovest
degli Stati
Uniti e alle Hawaii, ma è un viaggio lungo e la stagione migliore è
passata. E
poi Kimberly è ancora troppo piccola sia per lasciarla da sola così
tanto che
per farle fare un viaggio del genere, magari ci conviene aspettare che
abbia
almeno un anno. »
« Io sono sempre disponibile a fare da
babysitter, » si propose Purin, che stava passando la metà di quel
pranzo a
fare faccette buffe alla bambina accanto a lei nel passeggino.
« Grazie, Purin-chan, ma adesso voglio un
po’ - » la rossa,
che si stava sporgendo
verso la bimba, si bloccò all’improvviso a mezz’aria, mentre anche le
altre
ragazze s’irrigidirono istantaneamente. D’un tratto, i cellulari dei
vari
clienti iniziarono a vibrare e squillare, il brusio che accrebbe in
proporzione
in maniera quasi minacciosa.
Retasu rabbrividì e scosse la testa come
per svegliarsi da un brutto sogno: « Che… che succede? »
Ryou fu il primo a estrarre il telefono,
aggrottando la fronte quando cominciò a leggere le notizie che
scorrevano sullo
schermo e quasi rovesciando la sedia alzandosi, seguito a ruota da
Zakuro e dai
tre alieni.
« Accendi la televisione, » ordinò a
Keiichiro, che annuì e trafficò a mani tese con il telecomando
dell’apparecchio
che teneva in cucina.
Sembrò che l’immagine ci mettesse più
tempo
del solito a comparire, poi una reporter che si stava sforzando di
farsi
sentire sopra il rumore di sirene e il clamore della folla si palesò
davanti ai
loro occhi:
« Siamo in diretta da Shinjuku,
dove
un’esplosione ha provocato ingenti danni agli edifici e un numero di
feriti
ancora da chiarire. La dinamica dell’incidente è ancora poco chiara, ma
sembra
sia partito tutto da uno scontro tra la polizia e un apparente
gruppetto di
giovani cosplayer. Siamo ancora in attesa di una dichiarazione
ufficiale, ma
come potete vedere alle mie spalle, l’area è stata cordonata e – un
attimo,
sembra che il nostro telegiornale sia riuscito a recuperare delle
immagini
amatoriali. »
L’inquadratura in diretta della
telecamera,
che aveva fin a quel momento mostrato la folla che cercava di
allontanarsi più
in fretta possibile da un angolo ancora fumante di una palazzina che
ospitava
un ristorante in cui si era aperto un buco che raggiungeva il primo
piano, fu
occupata dalla registrazione tremolante di un cellulare probabilmente
appartenente a un passante dapprima incuriosito. Nonostante
l’oscillamento e la
distanza, e un audio terribile sovrastato dai rumori del traffico,
furono ben
visibili le quattro persone all’apparenza impegnate a una tranquilla
passeggiata per uno dei quartieri più affollati della città, il naso in
su e
gli occhi sgranati dalla meraviglia, con addosso abiti dalle fogge
strane e
diverse tra loro e, soprattutto, con chiare armi in spalla o alla
cintola.
Quattro tizi dalle orecchie decisamente
troppo a punta per essere umane.
La sensazione che le stava incendiando la
pelle divenne ancora più opprimente, e Zakuro impiegò una frazione di
secondo a
capire che le quattro persone inquadrate non potevano essere cosplayer.
Contemporaneamente, Ryou e Kisshu sibilarono delle imprecazioni nelle
loro
lingue madri, continuando a osservare come un paio di poliziotti si
avvicinavano minacciosi ai quattro, probabilmente intimando loro di
consegnare
le armi, ottenendo in risposta solo occhiate confuse e un vago
gesticolare.
Poi i poliziotti si fecero più insistenti,
più decisi, fu chiaro sui loro volti come trovassero quel momento
solamente una
farsa che in qualche maniera denigrava la loro divisa; uno di loro,
quello che
sembrava più anziano, si avvicinò a larghe falcate al gruppo, il viso
teso dal
fastidio, insistendo in particolare contro quello più grosso dei
quattro, con
dei capelli grigio-azzurri e un aggeggio terribilmente simile a un
piccolo
bazooka in spalla.
Zakuro avvertì le viscere congelarsi nel
vedere come il tale sembrava divertito dall’ostinazione del poliziotto,
così
tanto che le parve di scorgere un ghigno irriverente dipingersi sul suo
viso,
cosa che dovette far infuriare ancora di più il poliziotto, il quale si
decise
ad estrarre la pistola d’ordinanza e puntarla con decisione verso di
lui.
Gli ultimi quindici secondi di immagini
fecero correre un ennesimo sussulto di sorpresa misto a orrore per
tutto il
Caffè. Si videro i tre confabulare con l’amico sotto tiro, che
continuava a non
mostrare altro che spregio per l’intera situazione, il poliziotto che
incominciava a gridare più deciso e i suoi colleghi che gli si
mettevano
accanto, anch’essi con le pistole puntate; poi, all’improvviso, il
tizio dai
capelli blu afferrò la propria arma, la puntò alla sua destra, e una
forte
deflagrazione colpì il muro della palazzina, scavandone un buco largo
almeno
due metri.
Il video si interruppe in quel momento con
un ultimo confuso fotogramma dei piedi del suo riluttante regista, e
anche se
la giornalista riprese a parlare a voce alta, sul Caffè scese un
silenzio di
tomba.
« What the fuck
was that. »
Zakuro condivise lo stesso pensiero di
Shirogane, impallidito sotto la pelle abbronzata, e si sentì afferrare
il
braccio e voltò appena lo sguardo verso Purin:
« Dobbiamo andare a vedere! » esclamò con
slancio.
« Non lo so, » commentò lei con gelido
sarcasmo, guardando di sbieco i tre Ikisatashi, « Dobbiamo? »
« Fuori discussione, » Ryou le bloccò
immediatamente e abbassò la voce, anche se un chiacchiericcio
impanicato
ricominciava a crescere all’interno del locale, puntando il dito contro
le
immagini del telegiornale che continuavano a scorrere sullo schermo, «
Non
sappiamo cosa sia successo, e ci stanno andando i militari, là. Voi ne
rimanete
fuori. »
« Ma nii-san, hai visto anche tu che - »
« Proprio perché ho visto, Purin, che non
andrete da nessuna parte finché non avremo le dovute spiegazioni. »
« I dati del progetto… »
Si voltarono tutti verso Keiichiro, che
aveva parlato quasi sovrappensiero e che, trovandosi gli occhi addosso,
si
affrettò ad aggiungere: « Stamattina… non è scattato nessun allarme,
niente di
niente, ma i computer si sono riaccesi automaticamente sui dati del
progetto Mew.
»
« E quando pensavi di dirmelo!? »
Shirogane dovette prendere un respiro
profondo e si passò una mano tra i capelli, intimandosi di mantenere un
briciolo di lucidità. Proposito che volò fuori dalla finestra non
appena una
decisa vibrazione cominciò a provenire dalle tasche di Pai, che ne
estrasse un
comunicatore sul quale brillava acceso un puntino rosso.
Gli parve quasi di sentire gli allarmi di
sistema da lassù.
« Adesso voi scendete in laboratorio, »
sibilò irato, lanciando poi un’occhiata alle ragazze, « E voi
continuate la
giornata come se nulla fosse. »
Keiichiro annuì mentre dava uno sguardo
alla clientela confusa e spaventata, lasciando ai tre fratelli il tempo
di
scambiarsi uno sguardo: « Non possiamo chiudere il Caffè, dobbiamo
evitare di
creare ancora più caos o preoccupazione, o dare nell’occhio. »
« Voglio un analisi di ogni fotogramma di
quel video, e un aggiornamento totale di ogni singolo sistema. »
Shirogane non li guardò nemmeno più, girò
sui tacchi e ritornò al tavolo dove ancora sedevano Ichigo, Minto, e
Retasu,
che avevano seguito le stesse immagini dal telefono della mora.
« Sta succedendo qualcosa, vero? » domandò
quasi con disperazione la rossa, abbracciandosi le spalle, « È come… è
come se
lo sentissi, e anche voi lo potete percepire, non è così? »
« Io vado giù in laboratorio, » mormorò, «
Ci sono delle cose da controllare, ma non… »
« Oh, Shirogane, per favore, non prenderci
in giro, » gli rimbrottò Minto, ma lui la interruppe:
« Tu porta a casa Ichigo. Per favore, »
aggiunse poi, in tono più calmo che convinse la mora ad annuire
solamente, «
Qualsiasi cosa succeda, ci vediamo lì. »
Si sporse verso la moglie e le lasciò un
veloce bacio sulla sommità della testa, a cui lei quasi non reagì,
prima di
lanciare un’altra occhiata d’astio verso gli alieni – che ancora non
avevano
proferito parola – e accennare con il mento verso il seminterrato.
Mentre Keiichiro cercava di ristabilire un
po’ la calma nel locale, Ichigo emise uno strano singhiozzo e
rabbrividì di
nuovo da capo a piedi, così forte che Minto si spaventò e la strinse: «
Ti
prendo un tè, d’accordo? Poi andiamo a casa. »
Si scambiò uno sguardo d’intesa con
Retasu,
che scattò sull’attenti e si fiondò in cucina, seguita da Purin che si
attenne
alle disposizioni del moro di prendersi cura dei clienti. Uno sforzo
immane,
visto come i loro corpi continuavano a risuonare come campanelli
d’allarme, ad
allertarle esattamente di cosa stesse succedendo.
Il loro DNA animale che reagiva, che
gridava, che spingeva l’istinto a metterle in allerta.
Qualcosa, non sapevano cosa, stava
succedendo di nuovo.
Era pomeriggio inoltrato quando finalmente
anche Purin e Retasu raggiunsero casa Shirogane insieme a Keiichiro,
dopo aver
chiuso il Caffè con un po’ di anticipo. Minto non avrebbe saputo dire
come
avevano passato le ore da quando lei e Zakuro avevano accompagnato
Ichigo a
casa, se non che le erano sembrate contemporaneamente lunghissime e un
lampo,
avvolte in una bolla di silenzio interrotta solo dai gorgoglii allegri
di
Kimberly, ignara di tutto e totale fulcro dell’attenzione della rossa.
« Ho portato un po’ di avanzi, » esclamò
con quanta più pacatezza possibile il moro, mostrando un paio di
scatole
dall’odore invitante, « È importante mantenere le energie, lo sapete. »
« Grazie, Akasaka-san, » Minto gli
sorrise,
nonostante lo stomaco stretto in una morsa di ferro, « Magari tra un
po’. »
« Non ci posso credere che stia succedendo
di nuovo! » sbottò Ichigo all’improvviso, « Non ne avevamo appena
discusso,
della necessità di essere pronti su tutto? Di sapere cosa stesse per
accadere?
»
Il moro si sedette con un sospiro sul
divano: « Non abbiamo ancora nessuna risposta, Ichigo-chan. E per
quanto
migliorati, per quanto aggiornati, i nostri sistemi possono essere
fallibili.
Anche combinati con quelli di Pai e i suoi fratelli. »
« Voi non capite! » lei si alzò e si passò
le mani tra i capelli, « Voi non potete capire, io non pos - »
S’interruppe quando il soffio sottile del
teletrasporto rimbombò nella stanza, annunciando l’arrivo improvviso
dei tre
Ikisatashi e Ryou. Forse un po’ troppo improvviso, perché Kimberly, nel
suo
ovetto, si spaventò e iniziò a piangere impaurita, facendo sussultare
anche gli
altri; scattarono in piedi, Ichigo e Ryou che si diressero direttamente
dalla
figlia, ma l’unico che trovò la voce per parlare fu Akasaka: « Quindi? »
L’ombra che passò sul volto di Kisshu e
Pai
fu troppo evidente per essere ignorata. Con un affanno, Minto si lasciò
cadere
di nuovo sul divano, diventando cerea e quasi spegnendosi, mentre
Retasu si
portò una mano tremante sulla bocca.
« Ci sono delle cose che… non vi abbiamo
detto. »
« No shit, Sherlock. »
« E dei motivi per cui non l’abbiamo
fatto.
»
Ryou e Kisshu si scambiarono un’occhiata
d’odio, il biondo che digrignò i denti per non far scorrere fuori tutto
ciò che
stava davvero pensando.
Fu questione di un attimo. Zakuro scattò
in
avanti e, pur non riuscendo a spostarlo di un millimetro, agguantò Pai
per la
collottola, facendo balzare anche Kisshu il quale, però, all’occhiata
furiosamente gelida di lei, si limitò a tentare di fermarla con un
braccio:
« Ehi, ehi, ehi, manteniamo la calma,
okay?
»
« Ora voi parlate, » sibilò lei, bruciando
le iridi indaco contro quelle ametista, « E vi conviene dire tutta la
verità. »
Keiichiro si frappose tra di loro,
tirandola gentilmente indietro per un braccio e invitandola con uno
sguardo a
sedersi sul divano, insieme alle altre.
« Ikisatashi-san, vi prego di non
risparmiarci neanche un dettaglio, questa volta, » aggiunse poi con
tono
pacato.
Taruto si staccò dai suoi fratelli,
appollaiandosi sul bracciolo del divano vicino a Purin, mentre Ryou si
lasciava
cadere con un pesante sospiro su una delle poltrone.
Solo Ichigo e gli Ikasatashi rimasero in
piedi, lei come incapace di star ferma che continuava a cullare
dolcemente
Kimberly, le labbra premute contro la sua tempia, loro come due
imputati
davanti al giudice.
Fu Pai a incominciare a parlare, dopo
essersi umettato le labbra con la lingua, gli occhi fissi in quelli di
Retasu: «
Come sapete, la nostra civiltà ebbe inizio sulla Terra moltissimi anni
prima di
quella umana. Con i cambiamenti climatici che il pianeta stava
attraversando,
però, i nostri progenitori si videro costretti a fuggire in cerca di un
luogo
più ospitale. »
« Non serve il riassunto delle puntate
precedenti, » affermò Zakuro velenosa, incrociando le braccia al petto,
e
l’alieno proseguì stoico:
« Furono tre le navicelle che partirono
dalla Terra alla ricerca di un altro pianeta da chiamare casa, o almeno
così
raccontano le nostre storiografie. Non avevano però coordinate precise,
nonostante gli studi per individuare un sistema che potesse sostenere
la vita.
Si narra, quindi, che le navicelle si separarono a causa di errori
tecnici e
condizioni di viaggio avverse. Fu così che fu scoperto Duuar, il cui
stato è
andato peggiorando con il tempo, come sapete.
« Si era creduto che le altre due
navicelle
fossero state perdute per sempre, che fosse diventato ormai solo una
leggenda,
che non ci fosse nessun altro della nostra stirpe là fuori. Ma ci
sbagliavamo.
»
Il viola fece una pausa per schiarirsi la
gola, e Kisshu ne approfittò per inserirsi con un po’ troppa veemenza:
« Cinque
anni fa, più o meno, sono infatti iniziate ad arrivare strane
comunicazioni,
come segnali di riconnessione che non avevamo mai ricevuto prima. E, sorpresona,
abbiamo scoperto che in effetti le navicelle erano arrivate
da qualche
parte, su un pianeta poeticamente rinominato Gaia(**).
Le
comunicazioni non erano mai state possibili prima di allora a causa
della
distanza che ci separa dal loro sistema, ma l’avanzamento delle
rispettive
tecnologie ha permesso di poter scambiare qualche messaggio. »
« Gaia perché è un pianeta decisamente
simile alla Terra, » spiegò Pai, « Con condizioni climatiche ottimali,
che
hanno permesso ai nostri… bè, ai nostri cugini di
fiorire e ricostruirsi
una vita. »
« Pensa che culo, a noi è toccato il pezzo
di ghiaccio e a loro il paradiso. »
« E tutto ciò cosa c’entra con noi? »
domandò Minto sottovoce, lanciando uno sguardo carico di rabbia a
Kisshu per il
commento, e il maggiore degli Ikisatashi fece un altro respiro:
« L’ottimo ecosistema di Gaia ha favorito
lo sviluppo della loro civiltà. Eppure, per quanto sia simile alla
Terra, Gaia
non ne condivide le dimensioni. Per i pochi messaggi che siamo riusciti
a
captare, abbiamo dedotto che sia ormai sovrappopolato all’eccesso,
nonostante
siano ancora in grado di mantenerlo florido e non abbiano dilapidato le
sue
risorse. »
Gli umani decisero di non commentare
quell’ultima affermazione e rimasero in silenzio ad aspettare, non
ancora
soddisfatti della spiegazione, così fu Kisshu di nuovo a concludere,
grattandosi la testa:
« Dovete capire che è davvero in culo
all’universo, quel posto, così i messaggi che riceviamo non sono mai
completi,
e soprattutto mai istantanei. Non siamo neanche mai riusciti a
calcolare quanta
differita ci potesse essere. Ma – e qui c’è la parte, come dire…
difficile… »
si azzardò a lanciare uno sguardo a Minto e poi lo ripuntò su una più
pacata
Purin, « Per quanto abbiamo capito… visto che sono un po’ troppi,
avrebbero
voluto provare a riconquistare il loro pianeta d’origine. »
« Oh, isn’t that
a classic. »
Ci fu ancora un attimo di silenzio dopo la
battuta gelida di Ryou, poi Zakuro esalò piano: « Ed è per questo che
siete
tornati. »
I tre Ikisatashi si scambiarono
un’occhiata, poi Pai annuì: « Non eravamo sicuri di niente. I messaggi
con Gaia
avevano successo quasi solamente in entrata, e come ha detto Kisshu, le
comunicazioni non erano chiare. Ma, nell’eventualità che succedesse… »
« Quindi ci avete riempito di cazzate fin
dal momento in cui siete arrivati, » insistette la modella, immobile e
calma
nella sua posa nonostante il fuoco che le invadeva le iridi.
« Be’, diciamo che abbiamo omesso
un
pezzetto della verità, » rispose Kisshu, « Siamo anche qui davvero per
misurare
e comparare gli effetti di Mew Aqua. »
« Grazie tante. »
« Non potevamo esserne sicuri, » continuò
Pai, « E non aveva senso creare il panico, in caso i nostri tentativi
di
dissuadere i Geoti avessero avuto un buon fine. »
« Non mi sembra proprio, » commentò
velenosa Minto, alzandosi e facendo qualche passo per il salotto, « E
adesso
cosa diamine dovremmo fare!? »
« Potremmo… provare a parlarci, » tentò
invano Taruto, cercando di incrociare lo sguardo degli altri, ma
ricevette in
risposta solo uno sbuffo stizzito di Shirogane.
« Parlarci? » esclamò sarcastico, « Quel
tizio grosso come un armadio ha aperto un buco in un palazzo, for
fuck’s
sake, non mi sembrava molto intenzionato a parlare!
»
« Da un punto di vista prettamente
teorico,
potrebbe esserne capace pure Taruto con uno dei suoi trucchi di radici…
» provò
a stemperare Kisshu, guadagnandosi in cambio solo occhiatacce da parte
di
tutti.
Retasu prese un respiro così profondo che
echeggiò per la stanza: « È per questo… è per questo che sono tornati i
nostri
marchi, non è vero? » domandò con un filo di voce, cercando lo sguardo
delle
amiche, « I nostri DNA… lo sapevano. E oggi noi lo
sapevamo, e lo
sappiamo ancora. Lo possiamo sentire. Siamo qui per proteggere la
Terra,
dopotutto. »
Perfino Minto si concesse l’accenno di una
parolaccia, riprendendo a camminare in tondo per la stanza con le
braccia
strette intorno al busto.
« Mi sa che non abbiamo molta scelta, »
concordò Purin con l’abbozzo di una risatina incerta, « Siamo le Mew
Mew. »
A quelle parole, un singhiozzo si levò da
Ichigo, ancora in disparte rispetto a loro.
« Ryou, » il gemito gli spezzò il cuore in
due e lui faticò a voltarsi verso di lei, a incrociare la sua
espressione
distrutta mentre stringeva Kimberly ancora di più contro al suo petto,
« Ryou,
no, io non… »
In due falcate le fu accanto, praticamente
a sorreggerla mentre gli si abbandonava contro, e fu grato a Retasu che
riuscì
a lanciarsi tra di loro e prendere la bambina per far sì che lui
potesse abbracciarla
quanto più stretto possibile.
« Io non posso, » gemette, tentando di
respirare tra un singhiozzo e l’altro mentre lui le accarezzava i
capelli e le
sussurrava all’orecchio per cercare di calmarla, « Come faccio, io ho…
noi
abbiamo… »
Tutto il senso di colpa che aveva sempre
provato verso le ragazze, verso di lei, nonostante
si fosse ripetuto
migliaia di volte quanto il progetto Mew fosse stato necessario, come
la Terra
stessa avesse scelto proprio loro, gli si moltiplicò in petto più forte
che mai,
provocandogli un bolo di acidità in gola. Non avrebbe potuto dire
niente, per
una volta nella vita non aveva una risposta sufficiente da darle, per
rassicurarla, per dirle che sarebbe andato tutto bene, che nulla
sarebbe
successo alla loro famiglia, ma i ricordi di ciò che era accaduto anni
prima
erano troppo indelebili per mentirle in quella maniera.
Fu Purin invece ad avvicinarsi, a
prenderle
una mano con un sorriso sottile: « Nee-san… siamo tutti dalla stessa
parte,
questa volta, » le mormorò, « E siamo più forti. Siamo più consce, non
siamo
delle bambine. Non devi avere paura. »
« Dai, vecchiaccia, » le diede corda
Taruto,
« Abbiamo anche l’effetto sorpresa. Loro non sanno niente delle Mew
Mew, né che
noi siamo qui, se è per questo. Ci dà un margine non indifferente. »
« Rimanderei le discussioni tattiche a
domani, » s’intromise Keiichiro, con un tono di voce stanco come non
l’avevano
mai sentito, « Credo che serva a tutti del tempo per… digerire le
informazioni.
Ma concordo con Taruto-san che per oggi possiamo stare tranquilli,
credo che i
nostri nuovi ospiti abbiano già attirato abbastanza l’attenzione. »
« Domani inizieremo a pensare a tutto, »
concordò Ryou, continuando a cullare piano Ichigo, un po’ più calma
contro al
suo petto, « Dio, dovrò licenziare le cameriere per riaprire davvero la
vecchia
base. »
« Almeno Ichigo-chan sarà contenta, »
sbuffò Purin, beccandosi un’occhiata di sbieco da sotto il braccio
dell’americano.
« Vi chiedo solo di non rimanere da sole,
se possibile, » aggiunse Keiichiro, guardandole tutte con pacatezza, «
Mi
fareste stare più tranquillo. E cellulari sempre accesi, almeno finché
non
recuperiamo i vostri ciondoli. »
Le ragazze annuirono piano, le facce
ancora
scavate e pallide, i corpi tesi mentre raccoglievano le loro cose per
avviarsi
verso casa.
« Vi aspettiamo domattina al Caffè,
allora.
»
« Che cosa grandiosa, » sibilò Minto,
quasi
litigando con la propria borsa che non voleva saperne di chiudersi, «
Non
vedevo l’ora di dover affrontare battaglie intergalattiche a sorpresa. »
Kisshu azzardò un solo passo verso di lei,
gli occhi dorati quasi spenti: « Tortorella… »
Lei tremò da capo a piedi per trattenersi
dal tirargli un ceffone: « Non ti azzardare a seguirmi, » sibilò, la
voce che
le si spezzò infida, « Non ti azzardare a parlarmi, non ti azzardare a
guardarmi, e soprattutto non ti azzardare a dirmi che ti dispiace. »
Gli diede le spalle e prese l’uscita senza
aggiungere altro, sbattendo la porta così forte che le cornici alle
pareti
sussultarono minacciose.
(*)
Vedasi
l’ultimo numero del manga, dove Purin gli “passa una caramella con la
bocca” –
palesemente un bacio xD Mia Ikumi non mi freghi!
(**)
Gaia dal greco antico (omerico) Γαῖα,
o anche Γῆ, Ghḕ, Gea,
è per la mitologia greca la dea primordiale, personificazione
della Terra,
madre ancestrale di tutta la vita.
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