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Autore: Hypnotic Poison    16/12/2006    8 recensioni
Erano sei anni che poteva considerare la sua vita – quasi – normale. Anche se di cose ne erano cambiate parecchie. [...]
« Beh! Che c’è, non si salutano più gli amici da queste parti? »
« Cosa ci fai tu qui! »
[...]
« Stamattina… non è scattato nessun allarme, niente di niente, ma i computer si sono riaccesi automaticamente sui dati del progetto Mew. » [...]
« Ora voi parlate. E vi conviene dire tutta la verità. »

[ATTENZIONE: STORIA IN REVISIONE. Aggiornati al 04/02/2024: 1-18]
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Mint Aizawa/Mina, Nuovo Personaggio, Ryo Shirogane/Ryan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Chapter Nine – Things left unsaid

 
 
 
 
 
 
 
 
 
« Oh, accident – ahi! Ma dov’è la lu – oh, Mickey, tesoro mio, scusa! »
Palesemente divertito, e grato che con il buio Minto non fosse in grado di vedere bene quanto lui, Kisshu la osservò cercare di entrare con quanta più dignità possibile dalla porta sul retro senza scontrarsi con i vari mobili e senza pestare una seconda volta la coda del proprio cagnolino.
« Vedi che è più facile utilizzare il mio metodo. »
« Non posso continuare a spuntare all’improvviso quando le porte sono chiuse a chiave, » rimbrottò lei, innervosita dal suo tono ilare, « Già scommetto che si chiedono cosa ci fai sempre tu in giro per casa. »
« Avranno sicuramente molti dubbi al riguardo. »
La mora sbuffò contrariata, affondando il naso nel pelo profumato di Mickey per non vedere il ghignetto soddisfatto dell’alieno, ma non si lamentò troppo quando l’afferrò per la vita e bruciò la distanza rimanente fino alla sua camera con l’aiuto del teletrasporto.
« Qualche bicchiere di troppo, tortorella? » le domandò sottovoce con una punta di divertimento, sfiorandole la nuca con il naso, e lei barcollò via di due passi, lasciando libero il cagnetto di scorrazzare per il pavimento.
« Dopo tutta questa fatica, mi sono meritata il mio divertimento, » asserì, facendo leva sul baldacchino per slacciarsi i sandali con il tacco e calciarli via, « E comunque sono perfettamente in me. »
« Mmmhm, » commentò lui divertito, osservandola ondeggiare leggermente nel vestito rosa per raggiungere la toeletta, « È una versione di te molto piacevole. »
Minto non rispose, sollevò solo un dito a mo’ di minaccia mentre si toglieva i gioielli e li riponeva con eccezionale cautela – nonostante le sue mani fossero un po’ più lente del solito – poi zampettò indietro e si lasciò cadere seduta sul letto con un sospiro.
« La luce è ancora spenta, » si lamentò poi, come se l’avesse compreso solo in quel momento, e Kisshu, mani in tasca, le si avvicinò ridendo:
« Lo so, ma io ti vedo lo stesso. »
Lei mugolò e fece una smorfia, inclinando appena la testa di lato: « Mmmmph, ottimo, sei più bravo di me. »
L’alieno si corrucciò, confuso, nonostante il sorriso che perdurò sulle labbra: « Tortorella? »
« Guardatemi, sono Kisshu, vedo al buio, riesco a volare, » blaterò lei, a voce forse un po’ troppo alta, « E sono così bravo a esprimere i miei sentimenti! »
Lui sbuffò divertito, osservando il broncio che le si disegnò in faccia nella penombra, e le si inginocchiò davanti: « Quindi sei un’ubriaca riottosa, eh? »
« Non sono ubriaca. »
« Avessi saputo che era questo il trucco… » Kisshu rise e le prese una mano, « Stai ancora rimuginando sulla conversazione di qualche settimana fa? »
« Io non rimugino, » si difese subito lei, indispettita, beccandosi un’occhiata scettica, « Io rifletto sulle cose prima di agire. »
« Tortorella, guarda che se non - »
« Non sono capace, » ammise con rabbia, le guance che si tinsero di rosa, « Non… l’ho mai detto. E se… se poi lo dico, diventa vero, e se diventa vero e non… »
La sua voce si affievolì e lei scostò lo sguardo, prendendo a giocherellare con la cravatta di lui, che tentò di farsi ancora più vicino:
« Se ti ho già detto che mi sono innamorato di te, » le mormorò, causandole uno strano singhiozzo, « Come fa a non essere già vero? »
Minto aprì e chiuse la bocca un paio di volte, la mente troppo offuscata per poter ribattere a suon di logica, e si arrischiò a lanciargli un’occhiata da sotto le ciglia scure.
Certo che era vero, le strillò il suo cuore al vedere lo scintillio delle iridi dorate, e lo sapeva da mesi lei ormai quanto vero fosse, ecco perché la spaventava così tanto confessarlo.
« Comunque non devi dirlo per forza, » Kisshu si alzò e le scoccò un bacio sulla guancia, « Sarebbe solo carino sentirsi dire qualcosa di diverso da sei un cretino. »
La mora sbuffò irritata, però lo trattenne per la cravatta e deglutì piano: « Io non sono innamorata di te, » scandì, percependolo irrigidirsi, « Io ti amo e basta. Da un po’, anche. »
Le sembrò che Kisshu ci mettesse fin troppo a reagire e che l’unico rumore distinguibile nella stanza fosse il battito erratico del suo cuore, poi lo udì ridacchiare mentre premeva le labbra sulla sommità della sua testa: « Lo so. »
Minto rantolò e si scostò d’un tratto per guardarlo malissimo: « Ikisatashi, che vuol dire lo so?! » sberciò in un sussurro.
Si alzò per seguirlo mentre lui prendeva Mickey in braccio e, con più o meno grazia, lo lasciava in corridoio e gli chiudeva la porta sul musetto, ma non riuscì ad aggiungere altro perché lui la zittì con un bacio e la placcò tra il materasso e il proprio corpo.
 
 
 
 
Quando le prime luci del giorno filtrarono attraverso la tenda chiusa male, colpendolo negli occhi, Taruto era già sveglio da un pezzo; o forse era meglio dire che non si era mai addormento del tutto, visto quanto si era girato e rigirato tutta notte, non curandosi nemmeno di tirare su dal pavimento uno dei cuscini, caduto a forza delle sue piroette. Ringraziava solo che Kisshu (come al solito) non fosse rientrato, perché non avrebbe avuto molta voglia di vederlo, ancora memore della loro chiacchieratina di poche ore prima, e che la camera di Pai fosse dall’altro lato del corridoio, così che non potesse sentire praticamente mai cosa succedesse con Retasu.
Affondò la testa contro il guanciale e grugnì ad alta voce, tirandosi anche il lenzuolo fin sopra la testa per ricreare un po’ di oscurità. La causa della sua insonnia era ovviamente quella vocetta irritante – e così simile a quella del secondo di loro tre – che gli ricordava di quanto Purin fosse stata splendida nel vestito da damigella, di quell’innocente bacio sulla guancia che gli aveva causato quindici minuti di fibrillazione atriale, di come alla fine della serata lei l’avesse afferrato per un braccio e portato a ballare in mezzo a loro, al tempo stesso rimpinzandolo di pasticcini. Se ballare era il termine giusto per essere rimasto imbambolato e rigido come un’asse da stiro.
Non era neanche riuscito ad accompagnarla a casa, lasciando che ci pensasse Keiichiro con la sua auto, troppo innervosito dalla situazione.
O dalla sua incapacità di gestirla, se proprio voleva essere sincero.
Ha continuato a chiedermi di te finché non sei tornato.
Perché Kisshu non era capace di badare ai fatti propri? Perché aveva sempre quella necessità di infilare il becco dove non gli competeva? Che ne sapeva lui di cosa volesse dire incontrare la propria migliore amica a undici anni, non vederla per una vita intera ma pensarla costantemente, desiderare raccontarle di ogni cambiamento, ogni successo, ogni problema, per poi tornare all’improvviso e trovarsi davanti…
E poi cos’era quella storia di lui e Purin che si scambiavano confidenze?!
Un coglione ficcanaso, suo fratello non era altro che un deficiente con troppo tempo libero e troppo gusto per le chiacchiere e le donne, non era per niente produttivo continuare a rimuginare sopra le sue parole. Sbuffando come un toro, Taruto buttò giù i piedi dal letto e si avviò in bagno a passi pesanti, così da scongiurare anche di trovarlo occupato da qualcun altro (ossia Retasu, che a quanto pare era parecchio perspicace anch’essa a leggergli la faccia, visti i sottili e fugaci riferimenti che ogni tanto gli rivolgeva); aprì l’acqua gelida e quasi ci buttò sotto il collo, volendo cancellare il sonno e il fastidio che ancora gli opprimevano il cervello.
Si appoggiò poi con le mani al lavandino, lasciando che le gocce fredde gli scorressero dai capelli sulla ceramica: la verità era che suo fratello molto spesso non considerava le conseguenze delle proprie azioni – e aveva parecchi marchi a dimostrarlo – mentre lui ci rifletteva parecchio. Fin troppo. Fino alla nausea.
Soprattutto se una delle conseguenze avrebbe potuto essere mandare al diavolo la sua amicizia con Purin.
Era palese che anche a lui avrebbe fatto piacere danzare davvero con lei, dirle quanto la trovava magnifica in quel vestito così diverso, stringerla e non lasciarla andare mai più, però se dopo…
Anche se mai sarebbero dovuti tornare a Duuar, richiamati all’ordine, se ci fosse stato qualcosa, non avrebbe mai potuto…
E allora cosa facciamo, i codardi perché non sappiamo predire il futuro?
Gli venne voglia di prendere a testate lo specchio, forse allora sì la voce fastidiosa di Kisshu avrebbe smesso di fargli da grillo parlante.
Fece dietrofront, si sbatté la porta alle spalle e recuperò qualcuno dei suoi vestiti normali dalla seggiola della scrivania, quelli all’apparenza meno stropicciati, infilandoseli quasi con rabbia, poi con uno schiocco si teletrasportò davanti alla camera di Purin.
Non gli interessava che fosse appena appena l’alba, che avesse bypassato la porta d’ingresso, che i suoi fratelli – o lei – stessero ancora probabilmente dormendo, chiuse la mano a pugno e bussò deciso contro al legno un paio di volte, prima di cambiare completamente idea.
Il suo udito fine lo aiutò a percepire un movimento aldilà della porta, il frusciare delle coperte e un rumore leggero di passi.
« Taru-Taru? » Purin lo accolse stropicciandosi gli occhi ancora mezzi chiusi, arruffatissimi dall’aver sciolto la crocchia e dall’incontro col cuscino, e poi sbatté le palpebre un paio di volte con più concentrazione, « Ma che… è successo qualcosa? »
Taruto la spinse dentro di malagrazia, chiudendo di nuovo la porta dietro di sé per cercare di limitare d’attirare l’attenzione, e poi prese un respiro profondo, sollevando le spalle.
Magari avrebbe dovuto prepararsi un qualche tipo di discorso.
« Senti! » esclamò d’un fiato, le orecchie che fischiavano, « Tu sei la mia migliore amica. Dico davvero. Mi piace un sacco passare del tempo con te, e… e… »
Il viso di Purin si andava rischiarando sempre più mentre lei continuava a fissarlo senza dire una parola, le braccia incrociate al petto e l’espressione un po’ truce, che faceva a cazzotti con la sua abituale solarità.
« Però io… e se tu poi non… non te l’ho… »
Un neonato balbettava meno di lui. Possibile che quando stava davanti a lei perdesse sempre l’uso della favella?
Senza indugiare oltre, e senza sottoporsi di più a quella vergognosa tortura, l’afferrò per le spalle con un po’ troppa veemenza e la tirò a sé per baciarla d’improvviso, strappandole un sussulto sorpreso. In petto gli scoppiarono dozzine di farfalle: Purin era morbida, più calda del solito, e per qualche assurda ragione lui si ricordava perfettamente del suo sapore, da quel bacio che si erano scambiati da bambini(*).
Si staccò da lei solo per il bisogno fisiologico di appurare la sua reazione, trattenendo in ogni caso il respiro per paura di aver fatto la cretinata più grossa della vita.
Purin rimase ferma, con gli occhi socchiusi e il mento un po’ verso di lui, poi lo guardò storto e si lasciò andare a una specie di risata mista a un sospiro: « Taru-Taru, sei proprio un cretino. »
 
 
 
 
Il sole di inizio settembre non era forte, ma era abbastanza caldo per permettergli di passare una giornata sulla spiaggia, per assorbire quanto più tepore possibile.
Per quanto fosse breve quell’anticipazione di viaggio di nozze, per quanto fossero vicini a casa e spesso al telefono per controllare la loro bimba, era anche estremamente rinfrescante poter stare solo loro due, senza nessuno attorno, senza nessun dovere o pensiero se non quello di godere della presenza dell’altro, in tutte le nuove sfumature che gli si stavano presentando.
Se fosse stato solo per Ryou, sarebbe stato un momento che sarebbe durante all’infinito: la costa silenziosa, il rumore delle onde che scandiva ogni loro momento entrando dalle finestre lasciate aperte, il sapore del sale che si mischiava a quello di Ichigo mentre percorreva il profilo della sua abbronzatura con le labbra.
« Dobbiamo stare attenti, » mormorò la rossa con una risata roca, « Un anno fa ormai abbiamo fatto Kim proprio qui. »
Ryou continuò a prestare la sua totale attenzione al suo decolleté, armeggiando con i fili del suo bikini: « Fine by me, » rispose distratto, facendo scivolare le dita lungo le curve morbide dei suoi fianchi, « Tu dimmelo e facciamo una squadra di calcio. »
Ichigo rise di nuovo e sospirò più forte, inarcandosi di più verso di lui: « Mi pare esagerato… »
Lui rispose con un mormorio indefinito mentre riusciva finalmente a sbarazzarsi del costume e scendeva lentamente verso la ritrovata voglia sulla sua coscia.
« You’re my family, ginger, » sussurrò strappandole un sospiro, le dita sottili che gli spettinarono i capelli, « So let’s make a family. »
Sapeva che Ichigo ci avrebbe messo qualche secondo di più a computare la frase, ma non si sarebbe aspettato di sentirla irrigidirsi all’improvviso e di udire – con un tenace colpo al cuore – il trillo di un campanellino. Né di vederla in lacrime all’alzare gli occhi su di lei.
Fu combattuto tra la preoccupazione, la voglia di ridere, e un inusuale ma familiare e inconfessabile frullo allo stomaco nel vederla nuda sotto di lui con le orecchiette nere che spuntavano tra la chioma infuocata; si mise a gattoni sopra di lei e le asciugò una lacrima col pollice.
« Ichigo, » sbuffò poi solamente, lasciando trapelare un soffio di divertimento.
La rossa miagolò distintamente, arrossendo con prepotenza e schiacciandosi le orecchie feline per farle scomparire mentre la codina continuava a sferzare decisa l’aria: « Scusa… » borbottò, con un mezzo singhiozzo, « Ma la-la cosa che hai detto… e io… io ti amo così tanto. »
Forse il cervello di Ryou non aveva ancora metabolizzato del tutto che in effetti solamente il giorno prima Ichigo era diventata ufficialmente, legalmente, indisputabilmente sua (per quanto il pensiero stesso gli sembrò appena arcaico, ma non se ne sarebbe preoccupato in quel momento) vista la giravolta che gli diede il suo cuore. Quasi pensò che avrebbe dovuto darsi un pizzicotto per accertarsi che fosse la realtà, invece si fece bastare la sensazione dei due anelli sulla mano di lei quando intrecciò le dita con le sue e la baciò con forza, prendendo a sussurrarle il suo amore mentre scivolava dentro di lei.
 
 
 
 
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La sola abat-jour sulla scrivania creava un cono di luce ridotto e ingiallito, in contrasto con lo schermo luminoso e bianco del monitor, e il ronzio delle macchine rendeva l’atmosfera quantomeno soffocante. Non che gli importasse più di tanto, c’era talmente tanto abituato da poter riconoscere esattamente quale brusio appartenesse a quale apparecchio.
Keiichiro si sistemò gli occhiali sul naso e si sporse appena in avanti per poter meglio leggere i dati sullo schermo, premendo un tasto per riaggiornare il sistema. Davanti a lui scorrevano veloci i dati del primo progetto Mew, uguali a come li aveva lasciati sette anni prima: li aveva ricontrollati da capo, e non c’era nessuno cambiamento.
Il che aumentava la sua tensione riguardo al fatto che i file sembravano essersi aperti spontaneamente.
Eppure, non c’era stato nessun tipo di segnale, o di allarme, si era assicurato due volte che così fosse e che non ci fosse stato un glitch nei sistemi. Funzionava tutto come avrebbe dovuto funzionare.
Però c’era ancora qualcosa che non lo convinceva.
« Un altro giro, » si disse sottovoce, avviando l’ennesimo controllo di ogni satellite, antenna, apparecchio, mentre con la mano sinistra tastava il tavolo alla ricerca del suo cellulare, senza mai staccare gli occhi dal monitor.
Magari era solo uno sciocco bug, non aveva senso disturbare Ryou o allarmarlo per niente, men che meno doveva farlo con le ragazze.
Però compose lo stesso il numero.
 
 
 
 
« Buongioooooorno, » con un sorriso felino, Kisshu si allungò sul bancone centrale della cucina e rubò un pasticcino da quelli che Purin stava scegliendo per i clienti, « Mi era mancato il tuo faccino qui intorno. »
La biondina lo guardò con astuzia: « Il Caffè è stato chiuso per il matrimonio, nii-san. »
« Non ti ha mai ostacolato prima da passare tutto il tuo tempo disponibile qui, » continuò lui con noncuranza, adocchiando un’altra preda, « Ci sono forse… novità? »
Purin rise cristallina e mise al sicuro il vassoietto in frigorifero, guardandolo da sopra la spalla: « Nii-san? »
« Dimmi tutto. »
« Non sei molto discreto. »
« Mai detto di esserlo, » esclamò trionfante lui, mostrandole il suo sorriso migliore, « Ma qualcosa mi dice che sto in zona fuochino. »
« Muta come un pesce. »
« E dai, scimmietta! Almeno tu dai soddisfazioni al tuo fratellone. Credo di meritarmi di essere il primo a saperlo. »
« Sapere cosa? »
Con tono funereo, Taruto comparve sulla soglia e lanciò un’occhiata truce a Kisshu, che persistette a ghignare come un mascalzone, ben conscio che al fratello minore dessero fastidio sia la familiarità che lui aveva con Purin, sia ovviamente l’oggetto del discorso.
« Mah, niente, » finse, scrollando le spalle e scambiandosi un altro sguardo divertito con la ragazza, « Mi stavo giusto chiedendo se per caso fosse successo qualcosa, visto che non abbiamo avuto la nanerottola qui tra le scatole per qualche giorno. »
Lo guardò con due iridi talmente schiette che Taruto percepì il proprio fegato prendere fuoco, mentre Purin sgattaiolava via ridendo sotto i baffi.
Il che peggiorò solo la situazione, perché Kisshu scattò in avanti e gli batté una mano sulla schiena così forte da farlo sputacchiare.
« Allora, ci siamo dati una mossa!? Avanti, te lo si legge in faccia, e poi non ti si è visto qui in giro dal mattino dopo il matrimonio! Quindi, quante basi abbiamo coperto? Ehi, mi auguro tu sia stato un gentleman! »
Taruto avrebbe desiderato poterlo accoltellare lì e in quel momento, o almeno di condividere il potere di Pai di lanciare scariche elettriche a piacimento.
« Fatti una barca di cazzi tuoi, » sibilò con il viso in fiamme, guardando con nervosismo verso le due porte per accertarsi che non ci fosse nessuno in avvicinamento, « E poi comunque che razza di domande sono?! »
« Li ho avuti anche io diciannove anni, so esattamente come funziona. Anzi. »
« Ecco, appunto, » il moro fece una smorfia disgustata, « Io non vado in giro a mettere le mani sotto le gonne di ogni donna che passa! »
« Tanto per cominciare non è più qualcosa che puoi usare contro di me, visto che le uniche gonne a cui sono interessato sono quelle molto corte della tortorella, e poi cosa c’è di male? Un po’ di divertimento non ha mai fatto male a nessuno. Specialmente se ci si vuole bene. »
Taruto non seppe più se l’ennesima tonalità di rosso comparsa fin sul suo collo fosse data dall’affermazione o dall’espressione sagace del fratello.
« Non farti strane idee, capito!? » blaterò, vergognosissimo, « Non c’è… non è così, con Purin. »
Il cuore gli sfarfallò così forte in petto che per un istante pensò gli stesse venendo un infarto mentre ripensava a quei due giorni in cui avevano vissuto ancora più appiccati del solito. Molto appiccicati. Soprattutto negli angoli più nascosti di casa di lei, dove i suoi fratellini arrivavano con cinque secondi di ritardo.
Ma nonostante i roboanti ormoni della sua tarda adolescenza, nonostante fosse assolutamente magnifico baciare Purin con trasporto, spostare piano i palmi per scoprire ogni volta un millimetro in più di lei, con cautela, mischiare il respiro al suo quando la stringeva un po’ più forte, davvero non voleva che qualcuno – che lei – pensasse che la componente fisica fosse quella prevalente. Lui voleva solo passare tutto il tempo possibile con lei, a sentirla ridere, a guardare le pagliuzze dorate nei suoi occhi accendersi quando raccontava qualcosa che l’aveva entusiasmata molto, ad arrotolarsi una delle ciocche bionde attorno al dito per portarsela al naso e sentirne l’odore di agrumi. A farla ridere, a rincorrerla, a tenerla per mano, a…
Fischiò sottovoce e guardò Kisshu da sotto in su pur superandolo di qualche millimetro, e strinse gli occhi a vedere che stava ancora sorridendo così spudoratamente che era un miracolo non gli fossero ancora cadute le guance.
« Devo prepararmi a un’altra cerimonia elegante? »
Il cassetto dei coltelli era pericolosamente vicino.
« Sei proprio un idiota. »
« Su questo non posso che essere d’accordo, » Pai spuntò dall’uscita laterale e guardò Kisshu con rabbia, « Possibile che tu non tenga mai il comunicatore accesso? »
Il fratello lo guardò come se fosse matto: « L’ho lasciato al piano di sopra, siamo tutti qui… che succede? »
Senza aggiungere altro, il moro gli fece cenno con la testa di seguirlo.
 
 
 
 
« Dov’è il topolino della mamma? »
Appena varcata la soglia della casa dei suoi genitori, Ichigo abbandonò la propria valigia e si diresse a braccia tese verso Sakura, con in braccio Kimberly, che dopo un primo istante di dubbio si lanciò in un gorgoglio contento e scalciò prepotente verso di lei.
« Ma ciao, » la rossa la sollevò e le baciò una guancia paffuta, inalandole il profumo, « Mi sei mancata tantissimo! Hai fatto la brava con i nonni? »
« È stata un angioletto, » la tranquillizzò Sakura, « Non ha nemmeno fatto i capricci per dormire. »
« Vedi allora che qualcuno ti vizia, » commentò Ichigo con ironia, lanciando un’occhiata a Ryou, dietro di lei, che rimasse impassibile prima di prendere anche lui la bambina in braccio.
« Com’è andato il vostro fine settimana, cari? »
« Benissimo, mamma, ci voleva proprio. Grazie per aver badato a lei. »
« Ma di che, tesoro, è sempre un piacere avere la luce dei miei occhi tutta per me, » Sakura rivolse un altro paio di faccette buffe a Kimberly, impegnata a tirare impunemente i capelli biondi del padre, poi sorrise loro, « Volete un tè? »
« No, grazie, andiamo un po’ a riposarci a casa, » Ichigo si stiracchiò la schiena, poi sorrise eccitata, « Dovrebbero anche essere arrivati tutti i regali! »
« Come se non avessi già abbastanza cose, ginger, » Ryou le rivolse un’occhiata divertita, « Vorrei anche passare al Caffè, prima. »
« Non posso dire di no ai dolci di Akasaka-san, lo sai, » gongolò lei contenta, recuperando le cose della bimba, « Anzi, ne ho proprio voglia. »
« È quasi ora di pranzo, » la riprese con affetto lui, ma Ichigo si limitò a sorridere furba:
« Vuoi dire che è ora della seconda colazione! »
« As you wish, ginger. »
Sakura sorrise sotto i baffi, porgendogli il cappotto della nipotina, e pensando che non fosse certo solo Kimberly quella viziata da Shirogane.
 
 
 
 
« Non capisco cosa sto guardando. »
Pai non fece mistero del suo roteare gli occhi: « I dati del primo progetto Mew, » rispose scocciato, aumentando la confusione di Kisshu, che gesticolò verso lo schermo.
« Okay, perfetto, e quindi? Non c’è niente di nuovo. »
« Su questo hai ragione, Ikisatashi-san, » intervenne Keiichiro, girando la sedia verso di lui, « Il fatto strano è che i dati hanno ricominciato a scorrere stamattina, da soli. Senza nessun cambiamento, è vero, ma mi chiedevo se magari dalla vostra parte fosse arrivato qualcosa. »
Il verde si strinse nelle spalle e con il mento indicò il comunicatore accanto a uno dei vari computer: « Quello è collegato direttamente ai nostri apparecchi, finalmente mio fratello si è deciso ad ascoltarmi. Se è rimasto muto, allora siamo a posto. »
Il moro osservò la scatolina nera e annuì lentamente, come riflettendo, poi sorrise: « Credo abbiate ragione. Non voglio creare allarmismi per niente, quindi non informerò Ryou per ora, ma se qualcosa dovesse cambiare, vi prego di aggiornarmi. »
« Certamente, Akasaka-san. Anche io sarei più a mio agio a scoprire l’origine di questa… anomalia. »
« Magari solo un refresh di sistema? »
« Potrebbe essere, » Keiichiro sospirò, con un sorriso un po’ stanco, « Potrebbe. Lancerò un’altra scansione, ma credo che i risultati non varieranno troppo. »
Con un ultimo cenno del capo, i due alieni lasciarono il laboratorio a passi lenti, e Kisshu seguì Pai lungo la seconda rampa di scale, ben conoscendo il cervello iperattivo del fratello maggiore.
Il viola, infatti, si fermò a metà corridoio, quando fu sicuro di essere abbastanza lontano da orecchie sgradevoli: « C’è uno schermo inserito, vero? »
Kisshu lo guardò sbigottito: « Cosa? Ovviamente no, Pai! Andiamo, altrimenti che senso avrebbe? Il punto del comunicatore qui al Caffè è avere comunicazioni immediate! »
L’altro fissò un punto nel vuoto, come se stesse riflettendo, poi si passò una mano sul viso: « D’accordo, il che vuol dire che davvero non c’è niente. »
« Niente di rilevabile, almeno. »
« Impossibile, siamo settati per rilevare le minime cose, » grugnì il maggiore, « Ho ricontrollato tutto apposta dopo il ritorno di Taruto, per espandere maggiormente la finestra di preavviso. »
« Vedi che sei d’accordo con me che il comunicatore ci serve pulito e istantaneo. »
Pai lo guardò male e fece per aprire la bocca, quando un frastuono dal piano di sotto li fece sobbalzare entrambi e quasi volare giù per le scale; ma entrambi non lesinarono un sospiro di sollievo nel vedere la scena che gli si presentò davanti.
Retasu, infatti, era per terra, circondata da cocci di piatti fortunatamente vuoti, che si massaggiava una coscia dolorante, Purin inginocchiata davanti a lei con un viso contrito.
« Ma che è successo? »
Pai s’affrettò a raggiungere la ragazza e l’aiutò ad alzarsi in piedi, mentre lei cercava di sistemarsi la crestina che si era affossata da un lato, il viso rosso per l’imbarazzo.
« Purin ha tirato fuori la palla… » gemette, lasciando che l’alieno le controllasse velocemente i palmi alla ricerca di eventuali tagli o escoriazioni, e la biondina fece un sorriso colpevole, iniziando a raccogliere i pezzi.
« Mi è venuto da starnutire e ho perso il controllo, nee-chan, mi dispiace! »
« Non fa niente, Purin, tranquilla, non mi sono fatta nulla. Ah, Keiichiro-san, i piatti… ! »
Il moro, rispuntato dal seminterrato, le rivolse il suo splendido sorriso: « Ne abbiamo scorte a sufficienza, Retasu-san, nessun problema. Magari Tamiko-san può darci una mano? » aggiunse dopo poco, scoccando un’occhiata cordiale ma acuta alla cameriera che non nascondeva il suo sghignazzare allegra alla scenetta e che arrossì di colpo lo stesso all’essere colta in fallo.
« Siamo un po’ distratti, scimmietta? » commentò sarcastico Kisshu, lanciando un’occhiata a Taruto, in ginocchio vicino alla biondina.
« Sei simpatico quanto un calcio in culo. »
Lei storse il naso e poi se lo grattò con convinzione: « Forse mi sta venendo il raffreddore. »
« Ahimè, mio fratello sarà assolutamente vittima dello stesso malessere. »
« Senti, vai a farti - ! »
 
 
 
 
« Etciù! » Minto starnutì elegantemente nella piega del gomito poi riprese la sua camminata verso la manager di Zakuro, porgendole un plico di fogli, « Una copia dell’agenda per le prossime due settimane e una copia delle dichiarazioni alla stampa per il lancio della seconda stagione. »
La manager, una nervosa donna sulla quarantina di nome Yuzuki Tanizaki, la ringraziò con un cenno del capo: « Tutto a posto? »
La mora annuì e fece un’altra smorfia, il naso che continuò a prudere dispettoso: « Dev’essere questa lacca per capelli che continuano ad usare, » si lamentò, lanciando un’occhiata all’affollato set della pubblicità per la serie tv, « Ha un odore terribile. »
« Speriamo, non è certo il momento giusto per ammalarsi, con tutti i contratti nuovi che stanno per partire! »
Minto si limitò ad annuire, sforzandosi di non far trasparire quanto trovasse insopportabile – e poco professionale – il suo essere costantemente negativa e ansiosa. Si congedò con un ultimo sorriso e si avvicinò un po’ di più al fulcro dell’azione, avvertendo il calore delle luci che le scaldava la nuca scoperta. Zakuro era circondata dai suoi colleghi della serie, tutti impegnati a mostrarsi più in confidenza e felici di quanto non fossero per favore delle macchine fotografiche, ma lei poteva capire come la mora si stesse stancando delle pose esageratamente energiche.
Adocchiata la sedia della modella, attaccate alla quale c’erano entrambe le loro borse, vi si diresse spedita per controllare l’orario e il cellulare; il direttore dello shooting aveva promesso di terminare prima di pranzo, e se c’era una cosa cui Yuzuki era brava, era quella di far mantenere la parola ai vari personaggi che gravitavano nel mondo dello spettacolo.
Si sfiorò di nuovo il naso sovrappensiero mentre scorreva le varie email che aveva ricevuto durante la mattina, tra cui una di Kisshu di pochi minuti prima con allegata una fotografia di vari piatti rotti sul pavimento del Caffè e un commento sciocco sull’effetto deconcentrante degli Ikisatashi su loro ragazze. Minto sbuffò, ma non fece in tempo a replicare a tono che il cellulare iniziò a vibrarle tra le dita, una telefonata di Ichigo in arrivo.
« Minto-chan, buongiorno! Ti disturbo? Stiamo tornando, riuscite a passare al Caffè per pranzo? »
La mora si appartò velocemente in un angolo, sia per non disturbare sia per allontanarsi dalla musica ad alto volume, e sbuffò sarcastica: « Sei già stanca di stare da sola con Shirogane? »
« Guarda che sei in vivavoce, » le rispose la voce del ragazzo, mentre la risata della rossa echeggiava in sottofondo e poi Ichigo continuava:
« No, volevo sapere se per caso hai già preso la carta per i ringraziamenti… e poi sto morendo dalla voglia di mangiare una éclair di Akasaka-san. »
« Avete già fatto il secondo che hai le voglie, Ichigo? »
« La vuoi smettere? »
Minto rise e guardò di nuovo l’orologio: « Ho trovato tre tipi diversi che potrebbero piacerti, ce le ho con me. Ne abbiamo per un’altra mezz’ora e poi non ci sono altri appuntamenti fino a domani. »
« Noi saremo al Caffè tra un quarto d’ora, ci vediamo lì! »
E buttò giù senza attendere risposta.
Il sopracciglio di Minto tremò visibilmente: neanche la maternità o il matrimonio aveva insegnato a quella sciagurata di Ichigo un po’ di buone maniere, quasi le veniva voglia di non andarci, al Caffè, per ripicca! Scosse la testa e tornò lentamente indietro, pensando che però in realtà uno di quei sandwich alle verdure ipocalorici di Keiichiro e un pasticcino alla crema suonavano proprio bene.
 
 
 
 
« Se non la smette con le sue dannate battutine, lo butto nel cespuglio di rose e faccio diventare i fiori cannibali. »
Purin rise e infilò un pezzo di pane extralarge in bocca a Taruto giusto per non farlo lamentare: « È il suo modo di mostrare approvazione. »
Il ragazzo cercò di parlare, rischiò di strozzarsi, e masticò furioso prima di borbottare: « Me ne frego della sua approvazione! »
« Invece è carino. »
« Non dire che mio fratello è carino. »
« Sei geloso? » la biondina lo guardò con malizia, riempendo il vassoio con cura, e Taruto rispose in cagnesco:
« … gli monti solo la testa. »
Purin rise e gli fece cenno di dirigersi verso il tavolo occupato dai loro amici mentre sollevava con cautela il cabarè: « Su, vatti a sedere o non rimarrà nulla per te. »
Lui brontolò, ma poi si avviò davanti a lei e si concesse di pensare quanto fosse ancora un po’ strano per lui vedere i suoi fratelli seduti al tavolo con le umane che avevano combattuto, e fin troppo a loro agio con loro.
« Eeeecco qui, » la biondina posò il vassoio al centro del tavolo e cominciò a distribuire i vari ordini, « Kayio-san sta per portare il resto. »
« Sempre che non ci sputi dentro. »
« Ichigo! »
« Che c’è?! » lei guardò Shirogane come se avesse detto la cosa più ovvia del mondo, « Da quando è ufficiale che non può mettere le sue zampacce su Pai, fa fatica a rivolgerci la parola. »
« O forse è perché le sue colleghe sono al tavolo a mangiare mentre lei lavora? » commentò divertita Zakuro, mescolando la propria macedonia di frutta.
« Io sono in pausa pranzo, » Purin si limitò a scrollare le spalle e ad addentare un panino grosso quanto la sua faccia, « A lei tocca tra mezz’ora, questi sono i turni. »
« Non preoccuparti, pesciolina, in caso ti difendiamo noi, » esclamò Kisshu, notando il viso impensierito della verde ai commenti precedenti, « Anche se siete brave a fare a botte. »
« Ti prego. »
Retasu ridacchiò, ma lanciò comunque un’occhiata poco convinta alla collega quando apparve con un altro vassoio e un sorriso esageratamente cordiale in volto.
« Secondo me neanche Ichigo-chan le va a genio, ora, » interpretò con una punta di malizia Minto, notando l’occhiataccia che Kayio rivolse loro quando si allontanò, « Soprattutto ora che è ufficialmente la moglie del capo. »
Shirogane guardò con intensa nonchalance la rossa: « Questo non le dà certo autorità sulle altre. »
« Come scusa? »
« Oh, Ichigo, seriously!? Soprattutto per lo stesso motivo! »
« Allora non è divertente, » commentò lei con l’accenno di un broncio, « E poi comunque sono loro che hanno iniziato ad essere antipatiche dal primo giorno, noi ci abbiamo provato! »
« Ma se Minto nee-san quasi non rivolge loro un saluto. »
« Questo è falso, io sono sempre cortese con tutti, se poi testano la mia pazienza… »
« La tua gelosia, intendi? »
« Purin! »
Altre risate si levarono dal tavolo, e Keiichiro, dalla finestrella della cucina, lanciò loro uno sguardo intenerito, continuando ad impastare della pasta choux per il giorno dopo. Se solo non avesse avuto quella strana sensazione…
« Allora avete deciso dove andare in viaggio di nozze? » domandò con gentile curiosità Retasu, prima di addentare una manciata di riso.
« Il problema è più quando, » mugolò Ichigo, un po’ sconsolata, « Ci piacerebbe andare sulla costa ovest degli Stati Uniti e alle Hawaii, ma è un viaggio lungo e la stagione migliore è passata. E poi Kimberly è ancora troppo piccola sia per lasciarla da sola così tanto che per farle fare un viaggio del genere, magari ci conviene aspettare che abbia almeno un anno. »
« Io sono sempre disponibile a fare da babysitter, » si propose Purin, che stava passando la metà di quel pranzo a fare faccette buffe alla bambina accanto a lei nel passeggino.
« Grazie, Purin-chan, ma adesso voglio un po’ - »  la rossa, che si stava sporgendo verso la bimba, si bloccò all’improvviso a mezz’aria, mentre anche le altre ragazze s’irrigidirono istantaneamente. D’un tratto, i cellulari dei vari clienti iniziarono a vibrare e squillare, il brusio che accrebbe in proporzione in maniera quasi minacciosa.
Retasu rabbrividì e scosse la testa come per svegliarsi da un brutto sogno: « Che… che succede? »
Ryou fu il primo a estrarre il telefono, aggrottando la fronte quando cominciò a leggere le notizie che scorrevano sullo schermo e quasi rovesciando la sedia alzandosi, seguito a ruota da Zakuro e dai tre alieni.
« Accendi la televisione, » ordinò a Keiichiro, che annuì e trafficò a mani tese con il telecomando dell’apparecchio che teneva in cucina.
Sembrò che l’immagine ci mettesse più tempo del solito a comparire, poi una reporter che si stava sforzando di farsi sentire sopra il rumore di sirene e il clamore della folla si palesò davanti ai loro occhi:
« Siamo in diretta da Shinjuku, dove un’esplosione ha provocato ingenti danni agli edifici e un numero di feriti ancora da chiarire. La dinamica dell’incidente è ancora poco chiara, ma sembra sia partito tutto da uno scontro tra la polizia e un apparente gruppetto di giovani cosplayer. Siamo ancora in attesa di una dichiarazione ufficiale, ma come potete vedere alle mie spalle, l’area è stata cordonata e – un attimo, sembra che il nostro telegiornale sia riuscito a recuperare delle immagini amatoriali. »
L’inquadratura in diretta della telecamera, che aveva fin a quel momento mostrato la folla che cercava di allontanarsi più in fretta possibile da un angolo ancora fumante di una palazzina che ospitava un ristorante in cui si era aperto un buco che raggiungeva il primo piano, fu occupata dalla registrazione tremolante di un cellulare probabilmente appartenente a un passante dapprima incuriosito. Nonostante l’oscillamento e la distanza, e un audio terribile sovrastato dai rumori del traffico, furono ben visibili le quattro persone all’apparenza impegnate a una tranquilla passeggiata per uno dei quartieri più affollati della città, il naso in su e gli occhi sgranati dalla meraviglia, con addosso abiti dalle fogge strane e diverse tra loro e, soprattutto, con chiare armi in spalla o alla cintola.
Quattro tizi dalle orecchie decisamente troppo a punta per essere umane.
La sensazione che le stava incendiando la pelle divenne ancora più opprimente, e Zakuro impiegò una frazione di secondo a capire che le quattro persone inquadrate non potevano essere cosplayer. Contemporaneamente, Ryou e Kisshu sibilarono delle imprecazioni nelle loro lingue madri, continuando a osservare come un paio di poliziotti si avvicinavano minacciosi ai quattro, probabilmente intimando loro di consegnare le armi, ottenendo in risposta solo occhiate confuse e un vago gesticolare.
Poi i poliziotti si fecero più insistenti, più decisi, fu chiaro sui loro volti come trovassero quel momento solamente una farsa che in qualche maniera denigrava la loro divisa; uno di loro, quello che sembrava più anziano, si avvicinò a larghe falcate al gruppo, il viso teso dal fastidio, insistendo in particolare contro quello più grosso dei quattro, con dei capelli grigio-azzurri e un aggeggio terribilmente simile a un piccolo bazooka in spalla.
Zakuro avvertì le viscere congelarsi nel vedere come il tale sembrava divertito dall’ostinazione del poliziotto, così tanto che le parve di scorgere un ghigno irriverente dipingersi sul suo viso, cosa che dovette far infuriare ancora di più il poliziotto, il quale si decise ad estrarre la pistola d’ordinanza e puntarla con decisione verso di lui.
Gli ultimi quindici secondi di immagini fecero correre un ennesimo sussulto di sorpresa misto a orrore per tutto il Caffè. Si videro i tre confabulare con l’amico sotto tiro, che continuava a non mostrare altro che spregio per l’intera situazione, il poliziotto che incominciava a gridare più deciso e i suoi colleghi che gli si mettevano accanto, anch’essi con le pistole puntate; poi, all’improvviso, il tizio dai capelli blu afferrò la propria arma, la puntò alla sua destra, e una forte deflagrazione colpì il muro della palazzina, scavandone un buco largo almeno due metri.
Il video si interruppe in quel momento con un ultimo confuso fotogramma dei piedi del suo riluttante regista, e anche se la giornalista riprese a parlare a voce alta, sul Caffè scese un silenzio di tomba.
« What the fuck was that. »
Zakuro condivise lo stesso pensiero di Shirogane, impallidito sotto la pelle abbronzata, e si sentì afferrare il braccio e voltò appena lo sguardo verso Purin:
« Dobbiamo andare a vedere! » esclamò con slancio.
« Non lo so, » commentò lei con gelido sarcasmo, guardando di sbieco i tre Ikisatashi, « Dobbiamo? »
« Fuori discussione, » Ryou le bloccò immediatamente e abbassò la voce, anche se un chiacchiericcio impanicato ricominciava a crescere all’interno del locale, puntando il dito contro le immagini del telegiornale che continuavano a scorrere sullo schermo, « Non sappiamo cosa sia successo, e ci stanno andando i militari, là. Voi ne rimanete fuori. »
« Ma nii-san, hai visto anche tu che - »
« Proprio perché ho visto, Purin, che non andrete da nessuna parte finché non avremo le dovute spiegazioni. »
« I dati del progetto… »
Si voltarono tutti verso Keiichiro, che aveva parlato quasi sovrappensiero e che, trovandosi gli occhi addosso, si affrettò ad aggiungere: « Stamattina… non è scattato nessun allarme, niente di niente, ma i computer si sono riaccesi automaticamente sui dati del progetto Mew. »
« E quando pensavi di dirmelo!? »
Shirogane dovette prendere un respiro profondo e si passò una mano tra i capelli, intimandosi di mantenere un briciolo di lucidità. Proposito che volò fuori dalla finestra non appena una decisa vibrazione cominciò a provenire dalle tasche di Pai, che ne estrasse un comunicatore sul quale brillava acceso un puntino rosso.
Gli parve quasi di sentire gli allarmi di sistema da lassù.
« Adesso voi scendete in laboratorio, » sibilò irato, lanciando poi un’occhiata alle ragazze, « E voi continuate la giornata come se nulla fosse. »
Keiichiro annuì mentre dava uno sguardo alla clientela confusa e spaventata, lasciando ai tre fratelli il tempo di scambiarsi uno sguardo: « Non possiamo chiudere il Caffè, dobbiamo evitare di creare ancora più caos o preoccupazione, o dare nell’occhio. »
« Voglio un analisi di ogni fotogramma di quel video, e un aggiornamento totale di ogni singolo sistema. »
Shirogane non li guardò nemmeno più, girò sui tacchi e ritornò al tavolo dove ancora sedevano Ichigo, Minto, e Retasu, che avevano seguito le stesse immagini dal telefono della mora.
« Sta succedendo qualcosa, vero? » domandò quasi con disperazione la rossa, abbracciandosi le spalle, « È come… è come se lo sentissi, e anche voi lo potete percepire, non è così? »
« Io vado giù in laboratorio, » mormorò, « Ci sono delle cose da controllare, ma non… »
« Oh, Shirogane, per favore, non prenderci in giro, » gli rimbrottò Minto, ma lui la interruppe:
« Tu porta a casa Ichigo. Per favore, » aggiunse poi, in tono più calmo che convinse la mora ad annuire solamente, « Qualsiasi cosa succeda, ci vediamo lì. »
Si sporse verso la moglie e le lasciò un veloce bacio sulla sommità della testa, a cui lei quasi non reagì, prima di lanciare un’altra occhiata d’astio verso gli alieni – che ancora non avevano proferito parola – e accennare con il mento verso il seminterrato.
Mentre Keiichiro cercava di ristabilire un po’ la calma nel locale, Ichigo emise uno strano singhiozzo e rabbrividì di nuovo da capo a piedi, così forte che Minto si spaventò e la strinse: « Ti prendo un tè, d’accordo? Poi andiamo a casa. »
Si scambiò uno sguardo d’intesa con Retasu, che scattò sull’attenti e si fiondò in cucina, seguita da Purin che si attenne alle disposizioni del moro di prendersi cura dei clienti. Uno sforzo immane, visto come i loro corpi continuavano a risuonare come campanelli d’allarme, ad allertarle esattamente di cosa stesse succedendo.
Il loro DNA animale che reagiva, che gridava, che spingeva l’istinto a metterle in allerta.
Qualcosa, non sapevano cosa, stava succedendo di nuovo.
 
 
 
 
Era pomeriggio inoltrato quando finalmente anche Purin e Retasu raggiunsero casa Shirogane insieme a Keiichiro, dopo aver chiuso il Caffè con un po’ di anticipo. Minto non avrebbe saputo dire come avevano passato le ore da quando lei e Zakuro avevano accompagnato Ichigo a casa, se non che le erano sembrate contemporaneamente lunghissime e un lampo, avvolte in una bolla di silenzio interrotta solo dai gorgoglii allegri di Kimberly, ignara di tutto e totale fulcro dell’attenzione della rossa.
« Ho portato un po’ di avanzi, » esclamò con quanta più pacatezza possibile il moro, mostrando un paio di scatole dall’odore invitante, « È importante mantenere le energie, lo sapete. »
« Grazie, Akasaka-san, » Minto gli sorrise, nonostante lo stomaco stretto in una morsa di ferro, « Magari tra un po’. »
« Non ci posso credere che stia succedendo di nuovo! » sbottò Ichigo all’improvviso, « Non ne avevamo appena discusso, della necessità di essere pronti su tutto? Di sapere cosa stesse per accadere? »
Il moro si sedette con un sospiro sul divano: « Non abbiamo ancora nessuna risposta, Ichigo-chan. E per quanto migliorati, per quanto aggiornati, i nostri sistemi possono essere fallibili. Anche combinati con quelli di Pai e i suoi fratelli. »
« Voi non capite! » lei si alzò e si passò le mani tra i capelli, « Voi non potete capire, io non pos - »
S’interruppe quando il soffio sottile del teletrasporto rimbombò nella stanza, annunciando l’arrivo improvviso dei tre Ikisatashi e Ryou. Forse un po’ troppo improvviso, perché Kimberly, nel suo ovetto, si spaventò e iniziò a piangere impaurita, facendo sussultare anche gli altri; scattarono in piedi, Ichigo e Ryou che si diressero direttamente dalla figlia, ma l’unico che trovò la voce per parlare fu Akasaka: « Quindi? »
L’ombra che passò sul volto di Kisshu e Pai fu troppo evidente per essere ignorata. Con un affanno, Minto si lasciò cadere di nuovo sul divano, diventando cerea e quasi spegnendosi, mentre Retasu si portò una mano tremante sulla bocca.
« Ci sono delle cose che… non vi abbiamo detto. »
« No shit, Sherlock. »
« E dei motivi per cui non l’abbiamo fatto. »
Ryou e Kisshu si scambiarono un’occhiata d’odio, il biondo che digrignò i denti per non far scorrere fuori tutto ciò che stava davvero pensando.
Fu questione di un attimo. Zakuro scattò in avanti e, pur non riuscendo a spostarlo di un millimetro, agguantò Pai per la collottola, facendo balzare anche Kisshu il quale, però, all’occhiata furiosamente gelida di lei, si limitò a tentare di fermarla con un braccio:
« Ehi, ehi, ehi, manteniamo la calma, okay? »
« Ora voi parlate, » sibilò lei, bruciando le iridi indaco contro quelle ametista, « E vi conviene dire tutta la verità. »
Keiichiro si frappose tra di loro, tirandola gentilmente indietro per un braccio e invitandola con uno sguardo a sedersi sul divano, insieme alle altre.
« Ikisatashi-san, vi prego di non risparmiarci neanche un dettaglio, questa volta, » aggiunse poi con tono pacato.
Taruto si staccò dai suoi fratelli, appollaiandosi sul bracciolo del divano vicino a Purin, mentre Ryou si lasciava cadere con un pesante sospiro su una delle poltrone.
Solo Ichigo e gli Ikasatashi rimasero in piedi, lei come incapace di star ferma che continuava a cullare dolcemente Kimberly, le labbra premute contro la sua tempia, loro come due imputati davanti al giudice.
Fu Pai a incominciare a parlare, dopo essersi umettato le labbra con la lingua, gli occhi fissi in quelli di Retasu: « Come sapete, la nostra civiltà ebbe inizio sulla Terra moltissimi anni prima di quella umana. Con i cambiamenti climatici che il pianeta stava attraversando, però, i nostri progenitori si videro costretti a fuggire in cerca di un luogo più ospitale. »
« Non serve il riassunto delle puntate precedenti, » affermò Zakuro velenosa, incrociando le braccia al petto, e l’alieno proseguì stoico:
« Furono tre le navicelle che partirono dalla Terra alla ricerca di un altro pianeta da chiamare casa, o almeno così raccontano le nostre storiografie. Non avevano però coordinate precise, nonostante gli studi per individuare un sistema che potesse sostenere la vita. Si narra, quindi, che le navicelle si separarono a causa di errori tecnici e condizioni di viaggio avverse. Fu così che fu scoperto Duuar, il cui stato è andato peggiorando con il tempo, come sapete.
« Si era creduto che le altre due navicelle fossero state perdute per sempre, che fosse diventato ormai solo una leggenda, che non ci fosse nessun altro della nostra stirpe là fuori. Ma ci sbagliavamo. »
Il viola fece una pausa per schiarirsi la gola, e Kisshu ne approfittò per inserirsi con un po’ troppa veemenza: « Cinque anni fa, più o meno, sono infatti iniziate ad arrivare strane comunicazioni, come segnali di riconnessione che non avevamo mai ricevuto prima. E, sorpresona, abbiamo scoperto che in effetti le navicelle erano arrivate da qualche parte, su un pianeta poeticamente rinominato Gaia(**). Le comunicazioni non erano mai state possibili prima di allora a causa della distanza che ci separa dal loro sistema, ma l’avanzamento delle rispettive tecnologie ha permesso di poter scambiare qualche messaggio. »
« Gaia perché è un pianeta decisamente simile alla Terra, » spiegò Pai, « Con condizioni climatiche ottimali, che hanno permesso ai nostri… bè, ai nostri cugini di fiorire e ricostruirsi una vita. »
« Pensa che culo, a noi è toccato il pezzo di ghiaccio e a loro il paradiso. »
« E tutto ciò cosa c’entra con noi? » domandò Minto sottovoce, lanciando uno sguardo carico di rabbia a Kisshu per il commento, e il maggiore degli Ikisatashi fece un altro respiro:
« L’ottimo ecosistema di Gaia ha favorito lo sviluppo della loro civiltà. Eppure, per quanto sia simile alla Terra, Gaia non ne condivide le dimensioni. Per i pochi messaggi che siamo riusciti a captare, abbiamo dedotto che sia ormai sovrappopolato all’eccesso, nonostante siano ancora in grado di mantenerlo florido e non abbiano dilapidato le sue risorse. »
Gli umani decisero di non commentare quell’ultima affermazione e rimasero in silenzio ad aspettare, non ancora soddisfatti della spiegazione, così fu Kisshu di nuovo a concludere, grattandosi la testa:
« Dovete capire che è davvero in culo all’universo, quel posto, così i messaggi che riceviamo non sono mai completi, e soprattutto mai istantanei. Non siamo neanche mai riusciti a calcolare quanta differita ci potesse essere. Ma – e qui c’è la parte, come dire… difficile… » si azzardò a lanciare uno sguardo a Minto e poi lo ripuntò su una più pacata Purin, « Per quanto abbiamo capito… visto che sono un po’ troppi, avrebbero voluto provare a riconquistare il loro pianeta d’origine. »
« Oh, isn’t that a classic. »
Ci fu ancora un attimo di silenzio dopo la battuta gelida di Ryou, poi Zakuro esalò piano: « Ed è per questo che siete tornati. »
I tre Ikisatashi si scambiarono un’occhiata, poi Pai annuì: « Non eravamo sicuri di niente. I messaggi con Gaia avevano successo quasi solamente in entrata, e come ha detto Kisshu, le comunicazioni non erano chiare. Ma, nell’eventualità che succedesse… »
« Quindi ci avete riempito di cazzate fin dal momento in cui siete arrivati, » insistette la modella, immobile e calma nella sua posa nonostante il fuoco che le invadeva le iridi.
« Be’, diciamo che abbiamo omesso un pezzetto della verità, » rispose Kisshu, « Siamo anche qui davvero per misurare e comparare gli effetti di Mew Aqua. »
« Grazie tante. »
« Non potevamo esserne sicuri, » continuò Pai, « E non aveva senso creare il panico, in caso i nostri tentativi di dissuadere i Geoti avessero avuto un buon fine. »
« Non mi sembra proprio, » commentò velenosa Minto, alzandosi e facendo qualche passo per il salotto, « E adesso cosa diamine dovremmo fare!? »
« Potremmo… provare a parlarci, » tentò invano Taruto, cercando di incrociare lo sguardo degli altri, ma ricevette in risposta solo uno sbuffo stizzito di Shirogane.
« Parlarci? » esclamò sarcastico, « Quel tizio grosso come un armadio ha aperto un buco in un palazzo, for fuck’s sake, non mi sembrava molto intenzionato a parlare! »
« Da un punto di vista prettamente teorico, potrebbe esserne capace pure Taruto con uno dei suoi trucchi di radici… » provò a stemperare Kisshu, guadagnandosi in cambio solo occhiatacce da parte di tutti.
Retasu prese un respiro così profondo che echeggiò per la stanza: « È per questo… è per questo che sono tornati i nostri marchi, non è vero? » domandò con un filo di voce, cercando lo sguardo delle amiche, « I nostri DNA… lo sapevano. E oggi noi lo sapevamo, e lo sappiamo ancora. Lo possiamo sentire. Siamo qui per proteggere la Terra, dopotutto. »
Perfino Minto si concesse l’accenno di una parolaccia, riprendendo a camminare in tondo per la stanza con le braccia strette intorno al busto.
« Mi sa che non abbiamo molta scelta, » concordò Purin con l’abbozzo di una risatina incerta, « Siamo le Mew Mew. »
A quelle parole, un singhiozzo si levò da Ichigo, ancora in disparte rispetto a loro.
« Ryou, » il gemito gli spezzò il cuore in due e lui faticò a voltarsi verso di lei, a incrociare la sua espressione distrutta mentre stringeva Kimberly ancora di più contro al suo petto, « Ryou, no, io non… »
In due falcate le fu accanto, praticamente a sorreggerla mentre gli si abbandonava contro, e fu grato a Retasu che riuscì a lanciarsi tra di loro e prendere la bambina per far sì che lui potesse abbracciarla quanto più stretto possibile.
« Io non posso, » gemette, tentando di respirare tra un singhiozzo e l’altro mentre lui le accarezzava i capelli e le sussurrava all’orecchio per cercare di calmarla, « Come faccio, io ho… noi abbiamo… »
Tutto il senso di colpa che aveva sempre provato verso le ragazze, verso di lei, nonostante si fosse ripetuto migliaia di volte quanto il progetto Mew fosse stato necessario, come la Terra stessa avesse scelto proprio loro, gli si moltiplicò in petto più forte che mai, provocandogli un bolo di acidità in gola. Non avrebbe potuto dire niente, per una volta nella vita non aveva una risposta sufficiente da darle, per rassicurarla, per dirle che sarebbe andato tutto bene, che nulla sarebbe successo alla loro famiglia, ma i ricordi di ciò che era accaduto anni prima erano troppo indelebili per mentirle in quella maniera.
Fu Purin invece ad avvicinarsi, a prenderle una mano con un sorriso sottile: « Nee-san… siamo tutti dalla stessa parte, questa volta, » le mormorò, « E siamo più forti. Siamo più consce, non siamo delle bambine. Non devi avere paura. »
« Dai, vecchiaccia, » le diede corda Taruto, « Abbiamo anche l’effetto sorpresa. Loro non sanno niente delle Mew Mew, né che noi siamo qui, se è per questo. Ci dà un margine non indifferente. »
« Rimanderei le discussioni tattiche a domani, » s’intromise Keiichiro, con un tono di voce stanco come non l’avevano mai sentito, « Credo che serva a tutti del tempo per… digerire le informazioni. Ma concordo con Taruto-san che per oggi possiamo stare tranquilli, credo che i nostri nuovi ospiti abbiano già attirato abbastanza l’attenzione. »
« Domani inizieremo a pensare a tutto, » concordò Ryou, continuando a cullare piano Ichigo, un po’ più calma contro al suo petto, « Dio, dovrò licenziare le cameriere per riaprire davvero la vecchia base. »
« Almeno Ichigo-chan sarà contenta, » sbuffò Purin, beccandosi un’occhiata di sbieco da sotto il braccio dell’americano.
« Vi chiedo solo di non rimanere da sole, se possibile, » aggiunse Keiichiro, guardandole tutte con pacatezza, « Mi fareste stare più tranquillo. E cellulari sempre accesi, almeno finché non recuperiamo i vostri ciondoli. »
Le ragazze annuirono piano, le facce ancora scavate e pallide, i corpi tesi mentre raccoglievano le loro cose per avviarsi verso casa.
« Vi aspettiamo domattina al Caffè, allora. »
« Che cosa grandiosa, » sibilò Minto, quasi litigando con la propria borsa che non voleva saperne di chiudersi, « Non vedevo l’ora di dover affrontare battaglie intergalattiche a sorpresa. »
Kisshu azzardò un solo passo verso di lei, gli occhi dorati quasi spenti: « Tortorella… »
Lei tremò da capo a piedi per trattenersi dal tirargli un ceffone: « Non ti azzardare a seguirmi, » sibilò, la voce che le si spezzò infida, « Non ti azzardare a parlarmi, non ti azzardare a guardarmi, e soprattutto non ti azzardare a dirmi che ti dispiace. »
Gli diede le spalle e prese l’uscita senza aggiungere altro, sbattendo la porta così forte che le cornici alle pareti sussultarono minacciose.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) Vedasi l’ultimo numero del manga, dove Purin gli “passa una caramella con la bocca” – palesemente un bacio xD Mia Ikumi non mi freghi!
 
(**) Gaia dal greco antico (omerico) Γαῖα, o anche Γῆ, Ghḕ, Gea, è per la mitologia greca la dea primordiale, personificazione della Terra, madre ancestrale di tutta la vita.
 

 

   
 
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