Two hearts and a blue blue sky
Titolo: Two hearts and a blue blue sky
Autore: My
Pride
Fandom: One
Piece
Tipologia: One-shot
[
3743 parole fiumidiparole ]
Personaggi: Roronoa
Zoro, Sanji Black-Leg [ ZoSan ] Mugiwara
Genere: Generale,
Sentimentale,
Vagamente ironica
Rating: Giallo
Avvertimenti: Shounen
ai, Slice of Life, What if?
Winter Challenge: 2°
Luogo ›
Pista da sci
Tabella/Prompt:
Oggetti ›
04. Coperta
Binks
Challenge: 44°
Piazza
› 38°
Sospetto
Ideal Good 10&Lode: #02.
Armonia
Prompt: 14°
Argomento: Elementi
› Aria
The season challenge: Inverno
› Bianco
ONE
PIECE ©
1997Eiichiro Oda. All Rights Reserved.
Quando quel
mattino aprì gli occhi, Sanji si domandò come
diavolo avesse fatto a
respirare regolarmente con il braccio di Zoro che gli schiacciava
praticamente
il petto.
Mugugnando infastidito per la luce
che filtrava dalla feritoia della cambusa, raggelò nel
rendersi conto che i
rumori e le voci che gli era parso di sentire nel suo sogno provenivano
invece
dalla realtà. Se persino Usopp - perché quella
era la voce di Usopp, giusto? -
aveva cominciato a chiamarlo a gran voce, c’era decisamente
qualcosa che non
quadrava. Maledizione, che ore erano? E, soprattutto, che diamine ci
faceva
ancora disteso con quel cretino di Zoro su quella branda?
Non perse tempo a rifletterci
oltre, affrettandosi a scostare con ben poco garbo il corpo
dell’altro da sé e
ignorando al contempo il mugolio che si lasciò sfuggire;
rabbrividì nel momento
stesso in cui il petto, fino a quel momento tenuto al caldo dal braccio
dello
spadaccino, venne a contatto con il gelo che permeava la cambusa, e si
affrettò
a recuperare i propri vestiti per infilarseli alla meno peggio. Niente
sesso
fino a quando le temperature non sarebbero tornate ottimali, aveva
deciso. E al
diavolo se quel marimo di merda avrebbe avuto da ridire.
Proprio in quel mentre si
sentì
afferrare per un polso e quasi ci mancò che si mettesse ad
urlare come una
donnicciola per la sorpresa, voltandosi rapido in direzione della
brandina. Con
il viso affondato a metà sul cuscino e un braccio allungato
verso di lui, Zoro
lo fissava con uno sguardo assonnato e vagamente indispettito -
infuriato già
di prima mattina, quello scemo? -, per quanto apparisse stranamente
adorabile e
bambinesco con quel broncio in viso. E l’aggettivo
“adorabile” non poteva
essere per niente associato a quell’armadio a quattro ante
del suo compagno.
«Scappi di già, cuoco?»
mugugnò tra uno sbadiglio e l’altro, e Sanji
alzò di
poco lo sguardo al soffitto.
Liberandosi dalla presa dello
spadaccino - cosa stranamente
facile, visto che sembrava essere ancora
nel mondo dei sogni e dunque ben poco cosciente -, si
affrettò ad infilare la
felpa per non morire di freddo, non prima di essersi alzato per issarsi
mutande
e pantaloni e fermare alla svelta questi ultimi con la cintura.
«Devo preparare
la colazione, testa verde», rimbeccò con uno
sbuffo, e quasi gli parve che si
stesse giustificando con quell'idiota. «O alla peggio il
pranzo, se mi hai
tenuto inchiodato qui anche per tutta la mattinata».
«Non mi sembrava ti
dispiacesse
così tanto, stanotte», borbottò tra
veglia e sonno il Vice Capitano, ed fu
alquanto bizzarro vedere con quanta concentrazione tentasse di tenere
gli occhi
aperti per continuare a fissarlo con attenzione in viso. Davvero una
gran forza
di volontà, quel dormiglione.
Per tutta risposta, però,
Sanji
gli regalò un calcio sfogliato al fianco nudo - ma non aveva
freddo,
quell'idiota? - passandosi una mano fra quell’ammasso
arruffato che un tempo
avrebbe chiamato capelli prima di ficcarsi come suo solito una
sigaretta fra le
labbra. «Ripassa quando riuscirai a formulare un pensiero
decente senza
crollare dal sonno, marimo», replicò ilare,
accendendo l’estremità della stecca
per inalarla fino in fondo; scoccò poi un’altra
rapida occhiata allo
spadaccino, che, nello stiracchiarsi sulla branda, aveva fatto
sì che la coperta
- che tra l’altro lo copriva già precariamente di
suo - scendesse fin sotto al
basso ventre, dandogli ben più di una fugace visione del
triangolo di peli
pubici. «E vedi anche di darti una sistemata»,
soggiunse quindi quasi
frettolosamente, dandogli subito le spalle e incamminandosi per non
rischiare
di cadere nuovamente in tentazione. E, beh, anche per non mostrare
segni di
cedimento a quella stupida testa verde, che avrebbe immediatamente
colto la
palla al balzo nonostante l’aria assonnata e
l’avrebbe di sicuro tenuto lì
dentro più di quanto non avesse già fatto.
Non attese nessuna replica e
sgattaiolò svelto verso il ponte della nave, sentendosi un
idiota nel mettersi
a controllare furtivamente a destra e a manca. Per quanto sapesse che
esistesse
la remota possibilità che nessuno avrebbe avuto da ridire se
si fosse venuto a
conoscenza che stavano
insieme, la prudenza non era mai troppa. E poi,
chissà, quando sarebbero stati pronti, avrebbero provato
loro stessi a
raccontare come stavano esattamente le cose, anche se a volte gli
atteggiamenti
degli altri lasciavano intendere che qualcosa l’avevano
intuito. Specialmente
Robin-chan, Nami-san e il piccolo Chopper - Chopper,
accidenti! - sembravano adocchiarli con sospetto, maledizione.
A quei suoi stessi pensieri, Sanji
morse furentemente il filtro della sigaretta e bofonchiò
chissà cosa fra i
denti, spalancando la porta che dava sul ponte già di
malumore; si fermò di
botto, però, non appena gli si parò dinanzi agli
occhi lo spettacolo strepitoso
d’una coltre di neve che aveva praticamente ricoperto la
superficie della Sunny.
E ancor più grandioso fu vedere il candore lontano di
un’isola invernale che si
stagliava proprio davanti a loro, i cui alberi dai rami ghiacciati
sembravano
luccicare come tanti piccoli diamanti sotto il sole, rendendo splendidi
persino
i tetti lontani di una cittadella.
«Ohi, Sanji!» Il
richiamo del
Capitano fu allegro e squillante, ma il cuoco ci mise un po’
per localizzare
con esattezza la sua posizione. Con il naso rosso per il freddo e il
cappello
di paglia pieno di neve, sorrideva come un bambino che aveva appena
ricevuto un
nuovo gioco. «Prepara un pranzo al sacco! Un pranzo al
sacco!» cinguettò tutto
contento. «Sento odore d’avventura!»
I modi di fare del Capitano erano
una delle poche certezze della vita, a quanto sembrava. Sanji
abbozzò un
sorriso e, ficcandosi le mani in tasca per proteggerle dal freddo, si
diresse
senza tanti preamboli verso la cucina. «Sarà tutto
pronto in un attimo»,
ribatté divertito, ridacchiando nel sentire qualche attimo
dopo il grido di
giubilo di Rufy. Già che c’era, avrebbe preparato
qualcosa di caldo anche per
Nami-san e Robin-chan - che tra l’altro non aveva ancora
visto in giro insieme
agli altri scalmanati -, certo che avrebbero gradito quella sua
premura.
Proprio come aveva promesso, non
appena attraccarono lungo la costa fu tutto pronto, e Rufy non
esitò un attimo
ad arraffare il proprio sacco e a lanciarsi in avanscoperta senza dar
peso come
al solito ai richiami di Nami, che gli raccomandava di fare attenzione
e di non
andare avanti da solo se non voleva correre il rischio di perdersi.
Giacché le ultime settimane
avevano avuto la marina alle calcagna e avevano potuto occuparsi ben
poco delle
scorte, le quali scarseggiavano tristemente, fu un sollievo per tutti
scendere
sulla terra ferma. E mentre si stava apprestando a sua volta ad
abbandonare la
nave, Sanji vide la figura di Zoro avanzare solitaria nella neve,
avvolto nel
proprio cappotto e diretto, almeno
in
teoria, nella stessa direzione verso cui stavano sparendo
i restanti membri
dell’equipaggio. Merda. Quell’idiota si sarebbe
sicuramente perso come al
solito. Qualcuno sarebbe dovuto restare alla Sunny per controllarla,
certo, ma
se avesse lasciato quel cretino d’un marimo senza una scorta,
avrebbero poi
perso il doppio del tempo a ritrovarlo.
Imprecando a denti stretti,
dunque, e maledicendolo in tutte le lingue che conosceva, Sanji si
affrettò a
sbarcare e a corrergli dietro, dovendo faticare non poco per
localizzarlo.
Aveva perso giusto due secondi a pensare il da farsi, e quello stupido
spadaccino era già scomparso chissà dove. Un
completo imbecille, non c’era
altro aggettivo per definirlo.
Le sue caviglie affondavano nella
neve ad ogni falcata, e, più si inoltravano nella foresta,
più gli alberi
intorno a loro divenivano dei veri e propri giganti, sicuro simbolo che
dovevano trovarsi lì da parecchi secoli. Gli aghi dei pini
erano coperti da uno
spesso strato di bianco, e dalla cappa di fogliame sopra di loro si
riusciva a
malapena a distinguere il colore azzurro del cielo. Di tanto in tanto
si udiva
qualche timido cinguettio tra le fronde, ma di altri animali nemmeno
l’ombra.
Era tutto così... bizzarramente silenzioso, in quella parte
dell’isola.
Sembrava persino che non ci mettesse piede nessuno da anni, dato che
era tutto
così incontaminato da mozzare il fiato nel petto. Per quanto
potesse apparire
bello agli occhi, però, Sanji si rese conto che stavano
letteralmente
girovagando a vuoto.
«Marimo»,
chiamò dunque
pacatamente il compagno, sebbene una vena avesse cominciato a pulsare
sinistramente sulla sua fronte. «Dove diavolo
siamo?»
Nel sentirlo, Zoro si voltò
accigliato, avendo anche la sfacciataggine di sbottare, «Cosa
ti fa credere che
io lo sappia, cuoco?», rimediandoci un colpo al fianco dal
piede dell’altro.
«Questo accade
perché devi sempre
gironzolare da solo, razza di stupido!» berciò
Sanji, venendo afferrato per il
colletto del giaccone da una mano dello spadaccino.
«Nessuno ti ha detto di
seguirmi,
cuoco da strapazzo», rimbrottò, e bastarono altre
due o tre parole in croce a
scatenare la solita rissa. Tra un calcio e un fendente di spada, tra un
salto
all’indietro e un pugno al viso, a farne maggiormente le
spese furono i poveri
alberi della foresta, per quanto anche i due compagni di viaggio si
fossero
ridotti a dei veri e propri stracci. E non solo a causa della baruffa
che
avevano messo in atto, bensì anche per la neve che aveva
rallentato non poco i
loro movimenti, rendendoli goffi e impacciati.
Sanji si ficcò in bocca una
sigaretta
spenta per tentare di calmarsi, riprendendo il cammino solo una volta
che la
lite fra loro si fu del tutto placata. «Mi hai fatto perdere
un sacco di tempo,
marimo idiota», bofonchiò, passandosi entrambe le
mani sulle braccia nel
tentativo di acquistare un po’ di calore.
«Sei stato tu a cominciare,
sopracciglio
a ricciolo», rimbeccò il Vice Capitano,
strofinandosi il dorso sulla punta del
naso, gelato come tutto il resto del corpo. Di sicuro quel loro vagare
a vuoto
non faceva bene a nessuno dei due, e il suo stomaco avrebbe ben presto
cominciato a reclamare a gran voce del cibo. Ad interrompere il suo
cammino fu
un grosso masso che si era parato sulla sua strada, e Zoro perse giusto
due secondi ad osservare con occhio
critico quell’ostacolo, estraendo con la sinistra una delle
sue katane senza
tanti problemi. «Ittōryū»,
cominciò,
mettendosi subito in posizione. «Yakkodo-»,
e avrebbe anche concluso se un calcio ben assestato non gli avesse
quasi
fracassato il cranio, giacché Sanji gli aveva bellamente
stampato in testa la
forma della sua scarpa.
«Che cazzo fai, marimo di
merda?»
sbottò quest’ultimo, già nervoso di suo
senza che quell’idiota esibisse i suoi
colpi da fenomeno da baraccone. «Possibile che per te ogni
cosa si debba
risolvere a colpi di katana? La strada è da quella
parte!» soggiunse,
indicandogli con un dito un viottolo che, c’era da dirlo, a
prima vista si
confondeva non poco con il bianco accecante che avvolgeva loro e la
foresta
stessa.
«Questa era una scorciatoia,
brutto idiota!» rimbrottò il Vice Capitano,
lanciando solo una rapida occhiata
in direzione del suddetto viottolo e facendo al contempo inarcare un
sopracciglio al cuoco.
«Ma se non sai nemmeno dove ci
troviamo, cretino», gli tenne presente, e, senza prestargli
più la benché
minima attenzione, cominciò ad avviarsi da solo in quella
direzione, sbuffando
come una teiera in ebollizione e borbottando frasi
all’indirizzo del compagno
che suonavano vagamente come un “idiota” o
“stupido marimo”. Come avrebbe
spiegato alle sue belle muse la sua assurda assenza? Di sicuro si
stavano
domandando dove fosse e perché non le stesse consolando
com’era solito fare, preparando loro un bel dessert che
avrebbero potuto godersi accanto al fuoco d’un caminetto, o
aiutandole magari
ad indossare quelle splendide tute attillate per sciare, toccando
accidentalmente loro i bei seni prosperosi e... troppo preso
com’era in quei
suoi perversi pensieri, si accorse troppo tardi di aver messo un piede
in
fallo, lasciandosi sfuggire un’esclamazione sorpresa quando
la neve si
trasformò in vuoto e lui si ritrovò a cadere di
sotto.
La caduta fu colossale e anche ridicola
- se fosse capitato a Zoro, ad esempio, non si sarebbe per niente
risparmiato
dal ridergli in faccia -, ma il suo culo e il suo braccio non lo
trovarono
affatto divertente. Era difatti rotolato giù come una palla
di neve e si era
letteralmente schiantato al suolo, e forse era stato persino fortunato
a non
essersi rotto l’osso del collo. «Merda!»
imprecò nell’issarsi a sedere,
toccandosi il braccio con la punta dell’indice e del medio.
Fu costretto a
ritrarle in un lampo, però, poiché una piccola
fitta di dolore percorse l’arto
ferito e tutto il suo corpo, propagandosi lungo la sua spina dorsale.
Perfetto.
Ci mancava soltanto quella.
«Ohi, cuoco!» La
voce di Zoro gli giunse
dall’alto di quella piccola scarpata, e dovette alzare lo
sguardo per vederlo
sporgersi da essa. La distanza che li separava non era nemmeno molta,
dunque
poté benissimo vedere lo strano ghigno che si era dipinto
sulle sue labbra.
Appena salito l’avrebbe pestato a sangue, parola sua.
«Tutto bene?»
«Tutto bene un cazzo, stupido
marimo!»
sbottò di rimando, alzandosi con una certa fatica. Il suo
corpo era tutto un
livido, e non si sarebbe meravigliato se avesse scoperto di avere anche
qualcosa di rotto. Come il braccio, ad esempio. E, dannazione, per il
bene di quel cretino del suo compagno, sperava
vivamente di no. Altrimenti altro che pestarlo a sangue...
l’avrebbe ammazzato
e tanti cari saluti allo spadaccino di bordo.
«Vuoi una mano a risalire,
ricciolo?»
«Sfotti meno e chiudi il
becco, gorilla tutto
muscoli!»
Si sentiva già un idiota
senza che ci si
mettesse anche lui a fare dell’ironia, maledizione.
Cercò quindi di
arrampicarsi senza chiedergli aiuto, rinunciando ben presto a
quell’idea quando
si rese conto che per farlo avrebbe dovuto affondare le mani nella neve
e, se
tanto gli dava tanto, si sarebbe congelato le dita e non sarebbe stato
in grado
di cucinare. Per non parlare poi del dolorino che aveva al braccio,
anche se
sembrava essersi placato almeno un po’. Beh, era una buona
notizia. Ciò significava
che non si era rotto nulla e che quello stronzo del suo compagno aveva
ancora
qualche speranza di restare vivo a fine giornata.
Stava già cominciando a
chiedersi come
fare, quando un qualsiasi Dio parve essere benevolo con lui. Da dove si
trovava,
difatti, riusciva benissimo a scorgere la cittadina che aveva
intravisto dalla
Sunny, per quanto fosse ancora palesemente distante dalla loro
posizione. Gli
altri dovevano essersi diretti lì, non c’era alcun
dubbio. «Ohi, marimo!»
esclamò quindi, scoccandogli una rapida occhiata dabbasso.
«Datti una mossa,
questa è la direzione giusta».
«Se non ti spiace io uso il
percorso,
cuoco», lo sfotté, e fu solo in quel mentre che
Sanji si rese conto della
stradina che convergeva proprio da quella parte. Era un vero deficiente.
E ancora di più se ad accorgersene era
stato Zoro, un uomo che riusciva a perdersi persino quando la strada
che
percorreva era dritta.
Il
resto del viaggio si svolse
stranamente nel silenzio più totale, visti i loro soliti
standard. Spesso e
volentieri trovavano sempre un pretesto per provocare l’altro
e scatenare una
rissa, eppure adesso, complice forse anche la stanchezza e il fatto che
stessero ormai vagando per ore, sembrava essersi creata una sorta di
tregua,
tra loro. Una di quelle tregue che prendevano forma dopo il sesso,
quelle
tregue tranquille che lasciavano ad entrambi il tempo di riprendersi e
di
ristabilizzare i battiti prima di tornare quelli di sempre.
Però... c’era un
però, accidenti. Non erano per niente abituati a protrarre
così a lungo quello
stato di calma, e Sanji aveva dunque cominciato a mordicchiare
nervosamente la
sigaretta, sentendo la cartina inumidirsi sempre più a causa
della saliva. Ancora
poco e se lo sarebbe mangiato, quel tabacco. Decise quindi di
accendersi
finalmente quella maledetta cicca, nella vana speranza che,
così facendo,
avrebbe almeno trovato un piccolo passatempo e sarebbe anche riuscito a
calmarsi un pochino.
Tra una boccata e l’altra,
Sanji iniziò
ad osservare distrattamente i dintorni, facendo al contempo finta
d’esser solo.
Non che fosse difficile, dato che Zoro se ne stava in religioso
silenzio, ma di
tanto in tanto non poteva fare a meno di lanciargli qualche occhiata,
come se
volesse controllare che stesse continuando a seguirlo. Quella sigaretta
finì
prima del previsto e, dopo averla schiacciata sotto la suola della
scarpa, il
cuoco si massaggiò il braccio ancora indolenzito e
abbassò lo sguardo sulla
neve candida, concentrandosi sulle nuvolette di vapore che uscivano
dalla sua
bocca ad ogni respiro.
Dovette incurvare la schiena per evitare
che un ramo troppo basso - così stracarico di neve che
sembrava sul punto di
spezzarsi - lo colpisse al viso, borbottando chissà cosa fra
sé e sé quando fu
costretto a scansare qualche arbusto con le mani per farsi largo e
mantenersi
al tempo stesso al tronco di un albero quando inciampò in
una radice nodosa
nascosta al di sotto della neve. Imprecò a denti stretti,
traendo un sospiro di
sollievo solo quando uscirono da quella maledetta foresta e si
ritrovarono in una
vasta vallata a cielo aperto, che rendeva ancor più visibile
la città. Bene. Almeno
sapevano che quella era davvero
la
direzione giusta e che non stavano vagando a vuoto.
Il freddo era anche diventato
più
intenso di quanto non lo fosse stato al principio, ma, alzando lo
sguardo verso
l’alto, Sanji poté vedere il cielo perfettamente
azzurro, simbolo che non
poteva essere nemmeno passato mezzogiorno. Se non avesse dimenticato il
proprio
orologio sulla nave avrebbe controllato, però in quel mondo
silenzioso e
ghiacciato, dove a farla da padrone sembrava essere il bianco accecante
che li
avvolgeva, quell’oggettino gli parve solo
un’inutile futilità. Forse avrebbe
fatto meglio a godersi quei momenti e basta, senza stare a riflettere
come suo
solito.
«Ohi, cuoco».
Nell’udire
d’improvviso la
voce di Zoro, non poté evitarsi di trasalire e di stornare
bruscamente lo
sguardo nella sua direzione, vedendolo con lo sguardo perso
all’orizzonte e le
mani ficcate nelle tasche per proteggerle dal freddo. «Forse
avrei dovuto
portarmeli dietro, quegli onigiri che hai preparato»,
borbottò e, prima ancora
che potesse aggiungere altro, fu il suo stomaco a parlare per lui,
brontolando
così esageratamente da ricordare vagamente un orso appena
svegliatosi dal
letargo.
Lì per lì
accigliato, Sanji non
riuscì a
frenare la risata che scaturì dal fondo della sua gola,
divertito a dir poco. «Se
per una volta fai quello che dico senza protestare»,
cominciò, infilando una
mano nel cappotto per tirar fuori ancora una volta il pacchetto di
sigarette,
portandosene una alla bocca con fare elegante, «quegli
onigiri saranno solo un
quarto di quelli che riceverai in seguito».
«Per chi mi hai preso, per un
moccioso?»
borbottò lo spadaccino, ma il mezzo sorriso che gli
incurvò le labbra non sfuggì
a Sanji, per quanto quest’ultimo avesse fatto finta di nulla
e dato vita ad una
di quelle scrollate di spalle che avrebbero potuto significare tutto o
niente.
«Tu lo sei davvero,
marimo».
«Ohi! Che diavolo intendi
dire,
ricciolo?»
«Sta’ zitto e goditi
il paesaggio e le
bellezze della natura, una volta tanto», rimbeccò
con fare serafico,
incamminandosi senza dar peso alle repliche e ai borbottii che gli
giunsero
alle orecchie qualche istante dopo. Che ciarlasse quanto voleva, quello
scemo. Lui
avrebbe dato retta al proprio consiglio e avrebbe fatto tesoro di ogni
singola
cosa vista. E, beh... anche della sua compagnia, lo ammetteva. Gli
attimi in
cui potevano davvero
starsene per
conti loro scarseggiavano, dunque, per una volta, il fatto che quello
stupido
si fosse perso si era rivelato un vantaggio per la loro bizzarra vita
di
coppia, se la si voleva definire realmente in quel modo. In quel
momento c’erano
solo loro, quel paesaggio imbiancato che brillava come un gioiello e
quel cielo
azzurro che si stagliava sulle loro teste, così sgombro di
nuvole da apparire
quasi dipinto.
Fu dunque con un certo dispiacere che, a
pomeriggio ormai inoltrato, misero entrambi piede in quella tanto
agognata
città in cui gli altri li stavano aspettando, raggiungendo
l’alberghetto dove
alloggiavano. E non fu nemmeno difficile trovarlo, dato che era
l’unico della
zona. Zoro fu persino molto spiccio nello spiegare il perché
di quel loro
ritardo, troncando sul nascere la curiosità di Rufy, che
aveva gonfiato le
guance come un bambino e borbottato qualcosa riguardo ad
un’avventura alla
quale lui non aveva potuto partecipare, strasicuro che i suoi due
compagni di
viaggio avessero affrontato chissà cosa. E in parte ci aveva
azzeccato. Ci aveva
pensato Nami a distrarlo in un lampo e a richiamare su ben altro la sua
attenzione, riuscendo a convincerlo a tornare dentro pronunciando
unicamente la
parola “cena”.
Sanji vide sparire tutti di gran lena
all’interno
dell’edificio - resistendo all’impulso di stampare
un bel calcio sulla faccia
scheletrica di Brook, che aveva tentato nuovamente di farsi mostrare
dalla sua
Nami-san le sue mutandine -, scuotendo di poco il capo con fare
fintamente
sconsolato. «Per un cuoco è un lusso trovare la
cena già pronta, sai?» rimbeccò
sarcastico, guardando l’unico rimasto in quella piazza,
ovvero quello scemo d’un spadaccino, con
la coda dell’occhio solo per cogliere il sorriso in cui aveva
sollevato un
angolo della bocca prima che, con fare quasi aggraziato, annullasse la
poca
distanza che li separava.
«Un lusso che dovrà aspettare ancora un
po’, damerino», replicò Zoro, chinandosi
all’altezza del suo viso come se
aspirasse ad un bacio; Sanji gli andò incontro con uno
sbuffo divertito e gli
sfiorò il labbro inferiore con la punta della lingua, quasi
volesse stuzzicarlo
prima di concedergli quel tanto agognato contatto, spingendosi poi
maggiormente
contro di lui per far diventare quel bacio qualcosa di più.
«Ohi, ragazzi! Cosa state
aspettando? È
già a tavola!»
La
voce di Usopp fece sobbalzare entrambi, e fu istintivamente che Zoro,
per
allontanare il più in fretta possibile Sanji da
sé e camuffare al contempo il
tutto, allungò un braccio per sferrargli un pugno; al tempo
stesso, però, il
cuoco aveva istintivamente alzato una gamba come in procinto di
colpirlo,
lasciandosi sfuggire un suono soffocato al contatto con le nocche dello
spadaccino.
Usopp, a quella vista,
sollevò un
sopracciglio con fare vagamente scettico. Quei due erano idioti o cosa?
Sembravano perfettamente normali, fino a pochi attimi prima. Beh,
almeno
secondo i loro soliti standard, c’era da aggiungere.
«Che state facendo?»
domandò, sbattendo le palpebre con fare a dir poco
scombussolato. «Piantatela
di litigare e venite dentro, prima che Rufy e Brook si mangino anche la
vostra
parte».
E mentre si allontanava, lasciando cuoco
e Vice Capitano ancora colti da un attacco di panico nonostante il
pericolo scampato,
il cecchino tentava in tutti i modi di scacciare l’immagine
che gli era parso
di vedere per qualche attimo prima che quei due cominciassero a
scannarsi. Zoro
che baciava
Sanji? Oh, ma per favore! La stanchezza che aveva accumulato
sulla pista da sci gli stava solo giocando brutti scherzi, tutto qui.
Eppure, nella sua testa, quella vocina
che gli mormorava che aveva visto giusto non la smetteva di assillarlo.
_Note inconcludenti dell'autrice
Ma quanto
diavolo è malata questa immagine di lato, vista per intero?
Ehm... nay, un momento, ciò che volevo dire è che
questa
one-shot chilometrica che ho così tanto tardato a postare
è stata scritta per il contest
“Due
cuori e...”
indetto da Hariken
(Frandra) e Silyia_Shio, di cui attendiamo ancora i risultati
Ammetto di averla scritta più che altro per ridere, forse
perché quei due zucconi, per quanto ispirino angst a palate
- tu
sai di cosa parlo, neh, Connie?
x) - nella maggior parte dei casi, a me
ispirano anche un casino di idiozie e alla fine sono stupidaggini del
genere che la fanno da padrone, non posso farci nulla u_u
Sarà
che avevo una voglia matta di scrivere qualcosa che ricordasse
un’avventura -
in questo momento mi sento un pochino come Rufy, lo ammetto -, o
semplicemente
volevo mettere nei casini quei due zucconi di Zoro e Sanji. Inutile
dirlo,
suppongo, ma ovviamente la tecnica ad una spada citata (Ittōryū)
è la Yakkodori (Gabbiano del
disastro), un colpo a mezzaluna repentino e veloce simile alla
Sanjuuroku pondo
hou. Perché inserirla? Perché avevo anche voglia
di buttare nel
discorso le tecniche di Zoro e farlo prendere poi a calci da Sanji
senza tanti
complimenti *Rotola via*
Come
sempre, comunque, commenti e critiche sono ben accetti :3
Alla
prossima.
♥
Messaggio
No Profit
Dona l'8% del tuo tempo
alla causa pro-recensioni.
Farai felici milioni di
scrittori.
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