Normalità
James
Lester zoppicò nel suo ufficio, mentre un sorriso
ancora gli increspava le labbra. Il mondo era salvo, la squadra stava
bene, e a
giudicare dalle parole del ministro aveva ancora un lavoro. Cosa aveva
detto
Temple? Che quella si era rivelata una giornata
“sorprendentemente positiva”?
Forse non aveva tutti i torti.
Certo c’erano anche i lati negativi della situazione: ora
avrebbero dovuto spiegare al mondo dell’esistenza
dell’ARC, forse persino
rendere pubbliche le loro operazioni. Si appuntò mentalmente
di assumere un
nuovo addetto alle relazioni pubbliche: per quanto Jess fosse brava non
poteva
fare tutto da sola, se n’era reso conto chiaramente durante
l’emergenza di
poche ore prima.
Non era nemmeno il tramonto, quasi non gli sembrava vero
di aver sfiorato la morte da nemmeno tre ore. Forse avrebbe dovuto
telefonare a
sua moglie, solo per farle sapere che stava bene, e che sarebbe tornato
per
cena. Diede un’occhiata all’orologio, al diavolo le
anomalie, per una volta non
avrebbe fatto gli straordinari.
Prima però doveva richiamare il ministro e raccogliere i
rapporti delle missioni: gran
parte
delle squadre mandate sul campo non erano ancora rientrate, per il
momento gli
era dato sapere solo che non c’erano state vittime fra lo
staff (praticamente
un miracolo per un giorno come quello). La sua mente andò
alla montagna di
scartoffie che avrebbe dovuto compilare per giustificare i danni ai
beni
pubblici e per rilasciare gli indennizzi alle famiglie dei civili
morti. Forse
sarebbe stato il caso di assumere anche un nuovo assistente insieme
all’addetto
alle pubbliche relazioni, poteva tornare utile.
Versò un bicchiere di whiskey (al diavolo i medici, lui
gli antidolorifici li mescolava con quello che voleva) e si
lasciò cadere in
poltrona, cullato dalla voce di Jess che borbottava coordinate e ordini
nel suo
cellulare. Nonostante l’ARC fosse mezzo devastato, la ragazza
aveva già riavviato
i computer e ripreso possesso della sua postazione, dimentica delle
lacrime di
terrore versate quello stesso giorno. Quella brunetta era veramente
inarrestabile.
Riusciva ad immaginare perfettamente il resto del suo
sgangherato team a King’s Cross, di nuovo al lavoro, ad
ascoltare attentamente
le istruzioni di Parker per riportare indietro quel treno (un treno nel
cretaceo!
Non voleva nemmeno pensare a quanti problemi avrebbe avuto a spiegare
l’accaduto ai passeggeri).
Temple e Abby, mano nella mano e raggianti come non li
aveva più visti da mesi, probabilmente si sarebbero
stuzzicati con una serie
infinita di battutine sarcastiche e totalmente idiote, almeno
finché il
capitano non li avrebbe ripresi con un grugnito di disapprovazione.
Anderson
sarebbe stato sicuramente più professionale, prendendo in
pugno la situazione
immediatamente, finalmente sollevato dal peso della sua missione. Emily
con gli
occhi accesi d’amore, gli sarebbe rimasta a fianco
coprendogli le spalle,
pronta a battersi per la sua nuova famiglia al primo segno di pericolo.
Quei ragazzi erano degli eroi e nessuno lo avrebbe
saputo. Avevano sventato l’apocalisse e nessuno li avrebbe
mai ringraziati, e
nemmeno loro avrebbero mai preteso un riconoscimento per questo, James
ne era
certo. Stavano soltanto facendo il loro lavoro.
Almeno adesso avrebbero avuto un po’ di pace. Non gli
erano sfuggiti gli sguardi furtivi fra Becker e Jess, quei due
sarebbero stati
la prossima coppietta a sbocciare sotto i suoi occhi, poteva
scommetterci.
Doveva emanare qualche direttiva contro i rapporti romantici fra
colleghi,
altrimenti il diabete l’avrebbe ucciso: prima Abby e Connor
che da quando erano
tornati dalla preistoria erano diventati una fonte inesauribile di
miele e
cuoricini, poi l’uomo dal futuro che attraversava ere intere
per riprendersi la
sua donna del passato, e ora questo... A volte più che un
organo governativo
top secret incaricato di missioni ad alto rischio gli sembrava di
amministrare
un’agenzia per cuori solitari. Certo non gli sarebbe
dispiaciuto veder
sorridere un po’ più spesso il burbero soldato,
aveva già sofferto abbastanza
per una vita intera. Lì dentro tutti avevano già
sofferto abbastanza. Avevano
davvero bisogno di una vacanza, una bella pausa dalle tragedie, almeno
per
qualche mese.
James pensò che magari avrebbe potuto costringerli ad
accettare una settimana di ferie, come premio per le loro ultime azioni
meritevoli. Poi pensò che doveva essere impazzito: se
volevano andare in ferie
potevano andarci di loro spontanea volontà quando non ci
fosse stato un allarme
apocalisse all’orizzonte. Era già abbastanza
paziente a sopportare tutti i guai
che combinavano ogni volta che si mettevano in testa di contravvenire a
qualche
regola. Quando volevano, i suoi dipendenti sapevano diventare delle
vere mine
vaganti, soprattutto Temple, con la sua mania di inaugurare i suoi
giocattolini
sempre nei momenti meno opportuni, o Anderson, così cocciuto
da non dare mai
retta a nessuno se non a sé stesso. A volte erano
frustranti, eppure se fossero
morti gli sarebbero mancati, quei ragazzi. Li considerava degli amici,
anzi,
quasi dei parenti, dei fratelli, dei figli.
Anche quel giorno avevano sfiorato la fine, James lo
sapeva bene.
Si sistemò la fasciatura con una smorfia di dolore e
prese il telefono, aveva perso già fin troppo tempo a
riflettere inutilmente, probabilmente
era colpa di quelle pasticche per il dolore che gli avevano fatto
ingoiare.
Maledetti predatori del futuro! Proprio lui dovevano sventrare? E come
se non
bastasse gli avevano anche strisciato la macchina. Prima di digitare il
numero
pensò anche un’ultima volta a quel pallone
gonfiato di Philip. Non poteva dire
che gli dispiacesse della sua morte, l’aveva odiato con tutto
sé stesso e
fidarsi di Helen era stata probabilmente la cosa più idiota
che avesse mai
fatto (ormai anche le pareti conoscevano la regola d’oro
“mai fidarsi di Helen
Cutter”), ma era morto cercando di rimediare ai propri errori
e di certo non
meritava una fine del genere.
James scosse la testa, infastidito. Sì, dovevano essere
quelle stupide pillole a renderlo così sentimentale.
Avviò la chiamata
giocherellando con il bastone che gli avevano dato in infermeria.
Alcuni
tecnici di laboratorio entrarono in quel momento nella sala operativa e
cominciarono ad armeggiare con gli strumenti danneggiati
dall’incursione. Il
tenente Collins fece il suo ingresso brandendo un EMD con un braccio e
sostenendo
il tenente Williams, della squadra otto, con l’altro. Jess si
alzò e gli gridò
qualcosa, i due soldati risero di gusto continuando a procedere verso
il
corridoio successivo. Rex, ormai promosso a mascotte ufficiale
dell’ufficio,
volò attraverso la porta terrorizzando un ragazzino dagli
occhiali spessi che
stava trasportando dei fascicoli. Una donna corpulenta sulla
cinquantina, Anne del
reparto zoologia, rincorse la lucertola attraverso la stanza urlando,
andando
quasi a scontrarsi con la squadra gamma appena rientrata, sanguinante e
sfinita.
Jess ora stava pestando con decisione la tastiera del computer
abbaiando
qualcosa attraverso il microfono, arrabbiata. Un telefono
cominciò a squillare
da qualche parte, mentre con un ronzio la macchina del caffè
riprendeva a funzionare.
Avevano salvato il mondo, ma era solo un giorno come un
altro.
Avevano rischiato la vita, ma a conti fatti stavano tutti
bene.
Non era nemmeno il tramonto e tutto era già tornato alla
normalità.
James Lester non riuscì a trattenere un sorriso ottimista
mentre dall’altro capo della cornetta una voce femminile
chiedeva chi mai
avesse osato disturbarla.
-Buon pomeriggio, cara. Stamattina mi ero dimenticato di
dirti che ti amo- cominciò Lester, alzando gli occhi al
cielo, felice.
NOTE
DELL'AUTRICE FOLLE
Mi dispiace, questo scempio non è colpa mia. Era stato
scritto subito dopo la visione della 5x06 ed era rimasto lì,
memorizzato nei meandri del computer. Ora, a causa di una scommessa
persa, mi ritrovo a pubblicarlo. Voleva essere l'inizio di un progetto
più ampio, ma poi ha preso vita come one shot e tale
è rimasta. Lester è violentemente OOC, ne sono
certa, e quella dell'ultima riga sarebbe la moglie, quella che doveva
chiamare, non riesco a capire se si capisce.
Se per caso passate di qua e volete farmi sapere cosa ne pensate siete
i benvenuti. Amo sempre le recensioni, anche quelle critiche...
A
presto, forse
Marta
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