Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
3.
Va’ via
Ti sento bussare con forza alla
mia porta, per un momento ho il timore che tu possa buttarla giù. Poi mi rendo
conto che è impossibile, con quelle braccia sottili che ti ritrovi.
Ti apro, nonostante avessi giurato
mille volte a me stesso che non l’avrei fatto, neanche se ti avessi sentito
urlare che ti buttavi da un ponte.
Invece, eccoti. Nella mia casa, al
centro della stanza che ha visto tutti noi ridere, insieme, sdraiati sul divano,
seduti per terra, tutti insieme, come amici inseparabili.
Chiudo la porta alle tue spalle.
Mi dici, anzi mi urli, che mi devi
parlare, che non ce la fai più a tenerti tutto dentro. Ogni volta che ci
incontriamo, che ci sfioriamo, è una tortura disumana.
Ti senti traditrice e tradita allo
stesso tempo, per cosa, poi? Per non aver fatto nulla.
Non sai che fare. Ti abbandoni sul
divano, hai gli occhi pieni di lacrime.
Alzi il volto verso di me,
cercando il mio sguardo. Vuoi una soluzione ai tuoi problemi.
Che cosa dovrei fare io? Dovresti
essere tu a darmi una soluzione.
Ci fissiamo per qualche minuto, ma
a me sembrano secoli. Da quanto tempo non ci guardavamo più in faccia?
Entrambi, probabilmente, preghiamo
affinché quegli sguardi ci aiutino a star meglio, quando invece non fanno altro
che trascinarci ancora di più sul fondo.
Il tuo sguardo vacilla e tu
abbassi il volto, fissandoti le ginocchia.
Io resto fermo, immobile, davanti
a te, in piedi.
Sono io a parlare ora. Io che sono
stato zitto da quando hai varcato la soglia di casa mia. Che non parlo davvero
da quando abbiamo cominciato a capire cosa ci stava succedendo.
«Tu», comincio, «forse neanche
immagini quel che provo per te. Probabilmente è qualcosa che non ho mai provato
in tutta la mia vita. Non riesco a vivere, a parlare, a dormire quando penso a
me e te», mi fermo, dire “noi” sarebbe stato troppo doloroso, «non sai quanto ti
vorrei.
«Però...a volte non sempre quel
che desideri si può avere», proseguo, continuando a guardare la tua nuca
chinata.
«Credi che non mi faccia male
vederti con lui, abbracciati, vicini come due amanti. Quando io non posso
neanche sfiorarti», allungo la mano verso di te, istintivamente.
Ti vedo sussultare come se stessi
singhiozzando, ma non vedo lacrime sulle tue mani.
Riesco a risvegliarmi e tiro di
nuovo la mano verso di me, stendendola lungo il fianco e chiudendola in un
pugno.
«Non sarebbe giusto. Si è fidato
di me, si è fidato di te. Non posso ripagarlo in questo modo, è», faccio una
pausa, per cercare di esprime quel che provo con delle parole, «tutto quello che
ho», dico con semplicità disarmante.
«E’ tutto quello in cui credo. Ti
rendi conto? Io...» mi accorgo che la mia voce fa trapelare la mia stessa
incredulità, «io, che sono stato capace di tradire il mio stesso padre, sto qui
a discutere con te, invece di prenderti e...», mi fermo, stai tremando.
Non è quello che vuoi sentirti
dire da me. Non sei venuta per ascoltare qualcosa che già immagini e che, forse,
provi tu stessa. Io stesso mi accorgo che le parole che dico non sono neanche
quelle che veramente penso.
«Tu sei sua. Sei la donna del mio
migliore amico», sorrido tra me.
«Non sai quante ne abbiamo
combinate insieme, le volte in cui mi ha difeso. Il numero delle notti in cui,
con un naso rotto o un sopracciglio spaccato, siamo tornati a casa,
sorreggendoci l’uno con l’altro. Le cicatrici che ci siamo fatti da bambini,
giocando a calcio, per strada, le risate, le fughe. Le volte in cui l’ho
trascinato nel mio buio e la luce che lui è sempre riuscito a riaccendere in me.
E, quando ho deciso di andarmene,
chi è che mi ha seguito? Che ha appoggiato tutte le mie scelte, nonostante, a
volte, non credessi neanche io in quel che facevo? Chi è stato che mi ha fatto
capire con le buone o con le cattive quando sbagliavo? Lui, sempre lui. E in
cambio, cosa mi ha chiesto? Nulla di nulla, solo», un’altra pausa, «amicizia,
fiducia. Non sarò io il suo mietitore», concludo.
Distolgo lo sguardo dalla tua nuca
e mi accorgo di star stringendo anche l’altra mano in un pugno.
Lo so che anche tu, se solo
volessi, potresti raccontarmi mille e più episodi che ti hanno legata e tutt’ora
ti legano a lui, invece, stai lì, in silenzio.
Rialzo lo sguardo e ti vedo
scuotere di nuovo la testa.
Qual è il pensiero che cerchi di
scacciare da quando sei arrivata qui?
Perché sono io a parlare, se sei
stata tu a bussare alla mia porta, quasi abbattendola?
«Non ricordo neanche più quante
volte gli ho detto di lasciarti», ti dico, con tono maligno. «Quando lui fra
tante, fra tutte quelle che poteva avere, aveva scelto proprio te, con quelle
braccia così sottili. I nostri discorsi su di te e io che lo prendevo in
giro...».
Mi sembra di tremare, ma in realtà
è solo il mio cuore che vacilla. All’esterno io sono immobile, di fronte a te, a
fissarti.
Tu, invece, non hai neanche il
coraggio di alzare lo sguardo e guardarmi in faccia, ma forse fai bene. Credo
che se fossi tu a guardarmi, sarei io a distogliere lo sguardo dal tuo viso.
«Anche se cedessimo», dico, «dopo
non riusciremmo a guardarci. Perderemmo tutti», sospiro.
«Tu...tu sei diversa per lui,
rispetto alle altre. E’ come se brillassi più di ogni altra stella nel cielo.
Non capisci,», o forse io non capisco, «ha tanti progetti per te, per voi,
progetti importanti», sottolineo, per vedere la tua reazione. Ed è quella che
temevo e speravo, contemporaneamente. Perché alzi un po’ il viso verso di me e
riesco a intravedere una nota di gioia in quei tuoi occhi così pieni di lacrime.
Mi sembra quasi che brillino, come la prima volta che ti ho incontrata.
Mi sento un po’ rincuorato, o
chissà quale sentimento è quello che provo quando mi accorgo che, nonostante
tutto, tu lo ami ancora, più di quanto pensi.
Perché...a modo nostro, proviamo
entrambi amore per lui. Il tuo è amore di donna, il mio è amore d’amico ed è
stato proprio questo ad unirci ed ora a separaci.
Silenzio, poi ti sento sussurrare
qualcosa come «và via», quando invece dovresti essere tu a sparire dalla mia
vita.
Quando mi accorgo che
probabilmente ci sarebbero altre mille parole da dire, ti alzi e ti avvicini a
me
I tuoi occhi sono sempre pieni di
lacrime, ma una luce di vita li illumina.
E’ il momento dell’addio.
Non ci saranno abbracci o ultimi
baci, perché siamo riusciti a non far accadere nulla, ci siamo accorti in tempo
di quel che stava accadendo.
Mi superi, avvicinandoti alla
porta ed uscendo, senza dire una parola, neanche un “addio”.
La lasci aperta alle tue spalle,
io ti seguo e...la chiudo, girando la chiave nella toppa.
So che non ci incontreremo per
molto tempo, fino a quando i nostri sensi non si saranno dimenticati l’uno
dell’altro.
Io ho deciso di partire, tornerò
quando sarà il momento per me di farlo e se non arriverà, avrò almeno salvato
lui e te.
Vado nell’altra stanza e prendo la
valigia, continuando a pensare, senza riuscire a far zittire la mia mente.
Forse anche questa volta non ho
fatto nient’altro che salvare me stesso, trascinando per l’ennesima volta anche
te, amico mio, nel mio buio, nonostante tu, adesso, non sappia nulla .