Fifth day:
Photographer/model
Take a picture of my soul.
«Non può
essere lui» mormorò, abbastanza piano perché
nessuno lo sentisse all'interno della rumorosa tavola calda.
Blaine lo fissò
incantato, dimenticandosi delle proprie uova e bacon che rimasero a
raffreddarsi.
No, non poteva essere
lui. Si stava sicuramente sbagliando.
Certo, la somiglianza era
parecchia, ma a New York vivevano otto milioni
centosettantacinquemilacentotrentatré abitanti secondo il
censimento del 2010 e le probabilità che il ragazzo di fronte
a lui fosse lo stesso conosciuto una settimana prima sul set di Vogue
erano decisamente basse.
Il suo cuore si strinse
quando vide che il ragazzo davanti a lui non aveva ancora smesso di
piangere. Non era un pianto disperato e patetico, ma piuttosto un
singhiozzare sommesso e silenzioso, tanto che nessuno al di fuori di
lui sembrava averlo notato. Il ragazzo continuava a fissare il
proprio piatto ancora intatto con sguardo vuoto e ogni volta che
controllava il cellulare le lacime si facevano più copiose.
Il suo volto era
arrossato dal pianto e i vestiti sembravano troppo sciatti per
appartenere alla stessa persona che aveva conosciuto la settimana
prima.
Eppure quegli occhi...
quegli occhi azzurri non potevano appartenere a chiunque. Perché
in cinque anni che viveva a New York e faceva il fotografo, Blaine
non aveva mai visto occhi come quelli.
Forse dovrei andare a
parlargli, pensò. Ma che
gli avrebbe detto? E se non fosse stato lui? Se avesse semplicemente
sbagliato persona – come era probabile.
E se
anche fosse stato lui, che diritto avrebbe avuto Blaine di
intromettersi in un momento apparentemente così delicato come
quello che stava evidentemente passando.
Tornò
a fissare il proprio piatto e, mentre con la forchetta tormentava le
sue uova ormai fredde, ripensò al giorno in cui, per la prima
volta, aveva visto quegli occhi.
«Ehi tu, sì,
dico a te, con quel ridicolo papillon e quei capelli che sembrano
usciti dal film di Grease.»
Blaine si guardò
intorno, constatando che non c'era nessun altro che potesse
corrispondere alla descrizione.
«Se non sei il
fotografo o se le tue borse non sono piene di bibitoni dietetici a
basso contenuto calorico allora, mio piccolo hobbit, sei nel posto
sbagliato al momento sbagliato perché qui stiamo cercando di
fare un servizio fotografico.»
«Sono il
fotografo. Qui ho le mie macchine e-»
«E allora che
aspetti a tirarle fuori? Mio Dio, scommetto che è la prima
volta che lavori per un giornale di moda. Scommetto che di solito fai
servizi fotografici per strada.»
«Amanda, non
essere cattiva con lui» disse una donna, prendendo per le
spalle quel mostro col tacco dodici e rivolgendosi a Blaine.
«Tu devi essere
il sostituto, vero?»
«Sono io. Lei
invece dev'essere la direttrice. La ringrazio per avermi offerto
questa opportunità, non la sprecherò.»
«Non ne dubito.
E grazie a te, piuttosto, sei riuscito ad arrivare qui con così
poco preavviso e ci hai salvati da un imminente disastro. Ho visto i
tuoi servizi e credimi, ne hai di talento. Le tue foto degli angoli
di New York sconosciuti alle masse era... favoloso. E le persone che
hai ritratto, beh, sembrava di vedere dentro le loro anime.»
Blaine arrossì
lievemente: «E' ciò che amo di più del mio
lavoro. Cogliere l'anima delle persone.»
«Sì, beh,
qui vedi di riuscire a mettere a fuoco i vestiti, perché a
Vogue vendiamo abiti, non anime» replicò la scorbutica
Amanda. «Dove diavolo è il modello? E soprattutto, devo
aspettare che mi vengano le rughe per avere il mio caffè?»
Blaine sistemò
la propria attrezzatura e, con l'aiuto di alcuni assistenti,
posizionò le luci e gli schermi per ottenere le giuste ombre.
«Oh, eccoti qui,
finalmente!» sentì esclamare.
Quando Blaine alzò
gli occhi vide un ragazzo avvicinarsi ad Amanda, che gli indicò
infastidita il set. Il ragazzo si affrettò a raggiungere il
luogo indicatogli.
Blaine intanto finse
di porre gli ultimi accorgimenti al set, mentre con la coda
dell'occhio spiò il ragazzo.
Indossava una
maglietta bianca con un profondo scollo a V che metteva in evidenza
la sua pelle chiara e curatissima. I capelli erano stati acconciati
con parecchia lacca a giudicare dalla loro improbabile posizione,
mentre le gambe longilinee spiccavano completavano il quadro,
rendendo il ragazzo davanti a lui del tutto simile ad un angelo.
Quando si voltò
verso di lui, Blaine sentì la pressione dei suoi occhi premere
contro il suo petto. Erano semplicemente stupendi, così chiari
da sembrare inverosimili in un essere umano.
Lo fissò a
lungo senza dire una parola e in quei momenti Blaine tentò
invano di scrutare dentro la sua anima. Era come se ci fosse un muro
invisibile fra loro due che impediva a Blaine di carpire la sua vera
essenza, cosa che invece risultava così semplice con gli
scatti fatti per strada.
A interrompere il loro
silenzioso contatto fu la voce di Amanda:
«Facciamo le
presentazioni e cominciamo. Danny Zucco, questo è Porcellana.
Porcellana, questo è Danny Zucco. E ora cominciamo.»
Il modello –
Porcellana, a sentire Amanda – si mise in posa e Blaine
cominciò a scattare le fotografie, mentre Amanda gridava
indicazioni.
Ma per quanto Blaine
si sforzasse, sentiva di non riuscire ad attraversare il velo che
copriva quegli splendidi occhi. Era come se il ragazzo di fronte a
lui fosse morto dentro o che avesse preso la propria anima e l'avesse
riposta in un cassetto per lasciarla inutilizzata.
Più Blaine
scattava più lo sentiva allontanarsi.
Era bellissimo, questo
era innegabile. Aveva un corpo invidiabile, una pelle perfetta e dei
capelli curati, ma sembrava finto.
Finto e vuoto.
Quello
di fronte a lui era tutto, tranne che un ragazzo finto e vuoto. I
capelli che ricadevano disordinatamente sulla fronte spaziosa, le
lentiggini che macchiavano le sue guance arrossate, gli occhi lucidi
per il pianto fissi sul piatto sbeccato di una tavola calda di
periferia, tutto ciò gridava a Blaine che dentro quel ragazzo
c'era un anima.
Accantonò
il proprio piatto e le uova appena sbocconcellate, andò alla
cassa a pagare la consumazione e poi, ancora titubante, si avvicinò
al ragazzo.
Vedendolo
avvicinarsi, l'altro sollevò lo sguardo e tentò invano
di darsi un minimo di contegno.
«Scusami,
per caso tu sei il modello di Vogue che ha fatto quel servizio in
bianco e nero la settimana scorsa?»
Il
ragazzo lo fissò stupito per qualche secondo, poi corrugò
la fronte come se stesse sforzandosi di ricordare.
«Tu
sei Danny Zucco, il fotografo.»
«Sì,
in realtà Danny Zucco non è il mio nome.»
Il
ragazzo sorrise divertito: «Sì, l'avevo intuito. Sai,
credo di aver visto Grease abbastanza volte per cogliere il
riferimento» disse, occhieggiando ai suoi capelli. «E per
la cronaca, io ti avrei chiamato Tony Wycek.»
Blaine
sorrise tendendogli la mano: «Il mio nome è Blaine.»
«Kurt»
rispose l'altro. «Per caso sei il Blaine Anderson del servizio
fotografico sugli angoli pittoreschi di New York?»
«Colpevole.»
«Credimi,
l'ho adorato. Soprattutto le foto alle persone che hai incontrato.
Guardandole ti sembrava davvero di carpire la loro anima.»
«Me
lo dicono in tanti» disse.
«Perché
è vero.»
Blaine
mi morse le labbra, ancora titubante.
«Ora
forse ti sembrerò invadente ma posso chiederti perché
piangevi?»
Nel
sentire quella domanda, Kurt abbassò lo sguardo.
«L'hai
notato? Dio che imbarazzo. Giuro, non mi è mai capitato di
mettermi a piangere in un luogo pubblico ma-»
«Non
hai nulla di cui scusarti. Volevo solo sapere se andava tutto bene.»
«Non
era niente, davvero» minimizzò Kurt, ma era evidente che
non ci credeva neppure lui. «E' stata una brutta settimana. Il
mio ragazzo mi ha lasciato e non mi sono mai sentito tanto solo in
una città con otto milioni di abitanti.»
Otto
milioni centosettantacinquemilacentotrentatré, avrebbe
precisato Blaine, se non fosse stato troppo sconvolto dal pensiero
che quel ragazzo potesse essere stato lasciato.
«E
si può sapere chi può essere tanto stupido da lasciare
un ragazzo come te?» chiese.
«Uno
stronzo con cui ho perso troppo tempo. Lo infastidiva il fatto che
posassi per Vogue e la settimana scorsa mi ha dato un ultimatum: o
lasciavo il lavoro o lui mi avrebbe scaricato» mormorò,
distogliendo lo sguardo e tirando su col naso. «Sai com'è,
l'affitto da pagare...»
«So
che può sembrare insensibile da dire in un momento come
questo, ma fidati, troverai di meglio.»
«Se
sono certo.» Ormai le lacrime si erano asciugate e Kurt era
tornato a sorridere. «Grazie.»
«E
di cosa?»
«Della
compagnia. Erano giorni che non sorridevo. Avevo solo bisogno di
qualcuno che sapesse dirmi le parole giuste per farmi stare meglio.»
«Sono
bravo a cogliere l'anima delle persone» disse. Fu allora che,
guardando quel ragazzo negli occhi, riuscì a comprendere la
sua anima.
Capì
che dietro lo sguardo distante e freddo del modello di Vogue si
nascondeva un ragazzo semplice, cresciuto in una cittadina di
provincia, ancora legato alla vecchia vita e alla propria casa,
ancora legato alla propria adolescenza senza alcuna intenzione di
staccarsene. Era un'anima sola nella grande e popolosa New York che
per qualche minuto era riuscita ad essere un po' meno sola.
E
quel sorriso fu l'istantanea della sua anima, che Blaine scattò
mentalmente e si stampò in modo indelebile in mente perché
– di questo ne era certo – non l'avrebbe mai dimenticata.
«Posso
offrirti un caffè?» chiese. «O un gelato. O quello
che vuoi.»
«Mi
stai chiedendo di uscire?»
«Solo
se ti va, ovviamente.»
«Mi
piacerebbe molto» disse, sorridendo.
«Perfetto.
Se hai un minuto, conosco giusto un posto stupendo e ingiustamente
sconosciuto qui a New York dove fanno un ottimo caffè. Un
posto che solo io conosco.»
«E'
perfetto. Non vedo l'ora di scoprire questo angolo di paradiso.»
E in
quegli occhi non più da angelo ma da ragazzo qualunque, Blaine
credette di aver trovato davvero il paradiso.
A/N
Va
beh, mi sono lasciata andare ai sentimentalismi.
Ogni
tanto fa bene, no?
Anche
questo prompt era davvero stupendo, non per niente questa è
stata la prima delle oneshot ad essere scritta.
A
domani! Prompt: Dalton!
(e
fra pochi minuti il capitolo 4 di Blackmail me with love)
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eroi non dormono mai; Il
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