Sixth
day: Dalton
Non
il tempo, ma l'amore.
Ecco come deve
sentirsi un pinguino all'equatore,
pensò Kurt, scendendo le scale della nuova scuola, a lui
ancora sconosciuta.
Si
strinse al petto la propria tracolla. La fiumana di ragazzi scendeva
le scale velocemente, urtandolo in continuazione. Ogni volta che
sentiva il contatto – anche casuale – con un altro
ragazzo, Kurt sobbalzava e si sentiva a disagio.
A
tanto l'aveva ridotto il bullismo di Karofsky e Kurt se ne
vergognava. Si vergognava di essere stato così debole da farsi
cacciare via da uno scimmione come lui e di essere scappato.
Si
guardò intorno, chiedendosi perché quella scuola doveva
essere un maledetto labirinto. Non sarebbe mai riuscito a trovare
l'aula prima dell'inizio dell'ora.
Si
guardò intorno e fermò un ragazzo, bloccandogli la
strada.
«Scusa,
sono nuovo qui. Avrei bisogno di aiuto-»
Il
ragazzo alzò lo sguardo e Kurt sbiancò. Non era un
ragazzo. Era un uomo.
«Piacere,
sono il professor Anderson.»
Kurt
arrossì: «Mi scusi, credo di essermi perso.»
L'uomo
gli sorrise: «Nessun problema, la Dalton è davvero un
labirinto se non la si conosce. Che classe hai, ora?»
Kurt
aprì la propria agendina e balbettò un: «Matematica.
Terzo anno.»
«L'aula
è piuttosto lontana. Facciamo così, ti accompagno io:
conosco una scorciatoia.»
Kurt
strabuzzò gli occhi: «Ma- ma non vorrei essere di
disturbo. Insomma, lei avrà lezione e io...»
«Nessun
disturbo. La prima ora è buca e l'aula insegnanti è lì
vicino. E poi, se non dovessimo arrivare in tempo, dirò al
professor Stuart che sono stato io a trattenerti, così non
dovrebbe darti problemi.»
«Non
so che dire... grazie mille.»
«Nessun
problema. E benvenuto alla Dalton.»
Blaine
strinse il proprio caffè in mano, ancora ustionante, e disse:
«Allora,
Kurt, è il tuo primo giorno qui alla Dalton?»
Kurt
annuì: «Ieri sera mi sono trasferito nei dormitori e ho
avuto un incontro con il preside, ma sì, questo è il
primo giorno di lezione.»
«Ho
sentito che avevi buoni voti alla tua scuola precedente. Era un
istituto di Lima, il Mc-»
«Kinley»
sospirò Kurt. Solo pronunciare quel nome gli provocò
una stretta allo stomaco. Aveva lasciato la sua scuola da appena due
giorni e già gli mancava da morire. Per quanto il McKinley
fosse l'inferno terrestre, amava quelle quattro mura che chiamava
“scuola” perché fra quelle quattro mura aveva
c'erano i suoi migliori amici.
«Sono
certo che ti troverai bene anche qui. E se avrai bisogno di
ripetizioni in letteratura inglese o per qualsiasi altra cosa, non
esitare a chiedere.»
Kurt
sorrise: «E' molto gentile.»
Quell'uomo
gli ricordava vagamente il professor Schuester per l'attaccamento che
mostrava nei confronti dei suoi studenti. Certo, era decisamente più
attraente del professor Schue.
Un
istante dopo aver formulato quel pensiero, arrossì. Che andava
a pensare? Era un professore!
L'uomo
rise e si fermò davanti ad una porta, indicandogliela.
«Questa
è l'aula» disse e, dopo aver dato un'occhiata
all'orologio: «Sembra che tu sia in orario. Il professor Stuart
arriva sempre con qualche minuto di ritardo.»
«Grazie
di tutto» disse, sorridendogli.
«Ci
vediamo a lezione, Kurt» disse. Allungò la mano verso di
lui e Kurt sussultò. Poi vide che voleva solamente sistemargli
il blazer. Il contatto con quell'uomo lo fece rabbrividire. Pensò
che sotto quel blazer e sotto la camicia c'erano ancora i segni degli
spintoni ricevuti e delle ferite che non si decidevano a guarire.
Finché
avesse avuto questa consapevolezza non sarebbe mai riuscito ad essere
a suo agio con un'altra persona, anche in situazioni comuni come
quella.
«A-arrivederci»
balbettò, voltandosi e scappando via.
Blaine
lo fissò perplesso, incerto sul come interpretare quella
reazione. «A dopo» mormorò a nessuno in
particolare, visto che quel bellissimo ragazzo era sparito.
Blaine
passò le seguenti ore a cercare una posizione comoda sulla
sedia, quando chiaramente non era quello il vero problema.
Non
riusciva a togliersi dalla mente lo sguardo del nuovo studente –
Kurt.
Gli
aveva solo sistemato la giacca e lui l'aveva guardato terrorizzato ed
era praticamente scappato via. Forse non avrebbe dovuto. Diavolo, no!
Non avrebbe assolutamente dovuto.
Kurt
era uno studente – ancora minorenne, peraltro – e lui era
un professore e non si conoscevano minimamente.
Che idea si sarà
fatto di me? Di un pervertito che molesta gli studenti?
Il
solo pensiero di aver spaventato quel ragazzino – che già
di suo sembrava abbastanza terrorizzato – lo faceva stare male.
Quando
sentì la porta dell'aula insegnanti aprirsi, sobbalzò.
Davanti
a lui c'era la collega di geografia:
«Blaine,
il preside ti vuole parlare.»
Blaine
deglutì.
«S-sai
cosa vuole?»
Alzò
le spalle: «Credo c'entri con un nuovo studente. Ho visto che
aveva la sua cartella sulla scrivania. Com'è che si chiamava?
Ah, già, un certo Hummel.»
Blaine
credette di svenire.
«O-okay.
Ora vado.»
Lasciò
l'aula insegnanti col cuore in gola e si diresse verso la presidenza.
Bussò e quando sentì la voce del preside invitarlo ad
entrare, aprì la porta.
L'uomo
davanti a lui non sembrava arrabbiato. Forse non tutto era perduto.
«Mi
hanno detto che voleva vedermi.»
«Oh
sì, siediti» disse, allungandogli la cartella di Kurt
Hummel. «Qui dentro troverai le informazioni basilari sul
nostro nuovo studente. È un ragazzo del terzo anno. Buoni
voti, ottima conoscenza del francese e ho sentito dire che ha talento
in musica. Gli ho già parlato dei Warblers e mi sembrava
interessato.»
«Ho
già avuto modo di conoscerlo» confessò Blaine.
«Ah
sì?» commentò l'uomo. «Non so quanto tu
abbia capito dal tuo breve incontro, ma di certo non sono
informazioni che troverai in quella cartella» disse.
Blaine
smise di spulciare il fascicolo e lo posò sulla scrivania:
«Non capisco perché mi ha fatto chiamare. C'è
qualcosa che non va in quel ragazzo?»
«Molte
cose in realtà» disse. La sua espressione era
maledettamente seria. «Ho parlato con suo padre: un uomo
gentile e pratico. Ha un'officina a Lima e diciamo che non credo si
sposti con una Ferrari.»
«E'
una perifrasi per dire che non sono ricchi?»
Il
preside annuì: «Non volevo suonare veniale ma sì,
non credo che una volta pagata la retta della Dalton gli rimarranno
molti soldi per spese extra. E per quanto Kurt sia uno studente serio
e studioso, un diploma di scuola pubblica poteva benissimo bastargli.
Cosa che mi ha portato a supporre che non si sia trasferito per i
nostri programmi di studio avanzati, né per le nostre divise,
che ha tutta l'aria di detestare.»
«Continuo
a non capire.»
«Quel
ragazzo è venuto alla Dalton perché alla sua vecchia
scuola lo maltrattavano e lo prendevano in giro, senza che il preside
o il consiglio facesse qualcosa per aiutarlo.»
Blaine
sentì il cuore martellargli nel petto ed ebbe un fastidioso
deja-vu.
«E
sai perché lo prendevano in giro?» continuò
l'uomo.
Blaine
scosse la testa.
«Perché
è gay.»
Blaine
cominciò a capire il motivo della sua convocazione.
«Ora,
queste sarebbero informazioni strettamente riservate e non ho nessuna
intenzione di andare a raccontare a mezza scuola l'inferno che quel
ragazzino ha dovuto sopportare. Ma sentivo di doverlo dire a te,
Blaine, perché la sua storia mi ha ricordato la tua e penso
che nessuno meglio di te potrebbe aiutarlo a guarire.»
«Da
cosa dovrebbe guarire?» chiese Blaine. «Ora è al
sicuro. La politica della Dalton gli garantirà di finire i
suoi studi in pace e senza dover sobbalzare ogni volta che qualcuno
chiude un armadietto.»
«Davvero
non te ne sei accorto, Blaine? E sì che di solito sei uno così
attento ai suoi studenti» disse. «Quel ragazzo ha
sviluppato una vera e propria fobia per i contatti fisici, in
particolare nei confronti di ragazzi e uomini. Non mi ha neppure
stretto la mano e quando il suo compagno di stanza gli ha dato una
pacca sulla spalla sembrava come se avesse ricevuto una scarica
elettrica.»
«Quindi
lui...»
Oh. Oddio. E'
terrorizzato dal contatto fisico. E io... io l'ho toccato senza
neppure conoscerlo. Per quello è scappato via.
Da un
lato si sentì sollevato: non era stato preso per un maniaco.
Ma subito dopo il pensiero di ciò che aveva fatto lo fece star
male. Aveva messo a disagio un ragazzo che ne aveva già
passate tante – troppe.
«Suo
padre mi ha detto che al McKinley un ragazzo – un giocatore di
football, credo – lo aveva preso di mira. Non solo lo spingeva
contro gli armadietti e lo faceva cadere a terra ogni volta che lo
incrociava per i corridoi: lo perseguitava metodicamente, arrivando
addirittura a minacciarlo. Non voglio neppure immaginare che danni
abbia fatto a Hummel.»
«Prima
ha detto che potrei aiutarlo a guarire. Dimentica che non sono uno
psicologo e non conosco minimamente questo ragazzo.»
«E'
vero, ma la sua storia è simile alla tua. È un ragazzo
forte. Non è “rotto”, deve solo tornare ad avere
fiducia in se stesso e negli altri. Soprattutto negli altri»
disse.
Blaine
non era entusiasta dell'idea. Avrebbe voluto aiutare quel ragazzo più
di ogni altra cosa al mondo, ma aiutarlo implicava affrontare il
proprio passato, rivivere quelle esperienze e – nonostante
fossero passati quasi quindici anni – Blaine non era ancora
pronto per farlo.
Preferiva
non pensarci. Le cicatrici a memoria di quello che era successo
stavano sbiadendo sul suo corpo e, benché si vergognasse
ancora di farsi vedere nudo da qualcuno che non fosse il suo medico,
nient'altro rimaneva del ragazzino spaventato che si era trasferito
alla Dalton per fuggire dai bulli.
«E
soprattutto, Blaine, penso potrebbe far bene anche a te» disse
l'uomo.
«Col
dovuto rispetto, signore, la mia vita è affar mio»
rispose freddamente.
Il
preside lo guardò serio: «Non posso costringerti. Ma
penso davvero ciò che ho detto. E se questo non basta a
convincerti, pensa a quanto vorrebbe dire per quel ragazzo.»
Blaine
abbassò lo sguardo sul fascicolo di Kurt.
Il
ragazzo ritratto nella fotografia sorrideva felice all'obbiettivo e i
suoi occhi azzurri luccicavano di aspettative e di sogni.
Il
ragazzo che aveva incrociato per i corridoi sembrava aver perso ogni
speranza.
Lasciò
lo studio certo di ciò che avrebbe fatto.
Kurt
entrò nell'aula e, quando riconobbe il signor Anderson alla
cattedra, sorrise rassicurato. Sperava di avere lui come professore:
era stato gentile e disponibile con lui. Forse avrebbe potuto
chiedergli un aiuto nel caso fosse rimasta indietro col programma,
cosa molto probabile, visto che nel confrontare i libri letti al
McKinley con quelli previsti dalla Dalton aveva riscontrato numerose
falle.
Finita
la lezione si fece coraggio e si avvicinò al professore.
Il
signor Anderson alzò lo sguardo verso di lui e gli sorrise:
«Kurt,
come ti è sembrata la lezione?»
«Interessante.
Cime Tempestose è forse uno dei più bei romanzi
che abbia mai letto, ma mi sono reso conto di quanti buchi ci siano
nella mia preparazione» disse.
«Immagino
sia così. Ho dato un'occhiata al programma della tua vecchia
scuola ed effettivamente ti manca parecchio per andare al pari con i
tuoi compagni.»
Kurt
annuì: «Potrei andare in biblioteca e procurarmi tutti i
libri che mi mancano. Se comincio subito, forse per gli esami finali
riuscirò a mettermi in pari.»
«Saresti
davvero bravo se ci riuscissi» disse Blaine. «Che ne dici
se invece ti dessi qualche ripetizione? Nulla di pesante. Potremmo
trovarci in classe due volte a settimana. Per marzo saresti a pari
col programma, se non anche più avanti. Sempre che tu abbia
voglia di seguire lezioni extra.»
«Lo
studio non è un problema» lo interruppe subito Kurt.
Come se avessi altro da fare oltre a quello, pensò.
«Ottimo.
Pensi di essere libero questo pomeriggio, verso le sei?»
Kurt
annuì.
«Allora
ci troviamo qui a quell'ora. Non preoccuparti per i libri, andrò
io a procurarli in biblioteca. Tu pensa solo a portare la testa»
disse, facendolo sorridere.
Gli
altri studenti avevano ormai lasciato l'aula e loro due erano rimasti
soli ma, troppo preso dalla conversazione, non se n'erano neppure
accorti.
Kurt
si guardò intorno e, accortosi di essere l'ultimo, disse:
«Devo andare. Ho lezione di Francese. Mi hanno detto che il
professr Smythe è piuttosto severo riguardo ai ritardi»
disse.
«Sì,
Seb- il professor Smythe si diverte a terrorizzare gli studenti.
Forse è meglio che tu vada.» Blaine stava per dargli una
pacca sulla spalla per salutarlo, quando si ricordò delle
parole del preside e si trattenne.
«A
questa sera.»
Blaine
pensava che non sarebbe venuto. Gli sembrava così improbabile
che trovasse la forza di venire a lezione dopo una giornata
sicuramente devastante.
Invece
lo vide entrare con solo qualche minuto di ritardo e per qualche
assurdo motivo si sentì felice di vederlo, anche se ciò
significava un'ora in più di lavoro.
«Scusi
il ritardo. Sono dovuto andare in segreteria a portare dei moduli e
poi il professor Smythe mi ha mandato a prendergli un caffè ma
si è lamentato perché non glielo avevo corretto col
cognac» disse, posando la tracolla e prendendo fiato.
«Va
tutto bene, stai tranquillo. A dire la verità pensavo che dopo
una simile giornata saresti crollato a letto senza neppure mangiare.
Invece eccoti qui, pronto ad affrontare I viaggi di Gulliver di
Swift. I miei complimenti.»
Kurt
prese dalla tracolla libri e appunti, aprendoli alla pagina
dell'autore appena nominato.
La
lezione fu tranquilla. Kurt sembrava davvero interessato alla materia
e deciso a riempire le lacune. O forse era qualcos'altro: forse
l'intensità del suo studio era motivata dal desiderio di non
pensare ad altro.
Per
questo motivo, finita la lezione, prima di lasciarlo andare, decise
di parlargli.
«C'è
una cosa importante di cui vorrei parlarti. Molto più
importante di letteratura inglese.»
«Non
pensavo esistesse» replicò, tentando una battuta. Ma il
signor Anderson era ancora serio. Dannatamente serio.
«Ho
parlato con il preside. Lui mi ha raccontato la tua storia.»
Kurt
impallidì: «No-non doveva! Doveva rimanere tra noi, era
una cosa strettamente personale e-»
«Stai
calmo. Non ho intenzione di dirlo proprio a nessuno e il preside
aveva le sue buone motivazioni per parlarmene» disse. «Perché
la tua storia è molto simile alla mia.»
A
quella confessione, Kurt tacque e lo fissò stupito.
«Anche
lei...»
«Sì,
anch'io sono gay e anch'io alle superiori ho dovuto subire atti di
bullismo. In realtà nessuno mi dava troppo fastidio, ad
esclusione delle scritte sull'armadietto o degli epiteti per i
corridoi. E per questo ero arrivato a credere di potercela fare, di
poter sopravvivere senza bisogno di protezione.»
Kurt
capì subito dove voleva andare a parare.
«Poi
però feci il passo più lungo della gamba. Invitai un
mio amico – anche lui gay – al ballo scolastico. Non
facemmo nulla per attirare l'attenzione, niente baci, niente mosse
oscene. Non abbiamo neppure ballato il lento perché, come ti
dicevo, eravamo solo amici. Pensavamo di aver superato la serata e
stavamo tornando a casa contenti quando abbiamo trovato un gruppo di
ragazzi ad aspettarci fuori dalla palestra.»
Kurt
trattenne il respiro.
«Il
resto lo puoi benissimo immaginare. Dopo quell'episodio il mio amico
se n'è andato, ha addirittura lasciato l'Ohio. Io invece sono
venuto qui, alla Dalton» disse, guardandosi intorno. «La
Dalton mi ha protetto e qui ho avuto modo di conoscere quelli che poi
sono diventati i miei migliori amici. Fra cui il professor Smythe,
che fra le altre cose mi ha aiutato ad accettarmi e a capire che
erano quelli che mi chiamavano “invertito” ad avere dei
problemi, non certo io.»
«Quindi
anche il professor Smythe...?»
Blaine
alzò gli occhi al cielo: «Grazie al cielo gli studenti
non hanno modo di parlare con lui da ubriaco, altrimenti rimarrebbero
scandalizzati dai racconti delle sue avventure. Soprattutto se
comprendono il francese parigino.»
Kurt
lo fissò incredulo. Fino a pochi giorni prima non aveva mia
conosciuto un altro ragazzo gay – ad esclusione dei signori
Berry, con cui non aveva mai avuto occasione di parlare – ed
ora scopriva di conoscerne ben due. Entrambi suoi professori. Cos'era
la Dalton, una scuola per gay?
«Ora,
io non ho impiegato molto a guarire. Certo, ho ancora alcune
cicatrici di quella notte, ma sono solo ferite fisiche. Ho
superato ciò che mi è accaduto e sono andato avanti con
la mia vita.»
«E'...
è fidanzato?» chiese Kurt, timidamente.
«No»
ammise. «Ho avuto alcune storie ma sai com'è, dormendo
qui alla Dalton, nei dormitori degli insegnanti, è difficile
trovare lo spazio per gestire una relazione importante.»
Kurt
annuì.
«Quello
che voglio dire è che ciò che mi è accaduto non
mi ha bloccato. Le tue ferite invece sono interiori. Sei stato
terrorizzato e umiliato e questo è molto peggio di tutti gli
ematomi e di tutte le ferite che possono averti fatto, perché
la paura e la vergogna non spariranno col tempo.»
«Non
capisco cosa voglia da me.»
«Voglio
aiutarti, Kurt. Voglio che tu possa un giorno tornare a fidarti delle
persone, che tu possa innamorarti e lasciarti stringere fra le
braccia del ragazzo che sarà abbastanza fortunato da stare con
te.»
Kurt
arrossì: «Non ho bisogno di aiuto» mormorò.
«No?
Allora avanti, prendimi la mano» disse, posando la propria mano
col palmo rivolto verso l'alto sul banco. «Se il contatto
fisico non ti dà problemi, dimostramelo.»
«Non
ha senso» disse.
«Il
primo passo per superare un problema è ammettere di averlo.»
Kurt
fissò la sua mano, ferma sul tavolo, e il solo pensiero di
toccarla gli fece ribrezzo. Era una mano, solo una mano, ma quando
ripensava alle mani di Karofsky che gli afferravano il viso e lo
tenevano fermo mentre lo baciava...
Si
alzò dalla sedia e afferrò le proprie cose: «M-mi
scusi. Sono molto stanco e vorrei solo andare a letto.»
Blaine
tentò di afferrarlo per il braccio ma, non appena lo sfiorò,
Kurt si voltò di scatto e si liberò della presa.
Sembrava davvero terrorizzato.
Solo
allora Blaine si ricordò della sua fobia, ma ormai era troppo
tardi.
Si
passò le mani fra i capelli e rimase in silenzio nella stanza
nuovamente vuota.
Stava
leggendo per l'ennesima volta Mrs Dalloway steso a letto,
quando sentì bussare alla porta. Diede un'occhiata
all'orologio: a quell'ora poteva essere solo una persona.
Si
alzò dal letto sospirando e andò ad aprire la porta.
«Ti
prego, dimmi che hai dell'alcol» disse Sebastian, facendo
irruzione nella stanza senza troppi complimenti.
Blaine
si voltò a guardarlo mentre l'uomo davanti a lui si gettava
sul suo letto.
«Quei
compiti di francese sono terribili. Mio dio, certe persone non sono
degne della magnificenza della lingua francese.»
«Avanti,
Bas, non esagerare.»
«Tu
non hai letto quei saggi. E non li hai sentiti parlare.»
Blaine
si morse il labbro, indeciso se porre o no la domanda tanto agognata.
«Hai conosciuto quel nuovo alunno... Hummel. Mi sembra di aver
capito che fa Francese con te.»
Sebastian
si voltò annoiato: «Sì, ho presente. Mah,
rispetto agli altri zotici, non se la cava affatto male ma Dio se
puzza da scuola pubblica. Dovrò disinfettare tutti i suoi
saggi quando me li consegnerà.»
«E
per il resto?»
«Per
il resto cosa?»
«Non
so, come ti è sembrato come persona.»
«E
che ne so! Un bel bocconcino.»
«Sebastian!»
esclamò. «Ti ricordo che è di uno studente che
stiamo parlando. Minorenne, per giunta.»
«Hai
dimenticato gay. Ha una faccia da checca che si vede lontana
chilometri.»
«Pensavo
ti piacesse.»
«Il
suo culo, semmai. » lo rimbeccò. «E comunque, come
hai detto tu, è uno studente. Guardare ma non toccare. Non
rischierei il posto per qualcosa che potrei avere facilmente anche
fuori da qui e senza il rischio di rimanere in galera.»
Blaine
annuì assente alle parole dell'amico.
«Si
può sapere perché tante domande su Hummel?»
chiese.
«Niente.
Il preside mi ha chiesto di tenerlo d'occhio.»
«Cattivo
ragazzo? Non dirmi che è stato espulso dalla scuola precedente
perché l'hanno beccato a scopare nei bagni! A guardarlo sembra
un pudico verginello.»
Blaine
alzò gli occhi al cielo: «Sei incorreggibile, Bas. Mi ha
chiesto di tenerlo d'occhio per controllare che si ambienti bene, che
riesca a stare al passo coi corsi e che faccia amicizia. Ho letto il
suo fascicolo ed è un bravissimo ragazzo.»
Sebastian
sembrò deluso: «Peccato. Sarebbe stato un soggetto molto
più interessante.»
Blaine
non poteva essere più in disaccordo.
Nei
giorni e nelle settimane successive non riuscì mai a parlare
con Kurt. Non appena finiva la lezione, Kurt era il primo a lasciare
la stanza – stando bene attento a non toccare nessuno –
di modo da evitare più possibile il professore.
Dal
canto suo, Blaine non aveva più cercato scuse per rimanere
solo con lui o per parlargli in privato.
Forse il preside ha
sbagliato. Forse sono troppo coinvolto. No, non sono io la persona
adatta a risolvere il suo problema. Uno psicologo, probabilmente,
riuscirà a farlo, quando Kurt si deciderà ad ammettere
che c'è un problema.
Dentro
di sé però lo tormentava il pensiero di non essere in
grado di fare nulla. Quel ragazzo era solo, e Blaine conosceva la
solitudine.
Sapeva
che non c'era nulla di più brutto.
La
stanchezza si faceva già sentire sui suoi occhi appesantiti
dalla lunga giornata, ma Blaine si era imposto di finire di
correggere i compiti.
Stava
leggendo quello di Kurt: era scritto in un inglese pulito e i
pensieri espressi nel tema erano chiari e coerenti, ma si vedeva che
mancava della preparazione letteraria sotto. Si rammaricò del
fatto di non potergli dare ripetizioni di letteratura. Avrebbe potuto
ottenere ottimi risultati col suo aiuto.
Sentì
bussare alla porta e sospirò.
Si
alzò dalla scrivania ed andò ad aprire:
«Senti,
Sebastian, non ho nessuna intenzione di-»
Bloccò
la frase a metà. Quello davanti a lui non era Sebastian.
Era
Kurt.
Blaine
incontrò i suoi occhi azzurri e vi lesse un misto di paura e
rimorso.
«Kurt,
non pensavo-»
«Mi
scusi. So che è tardi e probabilmente stava lavorando o
leggendo e so di non avere nessun diritto di presentarmi qui a
quest'ora, in camera sua ma-»
«No,
Kurt, non è un problema, davvero» lo interruppe,
rassicurandolo. «Vuoi entrare? Parlare in corridoio non è
molto agevole.»
Kurt
annuì e si fece coraggio, entrando nella stanza. Si guardò
in giro curioso, spiando i libri sugli scaffali, i vestiti piegati
sulla sedia, le fotografie sul comodino: tutti piccoli dettagli della
vita di Blaine.
Blaine
gli fece cenno di sedersi sul letto, mentre lui stesso prese posto
alla sedia della scrivania, ad una discreta distanza da lui.
«Immagino
che tu sia venuto qui per parlarmi di qualcosa.»
«Io
ho un problema» disse infine, dopo una lunga pausa.
Blaine
non commentò. Non disse neppure “lo so”: si limitò
a lasciare spazio all'altro di parlare liberamente.
«Ho
tentato a lungo di negarlo a me stesso, ma ormai penso di essere
l'unico a non voler accettare la verità. Il mio compagno di
stanza deve averlo capito da settimane, così come la maggior
parte dei miei compagni di scuola» disse. «Io non riesco
più a fidarmi delle persone. Non riesco neppure a farmi
sfiorare senza rabbrividire. Ad esclusione di mio padre, non c'è
più uomo di cui mi fidi. Neppure mio fratello. Neppure i miei
vecchi amici. Nessuno.»
«Lo
sai vero che tu non hai nessuna colpa in tutto ciò, vero?»
«Me
lo ripeto ogni giorno. Ma non posso continuare a convivere con questo
problema. Anzi, no, la verità è che non voglio.
Non voglio che quello che mi hanno fatto mi rovini il resto della
vita. Voglio andare avanti, voglio tornare a fidarmi delle persone,
voglio innamorarmi e dimenticare il passato.»
Blaine
gli sorrise: «Te lo meriti.»
«Voglio
riuscire a crederlo.»
«Dovresti.
Non devi mai credere di non meritare qualcosa. Quando ci succede una
cosa brutta facciamo di tutto per dimenticarla. Pensiamo che il tempo
cancellerà ogni cosa, ma non è così. Non è
il tempo a curare le nostre ferite, ma l'amore. Che sia l'amore dei
propri genitori, degli amici o della persona che amiamo.»
«Mi
aiuterà ad andare avanti? Ascolterà la mia storia e
risponderà alle mie domande?»
«Non
solo, ma non ti giudicherò se vorrai piangere. Non ascoltare
mai quelli che ti dicono che un vero uomo non piange mai. Mio padre
non faceva che dirmi di smetterla di piagnucolare, ma non è
stato grazie a lui se sono guarito.»
«Penso
seguirò il suo consiglio» disse e la sua voce tremò
su quell'ultima parola.
Blaine
allungò la mano verso di lui e la lasciò sospesa, senza
alcuna aspettativa. Attese pazientemente, senza fretta. Qualsiasi
cosa fosse successa, avrebbe rispettato i suoi tempi.
Kurt
si fece coraggio ed allungò timidamente la mano, fino a
prendere quella del professore. La strinse debolmente e a Blaine
questo bastò.
Era
solo l'inizio e non osava immaginare quanta strada avrebbero dovuto
percorrere prima di riuscire a guarire le sue ferite. Sapeva anche
che prima o poi avrebbe dovuto convincerlo a parlare con uno
psicologo perché lui non sarebbe bastato, ma per quello c'era
tempo.
In
quel momento il tempo era tutto quello che avevano.
Ma
sentendo il tepore e la morbidezza della sua mano, Blaine ebbe paura.
Improvvisamente
si rese conto che qualcosa stava nascendo in lui, come un sassolino
che comincia a rotolare e inevitabilmente si trasforma in frana.
Non
avrebbero avuto solo il tempo, ma anche una medicina migliore.
A/N
Beh,
era da tanto che volevo scrivere una teacher/student e quando mi è
venuta l'idea ho pensato di approfittarne. E poi adoro le fanfiction
a tematiche delicate anche se, ovviamente, sono le più
difficili da scrivere e spesso si finisce per fare un macello.
Ora
ovviamente mi viene voglia di continuarla e trasformarla in una long,
ma mi riserverò la possibilità per quando avrò
un po' più di tempo libero.
A
domani con l'ultima oneshot della klaine week: Winter in NY.
yu_gin
my
tumblr
klaine
week
Magic
Coop; Take
me back to the start; Gli
eroi non dormono mai; Il
ragazzo che giocava col becco bunsen; Take
a picture of my soul; Non il tempo, ma l'amore;
|