Buoonasera!
Allur, dopo qualche mese he avevo questo capitolo in sospeso sono
riuscita a finirlo. (chiedo umilmente scusa ç.ç)
Comunque volevo specificare, visto che forse non è chiaro a
tutti, che il fatto che JunHyung e Yoseob siano stati espulsi dalla
band per poi essere re inseriti prima del debutto è un fatto
REALMENTE ACCADUTO, come è realmente accaduto che Jun si sia
andato ad ubricare quando l'ha saputo! Tutto il resto della storia
ovviamente viene dalla mia testolina malata :3
Comunque ecco a voi il terzo capitolo!
Si risveglio nel suo letto.
Non doveva essere passato molto, perché attraverso la porta
socchiusa della sua camera poteva sentire la voce di Yoseob e quella di
sua madre.
Dopo che era svenuta, Yoseob, non sapendo cosa fare, aveva cercato
l’indirizzo di Olivia nel suo diario di scuola e
l’aveva riportata a casa, (probabilmente in braccio) che
fortunatamente distava solo qualche isolato.
“Comunque ti ringrazio ancora per aver riportato a casa mia
figlia, non so cosa sarebbe successo se non fossi stato con lei, caro..
Yoseob giusto?” Disse Sabrina, la madre di Olivia nel suo
coreano perfetto nella grammatica, ma fortemente contaminato dal suo
accento italiano.
“E’ stato il minimo che ho potuto fare, Signora
Kwon.”
“Sei davvero sicuro di non volerti fermare per cena, caro?
Stavo giusto per mettere un po’ d’acqua
per la pasta.. Hai presente quel cibo italiano? Sai
com’è non ne posso fare a meno, anche se qua
è diver..”
Yoseob interruppe gentilmente la Signora Kwon (chissà quando
avrebbe finito di parlare, si sa come sono questi italiani
chiacchieroni) e declinò l’offerta;
pochi minuti dopo se ne andò e la casa piombò di
nuovo nel silenzio completo.
La ragazza si mise a sedere sul letto: le girava la testa, per cui
impiegò diversi minuti a mettere a fuoco i contorni della
sua camera, immersa nella penombra. Solo alcune strisce di luce, che
andava ad affievolirsi minuto dopo minuto, filtrate dai fori delle
tapparelle attraversavano il pavimento della stanza.
Non riusciva a togliersi dalla testa quello che era successo prima che
perdesse i sensi.
Motorino, Yoseob. Francesco.
Francesco, incidente, morte.
Per chiunque altro sarebbe stata una cosa normalissima, un motorino le
aveva tagliato la strada mentre camminava con Yoseob, ma dentro di lei
tutto questo faceva scaturire i ricordi peggiori, quelle corde che
preferiva non venissero toccate, quelle che le ricordavano
costantemente il motivo per cui la gente le metteva la mano sulla
spalla e mormorava “mi dispiace”, il motivo per cui
si tagliava.
Era strano come tutto questo era capitato a pochi giorni
dall’anniversario della morte di Francesco. L’anno
prima, più precisamente la sera dell’ultimo giorno
di scuola, Olivia e Francesco erano andati alla festa di un loro
carissimo amico per celebrare l’inizio dell’estate.
Erano freschi, pimpanti come solo dei diciassettenni possono essere,
come fiori che sbocciavano timidamente all’inizio della
primavera. Erano semplicemente giovani, con la voglia di vivere che
esplodeva nel petto; almeno così era Francesco.
Quella sera era andato a prendere la pizza per tutti in motorino.
“Vengo con te, non ce la farai mai a portare tutte quelle
pizze da solo, scemo!”
Aveva detto Olivia già pronta con il casco in mano, quando
Francesco le aveva detto di girarsi ridendo sotto i baffi.
“C’è qualcuno che ti aspetta”
aveva sussurrato in italiano alla sorella, “Ho invitato anche
Jihoon!”
Dopo aver guardato alle sue spalle, Oliva si girò verso il
fratello e lo fulminò con uno sguardo.
“Ma sei fuori? E poi sa di piacermi!”
“Approfittane sorellona, un uccellino mi ha detto che ti
trova carina”
“Ma quando la smetterai di lasciarmi a bocca
aperta?” disse lei abbracciandolo, poi si era timidamente
avvicinata al ragazzo che le piaceva, mentre Francesco già
sfrecciava per l’ultima volta per le strade di Seul.
Stava attraversando uno dei tanti ponti costruiti sul fiume Han quando
qualcosa andò storto: il cadavere di un micio in mezzo alla
strada che il ragazzo aveva cercato di evitare.
Bastò poco per mandarlo fuori strada. Fu scaraventato dal
motorino proprio mentre passava una voluminosa vettura, che non fece in
tempo a fermarsi, proprio come aveva fatto lui col gatto, ma ormai per
lui era troppo tardi.
Il battito del suo cuore si fermò come la festa, come la
musica che si era interrotta appena dall'ospedale era arrivata la
telefonata che comunicava della sua tragica fine, quasi una metafora
della sua tragica fine, quasi una metafora della sua fragile e giovane
vita ancora piena di spensieratezza, gioia, speranze per il futuro che
doveva arrivare.
Sebbene fosse passato un anno, Olivia non aveva ancora superato tutto
questo, anche se faceva finta di stare bene perché non
voleva le condoglianze di nessuno, ma non era abbastanza brava a
fingere.
E' facile dire a se stessi di stare bene, è facile recitare
quando si è soli, finchè non si arriva nel
'mondo', quello vero, dove sei "quella che si taglia", la sorella di
quello che è morto, quella che se fosse andata con lui a
prendere quelle maledette pizze si sarebbe risparmiata tutto questo. I
sensi di colpa per non essere andata con lui quella sera, il pensiero
di dover passare il resto della sua vita senza di lui, il suo calore,
la sua risata la distruggevano; il cuore le stava scoppiando dentro al
petto, ma aveva desiso di sembrare felice anche se si sentiva morire
dentro ongi giorno di più, tanto che doveva vedere il suo
sangue per ricordarsi di essere viva.
Dopo qualche minuto fu in piedi, aprì silenziosamente la
porta della sua camera e andò in bagno. Sua madre era in
camera e non c'era pericolo che si alzasse spontaneamente durante uno
dei suoi sonnellini.
Chiuse la porta a chiave e tirò fuori dalla tasca la
lametta, la sua unica amica, e cominciò a passarla in un
punto a caso sul polso; la pelle cicatrizzata era praticamente
insensibile, non c'era un solo punto sulle sue braccia che non fosse
stato trafitto da quelle lame.
Dopo un po' il sangue cominciò ad affiorare dal suo polso
come un filo rosso, lo stesso sangue che poco prima scorreva nelle sue
vene.
Scorreva appunto, questo voleva dire che era ancora nel mondo dei vivi,
almeno fisicamente.
Le venne in mente una frase di quella canzone dei Goo Goo Dolls: "you
bleed just to know you're alive".
All'improvviso si era fermata, la lametta era caduta nel lavandino
tinto di rosso, le sue mani erano sospese a mezz'aria.
Che senso aveva tutto questo, qual'era lo scopo di volersi sentire vivi
quando si desidera morire? Perché portare una mascheram
perché fingere di essere felici?
Non ce la faceva più a recitare quella parte, era come se il
personaggio che recitava si fosse unito all'attore, come se quella
maschera di cera le fosse rimasta attaccata alla faccia; non rispondeva
più,non riusciva più a liberarsene. Doveva
mettere fine a quella recita, doveva scendere dal palco, non le sarebbe
imporato dei fischi, era necessario mettere un punto a quel copione che
degenerava fuori dal suo controllo.
I sensi di colpa per non essere andata con lui quella sera, il pensiero
di dover passare il resto della sua vita senza di lui, il suo calore,
la sua risata la distruggevano; il cuore le stava scoppiando dentro al
petto.
"domani" sussurro quasi sorridendo.
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