Capitolo
terzo: The Kingdom of Damned
Attenzione: dato che questa storia si svolge DOPO la fine di Tenku no
Escaflowne, essa comporta la presa in considerazione di tutto ciò che accade
nella serie. Questo capitolo in particolare comprende enormi spoiler di tutta
la seconda parte dell’anime e del finale. È la mia personale invenzione di ciò
che potrebbe celarsi dietro il background del mondo di Gaea e la sua storia (e
quindi le premesse su cui si basa la mia). Mi sono attenuta scrupolosamente
alle informazioni che ho raccolto, per inserirmi in modo coerente negli
avvenimenti noti; se dovessi aver commesso errori, sarei felice se me lo
faceste sapere. Spero che risulti comprensibile anche a chi non conoscesse o
ricordasse la vicenda della serie; in caso contrario, chiedete pure e io farò
del mio meglio per rispondere alle vostre perplessità.
Serena seguì i due tenebrosi
figuri nuovamente all’esterno della casa: “Posso sapere la nostra destinazione,
e con che mezzo viaggeremo?” chiese educatamente, cercando di non mostrare in
modo troppo evidente la propria sorpresa quando, non appena Midnight Hawk ebbe
riaperto gli occhi, il suo compagno si limitò a decretare un laconico:
“Partiamo.”
La sua preoccupazione era però
tenuta sotto controllo da una presenza, nuova eppur conosciuta, che percepiva
nella sua mente, come un secondo paio di occhi che fissassero il mondo da
dietro i suoi. La ragazza sapeva di chi si trattava, e il pensiero di riavere
*lui* con sé (seppur in un certo senso fosse sempre stato così; ma ora poteva
avvertire la sua vicinanza, e questo la faceva sentire bene) le donava conforto
e sicurezza come nient’altro al mondo.
Così prese posizione in cima ai
gradini della veranda, rifiutandosi di scendere la piccola rampa se prima non
avesse ricevuto risposta alle ovvie domande che aveva posto.
Due coppie di sguardi acuti e
rapaci si posarono su di lei, e Serena sfidò quegli occhi che avrebbero potuto
penetrare un muro di roccia, opponendovi i suoi zaffiri cristallini supportati
dal fuoco di iridi rubino.
“Vi fidate di noi?” fu il secco
interrogativo posto da Shinigami. Il plurale venne usato di proposito.
La fanciulla incrociò le braccia
in modo autoritario, come un generale di fronte a una recluta irrispettosa, e
sulle sue labbra sottili si dipinse un ghigno che di femmineo aveva ben poco:
“Per ora vi concediamo il
beneficio del dubbio.”
L’unica reazione del pallido moro
dai capelli corti fu inarcare un sopracciglio: “Se la risposta fosse stata
diversa, vi avremmo scaricato all’istante.”
“Questo non ti esonera dal dirci
ciò che vogliamo sapere.” Serena non cedette di un millimetro.
Hiro lanciò un’occhiata di
sfuggita ad Harold, che si limitò a un lievissimo cenno col capo che nel loro
personalissimo linguaggio significava ^Gestisci
pure la situazione come preferisci; sono certo che ti comporterai nel modo
appropriato. Ho piena fiducia in te e sosterrò ogni tua decisione, se avrai
bisogno del mio intervento agirò immediatamente.^
(Approssimativamente. Neanche il
traduttore universale più avanzato dell’universo riesce a decifrare tutte le
sfumature dei contorti processi mentali di quei due. NdA)
Hiro replicò con una
impercettibile alzata di spalle: ^Non mi
è mai piaciuto interagire con le persone, anche se in questo caso trovo che
quei due siano interessanti. Tu sei decisamente più abile di me a fare il finto
diplomatico, ma proseguirò comunque.^
(Traduttore OFF. Altrimenti se mi
perdo dietro ai dialoghi impliciti di questi due la storia diventa lunga il
triplo. NdA)
“Zaibach. Vi portiamo noi.” Fu
tutto ciò che Kurosuzaku no Shinigami disse a parole.
La risposta parve sorprendere non
poco Serena e il suo ‘gemello’ interiore: “L’Impero? Ma non esiste più; dopo la
fine della guerra, ho saputo che la capitale non è altro che una città in
rovina: la popolazione se n’è andata quasi completamente, vi vivono solo
sbandati e fuggiaschi, e gli ultimi rimasugli della nobiltà che restano
arroccati nei loro palazzi-fortezza. La cittadella imperiale, poi, è rimasta
deserta ed abbandonata, considerata alla stregua di un luogo infestato dagli
spettri. E non mi sorprenderebbe se fosse davvero così.” L’ultima frase fu
proferita in modo sommesso, come se Serena e Dilandau condividessero i
reciproci terribili ricordi delle sevizie e degli esperimenti a cui erano stati
sottoposti dagli infami Alchimisti dell’Imperatore.
“Sei molto bene informata, per
essere una damigella tenuta sotto una campana di vetro.”
Questo commento vagamente
sarcastico riportò l’attenzione della bionda fanciulla su Hiro, e lo ricambiò
con un sorrisetto non privo di un’amara ironia: “Leggo di nascosto le lettere
che arrivano ad Allen, e quando ci rechiamo a Palas faccio in modo di restare
nella stessa stanza quando mio fratello, re Dryden e gli altri nobili discutono
di politica; è straordinario come una donna che se ne sta in silenzio in un
angolino fingendo di ricamare scompaia dalla considerazione degli uomini, come
se la sua esistenza fosse completamente insignificante.”
Serena fu vagamente compiaciuta
dal fulmineo scambio di sguardi d’approvazione dei due uomini in nero; inoltre,
sentì la sua melanconia scomparire immediatamente quando Dilandau le trasmise
attraverso la loro intrinseca comunicazione un forte senso di compiacimento per
la sua intelligenza. Improvvisamente di ottimo umore, esclamò: “Ebbene, che
aspettiamo? Partiamo. E durante il viaggio pretendo di sapere qualcosa di più
su di voi .”
Harold intervenne nella
conversazione per la prima volta: “Forse su di noi non scoprirai molto, ma di
sicuro verrai a conoscenza di molte verità nascose del mondo in cui vivi, della
sua storia… e della parte di essa che riguarda te e Dilandau.”
“Per quanto ci riguarda,
accontentati di poterci vedere nella nostra altra forma.” Sbuffò Hiro,
allargando le braccia, subito imitato dal compagno. I loro mantelli si sollevarono
come agitati da un vento innaturale, i contorni dei loro corpi divennero
sfocati e poi si sciolsero in ombre nere che aumentarono pericolosamente di
dimensione, turbinando vorticosamente; s’intravidero ali, artigli, becchi
adunchi, e quando la trasformazione finì, di fronte a una Serena sbigottita
s’ergevano due enormi uccelli rapaci dal tenebroso piumaggio: il Falco e la
Fenice si erano rivelati in tutta la loro ferina possanza.
“COSA diavolo siete?” la domanda
che uscì dalle labbra della fanciulla fu proferita in un tono di voce qualche
ottava più basso del normale; lo stupore che aveva ammutolito Serena
evidentemente non aveva avuto lo stesso effetto sul più smaliziato Dilandau.
“Per ora, siamo il vostro mezzo
di trasporto; per il resto, nel corso della nostra lunga chiacchierata
arriveremo anche a questo… forse.”
Serena pensò che sebbene il becco
affilato del Falco di Mezzanotte non gli permettesse di mostrare quel
quasi-sorriso sibillino, le bastava conoscerlo da un’ora per avvertirlo
ugualmente come una goccia gelida che scendeva lungo la spina dorsale. Quindi,
se doveva scegliere tra due mali ugualmente minacciosi, si avvicinò alla Fenice
Nera, che arruffò le piume per esprimere il suo scarsissimo gradimento per la
soluzione di viaggio, ma acconsentì a chinarsi per far accomodare la ragazza
sul suo dorso, tra le piume delle maestose ali.
“A che velocità siete in grado di
volare?” chiese Serena, con una sfumatura d’interesse rivelatrice dell’esperto
di macchine da guerra volanti. “La capitale dell’Impero… o meglio, ciò che ne
rimane, dista parecchi giorni di viaggio.” Inevitabilmente il suo pensiero si
posò su Allen: se non l’avesse trovata a casa al suo ritorno, l’iperprotettivo
fratellone avrebbe rivoltato fino all’ultimo sasso di Gaea per rintracciarla. E
non aveva pensato ad un piano per depistarlo. È proprio vero che l’inattività
stava arrugginendo le sue facoltà strategiche, le giunse l’auto-critica che
Dilandau rivolse a se stesso.
“Possiamo volare alla velocità
che vogliamo.” Giunse un’altra mezza risposta da Shinigami “In questo caso,
arriveremo quando avremo finito di spiegarti ciò che dobbiamo. Quindi, reggiti
forte, chiudi il becco, e risparmiati le domande per dopo.” Impartite queste
insolite istruzioni di volo, i due rapaci dal notturno piumaggio s’innalzarono
nel cielo come macchie oscure contro il sole.
Serena si sentì cogliere da un
brivido misto di esaltazione e nostalgia al brusco sbalzo dovuto al decollo.
Istintivamente si trovò a paragonare quella sensazione ai ricordi di Dilandau sulla
modalità di volo degli Alseides; i guymelef di Zaibach risultavano decisamente
superiori in comfort: la soluzione liquida da cui il pilota era circondato, lo
proteggeva dagli urti. Ma l’abitacolo di una macchina da guerra non consentiva
la visione totale del panorama sottostante che si estendeva a perdita d’occhio,
né l’ebbrezza di totale libertà provocata dal battito delle enormi ali, come il
pulsare di un cuore selvaggio.
“Allora, dove cominciano queste
spiegazioni?”
“Esattamente sopra di te.”
La ragazza alzò lo sguardo, ma
tutto ciò che poté vedere nell’infinito cielo limpido di Gaea fu l’azzurra Luna
dell’Illusione e la sua più piccola gemella pallida; esse incombevano nella
loro astrale indifferenza. I suoi occhi si fecero pensosi: quel satellite misterioso
era oggetto di numerose superstizioni, ma anche il luogo di provenienza della
fanciulla tanto cara ad Allen, Hitomi Kanzaki. Il fratello le aveva narrato dei
misteri che circondavano la straniera, custode della chiave dei misteri di
Atlantide; quegli stessi segreti che avevano allontanato e condotto alla morte
il padre che lei non ricordava.
Dilandau le comunicò con
malcelata ira le più precise informazioni che egli aveva raccolto sulla
veggente durante la sua ultima e sfortunata Caccia al Drago: ricordi che
trasmettevano una sensazione viscosa e dall’odore di sangue, come una ferita
mai rimarginata, grondanti di rabbia e amarezza. Aggiunse poi le leggende che
aveva sentito discutere ai vertici della gerarchia politica e militare di
Zaibach, e che personalmente non aveva mai degnato di reale interesse.
Serena vagliò con attenzione le
informazioni ricevute e azzardò un’ipotesi: “Vi riferite alla leggenda secondo
la quale il mondo di Gaea venne creato dai desideri dei superstiti di
Atlantide?”
“Sei ben informata” si
complimentò il Falco “ma vorrei che tu prendessi in considerazione l’altra
faccia della medaglia. Ovvero, gli Atlantidei costruirono sì un dispositivo
tanto immensamente potente da creare un mondo parallelo; ma prima di ciò,
questo stesso potere li portò a tali livelli di arroganza da condurli alla
quasi completa autodistruzione. Un potere in grado di annientare un continente
in un battito di ciglia, sfuggendo al controllo dei suoi stessi creatori.”
Un lampo color scarlatto illuminò
le iridi celesti, e la mente del guerriero devastatore ebbe per un attimo la
meglio: “Quindi chissà cosa potrebbe scatenare un potere del genere se usato
*deliberatamente* come arma.”
“Scommetto che tu hai abbastanza
fantasia da farti un’idea in proposito.” Ghignò la Fenice.
“Così avete deciso di usare NOI
per ordire un piano ed impadronirvi del segreto di Atlantide e conquistare il
mondo?” Il tono di accusa di Serena era un’affermazione, non una domanda; ma fu
subito schiacciato dalla replica imperiosa e severa di Shinigami:
“Non saltare alle conclusioni,
ragazzina! Tu non puoi neppure lontanamente concepire i nostri scopi, né
immaginare come si dipana il nostro agire nei meandri del tempo, manipolando lo
spirito e il Destino stesso degli esseri umani!”
L’accenno a quella parola
maledetta, Destino, fece ritirare Serena in un doloroso silenzio e destò in
Dilandau una ferocia ancor più guardinga.
Una risata priva d’allegria di
Harold smorzò i toni del diverbio con una rivelazione stupefacente nella sua
apparente noncuranza: “In realtà noi possediamo già il cosiddetto ‘segreto di
Atlantide’. I tuoi scrupoli di coscienza, Serena, sono del tutto fuori luogo:
non abbiamo intenzione di renderti complice di quello che consideri un crimine
contro l’umanità; crimine che noi, in realtà, abbiamo già commesso da tempo
immemorabile.”
La voce derisoria di Hiro era
impregnata di un sarcasmo che bruciava come acido: “Chi credi che abbia aiutato
quegli stupidi Atlantidei a raggiungere tali livelli di potere? Le loro stesse
anime sono il prezzo che abbiamo preteso in cambio della conoscenza che
cercavano. Ma alla fine quegli idioti si sono rovinati con le loro stesse
mani!”
“Purtroppo il loro fallimento ha
condotto inevitabilmente alla distruzione di tutto ciò che *noi* avevamo fatto
in modo che costruissero: la macchina dei desideri, in grado di mutare il corso
del destino. Così dovemmo escogitare un nuovo progetto perché qualcun altro la
ricostruisse.” Commentò Midnight con una punta di esasperazione per
quell’immensa perdita di tempo. “Stavolta però decidemmo di concentrarci su di
un solo individuo, così che fosse più agevole controllarlo periodicamente. Ed
anche in questo caso trovammo la persona che faceva al caso nostro sulla Terra,
ovvero il pianeta che su Gaea veniva già chiamato ‘Luna dell’Illusione’.”
Shinigami sbuffò disgustato: “Ci
toccò un povero illuso che in punto di morte ancora voleva a tutti i costi
scoprire ciò che agli uomini mortali non è dato conoscere. Nel suo caso,
irretirlo fu tanto semplice da essere quasi imbarazzante: nel momento della sua
morte, non lo trasportammo negli Inferi ma su Gaea; sospendemmo il momento
della sua dipartita, e in cambio lui usò le sue conoscenze tecnologiche per
creare il regno più grande, fiorente e sviluppato che questo pianeta potesse sognare
di avere.”
“L’Impero di Zaibach!” esclamò
Serena, mentre alla sua mente si presentava il ricordo, solo in parte suo (il
frammento più sbiadito e consunto di un puzzle di istanti molto più vario e
complesso), di un vecchio impossibilmente antico, tenuto in vita da una
gigantesca macchina dal funzionamento ignoto. “Volete dire che *voi*
controllavate da dietro le quinte la politica dell’Imperatore Dornkirk?” sibilò
stupefatta una voce troppo simile a quella di Dilandau, permeata
dall’incredulità al pensiero che il suo mentore, il suo creatore ed aguzzino,
fosse stato a sua volta la marionetta di entità che ancora non riusciva a
definire.
Harold spiegò pazientemente: “Ci
servivano i mezzi di un paese ricco per poter disporre delle risorse materiali
e umane necessarie alla realizzazione di una nuova Macchina del Destino. Ma
altrettanto importante era il sostegno psicologico della società che l’avrebbe
prodotta. L’idealismo ipocrita alla base della propaganda di Dornkirk…”
“Quel pazzoide esaltato di Isaac non
poteva scegliersi uno pseudonimo di peggior gusto.” Sibilò Hiro.
“…servì perfettamente allo scopo.
Il miraggio di un impero globale, una guerra di conquista per mettere fine a
tutte le guerre che laceravano il pianeta e instaurare una pace mondiale, era
solo un pretesto per la corsa alla ricerca scientifica a scopi militari.
Giustificava moralmente, come ‘sacrifici necessari’, esperimenti che sarebbero
stati ripudiati con orrore da qualunque altra comunità civile. Tutto ciò portò
allo sviluppo della fusione tra tecnologia e pratiche occulte necessaria per la
manipolazione del Destino. Un trionfo di cui voi due” l’occhio dorato e inumano
del Falco si posò con rapacità penetrante su Serena, giungendo anche oltre lei
“siete senza dubbio il risultato più perfetto.”
La bionda guerriera si chiese per
un istante se doveva considerare quella constatazione un complimento o
un’ambigua minaccia.
“Sfortunatamente” la voce
sferzante come una frustata rivelò che l’irritazione della Fenice stava
giungendo a livelli pericolosi, la ragazza poteva avvertire il fremito di
collera sotto le sue nere piume “Anche stavolta scoprimmo di esserci fidati di
un emerito imbecille. L’idiota, credendo di poter realizzare il suo senile,
totalmente utopistico desiderio di felicità universale, usò la ragazza della
Luna dell’Illusione per attivare la Macchina di Modifica del Destino; essa
innescò un’alterazione incontrollata durante la grande battaglia che portò alla
distruzione di Zaibach: generò il caos, in cui gli uomini si trucidarono l’un
l’altro senza distinzione, nel miraggio di realizzare i loro avidi desideri di
potere. Poi la mocciosa impicciona e quell’insulso seccatore del Re di Fanelia
distrussero la Macchina; e ancora una volta, tutto il nostro lavoro finì in
malora.”
Serena non riuscì a trattenere
l’indignazione repressa: “Che razza di creature siete in realtà, per cui i
secoli e gli imperi significano meno di niente? Ne parlate come se fosse un
gioco di scacchi! Come se le pedine che avete mosso e sacrificato non fossero
esseri umani vivi e pensanti! Come se questa assurda, cosmica macchinazione non
avesse distrutto innumerevoli vite! La *mia* vita!”
“Basta così, ragazzina!” ribatté
Hiro, ora realmente adirato “Neppure ti rendi conto dell’enormità delle vicende
di cui parli, di ciò che ti permetti di *giudicare*!” e la sua palese
impazienza non avrebbe certo lasciato trapelare altre preziose informazioni che
avrebbero facilitato la comprensione che Serena cominciava a intravedere
vagamente dai pochi spiragli che le erano stati offerti, quasi distrattamente.
Ma il rimprovero della Fenice era ben lungi dall’essere completamente sfogato.
“Se non fosse stato per il nostro sottile schema per indirizzare il corso della
storia, tu saresti ora una damina tutta moine e riverenze, con una mentalità
non più ampia di un cucchiaino da tè, incapace di concepire la vita di una
donna oltre al badare alla casa, al marito e ai figli. Non potresti neppure
immaginare che esista altro per cui valga la pena combattere, come tu hai fatto
e stai facendo ora – in caso contrario non saresti certo qui e questa nostra
conversazione non avrebbe mai avuto luogo. Per di più, Dilandau non sarebbe mai
esistito” Serena non poté evitare un brivido di inorridito rifiuto a
quest’ipotesi; la presenza del suo gemello era per lei un’idea imprescindibile
quanto la propria esistenza. “…e forse neppure la stessa Gaea sarebbe stata
creata, con tutto ciò che ne consegue… o NON ne consegue.”
Il silenzio calò pregno
dell’immenso peso di incalcolabili destini perduti o mai realizzati.
“Ananke, la Necessità
dell’Universo, opera per vie imperscrutabili.” Sentenziò filosofico Midnight
“Nessuno può giudicarle giuste o sbagliate, perché in un modo o nell’altro esse
sono inevitabili.” Di nuovo l’occhio dorato esaminò attentamente il volto
pallido della fanciulla e gli occhi guerrieri che lo animavano, compiacendosi
internamente della forza d’animo che le consentiva di tenere testa addirittura
a Hiro, impresa che alla stragrande maggioranza delle persone sarebbe risultata
impossibile. “Inoltre, puoi dire che te ne sia venuta solo infelicità? Le
persone che hai conosciuto ti sono state tutte tanto odiose da desiderare di
non averle mai incontrate?”
L’anima di Dilandau si ribellò
vigorosamente a questa insinuazione: neppure il pensiero degli orrendi
esperimenti a cui era stato sottoposto poteva costringerlo a rinnegare
l’orgoglio – e, si, la felicità – di scegliere i giovani più valorosi
dell’Impero come suoi Dragonslayers e guidarli nelle loro vittoriose battaglie.
Come dimenticare la devozione commovente che quei ragazzi coraggiosi avevano
nutrito fino alla morte e persino oltre, per il loro severo ma carismatico
Comandante? Come scordare la fedeltà di Jajuka, disposto a sacrificare tutto
per il bene di entrambi i suoi ‘signorini’, che lui soltanto conosceva come le
due facce di un’unica entità? E infine Folken: il discusso, volubile,
indecifrabile ex-principe di Fanelia; colui che si poneva inevitabilmente come
controparte stoica ed inamovibile del focoso e irrequieto Dilandau; un
contrasto che li spingeva a discutere e criticarsi in continuazione, ma che
celava un profondo rispetto reciproco.
No, Dilandau decise senza mezzi
termini: la sua vita, per quanto breve, era valsa la pena di essere vissuta;
per quanto solo ora riuscisse a scorgere la trama dell’ignoto retroscena, era
disposto ad accettarlo. La sua filosofia di soldato, di Dragonslayer, sanciva
che era impossibile cambiare il passato: tutto quel che veramente contava era
andare sempre avanti, aprendosi la strada col fuoco e con l’acciaio, verso
l’obiettivo da conquistare.
La spietata logica del guerriero
ebbe la meglio anche sulle ultime remore di Serena, che accettando quella nuova
risolutezza chiese con rinnovata calma: “Allora che cosa ci attende
nell’immediato futuro?”
I due rapaci si scambiarono un
fugace sguardo soddisfatto, ma la loro risposta non fu meno sibillina del
consueto: “Lo saprete quando ci saremo riuniti ad una vecchia conoscenza di
Dilandau.”
Serena rispecchiò nel suo
accigliarsi la stessa sospettosa incredulità del suo alter-ego maschile, mentre
davanti a loro si ergevano all’orizzonte le rovine di quella che fu la maestosa
capitale dell’Impero di Zaibach.