Nello scorso capitolo
c'erano dei problemi con l'html che non sono riuscita a correggere,
cioè io correggevo il capitolo nel form apposito ma quando
lo
ripostavo c'era sempre una frase spezzata che ricompariva due volte
in mezzo al paragrafo (quello in cui Tony parla con Christine). Posso
supporre che sia dovuto ai problemi tecnici del sito della scorsa
settimana. Se dovesse ricapitare magari contatto l'amministrazione.
Spero che questo
capitolo non abbia problemi di leggibilità.
Capitolo quarto
Taking chances
– part two
Ogni cosa sembra al suo posto.
Le stelle si riflettono sulle superfici dorate dei palazzi sempre con
la medesima intensità e il silenzio immobile delle notti di
Asgard è lì ad elargire il suo familiare
abbraccio di pacifico oblio. Eppure il cuore di Thor è in
tumulto; mentre il figlio di Odino attraversa il portone della reggia
sente la frustrazione della sconfitta bruciargli nelle vene.
Le cose, per lui, hanno smesso di essere a posto molto tempo prima e
troppe volte si è illuso di essere sul punto di sistemarle,
di avere la capacità di far tornare tutto com'era, di
limitare i danni.
Il Mjolnir stretto nel suo pugno non gli è mai parso tanto
pesante, apre le dita della mano, lo lascia cadere sul pavimento dove
atterra con un sordo tonfo metallico facendo sobbalzare le guardie di
ronda nell'immenso atrio dorato.
Alle sue spalle, i suoi compagni, Lady Sif e i Tre Guerrieri, camminano
mesti nella sua scia. Non condividono l'affanno per quella ricerca, ma
lo hanno seguito anche stavolta, come sempre e Thor non ha voglia di
voltarsi verso di loro e lasciare che il suo viso mostri quello che sta
pensando. Sta pensando che li ha delusi, che ha deluso tutti. Sta
pensando che hanno ragione loro: è uno spreco di tempo,
dovrebbe essere altrove ad occuparsi di altro. Ma il dio del tuono non
riesce a pensare a niente che non sia il setacciare i Nove Regni alla
ricerca di Loki.
«Non è qui, Thor» gli ha detto Sif
quella mattina, prima che partissero. «Altrimenti Heimdall lo
avrebbe trovato».
«Mio fratello ha già trovato in passato dei modi
per sottrarsi alla vista del Guardiano» ha replicato lui.
«Fratello?!». La parola è sfuggita alle
labbra di Fandral con più incredulità e sarcasmo
di quanto il figlio di Odino fosse disposto a tollerare. Ha alzato la
testa di scatto, ha guardato l'amico con aria rabbiosa e poi triste.
Fratello, sì,
dannazione...
Loro non sanno, loro non c'erano lì, in quella
città sull'acqua, non hanno visto. Non hanno visto gli occhi
di Loki quando tutti credevano che la ragazza fosse morta, non hanno
visto il rammarico nel suo sguardo quando ha dovuto farle del male per
farle usare l'energia e uccidere i demoni. Non lo hanno visto
combattere come era stato un tempo... non hanno passato giorni al
chiuso di un piccolo edificio fatiscente ad alimentare speranze che,
tra quelle quattro pareti, sembravano tutt'altro che vane.
Le speranze si sono dissipate dopo quella notte sull'isola, sono
sparite alle prime luci dell'alba come se fossero sogni fatti nel cuore
della notte, eppure per lui hanno contato qualcosa.
E comunque la pensino i suoi compagni, Thor è il futuro re
di Asgard, è suo compito riconsegnare alla giustizia del suo
popolo un traditore. Sa che deve farlo, sa che Loki è in
pericolo lontano dalla sua casa molto più di quanto lo
sarebbe nelle prigioni del palazzo.
Il dio del tuono si ferma a metà della sala.
«Andate a riposare, amici» mormora. «Vi
ho chiesto assai più di quanto fosse lecito».
«Per quello che ne sappiamo, potrebbe essere
morto». È Hogun a parlare, e sono parole dure come
i suoi occhi che non sorridono mai.
Per un istante Thor si ritrova a pensare che sarebbe quasi un sollievo
se fosse così. E un attimo dopo si sente annegare per quel
pensiero, si maledice per averlo anche solo immaginato.
«Andate a riposare» ripete con voce incolore.
I quattro compagni si scambiano un rapido sguardo, Volstagg fa per
parlare ma Sif gli batte una mano sul braccio e gli fa un cenno con la
testa a indicare il corridoio che porta ai loro alloggi. Basta parole
per quella sera.
Thor ascolta distrattamente i passi dei suoi compagni allontanarsi e
scemare verso il silenzio. Alza gli occhi sul grande soffitto a cupola;
le pareti della casa di Odino non gli sono mai sembrate così
strette e soffocanti.
Esce e percorrere a passo nervoso le strade della città
addormentata. Non c'è un alito di vento, ma l'aria della
notte riesce in qualche modo a far sbollire la sua rabbia, per questo
continua a camminare anche se la meta è molto lontana e
sarebbe stato più saggio prendere un cavallo. Ma ha tempo da
perdere, perché di certo, per quel che lo riguarda, quella
notte non è fatta per il sonno.
Sotto la volta notturna il Bifrost, o ciò che ne rimane,
manda cupi bagliori argentati. Thor trascina un piede avanti all'altro
sulla superficie del ponte distrutto e il senso di calma faticosamente
raggiunto qualche attimo prima svanisce di colpo. I suoi ricordi
peggiori hanno inizio da lì, il nero che circonda il ponte
sembra carico di fantasmi e cattivi presagi.
La figura di Heimdall si staglia immobile contro il cielo infinito, una
sbavatura dorata sulla linea diritta dell'orizzonte.
«Non ho alcuna notizia di colui che stai cercando»
dice il Guardiano, senza distogliere lo sguardo dorato dall'infinito
spazio su cui veglia.
«Non è di questo che volevo domandarti»
risponde Thor. Le sue parole sanno di stanchezza. «Dimmi di
Nadia».
Nadia. Thor si sente tremendamente colpevole ogni volta che ci pensa;
è anche per lei che continua ossessivo nella ricerca di
Loki, perché lui è il solo che la possa aiutare e
perché forse la ragazza si sta ponendo le medesime domande
che il figlio di Odino sente rimbombare nella propria testa giorno dopo
giorno e la giovane merita una risposta a quegli enigmi più
di quanto non la meriti lui.
Heimdall se ne sta puntellato sull'elsa dell'enorme spada, volta appena
il capo verso Thor mentre gli risponde,
«La fanciulla umana sopravvive» dice con la sua
voce profonda.
Sopravvive.
A Thor sembra una risposta tutt'altro che confortante. Sospira e si
stropiccia il viso con le mani.
«E Jane?» domanda. Lo chiede come se ci fosse
bisogno di farlo.
«È con la ragazza della città
galleggiante» risponde il Guardiano con il suo tono
monocorde.
Il figlio di Odino sente il cuore contrarsi e poi allargarsi come se
volesse scoppiare, sgrana gli occhi e li punta sulle stelle.
«Cosa?...».
Le labbra di Heimdall restano serrate. Non ci sono risposte per
spiegare i casi assurdi del destino.
*
Flip-flip-flip...
Le suole delle scarpe strusciano ritmicamente contro l'asfalto del
marciapiede. Dai ricordi di Jane si alza prepotente la voce di sua
madre che le gracchia di smetterla e la giovane donna si blocca di
colpo, come se sua madre fosse davvero lì, seduta difronte a
lei, pronta a rimproverarla.
In realtà, davanti a lei c'è solo una sedia vuota
e Jane nemmeno sa se verrà occupata.
Oh, diamine! Perché mai la ragazza non dovrebbe venire?
La ragazza si chiama Nadia. Glielo ha detto Eric, dato che la prima
volta che si sono parlate qualche giorno prima, si è
dimenticata di chiederle il nome e lei si è dimenticata di
dirglielo, o non ha voluto farlo.
Jane ha aspettato di rincontrarla e le ha proposto di vedersi a quella
caffetteria per fare quattro chiacchiere, del resto lei stessa lo aveva
suggerito durante il loro primo incontro.
L'ha buttata lì così, non sapeva come l'avrebbe
presa la ragazza, ma sa che deve parlarle perché la inquieta
l'idea di questa tizia che gironzola per le armerie della base dello
S.H.I.E.L.D. e sa un sacco di cose su di lei e... ma non è
solo questo. Forse è stato quando la ragazza ha nominato
Thor – o meglio, ha accennato al fatto che ha parlato con
Thor e Thor le ha parlato di lei... - forse è stato quando
si è improvvisamente incupita per qualcosa che Jane ha
detto, forse è stato perché Eric le ha spiegato
che sa chi è ma non può darle informazioni in
merito... insomma, la dottoressa Foster ha sentito il bisogno di
saperne di più. E così è andata a
finire che l'ha letteralmente pedinata, fino a quando non è
riuscita ad avvicinarla e a chiederle se un certo pomeriggio, a una
certa ora, le andava di prendere un caffè con lei.
La ragazza ha detto che andava bene, ma ora Jane ha il dubbio che non
si presenti all'appuntamento. Insomma, una che non ti dice il suo nome
la prima volta che parla con te, deve certo essere sfuggente per
qualche ragione, e poi...
«Ciao, Jane».
Nadia si infila tra la sedia e il tavolino con un gesto fluido e le
sorride cortese.
Jane si ritrova a fissarla sbattendo le palpebre.
«Oh... ehi... ciao!» farfuglia dopo qualche
secondo.
La ragazza ha un marcato accento straniero, questo la dottoressa Foster
lo aveva colto fin dal loro primo breve dialogo. È di
qualche anno più giovane di lei, senz'altro; è
carina ma ha un'aria assolutamente anonima, e nei suoi occhi castani
non c'è niente che faccia pensare a una persona al di fuori
del comune.
Ma Jane non è mai stata brava a indovinare informazioni
sulle persone. Lei è quella che ha scambiato un dio nordico
per un barbone ubriaco, dopotutto.
Adesso che Nadia è lì, in tutta la sua placida
normalità, adesso che il sole mette in risalto il dorato dei
suoi capelli biondi come i neon della base dello S.H.I.E.L.D. non
avrebbero mai potuto fare, la dottoressa Foster si accorge di non
sapere bene cosa dirle.
«Io prendo un frappè alla fragola, tu cosa
vuoi?» le chiede, ostentando un sorriso tirato.
«Un frappè alla fragola anche per me»
«Abbiamo gli stessi gusti»
«Non proprio, non direi...».
Jane inarca un sopracciglio, ma Nadia agita la mano come a voler
cancellare da una lavagna immaginaria quello che ha appena detto.
Forse è proprio una tipa fuori dal comune.
Passa qualche secondo di silenzio imbarazzato, nel quale la dottoressa
Foster cerca disperatamente di riordinare le idee e di trovare le
parole adatte a chiedere alla ragazza l'unica cosa di cui le interessa
veramente: come mai conosce Thor?
«Jane, so perché mi hai chiesto di
vederci» asserisce Nadia, come se le avesse appena letto nel
pensiero.
Una cameriera con il grembiule di percalle che fa molto anni '40 arriva
a portare i loro frappè.
«E questo è il momento in cui mi dici
perché hai deciso di venire?» domanda la
dottoressa Foster a bruciapelo.
«Come vanno le ricerche sul wormhole?».
È questo che vuole sapere la ragazza? È
interessata al wormhole? Cosa se ne fa una giovane straniera delle
informazioni sul suo ponte di Einstein-Rosen?
«Le ricerche non portano da nessuna parte. Pare che sia stato
un fenomeno a se stante, che non ha avuto alcuna conseguenza»
risponde. È la verità, non c'è proprio
un bel niente da dire su quel benedetto wormhole che all'inizio le
aveva fatto così ben sperare. «E, se tutto va
bene, dopodomani me ne vado via, torno a casa, lo
S.H.I.E.L.D. non ha più bisogno di me».
Se tutto va bene un
corno!
Non vuole tornarsene a casa, non vuole abbandonare quella ricerca. Non
è affatto convinta che sia un fenomeno privo di significato,
ma non ha dati che dimostrino il contrario.
«Capisco...» mormora Nadia con aria pensierosa,
rigirando la cannuccia nel bicchiere.
«Perché ti interessa?» le chiede Jane.
«Immagino per la stessa ragione per cui interessa a te. Una
volta ti avrei detto per la stessa speranza che forse hai anche tu, ma
non è esatto parlare di speranza, specie di questi
tempi...».
La dottoressa Foster non ha capito una parola di quello che ha detto la
ragazza, ma le è sembrata così triste mentre lo
diceva che ora ha quasi soggezione a farle delle domande in merito.
Nadia assaggia svogliatamente un sorso del frappè.
«Tu speri che quel ponte abbia a che fare con Thor»
aggiunge dopo qualche secondo. «Io speravo che avesse a che
fare con qualcun altro, ci speravo due mesi fa, forse tre, ora non lo
so... ad ogni modo, non capisco niente di astrofisica, ma penso che tu
possa tornare a casa. Quel wormhole non può avere a che fare
con Asgard».
Momento. Fermi tutti.
Alt!
Che sta dicendo la ragazza? Perché sa queste cose? Chi
diavolo è?!
«Come... come...». Jane si ritrova a boccheggiare
come un pesce. Se fosse lì sua madre la sgriderebbe di nuovo.
«Gli asgardiani hanno trovato un nuovo mezzo di trasporto,
tutto qui» spiega Nadia.
«Chi sei? Tu... tu devi spiegarmi come sai tutte queste cose
o io... comincio a investire gente a casaccio quando sono nervosa,
è una cosa poco carina...».
Gli asgardiani hanno trovato un nuovo mezzo di trasporto. Gli
asgardiani hanno ricominciato a viaggiare allegramente per l'universo.
Evviva! E allora perché Thor non è tornato da
lei? Perché?!
Jane vorrebbe davvero investire qualcuno adesso. Investire qualcuno e
passarci su con le ruote della macchina più e più
volte.
«Ehm... Jane? Lascia andare il portatovaglioli»
mormora Nadia.
Non si era nemmeno accorta di tenere il portatovaglioli stretto tra le
dita. Lo lascia andare sul piano del tavolo con un gesto stizzito.
È quasi un anno che prova a risolvere quel dannato rompicapo
per trovare un modo di rimettersi in contatto con l'
altra parte. E
adesso scopre che c'è sempre stato un modo... e lei non ne
sapeva niente... e dall
'altra
parte chi di dovere non si è nemmeno degnato di
avvisarla!
«D'accordo, Jane, stai calma. Qual'è il
problema?» domanda Nadia.
«Ho dedicato un anno della mia vita a trovare il modo di
ristabilire un contatto. L'ho fatto per... perché volevo
rivedere Thor. E ora vengo a sapere che questo modo c'è
sempre stato e che lui non si è fatto vivo in tutto questo
tempo...» spiega lei, sentendosi una totale imbecille, sotto
lo sguardo preoccupato della ragazza.
«Sì, ne so qualcosa di divinità
nordiche assenteiste...» borbotta lei, scuotendo la testa,
poi si passa una mano tra i capelli e torna a fissare Jane.
«Un giorno forse potrò raccontarti la mia storia e
di come sono finita qui, per adesso ci sono un paio di cose essenziali
che devi sapere. Lo strumento che permette di aprire varchi attraverso
lo spazio è ritornato in mano agli asgardiani solo alcuni
mesi fa e se in questi mesi Thor non si è fatto vivo
è perché ha avuto i suoi buoni motivi. Come ti
dissi, sta cercando suo fratello... tu nemmeno immagini che lurido
bastardo problematico sia quel tipo...»
«Ah, tu lo hai conosciuto?»
«Sì, ho avuto il dispiacere di condividere un paio
di esperienze quasi letali con lui. E ho conosciuto Thor, e mi ha
parlato di te e fidati, quelle non erano le parole di un uomo che aveva
dimenticato».
Jane sta di nuovo boccheggiando come una trota appena presa all'amo. Si
sente avvampare e sente che c'è qualcosa di strano in quella
ragazza, qualcosa che la mette a disagio. Forse è solo il
fatto che Nadia sa così tanto di lei, mentre Jane ancora non
ha nemmeno capito lei chi sia.
La ragazza lascia il suo frappè a metà.
«Devo andare, sono in ritardo» dice all'improvviso,
scattando in piedi con aria allarmata. «Clint e Natasha mi
uccideranno» aggiunge borbottando tra sé e
sé.
«Nadia, aspetta!»
«Jane, ti ho detto tutto quello che potevo...».
Sì, è vero. Di certo le ha detto più
di quanto abbia fatto chiunque altro alla base dello S.H.I.E.L.D.
La dottoressa Foster mette su un mezzo sorriso,
«Sì» conclude. «Grazie. Credo
che seguirò il tuo consiglio. Tornerò a casa e
penserò positivo».
*
Il giorno prima Nadia era seduta al tavolino di una caffetteria insieme
a Jane Foster. Le ha detto delle cose e più ci pensa
più crede di non averle detto niente.
Le ha detto quello che era giusto dirle, quello che Jane aveva bisogno
di sapere, e di certo non le ha mentito. Non le ha mentito su Thor e su
tutto quello che è riuscita a spiegarle, ma la storia, la
sua storia per intero, gridava dentro di lei a gran voce per farsi
raccontare. Avrebbe potuto parlarne alla dottoressa Foster, ma non ce
l'ha fatta. Non ci riesce, non ne parla mai con nessuno, nemmeno Tony o
gli altri ne parlano mai.
Ci sono storie che non sono fatte per essere raccontate. Ci sono storie
che sono come le schegge di metallo che Tony ha nel petto, restano
lì e non si può far altro che tenerle a distanza,
che cercare un modo di stare al mondo malgrado la loro presenza.
È solo che il fatto di non essere in grado di affrontare la
cosa anche solo per spiegarla a qualcuno, anche solo semplicemente
parlandone, le sembra un'enorme sconfitta.
Ieri era con Jane; quando l'ha lasciata al tavolo di quella
caffetteria, Nadia si è sentita comunque sollevata all'idea
di essere riuscita a dire cose che hanno ristabilito la speranza della
giovane astrofisica. Ora se ne sta appollaiata su uno sgabello nella
cucina di casa Stark e guarda la busta di carta appoggiata sul tavolo
davanti a lei.
Quando Mike le ha messo tra le mani i biglietti per la rappresentazione
di The Phantom of the Opera è stato come...
La ragazza si ritrova a sorridere.
Un ragazzo l'ha invitata ad uscire. La cosa l'ha stupita e le ha acceso
una scintilla di contentezza in mezzo al petto, una scintilla che con
il passare dei giorni è diventata quasi una fiamma.
Mike le piace. Nelle settimane successive al suo arrivo a New York sono
rimasti più volte a chiacchierare alla caffetteria dello
stabilimento delle Stark Industries. Lei deve avergli detto che le
piacciono i musical e lui se n'è ricordato. Lui è
quel tipo di persona che fa domande e ascolta anche le risposte. Le
loro brevi passeggiate nei giardini dello stabilimento grondano di
parole e risate, danno un senso di calore. E la ragazza detesta il
fatto che la sua mente tenda, automaticamente, a metterle a paragone
con quelle sere lontane di quella settimana a Venezia, quando lei
camminava fianco a fianco a un dio silenzioso e scostante credendolo un
ragazzo normale.
Nadia vorrebbe poter dire a Mike quanto tutta quella situazione le stia
facendo bene. Non è una questione di orgoglio civettuolo
dovuto al rendersi conto di piacere ad un ragazzo, è il
fatto che avere un amico che ha un interesse per lei le restituisce un
po' di quella normalità che da troppo tempo sente di aver
perso.
La ragazza sospira, poi il suo sguardo si sposta sulla custodia scura
appoggiata sullo stesso tavolo accanto ai biglietti e di colpo, ogni
scampolo di normalità riguadagnata sparisce nel buco nero
della sua testa angosciata.
«Mi sento in colpa» mormora.
«Perché dovresti?» chiede Pepper,
sedendosi di fronte a lei ed allungandole una tazza di latte e
cioccolato.
«Per Mike, mi sento come se lo stessi usando per sentirmi un
po' meno peggio. E non posso nemmeno dirgli la verità sulla
pietra, su di me, su tutto il resto...».
Nadia circonda con le dita fredde la tazza, cercando di scaldarsele.
«Non devi vederla per forza in questo modo» dice la
donna, con la sua coda di cavallo perfetta che le dondola sulla nuca.
«E del resto, non è quello che facciamo tutti,
quando cominciamo ad avvicinarci a qualcuno?».
Nadia corruga la fronte, perplessa.
«Mi stai dicendo che all'inizio avere a che fare con Tony era
una cosa salutare?» domanda, enfatizzando un'aria seriosa per
poi nascondere la faccia dentro la tazza di cioccolato.
Pepper solleva le sopracciglia e Nadia scoppia a ridere, facendo
schizzare la bevanda calda.
«Si stava parlando di me?» si intromette Tony,
entrando in cucina, giocherellando con un cacciavite che fa saltare sul
palmo della mano.
«Erano discorsi da donne, in realtà» lo
rimbecca Pepper.
«Allora si stava decisamente parlando di me».
Nadia scuote la testa, divertita. Tony nota la scatola scura sul tavolo
e lancia alla ragazza un'occhiata interrogativa.
«Oh, quello me l'hanno consegnato stamattina degli agenti, da
parte di Clint» spiega lei.
L'uomo apre incuriosito la scatola. Dentro c'è un arco fatto
di un qualche materiale supertecnologico, superfigo e superinutile,
dato che Nadia non ha idea di come usarlo né ha troppa
voglia di imparare a farlo.
«Accidenti, Legolas fa sul serio» mormora Tony,
quasi ammirato. «Sai che ti dico? Domani vengo con te e nonno
Steve nel bosco, tu provi il tuo arco e io le nuove modifiche che ho
apportato all'armatura»
«Steve sverrà dalla gioia nel sapere che ci sarai
anche tu domani».
Tony sghignazza e si mette a sedere su uno sgabello, facendo ruotare il
cacciavite tra le dita.
Nadia osserva per qualche secondo la scena e picchietta le unghie
attorno alla tazza che ormai si sta raffreddando.
Alla fine, pensa, la normalità è meno lontana di
quanto le sembra di solito. Si sente un po' stupida per tutti i
pensieri angosciati che le ronzano nella testa e si sente spaventata
perché ha paura di perdere quello che ora ha davanti agli
occhi. Non sa perché, forse è solo colpa della
sensazione imminente di pericolo di vita a cui la pietra la espone, ma
sono giorni che sente aleggiare nell'aria odore di brutto presentimento.
«Ehi, ma domani non possiamo andare a giocare nel
bosco» dice Tony all'improvviso, strappando Nadia ai suoi
pensieri. «Tu domani sera hai un appuntamento,
ricordi?»
«Beh, torneremo in tempo perché io mi renda
presentabile».
La ragazza torna a guardare la busta con dentro i biglietti per il
teatro. Poi si volta verso il suo amico e poi di nuovo verso la busta.
«Tony, tu non hai niente a che fare con questa cosa,
vero?» chiede, folgorata da un'intuizione tanto improvvisa
quanto sgradevole.
«Come ti viene in mente una simile idea,
Colombina?!» esclama lui, arricciando il naso.
«Ne saresti capace»
«Forse sì, ma forse tu sei ancora più
capace a fare strage di cuori».
Nadia boccheggia, nel tentativo di trovare qualcosa per ribattere, ma
sente di stare avvampando e si ritrova a fissare inebetita le spalle di
Tony che si allontana verso il suo laboratorio canticchiando:
«.
..fills his
victims full of dread,/ running
as fast as they can/
Iron Man lives again!»
*
Ogni volta gli sembra di non sentire più niente. Ci sono
giorni in cui si crede morto ed è come se assistesse al suo
supplizio dall'esterno, dall'alto come in un sogno, quando si
è spettatori di fatti che accadono a noi stessi.
È il dolore a tenerlo legato a quel corpo, a dargli
percezione del limite segnato dalla sua pelle, dai muscoli, dalle ossa.
Non è facile uccidere un dio, di questo Thanos dev'essere
consapevole, ma quel che è certo è che prima o
poi gli tirerà via la vita dal petto e Loki non sa se il suo
crudele maestro stia di proposito prolungando quell'agonia o se
è lui ad essere più resistente di quanto si
pensasse.
Di solito le torture si ripetono ogni giorno, e tutte le volte, quando
lo riportano nella cella, Loki sente il suo corpo nudo diventare
insensibile alla morsa dei ceppi o al ruvido della nuda pietra su cui
si accascia privo di forze. Ed è quasi una benedizione.
Ma poi accade che per un tempo lunghissimo che lui non è
capace di calcolare – forse tre giorni, forse quattro
– nessuno si occupi di lui, nessuno viene per condurlo da
Thanos ed è come se il suo corpo si illudesse di essere
libero, cancella il dolore e quando il supplizio ricomincia
è peggio di prima.
Eppure, per quanto angoscianti, quei periodi di tregua gli sono stati
utili, gli sono serviti per rintracciare la pietra. Quando era stato
portato ad Asgard dopo la sconfitta di New York gli era stato facile
scoprire dove si trovava, perché era nella stessa galassia.
Ora Midgard è lontanissima, nemmeno lui sa bene quanto, e la
ricerca si è rivelata difficile, resa ancora più
ardua dallo stordimento per le continue torture.
Più volte, preso dalla disperazione, ha creduto che la sola
ricerca della pietra avrebbe esaurito tutte le sue energie prima ancora
di riuscire a rintracciare il bracciale. Nei momenti peggiori ha
persino pensato che la ragazza potesse essere già morta,
dopotutto nemmeno lui sa cosa le è successo, quanto tempo
sia effettivamente passato da quando si sono separati.
Il pensiero che Nadia sia morta lo riempie di panico, gli fa sentire
più forte l'odore del sangue e quell'odore gli ristagna
nello stomaco facendolo vomitare.
Nadia è la chiave per i suoi piani. Ed è anche...
Cosa?
L'unica persona che non gli è nemica. È un
pensiero che significa tutto e niente, ma Loki non può e non
vuole indugiare oltre in simili riflessioni. Spera solo che sia viva,
perché se così non fosse sarebbe tutto perduto,
lui sarebbe perduto.
Alla fine, dopo tante incertezze dolorose quasi quanto i supplizi di
Thanos, l'ha trovata. La pietra è ancora attiva, la ragazza
non è morta. Ora deve solo usare l'energia per creare una
connessione, aprire un passaggio che gli permetta di arrivare
lì dove si trova il bracciale. Ora deve solo restare lucido
ancora un po' e poi sarà in salvo.
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Note:
Povero Thor, che alla sua prima apparizione nelle mie fanfiction
è sempre angustiato a causa di Loki... il fatto è
che mi piace l'idea di mostrare come siano sempre punto e accapo quei
due.
E la comparsata di Lady Sif e i Tre Guerrieri era d'obbligo.
E sappiate che io adoro mettere insieme Jane e Nadia.
E a proposito di Jane e Thor... credo che il loro innamoramento nel
film non sia stato trattato in maniera particolarmente profonda
(aspetto di vedere in Thor 2 come gestiranno la cosa, per ora...
bah...), per cui alle volte mi chiedo perché questi due
abbiano tutta questa ansia di rincontrarsi visto che più che
un innamoramento nel senso “alto” del termine a me
sembrava una cotta estiva tra scolaretti... ma, al solito, io lavoro su
quello che ho a disposizione e dato che il finale del film sembrava
suggerire che questi due stessero lì a struggersi per la
reciproca assenza, mi regolo di conseguenza.
La canzone messa in bocca a Tony è Iron Man dei Black
Sabbath, come da “vestiario filmico”.
Per curiosità o domande sulla fanfiction,
la vita, l'universo e tutto
quanto:
HERE
Grazie a tutti voi. Proprio tutti.
Ci leggiamo venerdì con l'aggiornamento :)