Sesto
anno
Quella fu l’ultima estate che trascorsi
a Grimmauld Place, già. E per molto tempo, dopo, ho pensato che in
questa casa non ci avrei vissuto più. Era l’unica cosa certa che
sapevo di volere nella vita, io che crescendo persi ogni interesse per i
progetti a lungo termine, non vivere più qui. Perché questa casa
è la mia Azkaban personale; ho ricordi in questo posto che sono letali
quasi quanto i Dissennatori.
La Vita ha uno strano senso dell’umorismo.
L’estate prima del sesto anno la
trascorsi trincerato nella mia camera da letto. Se ne uscivo era la guerra
mondiale. Ero sotto processo, anzi, ero già condannato, e ancora una
volta senza aver fatto nulla. Walburga ormai mi odiava con un accanimento che
rasentava la follia: il solo guardarmi la riempiva di disgusto ed ira, qualcosa
di fisico. Finì con l’isolarmi, non mi voleva nemmeno più a
tavola con loro: trovarsi davanti la mia faccia la riempiva di una furia
incontenibile.
Ne fui sollevato, perché ogni pasto
con la famiglia Black si rivelava un incubo.
La cosa peggiore era quando qualcun altro dei
nostri parenti ci veniva a trovare: zia Elladora provava il massimo piacere nel
guardarmi arricciando le labbra con somma ripugnanza fino a costringermi ad
abbassare lo sguardo –era l’unica persona che ci riuscisse, in
effetti- e Rodolphus, il marito di mia cugina, sembrava adorare
l’elencare tutte le cosiddette prodezze da lui compiute ai tempi della
scuola, qualche anno prima, in rapporto alla pochezza di tutto ciò che
mi riguardava.
Dal canto mio ero l’incarnazione stessa
dell’insofferenza. Quella gente aveva un modo completamente perverso e
malsano e di guardare alla vita. La tanto agognata e preservata Purezza
dominava le loro menti, tutto ciò che contava veniva ridotto al potere,
alla posizione. Si intossicavano di conoscenze “convenienti” e
ostentazioni di superiorità. In realtà credo vivessero ancora
nell’800, quando i Black si avvolgevano di sete e perle per partecipare a
sontuosi banchetti a Buckingham Palace in corsetto e mantello di velluto, le bacchette
bordate in oro massiccio.
Questa comunque era l’immagine che io e
James avevamo ricostruito nelle nostre lettere. Quelle furono l’unica
cosa bella di quell’estate. Le sue lettere erano fogli e fogli zeppi di
confidenze, storielle per farmi ridere, aneddoti su momenti della sua estate
divertenti nonostante la nostalgia –questo lo specificava sempre- e
questo tipo di cose. Credo ci mettesse ore, ogni volta che mi scriveva, a
mettere su carta tutte le cose che aveva voglia di dirmi. Perché,
più che mai, ultimamente il nostro rapporto si era ancor più
accresciuto. Adesso parlavamo davvero di tutto, dubbi, paure, incertezze, quel
genere di cose sgradevoli che cominci a provare quando l’infanzia davvero
si avvicina alla fine.
Il mondo esterno diventava lentamente
qualcosa di concreto, che iniziava ad avvicinarsi: una realtà in cui le
cose sarebbero state meno semplici; e per contrasto ci stringevamo ancora
più tra noi, a mo’ di difesa.
Perciò, la gioia di settembre fu
qualcosa di portentoso. Altri nove fantastici mesi in cui niente e nessuno si
sarebbe messo tra di noi.
Il secondo giorno fissammo gli obbiettivi
fondamentali che dovevamo ad ogni costo raggiungere quell’anno, prima di
ogni altro.
Qualcosa come:
I Signori Lunastorta,
Codaliscia, Felpato e Ramoso
Prendono l’impegno
solenne e irrefutabile
Di portare a termine entro
codesto
Giugno 1976
I seguenti impegni
d’utilità pubblica:
- Terminare
l’esplorazione del Castello
- (perciò anche) la
stesura della Mappa secondo i criteri prestabiliti
(o almeno di arrivare a buon
punto)
- Salutare degnamente il
vecchio Puzzone Pringle
che lascerà a giugno
questa valle di lacrime
- Liberarsi di Snivellus nei
modi e tempi che verranno
secondariamente stabiliti
(- conquistare la Evans)
(Sognatelo)
Naturalmente
il “sognatelo” in fondo era mio.
Ad ogni modo fu esattamente quello che
facemmo… Voglio dire, a Giugno avevamo finito la Mappa, conoscevamo Hogwarts
come nessun altro studente prima di noi, Apollonius era stato salutato da
un’esplosione di Caccabombe in ogni angolo del Castello –e se dico
ogni, intendo proprio ogni- James si era sognato per tutto l’anno di
conquistare Lily e Severus aveva quasi perso la vita.
E non ho altro da dire su questa storia. Non
c’entra niente con l’argomento originario, me e James. Però
è vero che quella notte cambiò molte cose tra noi tutti, anche
tra me e Jim. E probabilmente ha influito sul futuro più di quanto
credessimo.
Di sicuro, da allora Severus Piton
odiò me e James non più con l’antipatia di un ragazzino ma
con l’intensità e la concretezza di un adulto. Si era convinto che
anche Jim avesse preso parte al mio piano per farlo sbranare da Remus
–non era assolutamente quel che avevo pensato di ottenere, sia chiaro- e
che se la fosse fatta sotto all’ultimo momento: quindi era anche un
vigliacco, per giunta.
Ma James non c’entrava niente, e non lo
dico per non rovinare la sua immagine o cazzate del genere ma perché
è così.
Quello conseguente allo Scherzo a Severus fu
in assoluto il peggior litigio tra me e James in tutte le nostre vite. Non
l’avevo mai visto così furioso prima, e nemmeno lo vidi in
seguito. Alcune delle cose che mi disse in quell’occasione mi hanno
realmente segnato; penso di aver capito più cose di me durante la
sfuriata che mi fece quando ci vedemmo al mattino che in tre interi anni di
vita.
La situazione era: Remus non mi rivolgeva la
parola nemmeno se costretto, James diventata viola di rabbia solo vedendomi e
Peter non sapeva bene come raccapezzarsi; penso sia stato allora che ha
cominciato ad avere paura di me.
Remus non ne voleva davvero sapere di
perdonarmela: questa volta avevo esagerato davvero, e sono d’accordo con
lui. Se James non fosse intervenuto così tempestivamente come ha fatto
Severus sarebbe sicuramente morto, e Remus trasformato in un assassino; e nessuno
meglio di me sa quanto sia tremendo e schiacciante il peso dell’essere
artefice della morte di qualcuno senza volerlo. Non ho solo rischiato di far
fuori Snivellus –la perdita a parer mio sarebbe stata accettabile- ma di
rovinare la vita di Remus per sempre, di farlo sbattere ad Azkaban o
chissà cosa.
James dava letteralmente i numeri, era fuori
di sé. Come avevo potuto fare una cosa del genere, essere così
egoista e menefreghista nei confronti di uno dei miei migliori amici e usarlo
come un oggetto, un mezzo per raggiungere i miei stupidi obiettivi? Come avevo
potuto essere tanto maligno da quasi provocare la morte di un’altra
persona? Che cos’ero, una specie di mostro?
Non ti riconosco, mi urlava, non so chi sei,
non so più chi sei. Non era solo arrabbiato, era nel panico. Credo di
aver impiegato anni a capirlo, ma il fatto era che io e James eravamo
l’uno per l’altro la più grande certezza della vita; e
quella certezza gli era crollata addosso all’improvviso svelando cose che
James non avrebbe mai voluto vedere: che anch’io potevo essere,
seriamente, cattivo e subdolo. Era atterrito.
Rifiutò anche solo di ascoltarmi per
giorni e giorni, come Remus.
Io ero seriamente pentito. Avevo agito senza
pensare, come capitava spesso. Non avevo intenzione né di uccidere
Severus né tantomeno di usare Remus –dimentichiamo la faccenda,
vuoi?- e mi rendevo conto solo allora di quanto ero andato vicino alla
catastrofe.
Capivo anche quanto i miei amici dovessero
sentirsi delusi. Non mi ero mai sentito così enormemente cretino prima
di allora: cercavo con tutte le mie energie un modo per rimediare.
Braccai Remus all’uscita da una lezione
e lo costrinsi letteralmente a starmi a sentire: gli spiegai quanto mi sentissi
disgustoso e miserabile e quanto desiderassi rimediare al mio errore e
dimostrargli di aver capito, in qualunque modo volesse, ero disposto a
qualunque cosa. Mi sentivo talmente male che dopo l’ennesimo “mi
dispiace, mi dispiace da morire” scoppiai in singhiozzi. Non te lo
meritavi, ripetevo, non tu, che vali così tanto. Non sapevo più
cosa dire, non avevo più tattiche o uscite ad effetto, perciò
finii col dire semplicemente la verità: che lo consideravo il fratello
che il destino non mi aveva consentito di avere e che mi detestavo, volevo
poter tornare indietro e non fare quella sciocchezza enorme e crudele in cui mi
ero gettato senza criterio.
Remus tentò di replicare che ormai
erano inutili tante parole e che quel che era successo non si poteva…
Cancellare, presumo volesse dire, ma non gliene lasciai il tempo: gli afferrai
la mano con enfasi da invasato e strillai se davvero ritenesse che non tenessi
a lui. Nell’enfasi appunto, aggiunsi che era vero, Severus aveva
rischiato la vita, quella notte, faccia a faccia con un Licantropo; ma io lo
facevo ogni mese, e con somma gioia.
Davvero, con somma gioia.
Remus dovette capire che ero sincero,
perché quasi si commosse.
Mi chiese come poteva fidarsi di nuovo di me.
Risposi che doveva semplicemente farlo. Che
mi concedesse una seconda occasione, e non l’avrei sprecata per nessuna
ragione.
E l’ha fatto.
Se ci penso, ora, mi rendo conto che ci sono
al mondo persone di una grandezza d’animo straordinaria, di una
generosità innata e luminosa, capaci di cose grandissime celate in
piccoli atti; e –lo urlerò finchè non te ne convincerai-
Remus J. Lupin è una di queste.
Con James fu un altro paio di maniche.
La delusione lo stava divorando, e nemmeno il
vedere che Remus dal canto suo sembrava propenso al perdono sembrò
placare il suo animo ferito. Non serviva a niente aspettarlo dopo gli
allenamenti o all’uscita da lezione, perché era bravo a scappare
più di me a inseguirlo.
Una mattina, eravamo ai primi di dicembre,
informò casualmente la camerata che aveva intenzione di tornare a casa
per Natale. Compresi precisamente cosa questo sottintendesse, e agii
d’impulso: mi viene da ridere adesso, ma la verità è che
aspettai che fosse entrato nella doccia e mi chiusi in bagno con lui. Per poco
non gli venne un colpo.
Si mise ad urlare e mi chiese cosa credevo di
fare. Risposi, mentre lui si copriva con l’asciugamano, che nudo come un
verme non poteva scappare molto lontano e che per uscire da quella porta mi
doveva Schiantare.
Non c’era nulla di minimamente ambiguo
o malizioso in quella scena; non feci nemmeno caso al fatto che James fosse
nudo e che la situazione, ad occhi esterni, potesse sembrava per lo meno
inconsueta. Volevo solo che non mi odiasse, perché mi risultava
insopportabile.
Voglio che non mi odi; prego da tanti anni
che il suo ultimo pensiero verso di me non sia stato di rabbia o di
risentimento, che non mi abbia odiato per quello che è successo anche se
ho tutte le colpe. Che sapesse che agivo nel suo interesse, che non avrei mai
voluto che gli accadesse nulla di male e che sarei volentieri morto io al suo
posto, quella notte. Una volta qualcuno ha detto che non esistono uomini
perfetti, ma solo intenzioni perfette: e le mie lo erano. Erano pulite e
generose, perché stavo davvero mettendo la sua vita, e quella della sua
famiglia, molto prima della mia.
Ma non voglio come al solito divagare.
James mi rispose che mi avrebbe volentieri
Schiantato senza esitare, checchè ne pensassi, se avesse avuto la
bacchetta a portata di mano.
Gli porsi la mia. Allora fallo, suggerii col
cuore in gola. Se ti fa sentire meglio.
James, con cipiglio minaccioso, la
afferrò e me la puntò contro: rimase fermo per qualche istante,
determinato, ma dalla bacchetta non provenne nulla; la abbassò
lentamente, chinando la testa, prima di restituirmela. Non ti voglio
Schiantare, mormorò, e non mi farebbe sentire meglio.
Allora gli chiesi cosa lo avrebbe fatto
sentire meglio. Che, qualunque cosa fosse, l’avrei fatta.
“Niente. Non c’è niente
che tu possa fare” mi rispose, e ricordo che sembrava veramente
sconsolato. Gli feci notare in un mormorio che mi sembrava assurdo che potesse
voler davvero chiudere la nostra amicizia senza nemmeno fare un tentativo. Che
avevo commesso un errore enorme e ne ero consapevole, e che avrei evitato che
succedesse di nuovo. So che avevo veramente paura, perché la sua faccia restava
rigida e piena di rammarico mentre continuavo a parlare, non riuscivo a vedere
uno spiraglio e per la prima volta razionalmente mi trovavo faccia a faccia con
l’ipotesi che fosse la fine.
Non è che la VOGLIA chiudere,
obiettò James, stranamente pacato, Ma non vedo come potrei evitarlo.
Secondo lui, aggiunse, quello che avevo fatto era indelebile.
Era serio, calmo; ricordo che mi sono sentito
crollare il mondo addosso, la stessa sensazione di quando perdi
l’equilibrio e cadi nel vuoto: poi ti svegli di soprassalto e ti accorgi
che stavi dormendo, e io mi volevo svegliare.
Non ho veramente pianto: hanno cominciato a
lacrimarmi gli occhi senza che facessi niente, stavo solo lì fermo e le
lacrime correvano giù. Non era teatrale o drammatico dall’esterno,
credo, ma dentro ero in tanti piccoli pezzi, e mi sembrava che fossero quelli a
scapparmi fuori dagli occhi.
James si era seduto sulla tazza del water e
stava lì a testa bassa. Mi chiese ancora una volta come avevo potuto, e
io ho risposto non lo so, Merlino, e ho ripetuto ancora una volta la solita
frase, il leitmotiv della mia vita: se solo potessi tornare indietro.
Tornare indietro e cambiare le cose, compiere
scelte differenti, non chiedo altro. Anche qui, seduto davanti a questi fogli,
voglio solo poter tornare indietro. Voglio un’altra seconda occasione,
come quella che mi diede Remus tanti anni fa.
Ce la meriteremmo, James e io.
Ma non puoi, Sirius. Non si può
tornare indietro e cambiare le proprie azioni, anche se non si chiede altro, si
può solo subirne le conseguenze, e a volte sono conseguenze immutabili.
A volte quel che è rotto non si può aggiustare.
E’ ironico, in qualche maniera, che sia
stato proprio James Potter a dirmi queste parole profetiche. Non poteva sapere
quel che stava realmente dicendo, né potevo saperlo io, perché
sarebbe successo anni dopo. Però sono queste parole, e la sua voce, che
risento, quando di notte il materasso è scomodo e la stanza troppo
vuota, quando non posso dormire.
Ma a volte sì, risposi in un sussurro,
a volte si aggiusta, e funziona di nuovo.
Mi sono avvicinato e gli ho preso una mano.
James l’ha guardata, stretta nella mia, e ha sorriso con tristezza.
E poi ha detto un’altra cosa che
ricordo molto bene.
Non posso pensare che queste due mani non si
stringeranno più.
Certe volte diceva cose, Jim, che ti
lasciavano lì come un sasso.
E allora non farlo, ho risposto. E ora mi
verrebbe da aggiungere, certe volte –quando sono sbronzo, in
realtà- sei un bello stronzo, perché come faccio a stringerti la
mano, adesso? Come vuoi che faccia, se te ne sei andato via dove non so
raggiungerti? E’ facile dire una cosa del genere, ma se poi te ne vai
via, e mi lasci qui come un pirla con un senso di colpa troppo immenso per
poterlo gestire, come faccio io? Come cazzo faccio?
Che poi è la stessa cosa che mi ha
chiesto lui in quel momento: come faccio?
E io ho detto non so, magari puoi ricordarti
che sei la persona più importante della mia vita. Non ti tradirò
mai più, James, te lo prometto.
E a dispetto di quel che dice e pensa
l’Inghilterra intera, io quella promessa l’ho mantenuta: non ho mai
tradito James. Possono anche darmi dell’assassino e del mostro, ma io so
che l’ho mantenuta, e lo sapeva James, e lo sa Harry e lo sai tu, Remus.
Ed è questo l’importante.
Ok, mi ha detto lui con gli occhi rossi.
E un’altra volta cadevamo in piedi.
Il resto del nostro sesto anno di scuola
è stato una corsa folle nell’allegria più sfrenata.
Dicembre fu consacrato interamente alla Mappa del Malandrino, come
l’avevamo battezzata; Remus, l’unico in grado di farlo, si
dedicò all’incantarla, secondo i criteri che stabilimmo: tutta la
storia del giuramento solenne per farla comparire, e le rispostacce che
arrivavano se cercavi di costringerla a rivelarsi in qualche altro modo. Non ho
mai capito bene su quale principio funzioni quell’incantesimo, ma
è fenomenale; a volte ci mettevamo noi stessi a cercare di imbrogliarla,
solo per ridere delle cattiverie che “noi stessi” ci rispondevamo:
ed erano assolutamente in linea con le nostre personalità.
James ebbe l’idea di fare in modo che
anche le presenze umane venissero segnalate dalla mappa: così avremmo
saputo sempre dove non ci conveniva andare, o dove trovarci tra noi. E,
miracolo, Remus riuscì a fare anche questo; mentre lui lavorava duro tra
formule e carteggi, io, James e Peter terminavamo gli ultimi giri di
esplorazione, per verificare di non aver trascurato nulla. Con questo non
voglio dire che siamo arrivati a conoscere TUTTI i segreti del Castello,
perché sarebbe impossibile: già solo la Camera dei Segreti era
chiaramente al di là della nostra portata, come Tom Riddle e Harry ci
hanno dimostrato. Per quanto riguardava la Foresta, poi, ci basammo sulle conoscenze
acquisite durante le nostre trasformazioni in Animagi. Ma non erano molto
vaste, anche perché nemmeno per un cane o un cervo era prudente
avventurarsi nei suoi meandri. E quando ci andavamo con Remus il Lupo, avevamo
già il nostro daffare a tenerlo d’occhio, non ci restava il tempo
di andare a vedere cosa ci fosse più in là e trovare la posizione
esatta sulla carta.
Nelle vacanze di Natale ci dedicammo a questo
esclusivamente. Per tutto il mese di gennaio continuammo a darci sotto,
dovevamo anche aiutare Remus a riordinare tutti gli appunti nel Quaderno per
trasferirli sulla mappa senza dimenticare qualche pezzo. E finalmente, dopo
anni di lavoro, il 18 febbraio la
Mappa del Malandrino venne inaugurata ufficialmente con una
bevuta storica e una corsa folle per tutto il Castello, un’intera notte
di pazzie. Avevamo fatto anche più in fretta del previsto, perché
in quei mesi eravamo andati avanti senza soste.
La cosa tra l’altro ci fece bene:
quando ci rilassammo e tornammo alla realtà, erano passati già
più di due mesi dalla notte di Severus alla Stamberga, senza quasi che
ce ne fossimo accorti. Le settimane si erano accumulate e avevano mitigato un
po’ il ricordo, pur sempre vivido, di quel momento vergognoso della mia
esistenza. E poi eravamo così fieri di noi, voglio dire di noi quattro
insieme, di quel che costituivamo, che non aveva senso rimuginarci su.
Adesso avevamo una padronanza
pressoché assoluta del microcosmo in cui vivevamo, Hogwarts. Quasi non
ci ricordavamo più che c’era un mondo immenso, fuori, su cui non
avremmo mai potuto avere quella supremazia; e in quel mondo tirava un vento di guerra
del quale ci arrivava solo qualche alito leggero. Albus dispiegava il suo
mantello per proteggere il suo piccolo stato con la sola possanza della sua
sovrumana autorevolezza.
James si fece più pressante con Lily,
e lei sempre più ritrosa; ma ora che ci penso qualcosa cominciava a
cambiare già allora. Di sicuro io ero sempre più infastidito e
sia io che Remus notammo che ogni tanto lei lo guardava.
Io continuavo a farmi corteggiare da
qualunque ragazza mi capitasse a tiro e a fare lo splendido, bello, ribelle e
impossibile: adoravo quella parte e ci giocavo su ogni volta che ne avevo
l’occasione, anche perché James rideva fino ad avere mal di pancia
di quei miei siparietti da divo.
Una notte Remus ci sfuggì, durante la
trasformazione, proprio nei pressi di Hogsmeade: lo fermai appena in tempo
prima che aggredisse un paesano ignaro che rientrava a casa a tarda notte. In
qualche modo mi sembrò di aver ripagato la faccenda di Severus. Ma ne
ridemmo su tutti, anche lui: non ci rendevamo conto dei potenziali pericoli,
era tutto un gioco per noi, gli onnipotenti Malandini. Il guaio fu che
conservammo questa stessa prospettiva sul mondo anche dopo, nella vita
“vera” fuori dalla scuola. Forse abbiamo preso sottogamba Voldemort
e il pericolo che rappresentava, proprio per questo.
Così, sempre più uniti, sempre
più adulti e sempre più sicuri di noi, ci avvicinavamo alla fine
del gioco senza saperlo. Io e James prendemmo a dedicare un po’
più tempo al nostro esclusivo rapporto, che ormai non era più
solo quello di compagni di scuola, ma di amici veri, totali, a centottanta
gradi, e che avrebbe avuto un ulteriore balzo avanti quell’estate, quando
ci trovammo a vivere insieme fuori da Hogwarts: l’estate del mio sesto
anno, quella in cui, inaspettatamente anche per me, visto che non l’avevo
certo progettato, presi la decisione che avrebbe cambiato la mia vita e mi
schierai definitivamente dal lato opposto a quello cui avrei dovuto
appartenere.
X sourcream: Mi
manchi molto. Spero che questo ti faccia piacere e he presto o tardi ci
ritroveremo da qualche parte. Nel frattezmpo sono svenuta e i fasci hanno vinto
qui in Francia. Che palle. Lo so, bbiamo la stessa visione e siccome non simo
due qulunque ma io e te abbimo ragione di sicuro. Hai visto che pochi errori c’erano
nel cpitolo scorso? Questo non l’ho controllato benissimo, cioè l’ho
riletto più volte ma tu sai i miei problemi di distrazione –oltre a
tutti gli altri che ho nella testa. A presto, gioia strisciante.
X Mixky:
Graazieeee... Arriva fin li’ il suono delle mie fusa soddisfatte? Sono
contenta che ti piaccia nonostnte la temtica, ed è vero che ci sono
molti richiami, è inevitabile: ho una visione prechio precisa dei
marauders ormai e per qunto si approfondisa sempre, certi tratti sono quelli.