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Autore: suni    07/05/2007    4 recensioni
Al 12 di Grimmauld Place, nel silenzio, soltanto un uomo ed una penna d'oca, per raccontare una storia d'amicizia che è una storia d'amore, un amore mai ammesso e mai nato...
(siate altruisti, lasciatemi un commento, anche se probabilmente negativo...)
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James Potter, Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sesto anno

Sesto anno

 

Quella fu l’ultima estate che trascorsi a Grimmauld Place, già. E per molto tempo, dopo, ho pensato che in questa casa non ci avrei vissuto più. Era l’unica cosa certa che sapevo di volere nella vita, io che crescendo persi ogni interesse per i progetti a lungo termine, non vivere più qui. Perché questa casa è la mia Azkaban personale; ho ricordi in questo posto che sono letali quasi quanto i Dissennatori.

La Vita ha uno strano senso dell’umorismo.

L’estate prima del sesto anno la trascorsi trincerato nella mia camera da letto. Se ne uscivo era la guerra mondiale. Ero sotto processo, anzi, ero già condannato, e ancora una volta senza aver fatto nulla. Walburga ormai mi odiava con un accanimento che rasentava la follia: il solo guardarmi la riempiva di disgusto ed ira, qualcosa di fisico. Finì con l’isolarmi, non mi voleva nemmeno più a tavola con loro: trovarsi davanti la mia faccia la riempiva di una furia incontenibile.

Ne fui sollevato, perché ogni pasto con la famiglia Black si rivelava un incubo.

La cosa peggiore era quando qualcun altro dei nostri parenti ci veniva a trovare: zia Elladora provava il massimo piacere nel guardarmi arricciando le labbra con somma ripugnanza fino a costringermi ad abbassare lo sguardo –era l’unica persona che ci riuscisse, in effetti- e Rodolphus, il marito di mia cugina, sembrava adorare l’elencare tutte le cosiddette prodezze da lui compiute ai tempi della scuola, qualche anno prima, in rapporto alla pochezza di tutto ciò che mi riguardava.

Dal canto mio ero l’incarnazione stessa dell’insofferenza. Quella gente aveva un modo completamente perverso e malsano e di guardare alla vita. La tanto agognata e preservata Purezza dominava le loro menti, tutto ciò che contava veniva ridotto al potere, alla posizione. Si intossicavano di conoscenze “convenienti” e ostentazioni di superiorità. In realtà credo vivessero ancora nell’800, quando i Black si avvolgevano di sete e perle per partecipare a sontuosi banchetti a Buckingham Palace in corsetto e mantello di velluto, le bacchette bordate in oro massiccio.

Questa comunque era l’immagine che io e James avevamo ricostruito nelle nostre lettere. Quelle furono l’unica cosa bella di quell’estate. Le sue lettere erano fogli e fogli zeppi di confidenze, storielle per farmi ridere, aneddoti su momenti della sua estate divertenti nonostante la nostalgia –questo lo specificava sempre- e questo tipo di cose. Credo ci mettesse ore, ogni volta che mi scriveva, a mettere su carta tutte le cose che aveva voglia di dirmi. Perché, più che mai, ultimamente il nostro rapporto si era ancor più accresciuto. Adesso parlavamo davvero di tutto, dubbi, paure, incertezze, quel genere di cose sgradevoli che cominci a provare quando l’infanzia davvero si avvicina alla fine.

Il mondo esterno diventava lentamente qualcosa di concreto, che iniziava ad avvicinarsi: una realtà in cui le cose sarebbero state meno semplici; e per contrasto ci stringevamo ancora più tra noi, a mo’ di difesa.

Perciò, la gioia di settembre fu qualcosa di portentoso. Altri nove fantastici mesi in cui niente e nessuno si sarebbe messo tra di noi.

Il secondo giorno fissammo gli obbiettivi fondamentali che dovevamo ad ogni costo raggiungere quell’anno, prima di ogni altro.

Qualcosa come:

I Signori Lunastorta, Codaliscia, Felpato e Ramoso

Prendono l’impegno solenne e irrefutabile

Di portare a termine entro codesto

Giugno 1976

I seguenti impegni d’utilità pubblica:

- Terminare l’esplorazione del Castello

- (perciò anche) la stesura della Mappa secondo i criteri prestabiliti

(o almeno di arrivare a buon punto)

- Salutare degnamente il vecchio Puzzone Pringle

che lascerà a giugno questa valle di lacrime

- Liberarsi di Snivellus nei modi e tempi che verranno

secondariamente stabiliti

(- conquistare la Evans)

(Sognatelo)

 

Naturalmente il “sognatelo” in fondo era mio.

Ad ogni modo fu esattamente quello che facemmo… Voglio dire, a Giugno avevamo finito la Mappa, conoscevamo Hogwarts come nessun altro studente prima di noi, Apollonius era stato salutato da un’esplosione di Caccabombe in ogni angolo del Castello –e se dico ogni, intendo proprio ogni- James si era sognato per tutto l’anno di conquistare Lily e Severus aveva quasi perso la vita.

E non ho altro da dire su questa storia. Non c’entra niente con l’argomento originario, me e James. Però è vero che quella notte cambiò molte cose tra noi tutti, anche tra me e Jim. E probabilmente ha influito sul futuro più di quanto credessimo.

Di sicuro, da allora Severus Piton odiò me e James non più con l’antipatia di un ragazzino ma con l’intensità e la concretezza di un adulto. Si era convinto che anche Jim avesse preso parte al mio piano per farlo sbranare da Remus –non era assolutamente quel che avevo pensato di ottenere, sia chiaro- e che se la fosse fatta sotto all’ultimo momento: quindi era anche un vigliacco, per giunta.

Ma James non c’entrava niente, e non lo dico per non rovinare la sua immagine o cazzate del genere ma perché è così.

Quello conseguente allo Scherzo a Severus fu in assoluto il peggior litigio tra me e James in tutte le nostre vite. Non l’avevo mai visto così furioso prima, e nemmeno lo vidi in seguito. Alcune delle cose che mi disse in quell’occasione mi hanno realmente segnato; penso di aver capito più cose di me durante la sfuriata che mi fece quando ci vedemmo al mattino che in tre interi anni di vita.

La situazione era: Remus non mi rivolgeva la parola nemmeno se costretto, James diventata viola di rabbia solo vedendomi e Peter non sapeva bene come raccapezzarsi; penso sia stato allora che ha cominciato ad avere paura di me.

Remus non ne voleva davvero sapere di perdonarmela: questa volta avevo esagerato davvero, e sono d’accordo con lui. Se James non fosse intervenuto così tempestivamente come ha fatto Severus sarebbe sicuramente morto, e Remus trasformato in un assassino; e nessuno meglio di me sa quanto sia tremendo e schiacciante il peso dell’essere artefice della morte di qualcuno senza volerlo. Non ho solo rischiato di far fuori Snivellus –la perdita a parer mio sarebbe stata accettabile- ma di rovinare la vita di Remus per sempre, di farlo sbattere ad Azkaban o chissà cosa.

James dava letteralmente i numeri, era fuori di sé. Come avevo potuto fare una cosa del genere, essere così egoista e menefreghista nei confronti di uno dei miei migliori amici e usarlo come un oggetto, un mezzo per raggiungere i miei stupidi obiettivi? Come avevo potuto essere tanto maligno da quasi provocare la morte di un’altra persona? Che cos’ero, una specie di mostro?

Non ti riconosco, mi urlava, non so chi sei, non so più chi sei. Non era solo arrabbiato, era nel panico. Credo di aver impiegato anni a capirlo, ma il fatto era che io e James eravamo l’uno per l’altro la più grande certezza della vita; e quella certezza gli era crollata addosso all’improvviso svelando cose che James non avrebbe mai voluto vedere: che anch’io potevo essere, seriamente, cattivo e subdolo. Era atterrito.

Rifiutò anche solo di ascoltarmi per giorni e giorni, come Remus.

Io ero seriamente pentito. Avevo agito senza pensare, come capitava spesso. Non avevo intenzione né di uccidere Severus né tantomeno di usare Remus –dimentichiamo la faccenda, vuoi?- e mi rendevo conto solo allora di quanto ero andato vicino alla catastrofe.

Capivo anche quanto i miei amici dovessero sentirsi delusi. Non mi ero mai sentito così enormemente cretino prima di allora: cercavo con tutte le mie energie un modo per rimediare.

Braccai Remus all’uscita da una lezione e lo costrinsi letteralmente a starmi a sentire: gli spiegai quanto mi sentissi disgustoso e miserabile e quanto desiderassi rimediare al mio errore e dimostrargli di aver capito, in qualunque modo volesse, ero disposto a qualunque cosa. Mi sentivo talmente male che dopo l’ennesimo “mi dispiace, mi dispiace da morire” scoppiai in singhiozzi. Non te lo meritavi, ripetevo, non tu, che vali così tanto. Non sapevo più cosa dire, non avevo più tattiche o uscite ad effetto, perciò finii col dire semplicemente la verità: che lo consideravo il fratello che il destino non mi aveva consentito di avere e che mi detestavo, volevo poter tornare indietro e non fare quella sciocchezza enorme e crudele in cui mi ero gettato senza criterio.

Remus tentò di replicare che ormai erano inutili tante parole e che quel che era successo non si poteva… Cancellare, presumo volesse dire, ma non gliene lasciai il tempo: gli afferrai la mano con enfasi da invasato e strillai se davvero ritenesse che non tenessi a lui. Nell’enfasi appunto, aggiunsi che era vero, Severus aveva rischiato la vita, quella notte, faccia a faccia con un Licantropo; ma io lo facevo ogni mese, e con somma gioia.

Davvero, con somma gioia.

Remus dovette capire che ero sincero, perché quasi si commosse.

Mi chiese come poteva fidarsi di nuovo di me.

Risposi che doveva semplicemente farlo. Che mi concedesse una seconda occasione, e non l’avrei sprecata per nessuna ragione.

E l’ha fatto.

Se ci penso, ora, mi rendo conto che ci sono al mondo persone di una grandezza d’animo straordinaria, di una generosità innata e luminosa, capaci di cose grandissime celate in piccoli atti; e –lo urlerò finchè non te ne convincerai- Remus J. Lupin è una di queste.

Con James fu un altro paio di maniche.

La delusione lo stava divorando, e nemmeno il vedere che Remus dal canto suo sembrava propenso al perdono sembrò placare il suo animo ferito. Non serviva a niente aspettarlo dopo gli allenamenti o all’uscita da lezione, perché era bravo a scappare più di me a inseguirlo.

Una mattina, eravamo ai primi di dicembre, informò casualmente la camerata che aveva intenzione di tornare a casa per Natale. Compresi precisamente cosa questo sottintendesse, e agii d’impulso: mi viene da ridere adesso, ma la verità è che aspettai che fosse entrato nella doccia e mi chiusi in bagno con lui. Per poco non gli venne un colpo.

Si mise ad urlare e mi chiese cosa credevo di fare. Risposi, mentre lui si copriva con l’asciugamano, che nudo come un verme non poteva scappare molto lontano e che per uscire da quella porta mi doveva Schiantare.

Non c’era nulla di minimamente ambiguo o malizioso in quella scena; non feci nemmeno caso al fatto che James fosse nudo e che la situazione, ad occhi esterni, potesse sembrava per lo meno inconsueta. Volevo solo che non mi odiasse, perché mi risultava insopportabile.

Voglio che non mi odi; prego da tanti anni che il suo ultimo pensiero verso di me non sia stato di rabbia o di risentimento, che non mi abbia odiato per quello che è successo anche se ho tutte le colpe. Che sapesse che agivo nel suo interesse, che non avrei mai voluto che gli accadesse nulla di male e che sarei volentieri morto io al suo posto, quella notte. Una volta qualcuno ha detto che non esistono uomini perfetti, ma solo intenzioni perfette: e le mie lo erano. Erano pulite e generose, perché stavo davvero mettendo la sua vita, e quella della sua famiglia, molto prima della mia.

 Ma non voglio come al solito divagare.

James mi rispose che mi avrebbe volentieri Schiantato senza esitare, checchè ne pensassi, se avesse avuto la bacchetta a portata di mano.

Gli porsi la mia. Allora fallo, suggerii col cuore in gola. Se ti fa sentire meglio.

James, con cipiglio minaccioso, la afferrò e me la puntò contro: rimase fermo per qualche istante, determinato, ma dalla bacchetta non provenne nulla; la abbassò lentamente, chinando la testa, prima di restituirmela. Non ti voglio Schiantare, mormorò, e non mi farebbe sentire meglio.

Allora gli chiesi cosa lo avrebbe fatto sentire meglio. Che, qualunque cosa fosse, l’avrei fatta.

“Niente. Non c’è niente che tu possa fare” mi rispose, e ricordo che sembrava veramente sconsolato. Gli feci notare in un mormorio che mi sembrava assurdo che potesse voler davvero chiudere la nostra amicizia senza nemmeno fare un tentativo. Che avevo commesso un errore enorme e ne ero consapevole, e che avrei evitato che succedesse di nuovo. So che avevo veramente paura, perché la sua faccia restava rigida e piena di rammarico mentre continuavo a parlare, non riuscivo a vedere uno spiraglio e per la prima volta razionalmente mi trovavo faccia a faccia con l’ipotesi che fosse la fine.

Non è che la VOGLIA chiudere, obiettò James, stranamente pacato, Ma non vedo come potrei evitarlo. Secondo lui, aggiunse, quello che avevo fatto era indelebile.

Era serio, calmo; ricordo che mi sono sentito crollare il mondo addosso, la stessa sensazione di quando perdi l’equilibrio e cadi nel vuoto: poi ti svegli di soprassalto e ti accorgi che stavi dormendo, e io mi volevo svegliare.

Non ho veramente pianto: hanno cominciato a lacrimarmi gli occhi senza che facessi niente, stavo solo lì fermo e le lacrime correvano giù. Non era teatrale o drammatico dall’esterno, credo, ma dentro ero in tanti piccoli pezzi, e mi sembrava che fossero quelli a scapparmi fuori dagli occhi.

James si era seduto sulla tazza del water e stava lì a testa bassa. Mi chiese ancora una volta come avevo potuto, e io ho risposto non lo so, Merlino, e ho ripetuto ancora una volta la solita frase, il leitmotiv della mia vita: se solo potessi tornare indietro.

Tornare indietro e cambiare le cose, compiere scelte differenti, non chiedo altro. Anche qui, seduto davanti a questi fogli, voglio solo poter tornare indietro. Voglio un’altra seconda occasione, come quella che mi diede Remus tanti anni fa.

Ce la meriteremmo, James e io.

 Ma non puoi, Sirius. Non si può tornare indietro e cambiare le proprie azioni, anche se non si chiede altro, si può solo subirne le conseguenze, e a volte sono conseguenze immutabili. A volte quel che è rotto non si può aggiustare.

E’ ironico, in qualche maniera, che sia stato proprio James Potter a dirmi queste parole profetiche. Non poteva sapere quel che stava realmente dicendo, né potevo saperlo io, perché sarebbe successo anni dopo. Però sono queste parole, e la sua voce, che risento, quando di notte il materasso è scomodo e la stanza troppo vuota, quando non posso dormire.

Ma a volte sì, risposi in un sussurro, a volte si aggiusta, e funziona di nuovo.

Mi sono avvicinato e gli ho preso una mano. James l’ha guardata, stretta nella mia, e ha sorriso con tristezza.

E poi ha detto un’altra cosa che ricordo molto bene.

Non posso pensare che queste due mani non si stringeranno più.

Certe volte diceva cose, Jim, che ti lasciavano lì come un sasso.

E allora non farlo, ho risposto. E ora mi verrebbe da aggiungere, certe volte –quando sono sbronzo, in realtà- sei un bello stronzo, perché come faccio a stringerti la mano, adesso? Come vuoi che faccia, se te ne sei andato via dove non so raggiungerti? E’ facile dire una cosa del genere, ma se poi te ne vai via, e mi lasci qui come un pirla con un senso di colpa troppo immenso per poterlo gestire, come faccio io? Come cazzo faccio?

Che poi è la stessa cosa che mi ha chiesto lui in quel momento: come faccio?

E io ho detto non so, magari puoi ricordarti che sei la persona più importante della mia vita. Non ti tradirò mai più, James, te lo prometto.

E a dispetto di quel che dice e pensa l’Inghilterra intera, io quella promessa l’ho mantenuta: non ho mai tradito James. Possono anche darmi dell’assassino e del mostro, ma io so che l’ho mantenuta, e lo sapeva James, e lo sa Harry e lo sai tu, Remus. Ed è questo l’importante.

Ok, mi ha detto lui con gli occhi rossi.

E un’altra volta cadevamo in piedi.

Il resto del nostro sesto anno di scuola è stato una corsa folle nell’allegria più sfrenata. Dicembre fu consacrato interamente alla Mappa del Malandrino, come l’avevamo battezzata; Remus, l’unico in grado di farlo, si dedicò all’incantarla, secondo i criteri che stabilimmo: tutta la storia del giuramento solenne per farla comparire, e le rispostacce che arrivavano se cercavi di costringerla a rivelarsi in qualche altro modo. Non ho mai capito bene su quale principio funzioni quell’incantesimo, ma è fenomenale; a volte ci mettevamo noi stessi a cercare di imbrogliarla, solo per ridere delle cattiverie che “noi stessi” ci rispondevamo: ed erano assolutamente in linea con le nostre personalità.

James ebbe l’idea di fare in modo che anche le presenze umane venissero segnalate dalla mappa: così avremmo saputo sempre dove non ci conveniva andare, o dove trovarci tra noi. E, miracolo, Remus riuscì a fare anche questo; mentre lui lavorava duro tra formule e carteggi, io, James e Peter terminavamo gli ultimi giri di esplorazione, per verificare di non aver trascurato nulla. Con questo non voglio dire che siamo arrivati a conoscere TUTTI i segreti del Castello, perché sarebbe impossibile: già solo la Camera dei Segreti era chiaramente al di là della nostra portata, come Tom Riddle e Harry ci hanno dimostrato. Per quanto riguardava la Foresta, poi, ci basammo sulle conoscenze acquisite durante le nostre trasformazioni in Animagi. Ma non erano molto vaste, anche perché nemmeno per un cane o un cervo era prudente avventurarsi nei suoi meandri. E quando ci andavamo con Remus il Lupo, avevamo già il nostro daffare a tenerlo d’occhio, non ci restava il tempo di andare a vedere cosa ci fosse più in là e trovare la posizione esatta sulla carta.

Nelle vacanze di Natale ci dedicammo a questo esclusivamente. Per tutto il mese di gennaio continuammo a darci sotto, dovevamo anche aiutare Remus a riordinare tutti gli appunti nel Quaderno per trasferirli sulla mappa senza dimenticare qualche pezzo. E finalmente, dopo anni di lavoro, il 18 febbraio la Mappa del Malandrino venne inaugurata ufficialmente con una bevuta storica e una corsa folle per tutto il Castello, un’intera notte di pazzie. Avevamo fatto anche più in fretta del previsto, perché in quei mesi eravamo andati avanti senza soste.

La cosa tra l’altro ci fece bene: quando ci rilassammo e tornammo alla realtà, erano passati già più di due mesi dalla notte di Severus alla Stamberga, senza quasi che ce ne fossimo accorti. Le settimane si erano accumulate e avevano mitigato un po’ il ricordo, pur sempre vivido, di quel momento vergognoso della mia esistenza. E poi eravamo così fieri di noi, voglio dire di noi quattro insieme, di quel che costituivamo, che non aveva senso rimuginarci su.

Adesso avevamo una padronanza pressoché assoluta del microcosmo in cui vivevamo, Hogwarts. Quasi non ci ricordavamo più che c’era un mondo immenso, fuori, su cui non avremmo mai potuto avere quella supremazia; e in quel mondo tirava un vento di guerra del quale ci arrivava solo qualche alito leggero. Albus dispiegava il suo mantello per proteggere il suo piccolo stato con la sola possanza della sua sovrumana autorevolezza.

James si fece più pressante con Lily, e lei sempre più ritrosa; ma ora che ci penso qualcosa cominciava a cambiare già allora. Di sicuro io ero sempre più infastidito e sia io che Remus notammo che ogni tanto lei lo guardava.

Io continuavo a farmi corteggiare da qualunque ragazza mi capitasse a tiro e a fare lo splendido, bello, ribelle e impossibile: adoravo quella parte e ci giocavo su ogni volta che ne avevo l’occasione, anche perché James rideva fino ad avere mal di pancia di quei miei siparietti da divo.

Una notte Remus ci sfuggì, durante la trasformazione, proprio nei pressi di Hogsmeade: lo fermai appena in tempo prima che aggredisse un paesano ignaro che rientrava a casa a tarda notte. In qualche modo mi sembrò di aver ripagato la faccenda di Severus. Ma ne ridemmo su tutti, anche lui: non ci rendevamo conto dei potenziali pericoli, era tutto un gioco per noi, gli onnipotenti Malandini. Il guaio fu che conservammo questa stessa prospettiva sul mondo anche dopo, nella vita “vera” fuori dalla scuola. Forse abbiamo preso sottogamba Voldemort e il pericolo che rappresentava, proprio per questo.

Così, sempre più uniti, sempre più adulti e sempre più sicuri di noi, ci avvicinavamo alla fine del gioco senza saperlo. Io e James prendemmo a dedicare un po’ più tempo al nostro esclusivo rapporto, che ormai non era più solo quello di compagni di scuola, ma di amici veri, totali, a centottanta gradi, e che avrebbe avuto un ulteriore balzo avanti quell’estate, quando ci trovammo a vivere insieme fuori da Hogwarts: l’estate del mio sesto anno, quella in cui, inaspettatamente anche per me, visto che non l’avevo certo progettato, presi la decisione che avrebbe cambiato la mia vita e mi schierai definitivamente dal lato opposto a quello cui avrei dovuto appartenere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

X sourcream: Mi manchi molto. Spero che questo ti faccia piacere e he presto o tardi ci ritroveremo da qualche parte. Nel frattezmpo sono svenuta e i fasci hanno vinto qui in Francia. Che palle. Lo so, bbiamo la stessa visione e siccome non simo due qulunque ma io e te abbimo ragione di sicuro. Hai visto che pochi errori c’erano nel cpitolo scorso? Questo non l’ho controllato benissimo, cioè l’ho riletto più volte ma tu sai i miei problemi di distrazione –oltre a tutti gli altri che ho nella testa. A presto, gioia strisciante.

X Mixky: Graazieeee... Arriva fin li’ il suono delle mie fusa soddisfatte? Sono contenta che ti piaccia nonostnte la temtica, ed è vero che ci sono molti richiami, è inevitabile: ho una visione prechio precisa dei marauders ormai e per qunto si approfondisa sempre, certi tratti sono quelli.

   
 
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