Leotordo
Quanto era grande il mondo!
L'erbetta soffice aveva attutito la caduta.
Leotordo(anche se non era ancora il suo nome) saltellò
facendosi strada nella foresta verde di foglioline e fiori appena
risvegliati dal tepore notturno.
Beccò il terreno curioso di scoprirne il sapore,
ma
incontrò solo la superficie fredda e dura di un sasso
parzialmente coperto dal muschio.
Contrariato aprì le ali, tentando di spiccare il
volo, ma le
agitò invano, svolazzò per pochi
secondi prima di
ricadere a terra.
Stufo, smise di tentare e piroettò esplorando il
mondo
con cui aveva improvvisamente cozzato, con un velo di
nostalgia per il nido.
Si avvicinò a una coppia di insetti intenti a corteggiarsi
su una foglia, ma i piccoli coleotteri, forse desiderosi di
maggiore
privacy, ronzarono rumorosamente e se ne andarono lontano.
Il pulcino li seguì con gli occhi sproporzionati per quel
piccolo corpicino e vide, alta nel cielo, Mamma
Gufa che tornava
dall'ultima battuta di caccia, stringendo un grosso insetto nel becco.
Gli venne nostalgia, la fame aveva preso il posto della
curiosità.
Mamma Gufa sentiva pigolare in lontananza, non era forse un pulcino?
Ruoto il capo per ascoltare meglio, ma appena giunse al nido, tutti i
suoni vennero coperti dagli insistenti richiami dei piccoli gufi
affamati.
Dimentica dei pigolii sentiti in volo, imbeccò i piccoli.
I baffi della bestiola fremevano mentre annusava accuratamente
l'aria, le orecchie ritte per captare il minimo rumore.
Il vento lo informò che nelle vicinanze c'era la sua merenda.
Annusò l'aria ancora un ultima volta per decidere la
direzione e poi partì all'inseguimento dell'usta,
finchè non lo vide.
Piccolo e indifeso, il pulcino continuava a cinguettare ignaro.
La faina era pronta a scattare, quando le nari la informarono
del Suo arrivo, l'aria era pregna del Suo odore e andava rafforzandosi.
Diede un ultimo sguardo alla preda e senza nemmeno troppi rimpianti,
con
un guizzò si dileguò nella macchia.
Leotordo sentì il fruscio dietro a se, ma non vide nulla.
Sentì un altro rumore davanti a se e vide una strana
creatura.
Enorme e rumorosa, avanzava senza paura.
Spaventato dalle dimensioni dell'enorme bestia, Leotordo
fuggì il più silenziosamente possibile.
Ormai dimenticò di Mamma Gufa e della Bestia,
saltellò allegramente, gonfiando il petto e
aprendo le ali,
quasi volesse abbracciare il mondo.
C'era un tronco secco e nero, sempre saltellando e
svolazzando, vi ci
salì e forse per errore, o forse per decisione
propria, cadde.
Il mondo si avvicinava velocemente, gli andava contro...
Spalancò le ali e scoprì che volava,
finalmente.
Continuò a volare a lungo soddisfatto, senza preoccuparsi
del
vento che si faceva sempre più violento.
Troppo violento.
A un certo punto il vento da amico gioviale e compagno di giochi
divenne suo nemico e lo ricacciò indietro, facendogli fare
mille capriole in aria.
Se avesse avuto più esperienza di volo, Leotordo avrebbe
fatto poche semplici mosse che gli avrebbero consentito di riprendere
possesso del proprio corpo, ma dato che era inesperto e fino a
pochi minuti prima aveva volato solo nei suoi sogni, venne sballottato
qua e la dal vento.
Si risvegliò in una gabbia.
Non sapeva di essere in gabbia perchè non c'era mai stato,
ma
non importava.
Era vivo e tanto gli bastava.
Ululò allegramente, felice.
Tentò di spiccare il volo ma andò a sbattere
contro le sbarre della gabbia.
Per un secondo rimase perplesso e tentò di nuovo a volare e
di nuovo andò a sbattere contro la gabbia.
Ululò selvaggiamente, spaventato.
Ma come, aveva appena imparato a volare e già non poteva
più farlo?
Cozzò contro le sbarre d'acciaio, frullando le alucce
finchè il velo blu che copriva la gabbia venne tolto.
Un essere simile alla Bestia fece capolino, ma non sembrava
ostile.
L'uomo (perchè sì, la Bestia non era altro che un
essere umano) aprì la porticina della gabbia e
entrò col palmo aperto.
Diffidente, Leotordo si allontanò il
più
possibile.
Restò immobile in un angolo della gabbia, deciso a
non
spostarsi, ma anche la mano non sembrava voler desistere.
Alla fine, la curiosità del cucciolo inesperto
prese il
sopravvento.
Saltellando si avvicinò, fermandosi per accertarsi che la
mano non facesse movimenti bruschi.
Sul palmo c'erano delle cose nere, cauto, ne
beccò una e
scoprì che era buona.
Ormai del tutto tranquillo, beccò anche le altre cose nere e
quando finì, la mano si ritirò e il
velo
tornò a oscurare la gabbia.
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