Il braccialetto

di Shiki Ryougi
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Prompt di mezzogiorno: 

L'inseguimento: una corsa che ti lascia senza fiato, per fuggire da chi vi insegue o per raggiungere chi fugge. A piedi, in macchina, in carrozza o in astronave non importa; così come non importa  il motivo per cui si corre  col cuore in gola: può essere la classica situazione da guardie e ladri, un inseguimento sportivo (pensate a Coppi e Bartali) oppure il cacciatore che insegue la preda, va bene anche la rincorsa mattutina dietro al pullman che è appena passato.
Quello che conta è che dovete farci venire il fiatone solo a leggervi
Boa obbligatoria: Un unico punto di vista, o quelli di chi rincorre o quello di chi fugge; non necessariamente in prima persona, ma sono esclusi narratori onniscienti o esterni.
Boa facoltativa: durante l'inseguimento qualcosa si strappa o si rompe.

 

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Rachele aveva esaurito le forze.  
E correva, cercando di raggiungere il fratello, diretto chissà dove con i suoi amici.
Marco aveva dieci anni, quattro più di lei e le gambe molto lunghe.
In cuor suo la bambina sapeva che era impossibile raggiungerlo, ma voleva provarci lo stesso.
Era troppo importante, lui aveva bisogno del suo portafortuna; quello che Rachele gli aveva fatto con tanta cura, per regalo di compleanno. Un braccialetto che lei trovava bellissimo.
Marco l’aveva dimenticato sul tavolo, poco prima di uscire; ed ora Rachele correva.
Il sole era alto nel cielo e i raggi picchiavano sulla sua testolina bionda. Le lacrime agli occhi e il cuore in gola. Era un portafortuna, Marco doveva averlo con sé.
Le scarpette gialle sporche di terra, il braccialetto ben stretto nella mano destra e le gambette nude piene di graffi. La piccola Rachele era caduta più volte, ma s’era rialzata subito, ignorando il dolore.
Correva, mentre osservava il fratello allontanarsi sempre di più.
Correva, tentando di urlare e farsi sentire, ma lui non si voltava mai.
Correva, alimentata da una forte determinazione.
Quel braccialetto era troppo importante.
Evitava gli ostacoli, rallentava per poi accelerare, scivolava sulle pietre e schivava i cespugli.
Lì era tutto incolto, abbandonato; i campi dove Marco andava a giocare non erano di nessuno, con l’erba altissima in alcuni punti e terra arida, piena di pietre, in altri.
Rachele non ce la faceva più, le lacrime le offuscavano la vista e il cuore martellava nella cassa toracica. Suo fratello era ormai lontanissimo. Quando si rese conto di averlo perso rallentò. Le gambe cedettero e si accasciò a terra, sollevando una nuvola polverosa.
Un fiume in piena le inondò il viso, cominciò a piangere. Prima in silenzio poi senza più ritegno.
Erano ovunque. S’erano sparse dappertutto.
Il braccialetto s’era rotto e le pietre che lo componevano s’erano disseminate tutt’intorno, in mezzo all’erba, sotto i sassi. La catenella, inerme e nuda, pendeva dalla mano della bambina ormai disperata.
Non le importava dei graffi, delle gambe tremanti e il fiatone che senza sosta le scuoteva il petto. Il braccialetto s’era rotto, tanto lavoro per niente. Il suo orgoglio era pezzi.
Continuò a disperarsi per un bel po’, con il sole che le illuminava il viso arrossato e pieno di polvere, rigato dalle lacrime. Stringeva la catenina, arrendendosi all’idea che non avrebbe mai trovato tutte le pietre.
«Che ci fai qui? ».
Una voce conosciuta sussurrò quelle parole.
Rachele si voltò e vide davanti a sé la lunga figura del fratello, che le gettava ombra addosso.
«Che ti è successo? Perché piangi?».
Marco le se accucciò accanto e lei smise di piangere.





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