L'aria ha l'odore del
sangue.
Ormai non ho più
la forza nemmeno di
girarmi, ma in fondo non lo voglio
davvero: so già
cosa vedrei, e il mio unico desiderio in questo momento, l'unica
preghiera che riesca ancora a fare è che mi sia risparmiato
il più
a lungo possibile il confronto con la realtà.
“Come siamo
arrivati... a questo... ?”
E' una
domanda retorica
questa, ma mi fa ugualmente venire le lacrime agli occhi: non ho
infatti risposte da offrire a quella voce bassa e roca, così
diversa
dalla mia e così amata.
Mi
sforzo di ritornare con
la mente ai mesi passati insieme.
Già,
come eravamo
arrivati a questo?
Possibile
che dal bene
possa nascere tanto male? L'amore è forse qualcosa di
sbagliato di
per sé stesso, una malattia che dovrebbe venir estirpata
ovunque si
presenti? Si vivrebbe meglio senza amare? Oppure, più
semplicemente,
si deve saper accettare che ci sono cose a questo mondo più
preziose
dei sentimenti, cose che nemmeno la pretesa di “fare del
bene” a
chi si ama ci consente di violare?
Cerco
– senza riuscirci
– di scuotere la testa.
Non
è giusto.
Non lo
è.
Il
cemento è duro e
scomodo: vorrei almeno riuscire ad alzarmi a sedere, ma sembra che io
non abbia più la forza necessaria nemmeno per un movimento
tanto
semplice.
Nella
mia mano destra, che
ormai sta perdendo rapidamente sensibilità, posso comunque
ancora
avvertire il freddo metallo del sonaglio che lui mi aveva donato.
Nel
silenzio innaturale
che ci avvolge come un sudario, sento il desiderio lacerante di farlo
tintinnare, almeno un'ultima volta.
Che
stupido... Stupido e
patetico.
Un solo
gesto di certo non
farà tornare le cose come prima.
Accanto a me sento un
fruscio.
Non ho
bisogno di muovermi
per sapere di chi si tratta.
Di
lì a pochi istanti,
infatti, il volto di Persona entra nel mio campo visivo: lui
è
l'unica cosa rimasta, oltre a noi due, in questa desolazione.
La sua
maschera mi fissa
senza espressione, come al solito: uno schizzo di sangue, vicino a
dove avrebbe dovuto esserci la bocca, è l'unico segno che ci
sia
davvero vita dietro quel bianco liscio e uniforme.
Gli
occhi perlacei, privi
di pupille, si piantano nei miei.
Sta
aspettando una
risposta, che io gli dica cosa fare.
Non
c'è da stupirsene: ho
appena distrutto il suo mondo, dopo tutto.
Ho
cancellato l'unico
posto che, se potesse parlare, avrebbe mai chiamato casa.
Lo
capisco perfettamente,
ma non posso fare a meno di desiderare che non mi fissi così.
“Persona, vieni qui.”
La voce
del mio innamorato
– posso ancora chiamarlo così dopo averlo tradito?
- è roca come
sempre, ma ha ora un tono teso, urgente.
La
maschera che
torreggia sopra di me ha un guizzo, mentre gli occhi passano
freneticamente da me e a lui, da lui a me.
“Allontanati da lui.”
La sua
voce non ammette
repliche.
Questa
volta, Persona
non ha più esitazioni e, alzandosi senza il minimo rumore,
esce dal
mio campo visivo.
Ora i
miei occhi
contemplano di nuovo solo il cielo: le nuvole nere corrono come
cavalli imbizzarriti, il fumo che sale dai tetti della città
che
fornisce loro interessanti ostacoli da saltare nella loro folle
corsa.
Avrei
voluto anche io
librarmi nel cielo e annullarmi correndo fino ai confini
dell'universo.
Ho
conosciuto qualcosa che
gli umani non avrebbero mai dovuto conoscere, e ora questa conoscenza
mi pesa nell'anima come un macigno, inchiodandomi al suolo. Di solito
si pensa che il sapere sia qualcosa che rende leggeri, che libera...
ma io ho visto il vero volto della sapienza. La conoscenza è
un
veleno che ti fa marcire dall'interno: parte dal cervello, per poi
infettare gli occhi, le orecchie... ogni tuo senso. E quando ha
finito di devastarti il corpo, si impossessa della tua anima e la
consuma come un mostro affamato. Questa è la conoscenza.
E nel
mio caso,
l'infezione, per quanto recente, è talmente grande e grave
che il
mio corpo non reggerà ancora per molto. L'unica nota
positiva è che
non sopravviverò abbastanza perché si impossessi
anche della mia
anima.
Morirò
da umano, questo è
sicuro.
Concedo
a me stesso di
ricordare solo per una frazione di secondo gli eventi delle
ultimissime ore: il potere, la paura, i giuramenti infranti, la
sapienza non voluta che mi si riversava nelle vene come veleno.
Certo,
c'era stata anche
l'estasi... ma quella ormai era passata. Per sempre.
“Amore...”
mormoro.
Non ho
alcun diritto di
chiamarlo così, lo so bene: ho commesso troppi errori.
Troppi,
troppi errori.
Per un
istante, mi perdo
nei ricordi: sono stati solo pochi mesi, in fondo, ma credo che
l'intero significato della mia esistenza sia stato deciso in questo
breve lasso di tempo.
Rido da
solo, come un
idiota.
Una
goccia di pioggia,
rossa come il sangue, mi cade sul viso.
Sta
piovendo sangue.
Per un
momento, immagino i
miei compagni di classe, ciascuno nelle proprie case: alcuni studiano
di certo, molti altri magari sono al telefono a parlare di professori
o di quale attrice del momento sia la più bella... e
intanto, dal
cielo sui tetti delle loro case le nuvole piangono sangue sulla loro
normalità.
Forse
sono tutti morti,
però.
Di
questo non posso essere
certo, e non avrò mai il tempo di accertarmene, ormai.
Forse
sono tutti morti a
quest'ora, e la colpa è solo mia.
E forse
questa pioggia
rossa è l'ultima traccia di vita in questa città
morta, insieme al
mio respiro affannoso.
Tra
poco sarebbe rimasta
solo la pioggia.
“Amore?!”
Locke
è infuriato: anche
se non posso vederlo e il tono della sua voce è
perfettamente calmo,
so che lo è.
“Dopo
tutto ciò che hai
fatto, ancora mi parli di... amore?”
Le
mie labbra si
muovono per pronunciare il suo nome – il suo vero
nome – ma si fermano alla prima lettera: detesta essere
chiamato a
quel modo.
Tuttavia,
in questo momento mi sembra che non ci sia nulla di più
importante
di quel nome: pronunciarlo sarebbe come mettere un punto fermo in
mezzo al caos.
Nella
mia mente ormai annebbiata e sempre più lontana dalla terra,
balenano frammenti della conoscenza che ho di recente acquisito, come
pagine strappate da un libro più grande: il potere dei nomi,
il
potere della scrittura... il nome è potere...
E io
voglio renderlo potente.
Se la
mia follia, di cui non riesco completamente a pentirmi, non ha
portato altro che male, voglio che dal vaso di Pandora che ho aperto
esca almeno questa piccola speranza: che in un mondo futuro, magari
un po' più giusto di questo che si sta sciogliendo sotto la
pioggia
intorno a noi, lui sia ciò che è nato per essere.
Gli
devo almeno questo.
“Te
lo avevo detto che avrei oltrepassato il confine tra i nostri
mondi...” replico, sorridendo malgrado tutto. “A
quanto pare, io
sono il tipo che, per oltrepassare una porta chiusa, invece di
scassinarla la butta direttamente giù.”
Se
chiudo gli occhi, ho quasi l'illusione di trovarmi in un altro luogo,
in quel piccolo parco in cui ci eravamo conosciuti, nel bel mezzo di
uno dei nostri soliti battibecchi: posso vedere senza vederlo davvero
il suo viso, illuminato dalla luce morente di un tramonto d'autunno
–
è sempre autunno nel nostro paradiso che ho creato nei miei
ricordi
– e posso vedere il suo sorriso, bello come il sole che sorge
sopra
il mare.
Mi
piacerebbe sentirlo ridere di nuovo.
Un'ultima
volta.
“Sei solo uno stupido. E io ho
esaurito gli scherzi.”
Un
sibilo crudele fende l'aria: è il rumore di una lama che
scivola
fuori dal suo fodero.
Dei
passi leggeri.
Non
voglio riaprire gli occhi: non voglio vederlo ora.
So che
potrebbe essere l'ultima volta che vedo il mio amore, ma mi ostino a
tenere gli occhi serrati.
Stupido,
eh?
“Ora ti mostrerò un'altra
magia. La mia ultima magia.”
Sorrido.
Siamo
arrivati alla fine.
So che
dovrei dire qualcosa... Almeno una parola di addio.
Dovrei
sforzarmi di sostenere il suo sguardo fino al mio ultimo respiro.
Tengo
gli occhi chiusi invece.
Un
egoista, e per di più vigliacco... ecco cosa sono.
Ma
temo che, se lo vedessi ora, la mia volontà evaporerebbe e
non
riuscirei a usare le forse che mi rimangono per fare ciò che
va
fatto: come puoi lasciare una persona che ami quando essa è
davanti
a te?
E poi
io non ho bisogno di guardarlo: in fondo, lo sto già
vedendo.
Dietro le mie palpebre chiuse, la
brezza leggera agita i suoi
capelli rossi mentre ride di qualcosa di strano che ho detto.
Comincia
a fare davvero
freddo, man mano che il sole tramonta, ma io non voglio andarmene:
questo vorrebbe dire lasciare andare la sua mano, e io gli ho
promesso di stare sempre con lui.
Intorno
a noi, ci sono
tutti.
Bambola
ha una
minigonna jeans, un maglione bianco e un gran sorriso, mentre mostra
tutta orgogliosa alle compagne di classe le foto della sua nuova
fiamma: tutte la guardano ammirata, ridacchiando e fingendo
imbarazzo. Lei ride con loro, racconta la gita in montagna che
farà
con la sua famiglia la settimana successiva e di come il suo
fratellino sia geloso di questo nuovo ragazzo.
Persona
sta giocando
a calcio con i ragazzi: è senza maschera e il suo fisico,
snello ma
muscoloso, è messo bene in evidenza dalla divisa della
squadra di
calcio della città, con grande gioia delle ragazze che
continuano a
lanciargli occhiate e arrossire. E' diventato molto popolare,
ultimamente. Ne parliamo spesso, io e Locke.
Lui,
al contrario dei
nostri due migliori amici, è rimasto identico a
sé stesso.
E'
giusto così: per
me, è bellissimo esattamente com'è, col suo
trucco pesante e gli
occhi sempre un po' tristi.
Per
fortuna, però,
nessuno sembra più far caso alle sue stranezze, anzi lo
adorano. In
classe gli chiedono spesso di mostrare qualche trucco di magia o di
suonare per accompagnare Persona che canta.
Ah,
a proposito del
nostro amico non più mascherato... lo sapevate che gli hanno
chiesto
di entrare nel coro della scuola come tenore? Era felicissimo:
è
sempre stato il suo sogno fin da bambino.
Bambola
sta intanto
informando le sue compagne delle sue lezioni di danza: sta andando
alla grande, ma questo non è una sorpresa per nessuno.
Voci
insistenti
chiedono ai tre di esibirsi.
Il
vento fa volare
intorno a noi le foglie morte, come tante ballerine dipinte.
Ecco,
questo è il nostro paradiso.
Nella
mia memoria, ricordo e speranza si sono fuse per creare un angolo di
mondo (im)possibile che sia solo per noi: un posto dove tutto sia
come dovrebbe essere.
Era
così che doveva andare.
Allora
perché, se avevo tutto così chiaro nella mente,
ho fallito?
Io
sognavo solo un mondo in cui io e i miei amici potessimo essere
felici: è così sbagliato questo?
Visto
che Dio evidentemente pensa sia così, nella mia mente
– dove io
sono l'entità creatrice e ordinatrice – ho
raddrizzato le cose.
E' qui
che voglio che si concluda la mia vita. Non nella realtà.
Qui.
Voglio
andarmene sognandoli tutti così, come non li ho mai visti:
felici.
Lo meritano tutti e tre, lo meritano più di chiunque altro.
Aprire
gli occhi significherebbe accettare che, dopo tutto ciò che
ho fatto
e sacrificato, non è cambiato nulla per nessuno: i mostri
sono
rimasti mostri, soltanto che ora sono circondati non più da
folle
inferocite, ma da cadaveri.
Voglio
che il mio ultimo ricordo sia uno di speranza, e non di sconfitta.
“Guardami.”
“E'
meglio di no, non credi? In fondo, hai sempre odiato che ti vedessero
piangere...”
Sta
cominciando a fare davvero freddo: probabilmente ho perso troppo
sangue.
Ma
quando arriverà l'alba? Sembra che questa notte sia
destinata a
durare in eterno.
I
passi intanto si sono fermati.
“Per
questa volta, va bene... Solo per questa volta va bene anche se mi
vedi così.”
Anche
nel mio mondo
fa freddo ora, anche se siamo in autunno.
Rabbrividisco.
Nessuno,
però, sembra
aver notato il brusco abbassamento di temperatura tranne me.
Tutti
si stanno sedendo
sotto le alte querce, i loro occhi puntati sui tre: le chiacchiere e
i giochi sono cessati, e persino la natura si è zittita e
ora è
immobile, in attesa.
Tutti
aspettano una
sola cosa: la prima nota della chitarra di Locke.
Fa
così freddo ora.
Io
non voglio lasciare
la sua mano: se lo lascio andare ora, lui non tornerà
più da me.
La
pioggia ora si è trasformata in un vero e proprio
acquazzone: sta
martoriando il mio corpo e picchiando contro le mie palpebre
abbassate.
Ma non
mi costringerà a vedere un mondo che non voglio vedere.
“Gabriele, per favore...”
Sento una scossa elettrica attraversare il mio
corpo.
Locke
non ha mai chiesto qualcosa in quel modo,
né a me né a
nessun altro.
Mai.
Lascio andare la sua mano: deve
usarla per suonare, dopo tutto.
So
che ora non tornerà
mai più, ma in fondo morire con negli occhi la sua ultima
esibizione
non è un brutto modo di andarsene.
Le
sue dita accarezzano
le corde, gli occhi che si socchiudono in una sorta di trance.
La
voce di Persona,
bellissima e mostruosa, riempie l'aria.
Un
passo dopo
l'altro, Bambola si pone al centro della radura, gli stivali che
affondano nelle foglie morte. Poi comincia a ballare: mentre i suoi
piedi scivolano sul terreno come fosse una creatura senza peso, i
capelli ondeggiano nel vento e brillano come tanti fili di argento
nel sole che muore lentamente intorno a noi.
Tutti
sono senza
parole.
La
natura stessa si
arrende di fronte a uno spettacolo che meriterebbe di durare in
eterno.
E'
il mio requiem.
Stringo ancora più forte il
sonaglio che Locke mi regalò mesi
prima.
“Sei
un bastardo sleale... Se mi chiedi una cosa in questa maniera, mi
tocca accontentarti.”
“Ti
sto solo chiedendo di aprire quei dannati occhi, maledettissimo e
pigro idiota!”
Sorrido di nuovo: ecco, ora lo riconosco.
“Fai
presto a parlare, tu... Sto vedendo un sogno bellissimo.”
Ancora quel suono di metallo: mi ricorda il
sibilo di un serpente.
“Ti
pare il momento di perderti in queste sciocchezze?!”
La
voce arrochita e ogni parola che ferisce le orecchie simile a una
sferzata, come un vecchio alcolizzato al bancone di un bar... sembra
di assistere a uno dei nostri migliori litigi.
Cerco istintivamente con le dita il pacchetto
di sigarette, ma la mia
mano sinistra non funziona come dovrebbe: meglio non guardare
com'è
ridotta.
Pazienza,
rinuncerò alla mia ultima sigaretta.
Locke ha, come sempre, capito al volo il mio
gesto – o tentativo di
gesto, in questo caso.
“Quella
roba ti ammazzerà, lo sai... Hai proprio deciso di fare di
tutto per
crepare senza ascoltare cos'ho da dirti, eh?!”
Odio la sua assoluta mancanza di romanticismo.
Tentare
di spiegargli il significato simbolico dell'ultima sigaretta per un
condannato a morte sarebbe solo fiato sprecato... E di fiato non me
ne rimane molto.
Decido
di ignorarlo.
“Nel
sogno stai suonando la chitarra. Come al solito. Solo che ora tutti
ti guardano. Tutti vi guardano e sono estasiati
dalla vostra
esibizione.”
“Non c'è più
tempo.” taglia corto. “Ora guardami, per
piacere.”
Di
nuovo quel tono urgente nella voce.
Ancora una volta, non lo ascolto.
“Persona
canta divinamente... Diavolo, però, speravo almeno nei miei
sogni
potessi vedere com'è senza maschera.”
Nel
paradiso che ho creato per noi, infatti, tutto è chiaro e
luminoso... Tutto tranne il viso di Persona.
Un'eterna
ombra indistinta lo avvolge, impedendomi di vederne i lineamenti:
avrei voluto rendergli giustizia usando la mia immaginazione per
dargli finalmente un viso, magari anche bello, ma non ci riesco. Il
massimo che posso fare è un abbozzo di sorriso mentre canta.
So che
è bello, ma non riesco a dare una determinazione precisa
alla sua
bellezza.
Persino
nella mia mente, non sono riuscito a donargli finalmente
un'identità.
“Perdonami, Persona. Sei l'unico che
non riuscirò ad aiutare...
fino alla fine.”
Nel
mio mondo, mi
sorride felice, cantando: mi ha perdonato.
Vorrei sapere se potrà mai farlo
anche nella realtà.
“Ti
prego.”
La
voce di Locke risuona in entrambi i mondi.
Arrivati a questo punto, devo sul serio aprire
gli occhi, anche se
non vorrei.
“Maledetto...
potevi almeno lasciarmi morire con negli occhi qualcosa di
bello...”
Tento
di scherzare, benché ormai il freddo che sento sia tale da
farmi
battere i denti.
Le mie
palpebre si alzano faticosamente su un mondo scarlatto.
La
pioggia continua a cadere incessante. Il suo vuoto ticchettio
è
l'unico rumore rimasto per chilometri e chilometri: i clacson delle
macchine, le urla e le risate... tutto spazzato via.
Di ciò
che un tempo era una città, rimaniamo solo io, Locke e
Persona.
L'ironia
dell'essere rimasti proprio noi tre, alla luce degli avvenimenti
delle ultime settimane, mi fa quasi scoppiare a ridere.
Ma non
rido. Sputo sangue, invece.
Sono
al capolinea, ormai.
Lui
è davanti a me: deve essersi avvicinato ancora, senza che me
ne
accorgessi.
Non è
come nel mio sogno, purtroppo. Non sorride felice nel crepuscolo, ma
è invece bagnato fradicio, i ciuffi rosso fuoco che gli
aderiscono
al viso e gli occhi che sembrano piangere sangue.
Impossibile
dire se stia piangendo davvero oppure no con questa maledetta pioggia
scarlatta: a quanto pare, non potrò dire di avergli visto
versare
lacrime nemmeno nei miei ultimi istanti.
“Grazie.” sussurra, con
voce ora carica di emozione.
Nella
mano destra stringe convulsamente l'impugnatura dell'ascia da
battaglia: raramente gli ho visto usare la sua arma, in passato, e
mai per gioco. Sta facendo sul serio.
Benché
io sia sul punto di morire, mi viene di nuovo quasi da ridere per
l'ironia della cosa: lui impugna un'ascia, io un sonaglio
arrugginito... la vita è profondamente ingiusta!
“Sei pronto a lasciare per sempre il
mondo degli umani?”
La sua
voce è solenne, come dovrebbe essere in occasione di un
funerale.
Mi
sforzo di annuire, ma il mio corpo non mi risponde più: mi
rassegno
quindi a sforzarmi di usare la voce, invece dei gesti.
“Fai
ciò che devi.”
Annuisce, ma non muove un muscolo.
“Io...
non volevo... non volevo che...” tenta di spiegare.
“Ho cercato
di spiegartelo... Ho... tentato di... evitare che facessi questa
follia.”
La sua
voce è incerta e tremante, come quella di un ragazzino
sperduto: le
spiegazioni e i discorsi di commiato non sono mai stati il suo forte.
Serro i denti: la bocca è una delle
poche parti del corpo che ancora
obbediscono alla mia volontà.
“Piantala,
o torno a chiudere gli occhi.”
Cerco
di suonare minaccioso e sprezzante.
Non
deve andare così: devo andarmene sapendolo forte, o tutto il
mio
amore per lui sarà stato inutile.
“Non
ho rimpianti, se non quello di averti... avervi... ferito. Non mi
pento di ciò che ho fatto per Bambola: lo rifarei altre
mille
volte.”
Già,
Bambola... chissà dov'è ora... Mi spiace non
darle l'ultimo saluto,
ma in fondo mi basta sapere che sta bene. Forse non riderà
con le
amiche mostrando le foto del suo nuovo ragazzo, né
diventerà mai la
ragazza più popolare della scuola, ma ora almeno ha una
speranza:
nessuno di noi sarà lì con lei a vedere cosa
né farà, ma sono
certo che se la caverà.
Almeno
l'ultima immagine che ho di lei è un sorriso.
Già,
meglio che non sia qui a vedermi ridotto in questa maniera: ha pianto
fin troppo nella sua vita perché sia costretta ad assistere
a
un'altra scena come questa.
La mia
vista si sta annebbiando: ormai solo gli occhi di lui, luminosi come
smeraldi, mi appaiono chiari.
Devo
continuare a parlare, prima che anche quelle luci svaniscano dalla
mia coscienza.
“Però
le mie azioni hanno portato a conseguenze abominevoli... Lo so
benissimo. Mi prendo le mie responsabilità.”
Nella
mia mente sento d'improvviso risuonare ancora quella canzone
bellissima...
Il mio
corpo, se potesse muoversi, sussulterebbe.
Sto
sognando ancora? Eppure non ho gli occhi chiusi...
Ma non
ho tempo di preoccuparmi delle mie allucinazioni, ora.
“Prenditi
cura di Persona, ti prego.”
Taccio.
Le mie
allucinazioni si stanno espandendo e riempiendo di particolari sempre
nuovi e meravigliosi.
Non
piove più.
Il
sole morente mi accarezza con i suoi raggi, più caldo di
quanto sia
mai stato. Il cielo ora ha assunto una sfumatura dorata, luminosa.
Intorno
a me non c'è più cemento, né case,
né strade: solo un'immensa
vallata color oro e smeraldo, più bella persino del mondo
che ho
immaginato nella mia mente.
Sto...
sognando? Sono impazzito? O forse...
No,
non è un sogno 'sta volta, né ho perso il senno:
sto semplicemente
passando il confine.
Il
confine tra la vita e la morte.
“Coraggio,
ora è giunto il momento per me di espiare i miei
peccati...”
Sorrido.
Sono
in pace.
Mi
domando solo se anche lui possa vedere ciò che vedo io in
questo
momento... Credo di no, però: se vedesse, non avrebbe una
disperazione così assoluta nello sguardo.
Prego
in cuor mio che veda e capisca.
“Quindi,
abbassa quella lama.” concludo.
Suona
un po' come quando si dice “amen” alla fine di una
preghiera.
Locke alza l'ascia sopra la testa con un suono
sinistro.
In
questo prato meraviglioso ormai ci siamo solo io e lui: vorrei che
potesse rimanere per sempre qui con me in questo paradiso, ma so che
non è il luogo dove è destinato a stare.
E lo
sa anche lui.
I
capelli nascondono la sua espressione, ma posso percepire quanto stia
soffrendo.
“No, non soffrire.”
sussurro, con le mie ultime forze. “Ho un
regalo per te, prima di lasciarti per sempre.”
“Non voglio nulla da te...
traditore, idiota, spergiuro!” sbotta,
stringendo anche la mano sinistra intorno all'impugnatura.
“Ti
maledico, ti maledico per tutte le ere a venire.”
Sorrido: ecco di nuovo il mio Locke.
Concentro
le mie ultime forze nella mano destra.
Dovrei
preoccuparmi per la sua maledizione probabilmente, ma suppongo di
avere davanti tutta l'eternità per farlo.
“Non sto scherzando.”
Una
goccia scivola lentamente lungo il suo viso e, quasi a rallentatore,
cade sull'erba, svanendo.
“Ti
maledico.”
Si
prepara a colpire.
Stringo forte la mano destra intorno al
sonaglio: lo sento muoversi,
quasi fosse un cuore pulsante.
Le
forze mi abbandonano e ormai i miei occhi non vedono più
nulla.
Sento
la lama calare su di me, e lo spostamento d'aria mi ferisce il viso.
Il
sonaglio magico va finalmente in pezzi, mentre con tutto il potere
contenuto in esso... no, non solo... con tutta la mia forza vitale
residua... pronuncio il suo vero nome.
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