Mi risvegliai in un
letto d’ospedale.
Avevo una gamba ingessata in trazione,
un tubo attaccato al braccio e bende a non finire. Mi toccai il volto e
ci trovai altre bende, che mi coprivano quasi interamente, a eccezione
di occhi, naso e bocca. Mi sentivo tranquillo e rilassato, come se
fossi sdraiato su un letto di piume. Evidentemente il tubo mi stava
passando roba buona.
Un forte odore di disinfettante
aleggiava tutt’intorno e da un televisore in un angolo provenivano dei
suoni. Mi ci volle uno sforzo non indifferente per trasformarli in
parole di senso compiuto. Lo schermo mostrava una veduta area di un
bosco e immagini di fuoco e fiamme, mentre una voce femminile diceva
qualcosa circa il più grande incendio del secolo.
Ero troppo fatto di antidolorifici per
ragionare decentemente, per cui chiusi gli occhi e pensai a una
spiaggia bianca e immacolata e a una signorina in bikini che mi correva
incontro. Mi addormentai prima che arrivasse abbastanza vicino da
slacciarle il pezzo superiore del costume.
Stavolta fui svegliato da un’infermiera.
«Buongiorno, signorina.» salutai,
cercando senza successo di risultare allegro. «Potrei aver un bicchiere
di whisky?»
L’infermeria sorrise, ma scosse la
testa. «Whisky e antidolorifici non sono un gran cocktail.»
«Non me l’hanno fatto portare, Neil, mi
spiace.» aggiunse un’altra voce.
Mi girai verso i piedi del
letto e mi accorsi che c’erano visite. Riconobbi subito
l’inconfondibile figurina da ginnasta prosperosa e i capelli raccolti
in una coda di cavallo.
«Chiara!» esclamai col massimo
entusiasmo che la morfina mi permetteva.
«Hai rispettato la tua parte d’accordo e
noi rispettiamo la nostra.» disse Greta Zimmermann.
«Hai fatto il tuo, ma non senza
combinare un finimondo, come al solito. Sei un dannato folle!» aggiunse
Robert Von Kempf sorridendo.
Dietro di loro, appoggiati accanto alla
porta, c’era un ragazzo con lunghi capelli biondi e Yelena, che sorrise
e mi salutò con un cenno del capo.
«Combinato un finimondo?» ripetei.
Ricordavo a malapena cosa era successo la scorsa notte - o erano
passati più giorni? Non ne avevo idea. Mi ricordavo solamente quel
dannato drago e poi sparatorie, lupi ed esplosioni.
«Dopo che l’hai mutilato, Glavnyognya è
volato via e ha cominciato a devastare la foresta come un forsennato.
Sono scoppiati diversi focolai e la Foresta Nera ha subito il più
grande incendio registrato nella sua storia.»
Pian piano riconnessi i pezzi del
puzzle. Avevo fatto esplodere un pezzo del drago e l’avevo fatto
fuggire. «Potete chiamarmi Neil McRoberts, Flagello dei Draghi.»
«Fossi in te non me ne vanterei più di
tanto.» disse Greta. «Quando l’abbiamo incontrato per definire i nuovi
dettagli della nostra convivenza, ci ha offerto non poco per la testa
di chi ha rapito il suo erede.»
«Il fatto che io sia ancora vivo e in
buona, quasi buona, salute mi fa pensare che non abbiate accettato.»
«Pensi bene. Inoltre, visto l’ottimo
lavoro, ho versato sul tuo conto ventimila euro.»
«Come…»
«Ci ho pensato io.» m’interruppe Chiara,
immaginando la mia preoccupazione riguardo le mie coordinate bancarie.
«Spero che questo possa essere l’inizio
di una fruttuosa collaborazione fra noi.» aggiunse la vampira.
«A meno che non mi chiediate qualche
altra cosa assurda, che so, evocare un Antico o diventare un Cavaliere
della Tavola Rotonda.» Sorrisi.
«Spero proprio di no.» replicò Robert,
scuotendo la testa. «Ora, però, ti lasciamo riposare.»
«Te lo sei meritato.» aggiunse Greta.
Onestamente in quel momento avrei
preferito faticare in una cava di pietra ma senza fratture e tubi nel
corpo, piuttosto che stare immobile a letto conciato come una mummia,
ma evitai di dirlo.
I due si allontanarono verso la porta,
mentre Chiara si avvicinò e mi baciò sulla fronte. «Quando sarai più in
forma, mi racconterai tutto davanti a una pizza.»
«Certamente.» risposi.
Anche lei fece per uscire, poi la
chiamai e si fermò.
«Potresti dire a Yelena, la guardia del
corpo di Greta, di venire qua? Vorrei scambiare due parole con lei.»
La fata annuì e uscì di corsa.
Dopo un paio di minuti, la porta si aprì
nuovamente e Zuccherino entrò. Si avvicinò al letto e mi guardò,
curiosa. «Sì?» disse.
«Josephine?» domandai. «È fuggita?»
Yelena spalancò gli occhi e mi guardò in
tralice. «Come fai a saperlo?»
«Magia.» replicai.
«È sparita ieri notte e non sappiamo
dove sia andata. L’appartamento è vuoto, la sua moto è ancora a casa
mia.»
«Ieri notte? Quanti giorni sono passati?»
«Tre giorni dalla tua bravata contro
Glavnyognya. Josephine era messa molto meglio di te. Tanto sangue, ma
nessuna ferita grave, a parte il naso rotto e una brutta botta al
braccio destro. Non è nemmeno venuta in ospedale.»
«E il suo zaino? L’avete controllato?»
Scosse la testa. «L’ha sempre tenuto lei
e quando ti abbiamo portato in ospedale lei è tornata a casa. Poi non
l’abbiamo più vista.»
Annuii. Riccioli d’Oro aveva completato
la sua agenda personale e non aveva più bisogno di lavorare per Greta
Zimmermann. «Da quanto tempo stava con voi?»
«Quasi quattro anni.»
Fischiai. O almeno ci provai, con tutti
quei bendaggi non era facile. «Ha avuto pazienza.»
«Che intendi dire?» replicò, guardandomi
storto. «Ci ha imbrogliato in qualche maniera?»
«Sapeva del drago?»
«Ovviamente. È stato uno dei motivi
principali per cui l’abbiamo assunta. Non si trova molta gente esperta
del campo.»
«Capisco. Nella tana del drago credo
abbia preso un qualche artefatto magico. L’ufficio di Glavcoso era
pieno di oggetti di un certo valore. Non appena siamo entrati si è
subito fiondata alla ricerca di qualcosa. All’inizio pensavo cercasse
l’uovo, ma dopo qualche minuto, mentre riflettevo su dove potesse
essere il nostro obiettivo, l’ho vista rimestare nello zaino e poi si è
fermata, lasciando a me l’onore di trovare il sasso. L’atteggiamento mi
aveva insospettito e mi ero ripromesso d’indagare, però… beh… c’è stato
qualche contrattempo e l’ho persa di vista.»
Sorrise. «Ci ha usato.» Sollevò le
spalle. «Riferirò a Greta, ma non credo farà nulla. Alla fin fine non è
che abbia fatto nulla di male nei nostri riguardi.»
«Oltre a usarvi per i propri
scopi? Comunque, conosci un gruppo di streghe che si fa chiamare i
Quattro Fiori?»
«No.»
«Credo che Riccioli d’Oro ne faccia
parte e abbia fatto tutto questo per loro.»
Yelena fece spallucce. Non sembrava
molto interessata. Estrasse dalla giacca una penna e scrisse qualcosa
sul gesso della gamba. «È la mia e-mail. Contattami se ti capita
qualche lavoro interessante e hai bisogno di una mano.»
Annuii. «Magari potrei invitarti a cena,
in caso ripassi da queste parti.»
La donna ridacchiò, ma non rispose nel
merito. «Ti suggerisco di rimanere lontano da qua, magari pure
dall’Europa, per un po’ di tempo. I draghi non dimenticano mai.»
«Non erano gli elefanti?»
Sorrise nuovamente. «Ti saluto, Neil
McRoberts. Mi piacerebbe restare a chiacchierare con un uomo così
simpatico, ma in realtà non ho tempo da sprecare in stupidaggini.» Mi
salutò agitando una mano e uscì.
Mi addormentai domandandomi se avesse o
no accettato l’invito.
Il noioso quattro quarti dance della
musica del locale arrivava attutito all’interno del privè. Avrei
preferito di gran lunga un bel swing d’atmosfera, ma non si può avere
tutto dalla vita. In quel caso, Tammy che mi ballava davanti non me lo
faceva rimpiangere. Sorseggiai un po’ di scotch, mi accomodai per bene
sul divanetto e stirai le braccia prima di metterle dietro la testa e
gustarmi in pace la lap dance.
Erano passati circa sette mesi dal mio
piccolo diverbio in Germania. Dopo due settimane di riabilitazione a
Friburgo, ero tornato in Sardegna in compagnia di Chiara. Mi aveva
assicurato che non era mai stata prigioniera nel vero senso del
termine. Robert le aveva spiegato la situazione e l’aveva trattata come
un’ospite. Con l’arrivo dei primi giorni freddi, avevo deciso di
svernare in Nuova Zelanda, approfittando dell’occasione per visitare
dei vecchi amici. Infine, con l’arrivo della primavera, avevo seguito
gli animali migratori e mi ero trasferito nell’emisfero boreale,
precisamente a Las Vegas.
In quel momento mi trovavo nel mio
“gentlemen’s club” preferito in compagnia della mia ballerina
preferita. Tammy era una di quelle particolari bellezze esotiche
americane, con nonni giapponesi, navajo e ungheresi. Aveva lunghi
capelli neri che coprivano i tatuaggi che aveva sulla schiena, grandi
occhi azzurri e tratti tipici dell’Europa orientale che si miscelavano
perfettamente con la carnagione bronzea dei nativi americani. A
differenza di tante altre sue colleghe non lo faceva per pagarsi il
college o perché non aveva nessun altro talento. La sua era una
passione e soprattutto considerava il ballo come una specie di
allenamento per il suo vero lavoro. Il nonno navajo era un Hatalii, un
medicine-man, e le aveva tramandato tutta la sua conoscenza. L’avevo
conosciuta durante un lavoretto qua in Nevada, in cui, seguendo piste
differenti, ci eravamo imbattuti in uno skinwalker. Poi una cosa tira
l’altra… ma questa è un’altra storia.
Smise di ballare e si sedette sulle mie
gambe.
«Dunque hai ucciso un drago?» domandò,
passandomi un braccio intorno al collo.
«Più o meno.» Non le avevo raccontato
tutto nei minimi particolari. Non aveva bisogno di sapere che il drago
non era propriamente morto e che io ero quasi rimasto ucciso.
«Ma che bravo. Meriti una ricompensa.»
Cominciò a baciarmi sul collo e a sbottonarmi la camicia.
«Ehi, calma! Non è contro le regole del
locale?»
Non rispose e continuò a baciarmi,
scendendo sul petto. Chiusi gli occhi e mi rilassai, lasciando che lei
facesse tutto. La sentii alzarsi e mi sbottonò completamente la
camicia. Le sue mani cominciarono a massaggiarmi lungo tutto il petto e
poi si aggrapparono alla cintura.
Miao.
Avevo appena sentito un miagolio?
Miao.
Diamine, non adesso. Non lui.
Miao.
Aprii gli occhi e dietro la piacevole
visione di Tammy, immobile nell’atto di togliermi la cintura, c’era un
gatto nero. Un grosso gatto nero con una macchia bianca sul
petto.
Era proprio lui.
«Che succede?» chiese Tammy, alternando
lo sguardo fra me e il gatto, che era appena salito sul tavolino su cui
era posata la bottiglia di scotch e il mio bicchiere.
«Salve, Seamus.» borbottai, mentre
riabbottonavo la camicia. «È sempre un piacere.»
«Ho interrotto qualcosa?» replicò il
gatto, dopo aver leccato un po’ del contenuto del bicchiere.
«Sì, l’hai fatto.»
Tammy si alzò in piedi. «Forse è meglio
che vada, Neil.»
Annuii. «Scusami, questioni di lavoro.»
Mi baciò con abbastanza sensualità da ricordarmi cosa mi stavo perdendo.
«Chi ti dice che sia lavoro?» disse il
gatto. «Potrebbe essere una visita di cortesia.»
Borbottai un’imprecazione a denti
stretti, mentre guardavo i miei dieci minuti di settimo cielo che
andavano via ancheggiando. «Una visita di cortesia?» dissi, quando la
donna fu uscita. «Tu, il Machiavelli dei sidhe? Non farmi ridere.»
In tutta risposta spinse con una zampa
la bottiglia di scotch, che si ribaltò e versò a terra il suo contenuto
che si distribuì in una piccola pozzanghera. «In parte sì, è una visita
di cortesia. Guarda qua.» Indicò il whisky a terra.
Il liquido ambrato vorticò lentamente
per qualche secondo, poi tornò immobile e vi era riflessa un’immagine
differente dalla mia faccia incuriosita e dal soffitto della stanza.
Nella pozza di whisky si vedeva una
stanza poco illuminata e quattro persone; riconobbi Greta e
Robert. Gli altri due non li avevo mai visti prima, ma erano abbastanza
curiosi. Il primo, seduto su una poltrona, era pallido come la morte,
aveva una grossa cicatrice lungo tutto il collo ed era vestito come se
fosse uscito da una racconto di P.G. Wodehouse. L’altro, in piedi
dietro di lui, invece sembrava uno Spettro dell’Anello.
Indossava una lunga vesta nera e il cappuccio alzato sul volto non
nascondeva la lunga barba dello stesso colore. Li vedevo parlare, ma
evidentemente il whisky-screen non disponeva dell’audio per cui non
sentii nulla. Infine Robert tolse qualcosa dalla tasca e la lanciò
verso Bertie Wooster, che l’acchiappò al volo. La guardò con occhio
critico e poi sorrise soddisfatto.
Era l’uovo del drago.
L’immagine svanì e mi voltai verso
Seamus. «Che diavolo significa?» domandai.
«Nulla di che. Volevo giusto mostrarti
per chi hai lavorato in Germania.»
«Per Bertie Wooster? Quel residuato dei
ruggenti anni venti?»
«Non so chi sia Bertie Wooster, ma sì,
hai lavorato per quel tizio.»
«Perché dovrebbe importarmene?»
«Perché è un nosferatu.»
Rimasi a bocca aperta per lo stupore. Un
nosferatu. Nessuno voleva avere a che fare con quei mostri. «Vabbe’, ho
fatto bene il mio lavoro. Perché dovrei preoccuparmi?»
«Non lo so, non ho nemmeno detto che
debba preoccuparti.» rispose Seamus. Scodinzolò un poco e in men che
non si dica si aprì un Portale. «Era giusto per farti un favore. Ora
seguimi, c’è del lavoro importante da fare.»
Guardai il Portale ad altezza di gatto e
mi schiarii la voce.
«Oh, scusami. Dimentico sempre che voi
umani siete troppo altezzosi per camminare a quattro zampe.» Il Portale
si allargò fino a diventare delle dimensioni di una normale porta.
Dall’altra parte si vedevano montagne verdi e un cielo coperto da
nuvole cariche di pioggia.
Seamus attraversò il Portale e mi
affrettai a seguirlo.
Era sempre un piacere tornare in Scozia.
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