Servitus Capitolo XII
Ciao
a tutti!!! Lo so.. mi avevate dato per morta, per dispersa, per
sepolta. Sto in un periodo di studio tremendo, ma.. oggi Servitus
compie 2 anni! Come potevo non aggiornare? Spero vi piaccia il nuovo
capitolo.. c'è qualche sentimento che finalmente si decide a
sbocciare: un sentimento buono per alcuni, ma cattivo per altri...
Curiosi? Buona lettura!!
Ps:
Dedico il capitolo a Bellatrixwolf e alla mia socia Harwest, che hanno
atteso e sperato tanto in una mia continuazione. Vi ringrazio
profondamente.. Servitus non riuscirebbe a vivere senza di voi!!
Capitolo
XII
“Nuovi
sentimenti e vecchi rancori”
Domus
di Marcello, stalle
Manlio si avvicinò a rapidi passi, fischiettando e
sorridendo. I cavalli lo accolsero con un nitrito e con uno sbuffo di
contentezza: vedere arrivare Manlio significava per loro vedere
arrivare fieno a volontà.
Il ragazzo si diresse alla sua destra e prese il
forcone, per poi dirigersi alla sua sinistra e fermarsi pensieroso.
Di fronte a lui stava una montagna di fieno, che avrebbe dovuto
essere smistata tra i vari animali che sembravano attendere con ansia
la loro razione.
“Oh dei.. eppure sono convinto che stamattina non era
così grossa! Ho come l'impressione che il lavoro mi si centuplichi
senza che io me ne accorga...”
Sospirando, cominciò a scavare con la punta del forcone
e a sollevare balle di fieno, disponendole in piccoli mucchi: così
sarebbe stato più semplice dare una razione identica ad ogni
cavallo. In realtà lavorare lo aiutava a mettere in ordine i
pensieri e in quella giornata di certo pensieri e dubbi non
mancavano.
Emilia e la sua improvvisa passione, Xena e Gabrielle e
il loro amore segreto, il padrone e i suoi piani misteriosi: ognuno
sembrava un personaggio di una tragedia, tutti avevano il proprio
copione e si muovevano su un sentiero tracciato appositamente per
loro...
“E tu Manlio? Tu hai il tuo sentiero? Forse si, forse
no...”
Scosse la testa e sollevò altro fieno: a quanto pareva
non aveva un copione tutto suo. Il destino gli aveva riservato un
posto da spettatore; un personaggio secondario che rimane sullo
sfondo senza poter realmente cambiare le cose.
Ma in fin dei conti chi era lui per poter meritare un
proprio copione?
Era solo un semplice schiavo, che lavorava fedelmente
per il suo padrone. Non aveva vizi, non si lamentava per il carico di
lavoro ed era felice di trovare alla sera una zuppa calda e un
giaciglio in cui riposare.
Non aveva mai saputo cosa fosse l'amore: quel sentimento
che l'aveva animato quando aveva visto Xena era nuovo, assurdo ed
eccitante, ma si era assopito così come era nato. Una passione
passeggera, sfumata di fronte al vero amore, quello che Xena provava
per Gabrielle e che Gabrielle provava per Xena.
“Ah Manlio.. tu riuscirai mai a provare un sentimento
così travolgente? Quello che provavi per Xena non è nemmeno
paragonabile al legame che lei ha creato con Gabrielle.. Per questo è
stato così semplice per te farti da parte, la tua onestà e la
consapevolezza del tuo sentimento innocuo ti hanno aiutato... Tu e
Diona state lottando per il loro amore e per la loro felicità. Già..
Diona..”
Il pensiero della donna lo fece fermare ansante. Posò
il forcone e si sedette per terra, incrociando le gambe. “Diona è
nella mia stessa situazione.. anche lei è un personaggio secondario
della tragedia... chissà se lei ha mai provato un sentimento d'amore
così travolgente.. ne sono convinto.. a volte è così distratta,
così persa nei suoi pensieri. Ora sono in pena per lei.. so quanto
era affezionata ad Emilia e il suo scatto di ira l'ha realmente
sconvolta. Stava quasi bruciando la zuppa.. spero sia riuscita a
recuperarla, anche se dall'odore..” sorrise e si rimise al lavoro
con uno sbuffo. Il pensiero di Diona continuava ad accarezzargli la
mente: era diventata ancora più bella negli ultimi tempi; i suoi
capelli castano scuro si erano allungati e i tratti del viso erano
diventati più marcati, senza però imbruttire i suoi lineamenti
dolci e gentili. Il suo sguardo color nocciola era severo
all'apparenza, ma quando rideva o discuteva si illuminava come se un
fuoco vi si celasse.
Mani agili e pratiche, fisico asciutto, costantemente
avvolto nella sua tunica impolverata. La sua voce grave e calda, così
diversa da quella squillante e fanciullesca di Emilia..
Un tremendo dolore al naso lo fece rinsavire “Ma che
diavolo?” esclamò sorpreso, ritrovandosi di fronte ad una delle
travi di legno che formavano il recinto del primo cavallo.
Era talmente immerso nei suoi pensieri che era andato a
sbatterci contro senza nemmeno accorgersene.
I cavalli nitrirono, quasi a volerlo rimproverare per la
sua disattenzione.
“Ah ah.. cosa ridete, voi? Non siete mai stati
distratti? Ma certo che no.. pensate solo al fieno! Ecco.. mi
raccomando aspettate il vostro turno..uno alla volta!”
“Come siete carini..”
La voce femminile alle sue spalle lo fece sobbalzare: si
voltò e vide l'oggetto dei suoi pensieri a braccia incrociate, che
lo osservava in silenzio.
Sperando che non avesse visto la scena del suo
ravvicinato incontro con la trave, le sorrise di rimando e rispose
“Oh.. sai.. sono un po' la mia famiglia. Di certo con loro puoi
parlare di qualunque cosa senza temere che i tuoi pensieri siano
fraintesi..”
Diona si avvicinò interessata e si fermò a pochi passi
dal primo dei numerosi recinti che occupavano le grandi stalle.
“Dai ad ognuno la propria razione?” domandò,
osservando Manlio depositare il fieno nel recinto e poi ritornare sui
suoi passi per prenderne altro dal mucchio.
“Si.. ognuno ha la propria razione.. uguale a quella
degli altri. Un po' come il padre che dà lo stesso tozzo di pane ai
figli. Non posso certo dare ad alcuni di più e ad altri di meno..”
Diona sorrise “Tu sai essere saggio ed equilibrato
persino quanto dai il fieno ai cavalli.. è una cosa che ho sempre
ammirato di te...”
“Suvvia... non essere esagerata.. sono convinto che tu
faresti la stessa cosa, se fossi al mio posto, anche se non credo che
riusciresti a sollevare il fieno con il forcone..”
“Tu dici? Mettimi alla prova..” disse Diona con tono
di sfida, dirigendosi di fronte ai mucchi di fieno appena divisi.
“Oh no mia cara.. di certo non voglio averti sulla
coscienza!” esclamò Manlio divertito, dirigendosi verso il fieno e
prendendone dell'altro.
“Cos'è? Hai paura che una donna sia più brava di te
a sollevare il fieno?”
Il ragazzo scosse la testa, depositando il cibo anche al
secondo cavallo, per poi voltarsi ed osservarla appoggiato al
forcone.
“Io paura? Donna.. non mi conosci! Fa pure.. ma se ti
capita qualcosa alla schiena, non dirlo a me.. io ti avevo avvisato.”
Le si avvicinò e le porse il forcone: lo sguardo di
Diona brillò di soddisfazione, mentre con la mano destra impugnava
l'arnese. Le loro mani si sfiorarono e i due ragazzi si fermarono per
un momento. Entrambi osservavano in silenzio
le loro mani vicine, quasi intrecciate, scoprendo quanto
fossero perfette insieme.
Fu Manlio a ridestarsi per primo da quel momento di
contemplazione: ritirò in fretta la mano e si schiarì la voce
“Ecco.. sai come si impugna un forcone, non è vero?” domandò,
mentre un leggero rossore gli imporporava le guance.
“Oh si.. certo..” rispose Diona con tono trasognato,
mentre un'espressione quasi.. delusa.. le incorniciava il volto.
“In fin dei conti è solo fieno, che sarà mai?”
esclamò la donna sprezzante.
Infilò la punta del forcone nel fieno e fece un
sospiro, poi puntò i piedi per terra e sollevò le braccia, ma un
peso incredibile le si oppose contro, costringendola ad abbassare
subito il manico del tridente.
Manlio scosse la testa e si portò alle sue spalle “Non
ci riuscirai mai se fai così, hai preso troppo fieno, devi portare
la punta del forcone più in alto.. nemmeno io riuscirei a sollevarne
tanto! Guarda.. così..”
Le si accostò appena e le prese le braccia, muovendole
come il burattinaio fa con la marionetta. “Ora solleva..”
Diona sorrise e sollevò le braccia senza difficoltà
“Avevi ragione.. ci riesco!”
“Certo che ci riesci.. dovevi solo dosare la
misura...”
Diona posò il forcone e si voltò, osservandolo
divertita
“E il tuo orgoglio ferito? Hai perso la scommessa a
quanto mi sembra...”
“Primo.. non ho fatto alcuna scommessa, secondo ero
convinto che tu ci saresti riuscita e terzo non sono assolutamente
competitivo come te..” esclamò sollevando punto per punto un dito
della mano destra.
“Ah... certo..” rispose la ragazza, abbassando lo
sguardo.
Manlio le portò due dita sotto il mento e le fece
rialzare il viso
“Come mai sei qui? Non eri mai venuta a trovarmi nelle
stalle..”
“E-ecco.. non ho trovato più le carote che avevi
tagliato, né il pane, né il formaggio, né il vino.. e poi.. ho
bruciato la zuppa..”
Manlio la osservò stupito “Tu? Hai bruciato la
zuppa?? Oh dei!! La fine del mondo è giunta!!!”
Diona gli diede un buffetto sul petto “Smettila di
fare lo stupido.. ero così presa da tutto quello che è successo che
mi sono addormentata e ho bruciato tutto.. cosa diranno ora i
padroni? Sono una schiava inutile...”
“Su su.. ora non esagerare.. può capitare a tutti di
sbagliare. Eri sconvolta poco fa, ci credo che tu non abbia prestato
attenzione alla zuppa. Per il resto.. da tutto quello che è sparito,
direi che qualcuno sta banchettando! E come vedi non sono io. Io
adoro le tue zuppe, per cui non ho certo bisogno di rubare cibo dalla
cucina.. considerando che se lo facessi, penso mi inseguiresti per
tutta la domus con un manico di scopa.. e non sarebbe piacevole..”
Diona rise “Deve essere stata Xena.. sarà stata in
pensiero per la padrona e le avrà portato da mangiare. Non posso
arrabbiarmi con lei. In fin dei conti toccava a me cucinare, ma ho
fatto un bel guaio..”
“Sono sinceramente stupito! Qualcuno sottrae cibo
dalla tua cucina e tu non batti ciglio! Allora sta veramente finendo
il mondo!” concluse Manlio, accarezzandosi appena il naso.
“Ma Manlio.. che hai fatto? Hai il naso gonfio!”
esclamò Diona preoccupata.
“Oh nulla.. ecco.. ero distratto e ho sbattuto contro
una trave di legno.. tutto qua..”
“Tutto qua? Dai su.. vieni alla luce e fatti
osservare...” disse, trascinandolo alla luce del sole. “Ma a che
stavi pensando? Devi aver preso una bella botta!”
“Ecco.. io...”
“Ora silenzio! Fammi vedere che ti sei fatto..”
Gli voltò il viso verso la luce e gli accarezzò appena
il naso
“Sembra che non ti sia fatto nulla. E' stata una
fortuna.. ti fa male?”
“No.. mi fa bene!” esclamò il ragazzo ironico.
“Potresti essere serio per favore?”
“Mi pulsa leggermente, ma niente di che. Prima mi dava
più fastidio.”
“Sono contenta. Strano che tu fossi distratto,
solitamente pensi solo al lavoro.”
Manlio deglutì, percependo nuovamente il rossore
imporporargli le guance.
“Sai.. è stata una mattina un po' particolare..”
“Ah capisco.. stavi pensando ad Emilia..” osservò
Diona, mentre nuovamente un'espressione delusa gli incorniciava il
volto.
“In realtà no.. stavo pensando a te...”
Diona sollevò il viso e gli lanciò uno sguardo
meravigliato “A me?”
“Certo.. ero preoccupato per te e per quello che
Emilia ti aveva detto. Non sopporto di vederti triste e saperti
sconvolta e confusa non è certo un piacere per me”
“Grazie.. sei sempre così carino” disse Diona,
abbracciandolo.
“In realtà sono venuta qui proprio perchè avevo
bisogno che tu mi consolassi, mi sentivo un po' sola..”
Manlio sorrise e rispose all'abbraccio “Hai fatto
bene. Devi sempre venire da me quando ti senti sconsolata o triste..”
Diona sospirò profondamente e appoggiò la tempia al
petto vigoroso del ragazzo.
“Manlio.. è un po' di tempo che ci penso.. e sono
arrivata ad una conclusione. C'è una cosa che dovrei dirti..”
Manlio sentì il cuore battere all'improvviso e la
temperatura del volto innalzarsi.
“Dimmi..” rispose appena, portando le mani sulle
spalle di Diona e facendola allontanare leggermente per poterla
guardare negli occhi.
Lo sguardo severo era stato soppiantato da uno sguardo
smarrito, perso, ma anche risoluto. In quel momento Manlio comprese
quanto Diona era bella e preziosa, quanto avrebbe sofferto per la sua
assenza, quanto la sua compagnia fosse vitale per lui, quanto lui
stesso fosse... innamorato di lei?
“Ecco.. vedi.. io...”
Ma un rumore di zoccoli e un tramestio non molto lontani
interruppero quel magico momento.
“Il padrone! Il padrone!” sentirono urlare e
schiamazzare.
Diona e Manlio si separarono in fretta, mentre il loro
cuore batteva a mille.
“Maledizione.. è tornato! Diona ci penso io a lui, tu
corri! Trova Xena e Gabrielle e separale! Xena dovrebbe stare ancora
in cella! Va!” esclamò il ragazzo, lanciandole il piccolo mazzo di
chiavi delle prigioni.
“Ma.. tu..” disse Diona, osservando correre via.
“Io starò bene! Ora vai! E sta attenta! Se il padrone
ci scopre, ci ammazza! Ti verrò a trovare stasera, promesso!!”
Diona sospirò e corse nella direzione opposta. Si
sentiva morire di paura e di spavento: se non fosse riuscita a
trovarle in tempo...
Arrivò nel cortile della domus e girò il capo a destra
e a sinistra.. Il tempo scorreva inesorabile e lei stessa non sapeva
dove andare.
Dove potevano essere? Senza indugiare troppo, si diresse
veloce come il vento nella camera della padrona. Bussò e aprì di
scatto la porta, ma non vi trovò nessuno: tutto era in perfetto
ordine e la luce del sole filtrava dal balcone. Entrò e si guardò
intorno, lambiccandosi il cervello su dove potessero essere andate.
Improvvisamente le venne un'idea: con uno scatto si diresse sul
balcone e prese a far scorrere lo sguardo in lungo e in largo. La
camera di Gabrielle era la meglio esposta e dal suo balcone era
possibile vedere buona parte dei giardini e del sentiero che
conduceva alla foresta.
Lanciò un gridolino quando vide due figure sotto la
quercia secolare che poco prima era stata testimone della sua
discussione con Emilia.
Ringraziando gli dei, si fiondò giù per le scale e per
il corridoio, mentre ad ogni angolo temeva di incontrare il padrone e
il suo sguardo corrucciato.
Ebbe fortuna e con il poco fiato rimasto corse verso la
quercia oramai poco lontana.
“Xena! Gabrielle!” urlò, abbandonando ogni
formalità. “E' arrivato!! E' arrivato!!”
Xena e Gabrielle si staccarono e la più alta le lanciò
uno sguardo nervoso
“E' arrivato? Chi è arrivato?”
Diona si fermò,appoggiando le braccia alle cosce, per
riprendere fiato.
“Marcello...” rispose preoccupata, mentre Gabrielle
spalancava la bocca per la sorpresa.
Sentiero
di campagna, poco tempo prima
Il sole pomeridiano gli solleticava appena la nuca,
mentre nuvole di polvere si sollevavano pigre dagli zoccoli del suo
destriero.
Marcello aveva deciso di tornare a casa e di rimanervi
fino alla mattina successiva: non aveva senso rimanere nel rifugio
senza nulla da fare.
Sorrise al pensiero di come poco frequentava quella
domus, una delle più grandi e delle più lussuose di tutta la città.
I cittadini gli invidiavano quella meravigliosa tenuta,
circondata dagli alberi e dalle siepi. “Forse sono l'unico a
distanza di miglia che non è entusiasta di quello che possiede.. ma
in fin dei conti non mi sono mai accontentato di quello che avevo..
per questo ora sono console.. per questo ora sono io a detenere il
potere e a vedere gli altri strisciare davanti a me. Un tempo ero io
a strisciare, a mangiare la polvere che i destrieri altrui
sollevavano sul mio cammino, adesso sono io il costruttore del
sentiero e decido io chi cammina, chi va a cavallo e chi si ferma..”
Sospirò e tirò appena le redini, invitando l'animale a
rallentare il passo: sentiva di dover rimanere ancora un po' da solo,
per riordinare le idee.
La giornata trascorsa non era stata sicuramente
rilassante e le discussioni avevano sempre il potere di spossarlo più
di un'intera battaglia.
Quasi inconsapevolmente il pensiero volò ad Alti..
Nonostante fossero passati tanti anni, doveva riconoscere che la
forza dell'amore che aveva provato per lei non si era affievolito,
anzi, sembrava crescere ogni volta che posava lo sguardo su di lei.
Alti era diventata non solo più bella, ma ancora più
determinata e cinica di quanto ricordasse, mentre i suoi occhi
avevano in parte perso quella luce innocente che li animava da
ragazza. Era stata quella luce splendente a colpirlo e a farlo
innamorare.
Cosa rimaneva più della vecchia Alti, oltre
all'immagine esteriore?
A quanto pareva ben poco: la dolcezza e la gentilezza si
erano tramutate in avidità e in bramosia, come del resto era
capitato a lui stesso.
L'età, i dolori e le esperienze vissute avevano
forgiato il loro carattere e chiuso i loro cuori. Chissà se Alti
aveva pensato di poter voltare pagina e cambiare: lui l'aveva fatto..
Per un periodo si era addirittura convinto di essere diverso.
“Quando ho incontrato Gabrielle e l'ho portata via
dalla Grecia, ho pensato che gli dei mi stavano dando un'altra
possibilità. Ma la vittoria, il potere e la gloria mi hanno
nuovamente plasmato a loro piacimento, rendendomi quello che sono
ora.. Un console temuto e rispettato. Non sono fatto per provare
amore o tenerezza. Sono un uomo d'azione, un condottiero, nato per
dominare gli altri. A cosa serve amare, quando l'amore non porta che
tristezza? Io ho amato Alti, la amo tuttora... lo so.. e non faccio
che soffrire per lei.. Gabrielle mi ha amato e forse io ho amato lei
per un po', ma abbiamo perso quello che stavamo costruendo. Io non la
amo più e lei non mi ama più. Del resto come biasimarla? Non ho
fatto che tradirla, rinchiuderla nel paradiso dorato della mia domus
e pensare solo al mio piano d'azione, giorno dopo giorno.. tassello
dopo tassello. L'ho trattata come tutti i miei schiavi.. come
Diona,Emilia,Manlio.. come Xena..”
L'immagine della gladiatrice gli attraversò veloce la
mente, provocandogli un tremito lungo la schiena: lei avrebbe potuto
essere un'altra medaglia sul suo petto.
L'aveva comprata per possederla, per farla sua, e mentre
una parte di lui ancora scalpitava quando quell'azzurro profondo si
piantava nei suoi occhi, un'altra parte la disprezzava e la temeva.
Nessuno aveva avuto tanto coraggio, nessuno l'aveva sfidato così
apertamente e così ripetutamente... lei si.. Non aveva paura di lui,
non lo considerava come un padrone, forse non lo considerava nemmeno
un uomo e si sentiva autorizzata a mancargli di rispetto. Di fronte a
lei Marcello si ritrovava di nuovo sul ciglio della strada, insozzato
dalla polvere altrui, a racimolare le briciole che gli altri
lasciavano sul loro cammino. E questo non poteva accadere.. non dopo
che aveva fatto tanto per risalire la china e per diventare il più
potente.
L'unico che sembrava realmente rispettarlo era Decio,
fedele e pronto a servirlo fino alla morte. La conversazione che
avevano avuto poco prima era stata decisamente intensa e Marcello
sapeva di essersi spinto troppo in là, chiamandolo “figlio”
Del resto non si trattava di una sporca strategia: per
una volta,anzi, il console era stato sincero, ammettendo la
profondità dei propri sentimenti.
Decio per lui era veramente un figlio, un ragazzo da
istruire al meglio e di cui poter essere orgogliosi. Non a caso gli
aveva affidato un compito tanto delicato senza rimpianti: nessun
altro avrebbe potuto farlo.
Sollevò lo sguardo e si rese conto di essere quasi
arrivato. Accarezzò il collo del cavallo e sbattè i talloni sui
suoi fianchi, partendo veloce al galoppo.
“Il padrone! Il padrone!!”
Le urla degli schiavi intorno a lui lo fecero sorridere
e rigenerarono il suo orgoglio.
Sorrise impercettibilmente e portò la testa
all'indietro: in quel momento si sentiva un dio... un dio circondato
dai fedeli adoranti e non c'era cosa che lo animava di più..
In pochi minuti raggiunse il portone di legno e scese da
cavallo,dirigendosi in silenzio verso il corridoio alla sua destra.
“Manlio! Manlio!!” chiamò autoritario, non
ricevendo risposta.
Pochi secondi dopo uno scalpiccio annunciò l'arrivo del
ragazzo, che, ansante, si affrettò a prendere le redini dello
stallone di fronte a lui.
“Dove eri finito? Ti ho chiamato due volte! E perchè
sei senza fiato?”
“E-ecco padrone.. stavo.. stavo raccogliendo il fieno
per i tuoi cavalli. Non mi aspettavo di vederti a casa stasera e
quando ho sentito i contadini schiamazzare mi sono subito diretto
qui..”
Marcello aggrottò la fronte e lo osservò digrignando i
denti “Quante volte ti ho detto che non devi pensare?? Non sono
tenuto a dirti se, quando e come tornerò a casa, chiaro? E se non mi
aspettavi, mi dispiace di averti scomodato, schiavo...”
Manlio piegò la testa e trattenne il fiato, pronto ad
incassare il colpo, che miracolosamente non venne.
Marcello si era allontanato a rapidi passi, piantandolo
lì in silenzio.
Stupito e piacevolmente sorpreso, Manlio si incamminò
dalla parte opposta, tenendo strette le redini nella mano destra e
accarezzando piano con la sinistra il muso dell'animale “Lo sai? A
volte il padrone mi lascia davvero senza parole..” sussurrò,
sorridendo al nitrito del cavallo che sembrava pensarla esattamente
come lui.
Domus
di Alti
Seduta sul soffice letto, Alti rimuginava senza sosta.
Non era passato molto tempo da quando quello strano sogno si era
presentato, turbandole ancora una volta il sonno.
Si ridistese sulla schiena con un sospiro, osservando
senza entusiasmo il soffitto ricco di affreschi. L'altra parte di lei
sembrava sopita in quel momento e questo le dava la possibilità di
pensare con lucidità, seppure per poco tempo.
L'immagine di quella ragazza armata la tormentava, come
un dubbio al quale non è possibile trovare una risposta.
Perchè mai avrebbe dovuto provare un desiderio di
vendetta? E come poteva sfruttarlo a suo piacimento? Non l'aveva mai
vista, né conosciuta.. Come l'avrebbe avvicinata? Portò un braccio
dietro la testa e si sistemò più comodamente.
Doveva trovare un modo, se voleva davvero riconquistare
Marcello e se voleva tornare ad essere quella di un tempo.
Se avesse saputo che ottenere il potere avrebbe
significato perdere se stessa, forse non sarebbe mai partita per la
Grecia. Eppure rimanere a Roma non era una soluzione che le
aggradava.
Del resto si era sempre sentita superiore a tutti e la
sua anima a prima vista gentile era animata da un fuoco d'orgoglio
che, seppur celato agli altri, la animava dal profondo.
Non era felice, non era soddisfatta né contenta:
desiderava la conoscenza, il potere, la gloria e niente di tutto
questo avrebbe potuto ottenere in quel tugurio che aveva imparato suo
malgrado a chiamare casa.
Marcello le ripeteva spesso che c'erano persone che
stavano in situazioni peggiori delle loro: gli schiavi, gli
emarginati, gli orfani..
Ma in fin dei conti loro due cosa avevano di più? A
cosa serviva essere libero se non si riusciva a raggiungere il
proprio scopo?
Quante notti aveva trascorso a sognare di scappare via
da Roma, per poter provare nuove emozioni, per poter ricominciare
tutto, senza però avere il coraggio di farlo sul serio. L'unica cosa
che per qualche tempo l'aveva trattenuta era stato proprio l'amore
sincero che Marcello nutriva nei suoi confronti. Con lui aveva
pensato di poter mettere tutto da parte, di cominciare una vita
nuova, migliore di quella che aveva vissuto fino a quel momento. Ma
non aveva saputo aspettare: la smania e la bramosia che in quel
periodo avevano prepotentemente preso possesso di lei erano più
forti di qualunque altra cosa.
Quando aveva deciso di partire per la Grecia, si era
sentita finalmente una persona libera e padrona del proprio destino.
E pensare che era stato un viandante, un uomo qualunque con un viso
qualunque ad aprirle la strada. Un uomo incontrato per caso al
mercato, che l'aveva incuriosita con i suoi abiti sgargianti e che le
aveva narrato storie magnifiche di luoghi sconosciuti. Lui le aveva
parlato della magia, le aveva mostrato alcuni di quelli che lui
definiva “doni”.
Si chiamava Tullio ed era stato il suo primo maestro.
Con lui era partita e aveva lasciato dietro di sé la sua vecchia
vita, la sua vecchia se stessa.
Lui l'aveva portata al tempio della Pizia e l'aveva
iniziata ai misteri della magia.
Grazie a lui era diventata potentissima ed aveva appreso
cose che mai immaginava potessero esistere. Ma Tullio era un uomo
buono, una persona che usava la magia al servizio degli altri.
Il suo primo maestro ben presto era diventato il suo
primo avversario: aveva intuito quanto pericolosa fosse diventata e
aveva deciso di fermarla, ma invano.
Era perito, come tutti coloro che dopo di lui avevano
tentato di fermare il suo cammino.
Chiuse per un attimo gli occhi e cercò di impedire ad
una lacrima solitaria di scenderle lungo la guancia. Aveva seppellito
quei ricordi e quelle immagini in un denso oblio, che però si
rischiarava non appena l'altra Alti dormiva.
Erano gli unici momenti in cui era ancora se stessa, in
cui era ancora la ragazza sognatrice, che si era lasciata trasportare
da un desiderio più grande di lei.
Sollevò la mano destra e si asciugò velocemente la
goccia salata che si era fermata alla base della mandibola: in quel
momento piangere non le serviva a nulla.
Quello che doveva fare era capire come agire.
L'altra se stessa le aveva detto di avvicinarsi a quella
schiava, l'aveva chiamata “arma segreta”.. Non poteva lasciarsela
scappare.
Si alzò dal letto, incurante delle coperte che erano
scivolate sul pavimento e si diresse verso la brocca alla sua
sinistra.
Immerse l'indice nel liquido trasparente e un brivido le
percorse la schiena per quanto era freddo. Sospirò appena e si
piegò, avvicinando il viso a pochi centimetri dall'acqua
“Mostramela..” sussurrò, allontanandosi nuovamente per poter
guardare meglio l'immagine che si stava formando.
Cominciava ad intravedere di nuovo quella figura, i
capelli sciolti, il pugnale in mano, la luce vendicativa nei suoi
occhi... quando tutto scomparve, sostituito da un altro volto, che in
quel momento non avrebbe voluto vedere.
L'altra Alti la osservava sorniona, un ghigno ad
incorniciarle il viso.
“Ma tu guarda.. qualcuno qui cerca di usare la magia
senza invitarmi..”
“Cosa ci fai qui? Avevo usato la formula giusta, non
sei tu quella che voglio vedere..”
“Mia cara.. stenti ancora a capirlo? Sono io che
comando qui, non tu. Non sei in grado di fare nulla senza il mio
consenso. Per cui se io dico no, è no e tu non puoi fare altro se
non cercare di attutire la bruciante sensazione della sconfitta.
Perchè volevi vedere quella ragazza? Ti avevo già mostrato quanto
necessario.”
“Avevi detto che è la nostra arma segreta.. volevo
rendermi conto meglio di chi fosse.”
“Non puoi capire una persona attraverso uno specchio
d'acqua..”
“Eppure tu mi comandi come un burattino attraverso di
esso..”
L'altra Alti sorrise, scuotendo appena la testa “Oh
no.. io ti comando perchè sono dentro di te. Lo specchio non è che
un misero strumento. La verità è che io sono una parte di te, della
quale tu non ti potrai mai liberare da sola. Quando hai accettato il
potere assoluto, hai accettato anche me. Tutte le magie hanno un
prezzo.. ed io sono il prezzo della tua magnificenza.”
Alti si alzò in piedi, camminando avanti ed indietro e
stringendo le mani al grembo.
“Suvvia, non fare la bambina arrabbiata. Tu vuoi
odiarmi, ma sai perfettamente di non poterci riuscire. Sarebbe come
odiare la parte migliore di te: perchè che tu ci creda o no, mia
cara, io sono la parte migliore di te!!”
“No.. non è vero..”
“Si che è vero! E tu stessa lo sai. Dici di volerti
ribellare, di volermi scacciare, ma non ti sei mai impegnata per
farlo, né hai tentato di combattere contro il mio dominio. E lo sai
perchè? Perchè sai che senza di me non sei niente.. che senza di me
saresti ancora quella contadina sognatrice, confusa e troppo
orgogliosa. Ti sei mai chiesta perchè ti permetto di pensare
liberamente ogni tanto?
Per questo motivo.. perchè in quei pochi momenti di
lucidità, quando ti penti della scelta fatta, della partenza e di
tutte le tue azioni, arriva il momento in cui sento che una parte di
te mi chiama disperatamente. E' proprio in questi momenti che tu
stessa capisci quanto io sia indispensabile, per guidarti e per
condurti alla vittoria.”
“Io sono stufa di te e delle tue angherie. Io voglio
essere libera!”
“Ah.. troppo tardi cara.. dovevi pensarci prima.
Oramai sei parte di me, come io sono parte di te.. ora smettila di
tormentarti con ricordi passati e dubbi insolvibili. Ti ho già detto
tutto ciò che devi sapere e non ti permetterò di fare altro.”
Alti girò il viso e osservò l'altra se stessa, fiera e
altera, così diversa da lei, pallida e tremante “Perchè? Perchè
sono diventata così?”
L'altra Alti sollevò appena le spalle e le si avvicinò,
poggiandole una mano sulla spalla. “Perchè hai scelto..”
sussurrò svanendo così come si era materializzata.
Domus
di Marcello, giardini
L'annuncio di Diona era stato seguito da un silenzio
gelido. Gabrielle abbassò le braccia e le strinse attorno ai fianchi
di Xena “Non voglio che tu vada via.. non adesso...”
Xena strinse appena gli occhi e pose la mano destra
sotto il volto della più piccola “Gabrielle.. devo.. se Marcello
ci trova.... non posso permettere che ti faccia del male. Io dovrei
essere in cella in questo momento, non ricordi? Verrò da te non
appena possibile, non temere.. ma ora..” Sospirò, incapace di
continuare.
Fu Diona a venirle in aiuto,alternando alle proprie
parole rapidi sguardi al cortile alle proprie spalle “Gabrielle...
Xena ha ragione. Fai come dice... lasciala andare.. il padrone sarà
qui da un momento all'altro!”
“Va bene... ma sappi che io ti aspetterò! Ti
aspetterò, perchè non potrei fare altrimenti...” disse Gabrielle
singhiozzando e diminuendo la presa sui fianchi della mora.
Xena si allungò appena e la baciò sulla fronte “Ti
amo...” sussurrò, poi si voltò e si rivolse a Diona “dammi le
chiavi della cella e resta con lei.”
“Ma... come? Vengo con te!”
“Non se ne parla! Se il padrone ti trova con me, sono
guai.. tu resta con Gabrielle..”
“Ma... io..”
“Diona!!! Muoviti! Dammi le chiavi!” ordinò Xena
imperiosamente, mentre i suoi occhi sembravano emettere scintille.
Suo malgrado Diona obbedì, porgendole il mazzo di
chiavi,che aveva ricevuto da Manlio. “Buona fortuna Xena..”
disse, cercando di impedire alla propria voce di tremare.
Xena annuì, voltò le spalle ad entrambe e corse via
lungo il cortile e per i corridoi della domus. Fu fortunata: tutti
erano alle prese con il ritorno improvviso del padrone e nessuno
schiavo o lavorante era in giro.
Solo il rumore dei suoi passi affrettati rompeva il
silenzio quasi opprimente che si era creato. Xena deglutì
nervosamente e si guardò intorno: aveva la strana sensazione di
essere osservata. Sospirò di sollievo quando in lontananza vide la
porta che
conduceva alle segrete. Infilò la chiave nella toppa e
girò. Stava per spalancarla, quando un fastidioso formicolio alla
nuca la fece voltare nuovamente: ma non vide nessuno.
Era tentata di domandare se vi fosse qualcuno, ma la
prudenza fu più forte dell'istinto: non poteva permettersi di
rischiare tanto. Aprì la porta e si fiondò giù per le scale,
incurante del buio delle torce. Qualche attimo dopo aveva spalancato
la cella e si era sistemata sul giaciglio ansante “Siano
ringraziati gli dei... ce l'ho fatta.. ora devo solo...” ma una
terribile consapevolezza le ferì il cuore: aveva lasciato la porta
delle segrete completamente spalancata!
Maledicendo la fretta e la propria incoscienza, fece per
risollevarsi e correre nuovamente di sopra, quando un rumore che
conosceva ormai piuttosto bene infranse il silenzio degli ambienti
sotterranei.
SBAM
Qualcuno aveva chiuso la porta....
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