Eccoci
giunti alla fine di questa mini-long.
Dovrei
scusarmi del ritardo: mi sono lasciata trascinare da altre storie, dai casini
di famiglia e dagli impegni lavorativi.
Anche
qui valgono le stesse indicazioni dei precedenti capitoli.
La storia prende spunto dagli
eventi della puntata 4x04 “Aithusa”; tuttavia, essi sono stati rimaneggiati verso
un’altra direzione dal minuto 25 circa in poi. Diciamo
che nella mia fic non entreremo nella grotta e
prenderemo un’altra strada. Ah! Ho anche usato le parole di Kilgharrah
a mio uso e consumo. XD
Senza spoilerare
nulla della quinta stagione, confermo che questa storia era ed è rimasta un
“what if” degli eventi.
Come ho spiegato ad alcune
autrici a suo tempo, ho scelto di non leggere nessuna fic
su Aithusa, per non venirne
influenzata mentre scrivevo questa storia. Chiedo perdono se, in qualche modo,
questa fic può assomigliare ad altre, la cosa non è affatto voluta ed è del tutto casuale.
In minima parte, è anche un
omaggio a Saphira di Eragon,
anche se è passato un secolo da quando l’ho letto.
ATTENZIONE: Merlin &
Arthur, friendship (o pre-slash
SOLO AD INTERPRETAZIONE PERSONALE).
Anzitutto, grazie!
Ho visto che, nel corso di questi mesi, molte nuove persone hanno messo questa fic tra le preferite, seguite e da ricordare.
Mi piacerebbe davvero leggere un piccolo parere da parte loro… almeno
adesso, visto che questo è l’ultimo capitolo.
Una dedica
a crownless, chibimayu, DevinCarnes,
Sheireen_Black22, Raven Cullen, Yuki Eiri Sensei, Sheireen_Black 22, elfin emrys, mindy e Orchidea Rosa.
Grazie per aver commentato.
Aithusa
[Our Egg, Our Mascot]
Capitolo V: Un Nuovo Inizio (The right thing to do)
“Cosa sta facendo?” chiese il
cavaliere allo scudiero, stupito quanto lui.
“Non ne ho idea.” Ammise il mago; e ad
entrambi, seppur interdetti, non rimase altro che stare a guardare.
La bestiola aveva smesso di giocare tutto d’un
tratto, sostando ferma e rigida per lunghi istanti, poi aveva preso ad annusare
l’aria con interesse, allontanandosi un po’ da loro, calpestando l’erba come se
stesse seguendo una traccia, un percorso
noto solo a lei. Ad un certo punto, s’era fermata
e aveva iniziato a girare su se stessa, compiendo una specie di danza in
circolo.
“Che sia un rituale magico?” diede voce Arthur, incuriosito
e preoccupato al contempo.
Merlin stava per dirgli che sì, poteva anche essere, ma Aithusa lo precedette accucciandosi e, dopo aver rilasciato
un “Greeee” soddisfatto, si risollevò con l’intento
di tornare da loro, lasciando in bella vista un puzzolente ricordino fumante.
“Uhm, no. Direi che non era un
rituale magico, Sire.” Considerò il servo, fingendosi
serio, per non offendere il suscettibile amor proprio del suo padrone; eppure,
appena il suo sguardo incrociò quello corrucciato dell’altro, scoppiò a ridere
inevitabilmente.
“Merlin, non fiatare!” gli intimò, inutilmente.
“Oh, suvvia…” sdrammatizzò lo stregone. “E’
stata persino così gentile da allontanarsi per non ammorbarci con l’odore
sgradevole! I vostri cani non hanno mai queste premure
con me!” la difese.
Il drago, ignaro di tutto, fece ritorno, scodinzolando
allegro.
“Ma guardala! Sta…
sta sculettando!” denunciò il re,
davanti all’ennesima assurdità della giornata.
“Eh! Sarà felice, no?” la giustificò.
“Parola mia, Sire! Anche voi siete maggiormente di buonumore quando riuscite ad evacuare!”
“Merlin. Stai. Zitto.” Sibilò il
sovrano, sollevando il busto con un gemito – le costole non gli davano tregua –
lanciandogli contro un sasso, dispiaciuto di non aver null’altro a portata di
mano per ritentare.
“D’accordo.” Concesse l’altro per accantonare la questione, conscio di aver esagerato un tantino, scansando la pietra
per pura fortuna. “Vi fa ancora molto male?”
“Nh.” Mugugnò il re, cercando
invano una posizione confortevole contro l’albero a cui
era appoggiato, e sdraiandosi quindi sull’erba, eppure la situazione non
migliorò. “Mi costa ammetterlo ma, se non fosse già buio, ti
manderei a cercare qualche altra radice con cui avvelenarmi. Sarebbe sempre meglio che stare così e…” egli s’interruppe, poiché
il draghetto in avvicinamento era entrato nella sua
visuale rasoterra.
Prima che Arthur potesse cacciarlo, il cucciolo finì quasi
per cozzargli contro.
“Sciò!” sbraitò, infastidito da quell’invasione, alzando la
mano e scoprendo, solo in quel momento, di non riuscire a farlo. Con orrore,
Arthur ritentò, ma tutto il suo corpo sembrava paralizzato. “Merlin, tiralo
via!” urlò quindi. “Non posso muovermi!” però il servo, credendo che
scherzasse, non lo aiutò. “Mi mangerà!” guaì il sovrano sconvolto, incoerentemente,
vedendo i dentini aguzzi ad un palmo dal suo naso.
“Macché!” lo smentì il servitore, mentre Aithusa
lo annusava. “Riconosce il vostro odore, perché l’avete covata anche voi!”
“E se invece stesse cercando di capire se come pasto sarei
di suo gradimento?” domandò il re, stridulo.
Merlin rise e intanto la bestiola si era chinata a leccare
il petto di Arthur, nello squarcio della casacca dov’era stato ferito. Le sue
zanne acuminate sfiorarono la pelle del torace, facendolo rabbrividire.
“Ecco, mi mangia!” profetizzò il nobile cavaliere, sull’orlo
di una crisi di nervi. “Mi vuoi aiutare?!”
“Ma… n-no…” fu il replicare più dubbioso del mago, che non
capiva più le intenzioni del drago e se l’Idiota Reale stesse fingendo o meno.
“Il cuore! Mi mangia il cuore!!” strillò Arthur, spaventando a tal punto il cucciolo che Aithusa scappò via, per andare a rifugiarsi tra le braccia
dello stregone, nascondendo il muso sotto la sua casacca.
“Quella bestiaccia!, mi ha
incantato!” strepitò il giovane Pendragon,
risollevandosi di colpo in piedi e zoppicando, non appena sentì che era
nuovamente padrone di sé e che le forze gli erano tornate. “Uh!” soffiò,
tastandosi il costato e rimanendo con le dita appiccicose. “Ma…
com’è possibile?”
Merlin, che davvero faticava a raccapezzarsi e a calmare
l’inquietudine della dragonessa, chiese spiegazioni.
“Che avete, adesso?”
“Il dolore alle costole è… diminuito.” Rivelò il re, inspirando a pieni polmoni per
verificare. Ed effettivamente sentiva meno male.
“Aithusa vi ha guarito col suo
potere!” gli spiegò il mago, arrivando alla soluzione dopo qualche istante di
riflessione. “Voi, e la vostra malafede! ‘Mi vuole mangiare’!” lo
scimmiottò, guadagnandosi un’occhiataccia. “Vi ha immobilizzato solo perché
ha capito che siete un Asino e non vi
sareste mai lasciato toccare spontaneamente da lei!”
gli appuntò, sapendo di avere ragione. “Dovreste ringraziarla, invece di
urlarle contro!” lo rimproverò, cercando ancora di calmare il suo tremore.
Poiché l’unica risposta del sovrano di Camelot fu uno sguardo fugace alla maglia palpitante,
che fungeva da nascondiglio, e un grugnito a metà strada tra un’ammissione coatta
e una richiesta di perdono, Merlin accantonò la faccenda, anche perché la
bestiola non smetteva di avere paura.
Per distrarla, dopo qualche coccola, egli si mise a giocare
con un rametto secco, alla stessa maniera con cui avrebbe intrattenuto un
gattino: muovendolo qua e là, faceva in modo che il drago lo seguisse, poi lo
allontanava e lo avvicinava alle zampette, anticipando le mosse dell’essere
magico di qualche istante, che pure pareva avvinto dal gioco, puntando il
musetto ed emettendo un “Grrr-e” di concentrazione.
Merlin ridacchiò, divertito; ma quando – dopo appena pochi minuti – Aithusa perse la pazienza e si fermò, anziché preparare
l’ultimo assalto, spalancò le fauci e...
Il mago fissò incredulo il rametto carbonizzato che ancora
teneva in mano.
“Ehi!” protestò. “Così non vale!” la sgridò, contrariato.
Arthur, invece, si mise a ridere. “E’ solo un cucciolo, Merlin.”
Lo canzonò, per provocazione. “E ora smettila di giocare; è tempo di dormire…”
gli ordinò, fintanto che il draghetto scodinzolava, e
sbatacchiava le alucce tutto festoso, emettendo un vittorioso
“Greeee!!”
***
Accordarsi per come trascorrere la notte fu un po’ più
complicato del previsto, ma Arthur era rassegnato
all’idiozia del suo servitore.
Dopo averlo spedito a raccogliere legna da ardere, per
alimentare il fuoco per le veglie successive – rammentandogli, stavolta, di sottrarsi
a scampagnate infinite nel bosco, onde evitare che la sua regale persona si
preoccupasse per l’inutile esistenza del suo servo –, Merlin aveva sbuffato con
la solita irriverenza e si era incamminato. Tuttavia, impedire ad Aithusa di seguirlo si era rivelato un tantino più
complesso. Alla fine, lo scudiero le aveva ordinato di restarsene vicino al
fuoco e il cucciolo, mugugnando una serie di proteste strazianti, aveva infine
ceduto a malincuore, sotto lo sguardo diffidente del re che si era rifiutato di
intrattenerla facendole da balia e che, al massimo, aveva tollerato di doverla
tenere d’occhio.
Quando lo stregone aveva fatto ritorno, carico come un mulo
di rami secchi e sterpaglie, il draghetto gli era zampettato incontro tutto esuberante, divertendo il
sovrano per l’eccessiva euforia.
“Sembra che tu sia mancato per delle lune intere!” ironizzò,
compatendo il comportamento della bestiola che saltellava tutt’attorno al mago,
gracchiando felice.
“E’ perché lei capisce
il mio valore, Sire.” Lo rimbeccò Merlin, con lo stesso tono. “Siete forse
invidioso?” lo pungolò, facendolo inalberare.
“Ma cosa diamine ti passa per la testa?!”
s’indispettì, permaloso.
E il servo, facendo spallucce, decise di non replicare all’Asino
Reale; quindi si rivolse alla dragonessa. “Ma quanto sei intelligente, tu!” la
lodò, con una carezza sulla nuca squamata, venendo
ricompensato da gorgoglii a profusione, che lo fecero sorridere come un ebete.
“Smettetela di amoreggiare, voi due!” li sgridò il sovrano
di Camelot, burbero.
In risposta, il valletto sollevò
gli occhi al cielo, ingoiando una rispostaccia. Quello che stupì Arthur fu che
anche Aithusa sembrò esprimere la stessa
insofferenza, ma certamente ciò era
impossibile e lui doveva essersi sbagliato.
“Merlin, vai a dormire!” ordinò quindi, spiccio, imponendosi
contegno e lanciandogli contro il proprio mantello.
“Ma Sire! E voi?”
protestò il suo servo, come si era aspettato che facesse.
Arthur sorrise interiormente. Se quell’idiota si vantava di conoscerlo bene, anche lui poteva dire altrettanto.
“Io farò la guardia, ovvio.”
Spiegò, con una punta di sussiego che evidenziava la scontatezza della questione.
“Farò io il primo turno!” propose lo stregone, osservando
ora Sua Maestà ora il cucciolo che sembrava straordinariamente interessato alla
discussione.
“Non se ne parla neppure!” lo tacitò il giovane Pendragon, incrociando le braccia.
“Ma-”
Arthur imprecò mentalmente contro la sua testardaggine.
“Punto primo, Merlin.” Elencò, con la
consueta, regale presunzione. “Abbiamo già appurato che tu sei una pessima sentinella.”
Il mago arrossì, vergognandosi al cocente ricordo di qualche
veglia addietro.
“Però…” tentò ugualmente.
“Punto secondo, Merlin.”
Enumerò nuovamente il monarca, con la medesima arroganza. “Io ho riposato tutto
il pomeriggio, mentre tu hai giocato col tuo animaletto da compagnia.” Gli
appuntò. “Perciò sono più riposato e vigile di te.”
“Ma-”
“Punto terzo, Merlin.”
Espose ancora il re, contando sulle dita. “Non dormirei
mai sonni tranquilli, sapendo che tu e questo drago scorrazzate in libertà,
vegliando sulla mia incolumità.”
A quel punto, il mago si indignò.
“Non è corretto!” protestò. “Voi sapete che sorveglierei scrupolosamente la
vostra-”
“Punto quarto, Merlin.”
Evidenziò Arthur, interrompendolo senza remore. “Il re sono
io, comando io, e decido io. Giusto?” domandò retorico, con un ghigno di trionfo.
Il mago grugnì un “Asino Reale!” di lamentela, ma fu
costretto ad assentire.
Subito dopo, però, egli lanciò uno sguardo ad Aithusa, e inevitabilmente si adombrò.
Il nobile, che parve cogliere le sue inquietudini, lo
prevenne.
“Giuro, sul mio onore di cavaliere, che non le farò del male.”
L’incredibile sollievo, che vide fiorire sul volto del suo
servo, lo fece quasi sentire in colpa, e poi ferito.
Davvero quell’idiota
temeva che lui avrebbe approfittato del buio della
notte per colpire il cucciolo?
Davvero credeva che si
sarebbe abbassato ad un atto così meschino? Si fidava
così poco di lui?
“Raccogli le tue inutili membra e quel
sacco di pulci e vai a dormire. Ora.”
Gli intimò, forse più duramente che nelle sue intenzioni.
“Ma Aithusa
non ha le pulci!” la difese il servo, senza soffermarsi sul tono del comando,
eppure seguendo l’ordine, stendendosi vicino al fuoco, con il draghetto tra le braccia.
Quando Arthur gli prestò il proprio mantello, a nulla
valsero le sue proteste.
“L’aria frizzante mi aiuterà a rimanere sveglio.” Aveva
spiegato il nobile, appoggiando la schiena contro un tronco un po’ discosto dal
falò, distendendo le gambe, e massaggiando la sinistra ancora dolorante.
In breve, ci fu solo il silenzio della notte a fargli
compagnia, i richiami degli uccelli predatori e il gorgoglio dell’acqua che
scorreva placida poco lontano.
Il giovane Pendragon si rilassò,
concentrando l’udito sul respiro rassicurante di Merlin – che s’era addormentato all’istante, malgrado i buoni propositi –
e che faceva da contraltare a quello più veloce del draghetto,
anch’esso appisolatosi qualche momento dopo.
***
‘Arthur…’
C’era una voce, nella sua testa. Una voce femminile, di bambina.
Una chiamata mentale, un’eco soffusa e confortante, una bolla accogliente che
scivolava in ogni anfratto del suo essere sanandolo e guarendolo.
‘Arthur…’
Ripeté, vezzeggiandolo sinuosamente, per spingerlo ad uscire dal suo bozzolo onirico.
La prima cosa che il giovane Pendragon
vide, aprendo gli occhi, fu il cielo nero punteggiato di stelle sopra la sua
testa.
Dannazione, si era addormentato anche se era di guardia.
La seconda cosa che percepì, subito dopo, per istinto, fu un
peso estraneo che gli gravava sull’addome e sul torace, caldo e solido.
Allarmandosi, egli risollevò la
testa di scatto, trovandosi a cozzare contro il muso del drago, che guaì di
dolore.
L’istante successivo, trattenendo a stento un urlo, il re
scattò in piedi, facendo ruzzolare sul terreno il cucciolo spaventato.
“Tu! Tu! Dannazione!” sibilò, frenando a fatica il
tono, puntando un dito contro l’essere magico che tremava spaurito.
Aithusa sussultò ancor di più,
sotto la sua ira, e Arthur intercettò lo sguardo della bestiola che fissava, ansiosa, Merlin addormentato e le sue braccia confortevoli e sicure.
Un nido caldo dove rifugiarsi.
“No! Lascialo in
pace!” stridé allora, ancora sottovoce, eppure perentorio nell’intonazione,
tanto che il draghetto si paralizzò all’istante.
“Quell’idiota si è già preoccupato anche troppo per te, oggi.” Lo sgridò.
Aithusa chinò il musetto in risposta, tanto da sembrare contrita. Eppure smise di
puntare il servo, rinunciando ai propri propositi di salvezza.
“Grrre” sussurrò, a sua volta, e
ne uscì un lamento gutturale.
Il re sollevò un aristocratico sopracciglio, realizzando di
essere stato sorprendentemente ascoltato.
In vita sua, non
avrebbe mai creduto che si sarebbe trovato a parlare con un drago, facendosi –
per giunta – obbedire. Ma, in fondo, quella non era
neppure la stranezza più grossa che gli era capitata e, quasi sicuramente, in
futuro gliene sarebbero sopraggiunte anche di più strambe.
Intanto la bestiola tremante, acquattata al suolo,
continuava a fissarlo, in attesa.
Arthur si sentì quasi colpevole per averla terrorizzata
tanto e, indeciso sul da farsi, si passò istintivamente una mano sulla faccia
come per snebbiarsi la mente. Fu a quel punto che sentì la propria guancia e la
tempia appiccicose.
Ripassando le dita una seconda volta, ma con più cautela e
attenzione, realizzò che le abrasioni della caduta
contro le rocce non c’erano più. Per questo, adesso non sentiva la pelle
scorticata bruciare, perché era tornata liscia a integra.
Aithusa aveva leccato e guarito le sue sbucciature.
“Sei stata tu?” chiese, retorico. “Perché
l’hai fatto?” si stupì, incredulo.
In fondo, a differenza
del suo servo, lui non l’aveva mai trattata con particolare benevolenza o
amicizia.
“Greee” gracchiò la dragonessa, in risposta, scodinzolando.
“Perché lo hai fatto?” insistette il cavaliere, ammorbidendo
il tono inquisitore. “Solo per far felice Merlin?” indagò.
“Greee” ripeté il cucciolo.
Il nobile sbuffò. “Così non ti capisco.” Ammise,
abbandonando ogni diffidenza.
Aithusa si prese il tempo di
scrutarlo per un istante infinito, mentre lui, sotto osservazione, si risedeva
a terra contro le radici dell’albero.
‘Arthur…’
Sentì echeggiare il sovrano, dentro di sé.
E di colpo sollevò la testa, incrociando lo sguardo d’onice
della creatura magica, ancora in attesa.
‘Arthur…’
Ripeté il drago, come risposta al quesito del monarca. E tanto bastò.
“Vieni. Non ti farò del male.”
Dichiarò infine il nobile, per acquietarla, e solo secondariamente per
mantenere la promessa fatta a Merlin.
La bestiola non se lo fece ripetere
due volte e, dimenando la coda e il musetto, lo raggiunse fermandosi ad un
passo da lui.
Poi, prima che il re potesse fare alcunché
per impedirlo, essa spalancò la bocca e ne uscì un folata calda, che andò a
colpire direttamente la gamba ferita del sovrano di Camelot.
In quello stesso istante, il dolore all’arto contuso cessò.
Le carni smisero di pulsare tormentosamente, gli spasmi dei muscoli cessarono.
“Merlin ha ragione a dire che il tuo è un potere miracoloso.”
Riconobbe il cavaliere. “Grazie.” Dichiarò poi, come avrebbe fatto qualunque
uomo d’onore, esprimendo la propria riconoscenza per quella provvidenziale
guarigione.
Aithusa, tuttavia, si limitò a
guardarlo con i suoi enormi occhioni neri. Poi,
prendendo coraggio, allungò il muso verso la manica della tunica e,
afferrandola con i dentini acuminati, la sollevò dalle cosce su cui era posata,
per rivoltare il palmo della mano all’insù.
Arthur la lasciò fare, incuriosito e finalmente persuaso che
il drago non gli avrebbe mai cagionato volontariamente alcun male.
“Cos’hai intenzione di fare?” le
domandò, cercando di dare un senso a quel gesto.
Il cucciolo grugnì un soffuso “Gr-e”
prima di leccare la palma scorticata che subito si sanò.
Capite le sue intenzioni, il giovane Pendragon
allungò anche l’altra mano e il drago ripeté l’azione, completando la sua opera
di guarigione.
Arthur ridacchiò sottovoce, un po’ per il solletico che la
lingua rasposa gli procurava e un po’ per un pensiero
che gli si era formulato in testa.
“Certo che sei proprio testarda, eh?!”
considerò, con un sorriso e rinnovata ammirazione. “Avresti continuato a
tampinarmi fino a che non avessi ceduto, facendomi riaggiustare del tutto?”
scherzò.
Aithusa scodinzolò in risposta, lasciandosi sfuggire un acuto “Greeeee!”
“Shh!” la tacitò il nobile,
ponendosi un dito sulle labbra. E il draghetto, che comprese
l’avvertimento, bloccò ulteriori slanci di allegria. Eppure
il servitore, poco lontano da loro, mugugnò qualcosa nel sonno.
Sia Arthur che il cucciolo adocchiarono
Merlin ma, poiché questi effettivamente non si destò, si scrutarono poi a
vicenda, indecisi sul da farsi.
Dal momento che la notte era ancora
lunga, prima di riprendere il suo turno di guardia, il cavaliere rimpinguò il
fuoco morente, sotto il controllo vigile del draghetto,
che non aspettava altro che un suo ordine.
“Vieni qui, dai.” Cedette infine il
re e lei, dimenando la coda e sbatacchiando le alucce,
corse ad accucciarsi sulle sue gambe con un piccolo balzo e un crocidare
soddisfatto.
Il giovane Pendragon non si sarebbe mai aspettato di godere del tepore del suo pancino.
Era migliore di
qualsiasi coperta, più caldo di qualunque scaldaletto
avesse mai provato al castello. Persino le sue vesti di pelliccia sfiguravano
al confronto.
Aithusa, dopo aver trovato una
posizione confortevole, aveva strofinato il musetto contro il suo torace e poi aveva
arrotolato la codina attorno al suo polso destro.
Arthur, restio a quel contatto, aveva sollevato un
sopracciglio, sul punto di protestare, ma all’ultimo aveva rinunciato e, con
uno sbuffo di condiscendenza, l’aveva lasciata fare.
In fondo, era solo un
cucciolo neonato, e probabilmente quell’idiota di Merlin l’aveva già viziato
all’inverosimile.
Per questo, il re si sentì in dovere di accarezzare la
schiena della bestiola distrattamente, per conciliarle il sonno e, se non fosse
stato un drago, Arthur avrebbe giurato di averla sentita fare le fusa.
Pur dandosi dello sciocco, il nobile non smise quelle
coccole, per ripagarla almeno in parte dei suoi servigi.
Anche se non aveva ancora riflettuto – come avrebbe voluto –
sul futuro del piccolo draghetto, era ormai certo che
l’unica via fosse condurlo a Camelot.
Gli costava ammetterlo, ma Merlin aveva avuto ragione su
molte cose, e i poteri di Aithusa e la sua indole
buona avrebbero potuto salvare la sua gente.
Lei era un dono
prezioso. Un buon auspicio per Albion, l’aveva
definita il suo servo.
Non sarebbe stato semplice, questo no.
Avrebbe dovuto lottare, affinché Aithusa
venisse accettata dai nobili del castello, affinché il
Consiglio superasse vent’anni di diffidenza e odio contro i draghi e la magia.
Lui, per primo, non si credeva del tutto pronto. Eppure sentiva, nel suo cuore, che era la
cosa giusta da fare.
Sì, non tutti gli
esseri magici erano cattivi e pericolosi, e lui aveva quella certezza fra le
sue braccia.
Fine
Disclaimer: I
personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono
agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio a Tao, che sopporta i
miei scleri. X3
E a Giuls, che mi coccola col suo entusiasmo!
Note: Il colore
del titolo ‘dovrebbe’ richiamare le gradazioni dell’uovo, purtroppo non è
possibile farlo in modo realistico. U_U
Per pignoleria, faccio notare che durante la puntata l’uovo
cambia colore un numero imprecisato di volte.
All’inizio è bianco, con l’apice e il pedice azzurrognoli,
alla fine è tutto blu chiaro. XD
Il potere taumaturgico dei draghi è più volte utilizzato nel
telefilm di Merlin.
Nel finale della quarta stagione, abbiamo visto che uno sputacchio di Aithusa rimette in vita anche una Morgana moribonda, no? XD
Avviso di servizio: A chi interessa, Linette 69 arriverà nel giorno del suo
terzo compleanno.
E la raccolta comica spoiler “The Once and Future… Prat.” è
stata aggiornata al 4° capitolo qualche giorno fa.
Campagna di
Promozione Sociale - Messaggio No Profit:
Dona l’8‰
del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
(Chiunque voglia
aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio
crede)
Come sempre, sono graditi commenti,
consigli e critiche.
Grazie (_ _)
elyxyz