NCIS
Union Station, Washington D.C.,
7.00 p.m.
A Ziva
piaceva particolarmente andare alla stazione ferroviaria di Washington.
Prima di tutto, le piaceva artisticamente parlando: le ricordava un po'
le grandi cattedrali italiane e gli archi di trionfo; tutta quell'aria
classicheggiante le trasmetteva calma e spirito d'inventiva, tanto che
immaginava di scolpire essa stessa le fini ed eleganti decorazioni in
marmo. Si fermava sempre cinque minuti ad osservare la statua di
Archimede.
Più di tutto, però, le piaceva guardare le
persone. Alla
Union Station, ogni giorno, transitavano migliaia di persone ed era
bello vederle con i bagagli, chi con l'espressione felice, chi stanco,
chi ancora commosso. C'erano gli amici e i parenti, in
qualità
di accompagnatori. C'erano gli artisti di strada, che strappavano
sempre il sorriso a qualcuno. C'erano anche i venditori ambulanti,
molto simpatici - una volta, Ziva aveva scambiato uno di loro per un
terrorista boliviano. Lei arrivava, così, sempre un po'
prima
dell'orario stabilito e si metteva ad osservare tutti loro, come se
fossero il suo personale palcoscenico, in una rappresentazione sempre
originale, ma sempre la stessa.
Seduta su una delle panche, controllò l'orologio, in attesa.
Era stanca anche lei, come la maggior parte dei viaggiatori. La vita
all'ambasciata non era facile come le era inizialmente sembrato: aveva
a che fare con israeliani scontenti, o turisti scontenti, o politici
scontenti (effettivamente si era resa conto che, chi entrava
all'ambasciata, era sempre infelice per chissà quale bega
diplomatica) e lei era tenuta a stare lì, alla sua
scrivania,
cercando di placare gli animi. Alcune volte, però, sentiva
ancora il brivido della caccia, quando doveva interrogare un sospettato
o perquisire qualcuno. Le era anche capitato di proteggere un agente
del Mossad negli appartamenti dell'ambasciatore - non era stata una
bella esperienza, alcuni la guardavano ancora con diffidenza, dopo che
suo padre era scappato misteriosamente
di
prigione. Quello che le piaceva di più era, tuttavia,
prendere
il the con la mamma dell'ambasciatore, una signora distinta che le
ricordava tanto la sua Leni; erano piccole vittorie di cui andava
fiera, perchè era riuscita a crearsi una sua routine.
Ziva si stiracchiò e sbadigliò.
Controllò di nuovo l'orologio. Dieci minuti di ritardo.
Ci aveva messo un po' a trovare una casa dove stare. Aveva subito
scartato un'appartamento messo a dispozione dell'ambasciata - sentiva
già di essere troppo sotto controllo e voleva rincasare a
suo
piacimento. Non avendo i soldi per comprarne o affitarne uno, aveva
chiesto aiuto a McGee per cercare un buco che le andasse bene per i
primi tempi, per poi sistemarsi più avanti: a sorpresa,
McGee le
aveva offerto la stanza lasciata vuota da Tony nel suo appartamento.
Aveva sottolineato che non era un atto caritatevole, perchè
aveva urgentemente bisogno di qualcun'altro che lo aiutasse con le
spese; Abby era stata felicissima del trasferimento e passava molto
tempo con loro (la notte, Ziva aveva scoperto di non sentire i due
amanti in fondo al corridoio e aveva tirato un sospiro di sollievo).
Vivere con il suo migliore amico era bello e inevitabilmente comodo. In
pratica, McGee faceva tutto: lavava, cucinava, stirava... era una
perfetta donna di casa, quello che Ziva non sarebbe mai diventata,
nemmeno osservandolo tutti i giorni. Più o meno avevano gli
stessi orari, perchè era diventato l'assistente di un
professore
alla facoltà di Fisica, così riuscivano a vedersi
per
pranzo e per cena, e la domenica oziavano entrambi (la ragazza si era
impegnata a preparare la colazione almeno quelle mattine,
così
McGee poteva riposare).
Sobbalzò, quando il cellulare cominciò a vibrarle
nella tasca dei pantaloni.
"Ciao, McInquilino" sorrise. "Si, sono ancora alla stazione ad
aspettare" sbuffò. "Deve essere in ritardo... no, ma credo
arrivi a momenti. Fa così, ordina le pizze, almeno non fai
tardi
quando vai a prenderle e le mangiamo calde. Ok, ti mando un messaggio.
Ciao" attaccò.
C'era caos, a quell'ora, e non riusciva a sentire la gracchiante voce
metallica che annunciava i treni. Magari si era persa l'annuncio
parlando con McGee.
"Buonasera!" qualcuno le baciò il lobo dell'orecchio e Ziva
sorrise. Guardò in alto e vide il viso gioviale di Tony che
la
osservava.
"Ce ne hai messo di tempo! Sono qui da minimo venti minuti!" lo
rimproverò, mentre gli baciava il mento e poi la bocca.
"Quando il treno
è in ritardo avvisami, almeno mi porto un libro"
"Scusa" Tony arricciò le labbra e le prese la mano, per
avviarsi verso l'uscita. "Andiamo a casa?"
"Si! Stasera ti toccano le pizze! McGee ha dovuto sostituire il
professore, così non ha potuto cucinare. Ma l'ho spedito a
prenderle, così fra due giorni torni a Baltimora con la
pancia piena" ridacchiò. "A proposito, sei ingrassato"
Tony impallidì. "Sei seria?" si fermò,
grattandosi la pancia. "Pensavo di aver messo su massa muscolare"
"No, tesoro, è massa
e basta" scoppiò a ridere.
Tony non aveva ancora lasciato a Baltimora. L'accademia di polizia era
terminata, ma era in prova in una centrale della città,
vicino
casa, insieme a Deeks, Kensi e Kate, mentre Sam e Callen erano stati
trasferiti a Los Angeles. Fortunatamente era riuscito ad
organizzare con i suoi amici i turni lavorativi, per tornare, almeno il
sabato e la
domenica, a Washington, per stare con lei. Non le piaceva averlo
lontano, ma di sicuro i primi tempi le era servito: avere sempre Tony
nei paraggi la destabilizzava, le faceva perdere la dovuta
razionalità e
le infilava anche le mani dappertutto. Non
era, perciò, pienamente convinta di volerselo riprendere,
sebbene Tony ci mettesse tutto l'impegno per riacquistare la sua
fiducia.
Alla fine era successo, e non l'aveva programmato. Una mattina, dopo
aver fatto accidentalmente
l'amore con lui, si
era svegliata, l'aveva visto sbavare sul suo cuscino e ricordarsi del
perchè lo aveva amato era stato facile. Di tanto in tanto,
andava anche lei a Baltimora - c'era sempre un letto disponibile, in
quella casa.
"E' colpa di Kensi" alzò gli occhi al cielo. "Guarda troppo
quei
programmi di cucina e si sente in dovere di far da mangiare al povero
vicino di casa, solo e abbandonato a sè stesso. Non vedo
l'ora
che torni Sam, guarda. Lei e Marty stanno sempre fiondati sul divano e
io non posso fare praticamente niente" fece spallucce. "Ti sembra
giusto?"
"Stai sempre a lamentarti, DiNozzo. A proposito, quando torni a casa,
devi dire a Rick che il libro mi è arrivato, con tanto di
autografo personale" sorrise. "Mi ha scritto una bella dedica!"
"Cioè?" Tony provò ad indagare. Nonostante Rick e
Kate
fossero una coppia, continuava a non fidarsi dell'estrema gentilezza
nei confronti di Ziva, ogni volta che lo andava a trovare.
"Fatti nostri. Privati"
"Hai dei fatti privati con Richard Castle?" Spalancò la
bocca.
"Tanti. Proprio tanti"
Tony ridacchiò e l'attirò a sè.
"Quanto mi sei
mancata" Ziva lo abbracciò e accarezzò il petto,
coperto
da un maglione, con la guancia.
"Anche tu. Pensi di baciarmi decentemente?"
Tony lasciò cadere la valigia e la prese in braccio. Le
gambe si
Ziva si artigliarono ai suoi fianchi e gli circondò il collo
con
le braccia. Qualche passante li guardò con occhio critico,
ma
nessuno dei due se ne preoccupò - era sempre la stessa
scena,
tutti i venerdì sera.
"Guanciotte dolci, non sarai mica in crisi d'astinenza?"
"Ti amo"
"Ti amo anche io"
Casa
Gibbs, Washington D.C., 8 p.m.
Gibbs aveva gli occhi socchiusi, nel vano tentantivo di sembrare
minaccioso.
Kelly aveva gli occhi spalancati ed emise un gorgoglio divertito tipico
dei bambini.
"Bene, tesoro. Ora ti lasciamo con i babysitter, ma devi fare la brava.
Ok?" borbottò suo padre. Kelly ridacchiò. Gibbs
sbuffò.
"Li farai impazzire, vero?" la bambina naturalmente non rispose, ma
l'uomo notò quel luccichio malvagio negli occhi nocciola,
che valeva più di mille parole. "Sei la figlia del demonio,
tu" le diede un morbido bacio sulla guancia.
Kelly era un soldo di cacio, ma aveva messo sotto sopra la sua vita;
doveva alzarsi durante la notte, controllare la temperatura del
biberon, farla addormentare, farle fare il ruttino, bagnetto,
pannolini... era un autentico lavoro, non c'erano pause pranzo o giorni
liberi. Gibbs e Shannon facevano i turni per stare con la piccola e,
dopo la sua nascita, erano usciti pochissimi e i momenti intimi ridotti
al minimo.
A nessuno dei due, però, dispiaceva davvero.
Quella sera avevano deciso di andare a cena, loro due da soli. Era la
prima volta che lasciavano Kelly con qualcun altro e Shannon non
sembrava molto tranquilla in proposito, sebbene suo marito avesse
tentato più volte di rassicurarla.
"Sono dei professionisti, sapranno come cavarsela" le aveva detto
nemmeno un giorno prima.
"Che stai facendo?" gli domandò, entrando in camera di
Kelly. Si stava pettinando i folti capelli rossi: aveva un bel vestito
elegante, blu, che faceva risaltare la pelle chiara. Gibbs non
potè fare a meno di baciarla.
"Dicevo a tua figlia che deve fare la brava"
"Oh, lo sai che non lo farà. Vero, amore mio?" la prese in
braccio e la strinse forte. "Come faccio a lasciarti sola soletta?"
"Ehi" Gibbs la guardò male. "Abbiamo bisogno di una pausa"
"Lo so, lo so" Shannon mise il broncio e la riempì di baci.
"E poi c'è lui" l'uomo indicò il gattone
arancione, comodamente seduto su due peluche della bambina. Whisky era
stato regalato a Kelly dopo un mese esatto dalla sua nascita - Ziva non
sapeva cosa diavolo si potesse mai regalare ad una bambina e, visto che
anche lei era cresciuta con un gatto, aveva pensato di dare Whisky in
adozione (McGee era stato molto felice della sparizione del micio). Da
quel momento, il gatto si era appropriato di una poltrona, due cuscini
e i peluche di Kelly. Oramai non provavano nemmeno a cacciarlo via.
"Ho sempre la netta sensazione che mi guardi male" osservò
Gibbs. In effetti, ogni volta che provava a prenderlo, Whisky soffiava.
"Forse è geloso. A me non dici niente, anzi. E Kelly gli
tira sempre la coda. Non gli piaci proprio tu" rise la donna.
Il campanello interruppe la discussione; i coniugi Gibbs si guardarono:
"Sono qui" dissero in coro.
Scesero tutti e tre al piano di sotto, con Whisky al seguito. Sulla
soglia della porta, Tobias Fornell e Ducky Mallard sorridevano
compiaciuti.
"Ho cambiato idea" Shannon deglutì. "Non la voglio lasciare
a loro due. Preferisco Abby"
"Stasera torna Tony. Non poteva venire" Gibbs alzò gli occhi
al cielo. "Fidati, se la cavaranno. Al massimo c'è il gatto"
"Comunque noi siamo qui davanti a voi, eh" Fornell ringhiò
stizzito. "Vieni dallo zio, tu" allungò le braccia e Kelly
si allungò per andare da lui, poi passò a Ducky.
Voleva stranamente bene a quelle due losche figure che giravano attorno
alla sua vita.
"Ragazzi, mi raccomando" sospirò Shannon, prendendo la borsa
e il cappotto all'ingresso.
"Tranquilla" Ducky sorrise.
Tobias li salutò con la mano e chiuse ad entrambi la porta
in faccia, non prima di aver urlato un "Divertitevi!" molto eloquente.
Gibbs e Shannon scoppiarono a ridere, mentre salivano in macchina.
"Sono pazzi. E faranno diventare pazza anche mia figlia!"
Jethro le sorrise e mise in moto. "Non credo - per quello bastiamo
già io e te". Sua moglie gli fece una linguaccia divertita e
gli si aggrappò al braccio.
"Allora, signor Gibbs... dove mi porta di bello?"
The
End.
Maia says:
Oh.
Mio. Dio. Non pensavo... insomma. Cioè è
parecchio brutto, sapete? T_T Mi viene da piangere. Ok, scrivo e scrivo
così non ci penso.
Prima di tutto, vorrei
ringraziarvi TUTTI. Ma proprio tutti - chi ha letto in
silenzio, chi l'ha messa tra le seguite, le preferite, le ricordate -.
Naturalmente un grazie speciale a chi mi ha seguita da sempre e che non
si è perso/a un capitolo, sempre con recensioni positive ed
entusiaste (insomma, avete pianto e gioito con me, che altro
aggiungere? :'D).
In seconda battuta vi volevo dire che questa storia (anzi, tutte e due)
sono andate avanti grazie a voi :'D C'è anche chi mi ha
detto, 'Ehi, non
c'è due senza tre ;)'... ma no, xD Non ci
sarà una terza storia sui due modelli che avete
già letto - non perchè non voglia... un po'
è che veramente non ho tempo, tra maturità e cose
così ma... non saprei cosa aggiungere a questo.
Quando ho cominciato High School, penso lo sappiate, stavo andando
completamente allo sbaraglio. Mi piaceva immaginare i personaggi in un
ambiente diverso, in particolare l'ambiente più vicino a me
(il liceo, ahimè.) quindi non è che ci abbia
tanto riflettuto sopra... senza sapere di avere tutto questo "successo"
:'D Fantastici, siete fantastici! Mi avete dato la dimostrazione che
quando si fa qualcosa con amore e con entusiasmo, la fatica (anche se
per me non lo è stata) viene SEMPRE ripagata! Ma soprattutto
abbiamo dimostrato che il fandom di NCIS è una grande
famiglia feli... ok, felice non tanto, ammettiamolo, però
sempre una famiglia u.u Con molti di voi commento anche le puntate su
faccialibro ed è sempre bello parlare con qualcuno che mi
capisce HAHAHAHAHAHAHHA
Si, boh, intanto mi sta uscendo la lacrimuccia, quindi non ho risolto
proprio niente, brava Amalia, brava.
Prima di lasciarvi, voglio fare dei ringraziamenti speciali (?).
Grazie a Simona, amica e
confidente, che mi sopporta su WhatsApp più di quanto
dovrebbe :') Daje!
Grazie a Paolo. Perchè le sue canzoni hanno ispirato interi
capitoli e la sua amicizia mi soffoca :) (Mi pare che lo conosciate, si
xD)
Grazie a F., che meriterebbe tanti pugni e schiaffi, e una morte lenta
e dolorosa, ma comunque questa storia grazie a lui ha guadagnato un po'
di pathos.
E infine, grazie a Sonia. Perchè la adoro,
perchè è la sorella che non ho mai avuto,
perchè è la fidanzata che vorrei se fossi un uomo
o se fossi lesbica, perchè soffrire con lei mi ha fatto
capire che non voglio più vederla piangere.
Perchè è la mia anima gemella.
Ok.
Il momento è arrivato. Ragazzi, la storia si deve chiudere
:') Ma dirsi addio è inutile, ogni tanto vi ritrovere una
OS, così... tanto per salutarsi durante l'anno. Chi scrive,
vi prego di continuare a farlo. Chi legge, non smetta :')
Alla prossima,
Amalia.
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