<< NOVA
LUX >>
Mi piace stare in armeria.
Tyler, il responsabile, mi lascia restare per tutto il tempo che
voglio e non fa storie sul coprifuoco. Secondo lui, per il carattere che mi
ritrovo, l’Abstergo dovrebbe ritenersi fortunato ad avere ancora un tetto sopra
la testa…
Ogni tanto penso a cosa mai possano aver scritto nel mio
fascicolo: tutte quelle occhiate incuriosite che scattano in automatico quando
mi muovo non sono esattamente il massimo.
La mia vita prima dell’Abstergo deve aver occupato almeno la metà
del mio dossier… Forse è proprio quella la parte
interessante.
A scuola me la cavavo abbastanza
bene.
Se mai un giorno avessi deciso di frequentare un college non avrei
dovuto sborsare un centesimo: negli anni avevo accumulato più candidature per
varie borse di studio, quasi tutte in ambiti differenti.
I miei genitori erano orgogliosi della loro bimba prodigio. Questa
rosea situazione non era destinata a durare
ancora.
Mia madre morì in un incidente d’auto il 12 gennaio del 2008 e mio
padre diventò un alcolizzato. Prese il vizio di sparire per ore e, quando
tornava, mi usava come un sacco da box.
Il motivo?
Gli dava fastidio vedere il volto di mamma su qualcuno che non
fosse lei. Altro momento “clue” della mia esistenza: il licenziamento del
vecchio.
I debiti si accumularono in fretta.
Fui costretta a trovarmi un lavoro e a vedere la
macchina.
Dovetti abbandonare anche l’ultima cosa che mi aveva tenuto a
galla sino a quel momento: la scuola.
La nostra vicina di casa tentò di aiutarmi in ogni
modo.
Mi spiegò cosa vendere e m’insegnò, per filo e per segno, i
segreti della programmazione informatica… Con quello, un paio d’anni dopo,
riuscii a trovarmi un lavoro degno di questo nome.
Imparai a gestire i conti in banca dei
miei.
Scoprii che mio padre era riuscito a sputtanare i risparmi di una
vita in alcool e scommesse nel giro di tre
mesi.
Avevo fallito, nonostante tutto quello che avevo fatto fino a quel
momento, eravamo in banca rotta.
Il 7 marzo del 2008, alle 11:13 del mattino, la polizia aveva
trovato il cadavere di mio padre in un vicolo sulla
quattordicesima.
Ero ufficialmente orfana.
Mi spedirono da alcuni zii che non avevo mai sentito nominare.
Loro vendettero la casa e la mia macchina: di quei soldi non vidi
mai un centesimo. Dopo altri tre mesi decisi di scappare, mi sentivo Harry
Potter intrappolato a casa dei Dursley.
Vendetti la roba di valore per pagarmi il
viaggio.
Non mi dispiacque: quel casino era soltanto colpa
sua.
Mi spostai da una parte all’altra del paese in cerca di un lavoro
e, finalmente arrivata a Los Angeles, trovai un lavoro come
barista.
Per qualche mese andò bene poi l’affitto
aumentò.
Fui costretta a vendere i gioielli di mamma… Di lei mi è rimasto
soltanto un vecchio ciondolo da cui non mi separo
mai.
Non nego di essere finita a fare la
spogliarellista.
Per Marte sarà anche stato un hobby occasionale ma per me era
diventato un lavoro. La paga era ottima ma quell’ambiente, se preso nel modo
sbagliato, ti rovina. Come se non bastasse, un paio di ragazze che lavoravano
con me, furono trovate morte in un cassonetto vicino al locale: overdose. Decisi
di lasciar perdere.
Mi stavo trasformando in qualcosa che non volevo e, lentamente, il
quartiere si stava riempiendo di teste di cazzo dalla fama poco
raccomandabile.
Non sarei stata l’ennesima Jane Doe di qualche obitorio di
periferia.
Abbandonai il lavoro e fui ospitata da alcuni amici.
Due settimane dopo James e Sarah furono assunti da una grande
compagnia di New York. Impacchettai la mia roba, gli feci le congratulazioni e
li salutai per l’ultima volta.
La mano di qualcuno si posò sulla mia spalla e, lo ammetto, mi
sono spaventata. Non nego la mia sorpresa quando mi ritrovai faccia a faccia con
Simon: tra le mani reggeva un piatto.
La cena forse?
- Pace? -
Alex gli riservò uno sguardo confuso, scaricò l’arma e inserì la
sicura prima di levarsi le cuffie e voltarsi verso il biondo: - Per cosa devi
farti perdonare? -
Simon si mosse a disagio, un vago rossore si materializzò sul suo
volto mentre oscillava, spostando il peso da una gamba all’altra, sotto lo
sguardo attento della rossa: - Ciò che hai sentito giù in laboratorio non è
stato esattamente piacevole… Volevo farti le mie scuse.
-
- E tu speri di comprarmi con un’insalata? - ridacchiò quella,
indicando divertita la ciotola tra le mani del
ragazzo.
- Veramente questa è per Tyler. Sua moglie l’ha messo a dieta… Tu
ed io abbiamo due pizze fumanti in arrivo. – fu il turno di Simon per ridere;
sul volto di Alex si era appena materializzata un’espressione ai limiti della
sorpresa, erano mesi che non mangiava una pizza… Simon aveva appena scalato la
sua top 5 dei dipendenti simpatici. Uscendo dal gabbiotto di Tyler, Simon si era
fatto pensoso per qualche istante, poi le chiese: - La margherita ti piace con
doppia mozzarella, giusto? -
Stupore. Meraviglia.
Sbigottimento.
- Sai come mi piace la pizza? – domandò la rossa prima di
ristamparsi in faccia la sua solita espressione diffidente, la sua mente ci
impiegò due secondi a rispondere per Simon, era ovvio che tutte quelle piccole
informazioni fossero racchiuse nel suo dossier – Prima o poi mi deciderò sul
serio ad eliminare ogni copia del mio fascicolo. –
L’altro ridacchiò incrociando braccia dietro la
nuca.
Entrambi salutarono River, la guardia del turno di notte, con un
cenno prima di dirigersi al deposito dove la rossa sistemò la roba che aveva
usato con cura e si voltò in direzione del biondo: - Racconta topolino, che hai
fatto di bello nelle ultime due ore? -
- Ti fa proprio schifo il mio nome, vero? – ridacchiò Simon tra sé
e sé; soltanto dopo qualche istante si accorse dell’espressione di Alexis che,
da rilassata qual era, si era fatta improvvisamente più
tesa.
Non durò molto, nel giro di pochi secondi era tornata a sorridere,
come se niente fosse e scrollando le spalle gli aveva risposto: - Ti si addice
di più “topolino”. -
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