Ciao ragazze, grazie per le
recensioni, stavolta l’aggiornamento è repentino ( mi sento in vena di fanfiction in questo periodo :-D)
Capitolo 17 – Alone
House l’aveva previsto, ormai
conosceva bene i suoi polli, anzi, i suoi paperotti.
Se Elly Sorrentino poteva risparmiarsi di dare conto a lui, loro non avrebbero
di sicuro rinunciato alla predica finale.
Li accolse sarcastico come al
solito uno ad uno, con la lettera di dimissioni tra le mani: “Foreman, cioccolatino mio! Sei venuto a portare un dolcetto
per papà?” – “House, non mi piace lasciare le cose a
metà, però stavolta, per il bene della mia carriera devo farlo. Mi dispiace, la
Cuddy ci ha detto che lei
non può fare niente, che se vogliamo scriverà immediatamente le nostre
referenze per i migliori ospedali.”
“Stai scappando Chase? Pensavo
aspettassi le mie pressanti richieste di pagarmi la roba, tu intendi,
no?” – “Non ho paura di questo. Ho paura di vederti sull’orlo del collasso e di
crollare anch’io. Spero che tu ce la faccia”
“Mi dai già per spacciato? Non vuoi
tenermi la mano sul letto di morte?” il silenzio di Cameron
gli fece provare una strana fitta.
Quegli occhi erano spenti, arresi, di fronte alla
testardaggine di quell’uomo che, credeva, aveva finito per toccare il fondo
come non mai. “Io non faccio la crocerossina di chi vuole morire”
– “Ma io non voglio morire, voglio solo divertirmi un po’. L’hai fatto
anche tu, no?” – “Divertiti in solitudine allora, dannato bastardo!” – “Cameron?” – non l’aveva mai sentita così dura, tentò la
carta dell’ironia, ovviamente sbagliata – “Cosa vuoi
ancora?” – “Che ne dici di una notte di sesso sfrenato?” – “Va al diavolo!” –
“Non capisco perché tu sia così dura, può capitare a chiunque di entrare nel
tunnel della droga”. Ancora una volta l’immunologa si fermò, quindi si girò
improvvisamente verso di lui come una furia: “Quello che devi
capire House, è che a me non dispiace per te, sei sempre stato un caso perso,
si, d’accordo, ti ho amato, lo ammetto, ho amato una persona inesistente, hai
vinto! Ma la cosa che più mi fa rabbia è che tu me
l’hai fatta sotto il naso! Non mi sono accorta di nulla, tu mi hai mentito
spudoratamente per 5 mesi, mi hai umiliata davanti
all’intero ospedale perché ti avevo tolto due pillolette
di Vicodin mentre tu già ti drogavi con roba pesante
e del Vicodin di facevi un baffo! Ti rendi conto di
che merda d’uomo sei!!!”
House era allibito, non si sarebbe mai aspettato uno sfogo di questo genere.
Per un attimo fu tentato di dirle la verità, solo per
il gusto di vederla impallidire e chiedere scusa. Pensò subito, però, che era mille volte meglio vedere la gente furiosa che in
lacrime, soprattutto per lui che di lacrime aveva meno bisogno. Stacy sapeva bene che l’ultima cosa che doveva fare era
piangere davanti a lui.
Cameron ne doveva stare fuori.
L’immunologa non aggiunse altro: ancora rossa in viso, prese
le sue cose e andò via senza salutarlo.
House rimase immobile, con entrambe
le gambe poggiate sul tavolino del suo studio.
“Certo che non vi ho insegnato proprio niente…” pensò ad
alta voce. Sarebbe bastato controllare la lista degli interventi previsti per
la settimana dopo: forse qualcuno si sarebbe accorto della presenza di un certo
“House G. – Oncologia”. Sarebbe bastato frugare nelle
sue cose per trovare le analisi che lui non si era nemmeno sforzato di
nascondere. Oppure controllare nell’immondizia, e scoprire
che non c’era droga nelle siringhe, quelle preparatorie all’intervento.
Sarebbe persino stato sufficiente origliarlo mentre al
telefono dava la notizia a sua madre, certo, attenuata quanto basta per non
rendere necessario un suo arrivo a Princeton “Si, mamma, un piccolo intervento
al muscolo, niente di grave, se ne occuperà Wilson per sicurezza”. Cazzo, un cancro!
Si sentiva quasi deluso dai suoi paperotti:
mai possibile che non avessero fatto nulla del genere?!
L’avevano condannato sulla base di una semplice supposizione,
confermata da una Cuddy inverosimile con le lacrime
agli occhi?!
“Se ne sono andati?” – “Uno ad uno, finalmente!”
– “Hai bisogno di compagnia?” – “Preferirei una biondona
avvenente al posto tuo, mio caro Wilson” – “Avresti potuto dirglielo” – “Tu e
la Cuddy siete teste dure. Preferisco evitare gli
stessi piagnistei della volta scorsa.” – “Ti riferisci
a Cameron?” – “Proprio lei! Già me la immagino seduta
al mio capezzale che mi implora di amputare la gamba
per salvarmi la vita! – abbassò la voce imitando quella di Cameron
– Ti prego House salvati per me, non posso perdere un
altro uomo della mia vita” – “Lo fai per lei allora?” – “Non esageriamo”.
Silenzio.
“House vado a casa, perché non vieni con me?” – “Rimango
qui.” – “Come vuoi.”
Wilson si avviò verso la porta, poi mormorò rassegnato
“Perché vuoi rimanere solo House? Ci stai cacciando
tutti”. Il diagnosta fece finta di non sentire e
l’oncologo non potè fare altro che andarsene.
Per la prima volta da tanti anni House
fu preso dall’angoscia: era di fronte ad una strada senza uscita. La
solitudine, paradossalmente, era la cosa che lo faceva stare meglio. Lavorare
in gruppo non gli era mai piaciuto: l’unico motivo per cui
aveva accettato di avere degli assistenti era perché ormai aveva capito di non
essere infallibile. Il suo primo errore in carriera gli era costato una gamba.
Per il secondo avrebbe potuto dare
la colpa agli altri!
Guardò le tre lettere sul tavolino, messe ordinatamente una
in fila all’altra.
“Vediamo un po’ se indovino di chi sono”, prese a mischiarle
vorticosamente l’un con l’altra in solitario giochino
per passare il tempo. Le rimise in fila e ne prese una: “Mmm,
questa è di Chase.” sbagliato, era quella di Cameron.
House rimase a lungo con la lettera
poggiata sulle labbra e lo sguardo fattosi impenetrabile.