Negli ultimi capitoli che ho
postato, l'html del sito ha ripreso a darmi problemi, mangiandosi frasi
o ripetendo righe di testo. Non riesco a evitarlo e non capisco
perché succede, visto che per postare uso lo stesso metodo
dal 2008 e con questa storia è la prima volta che succede
-.-
Se notate qualcosa,
fatemelo sapere, così lo sistemo :)
Thanks.
****
Capitolo ventisettesimo
The last lamp
Loki chiude la porta della stanza e si gode il silenzio come se ne
fosse assetato.
Vorrebbe ricordare a se stesso che ha subito cose ben peggiori, eppure
il dolore dei tagli e i muscoli rigidi per la stanchezza sono
sensazioni molto molto sgradevoli, come tutto ciò che gli
ricorda la sua vulnerabilità. E quelle armi, quelle lame,
erano davvero
notevoli.
Si trascina fino al letto e comincia a togliersi i vestiti. Ogni
movimento rinnova la sofferenza e riapre qualche taglio.
Ora i suoi abiti sono un mucchio di stoffa sul pavimento.
Loki cerca alla rinfusa nella cassettiera di plastica lucida accanto al
letto, tira fuori una scatola di ovatta e del disinfettante. Ha
imparato abbastanza su Midgard da sapere a cosa serve quel liquido
verde dall'odore insopportabile; non che tema di morire per infezione,
ma ripulire i tagli dal sangue rappreso con qualcosa che non aumenti il
bruciore sarebbe già un gran sollievo.
Sollievo. Gli inferi lo sanno se ne ha bisogno in quel momento!
Il silenzio però sembra aver amplificato la portata del suo
tremendo cerchio alla testa. È come se una morsa gli
stringesse le tempie.
Loki fa lunghi respiri, cerca di rilassarsi. I muscoli contratti non
vogliono saperne di collaborare.
Quella sostanza disinfettante lascia una scia fresca sulla pelle
tumefatta, ma piegarsi per riuscire a raggiungere tutti i tagli
è comunque una tortura.
Per un attimo, il dio dell'inganno si chiede se anche Thor sia messo
così male.
Lo ha salvato, alla fine. Quando Hope gli teneva puntata quella lancia
contro il petto e lui ha preso in mano il pugnale per lanciarlo, per un
breve istante si è chiesto cosa sarebbe successo se avesse
mancato il bersaglio. Si è chiesto se essere lì a
fare ciò che stava per fare avesse davvero un senso.
Quando ha lanciato la lama e ha visto il nemico cadere, ha capito:
avrebbe salvato Thor altre cento, mille volte, perché la
vita di Thor è la ragione del suo odio, e il suo odio
è la ragione che lo spinge ad andare avanti sulla strada che
ha scelto – quella direzione dalla quale è ormai
impossibile tornare indietro. E Loki non ha dubbi sul fatto che un
giorno lui e il figlio di Odino si scontreranno in un'ultima letale
battaglia, ma sarà alle loro condizioni e per le loro
ragioni. È tutto quello che chiede al destino che gli ha
giocato così tanti orribili scherzi, è l'ultima
cosa che chiede ed è tutto ciò per cui
è disposto a lottare.
Il dolore e la stanchezza hanno la meglio e Loki si lascia cadere
all'indietro. Resta steso immobile a guardare il basso soffitto di
pannelli di metallo, fino a quando non sente la porta della stanza
aprirsi.
Volta il capo verso l'uscio, con uno sguardo infastidito che
è quasi rabbioso. Poi vede Nadia.
La ragazza ha il viso gonfio di pianto, gli occhi arrossati, le guance
ancora bagnate dalle lacrime. Loki si chiede da quanto tempo aspettava
di poter piangere.
Dunque, alla fine Stark è morto?
Il dio dell'inganno si solleva puntellandosi su un gomito e si volta su
un fianco in direzione della ragazza. Il suo adorato Tony Stark
è morto e lui è il primo che viene a cercare...
in qualche modo sente di esserne contento. Per entrambe le cose.
Nadia non dice niente, nel silenzio si sente solo il suo respiro reso
pesante dal tentativo di trattenere altri singhiozzi. Loki non riesce a
capire davvero a fondo il rapporto che gli umani hanno con la morte
perché non condivide la loro fragilità, la natura
effimera delle loro esistenze, ma le lacrime di Nadia gli fanno sentire
un fastidioso senso di freddo.
La ragazza gli si avvicina, vede i batuffoli di ovatta imbevuti di
disinfettante e sangue. Prende un batuffolo pulito, ci versa sopra
altro liquido verde e lo passa con delicatezza sui tagli che Loki non
era riuscito a raggiungere.
Lui le tiene gli occhi puntati in viso, lei non riesce a guardarlo per
lunghi minuti.
«Devi aiutarmi» dice poi, le parole escono roche e
flebili dalle labbra. Loki sente la mano che regge l'ovatta tremare
contro la sua pelle.
«Sul serio?». Lo dice con più distacco
di quanto vorrebbe.
Nadia serra il pugno attorno al batuffolo, gocce di disinfettante misto
a sangue scorrono tra le pieghe della sua mano.
«Gli dovevo delle scuse... a Tony» mormora.
«No, non è vero. E se anche lo fosse, quando
c'è un tale affetto immagino che le scuse non servano in
nessun caso».
Nadia fa una specie di sorriso, una smorfia che è quasi di
scherno. «Non sai niente di questo genere di cose. L'affetto
presuppone rispetto, e le scuse sono un segno di rispetto...
Dio!» si volta di scatto, getta all'aria la
cassettiera facendo cadere sul pavimento bustine con tubi di plastica,
bisturi, fiale di medicina. «Dio! Perché parlo di
queste cose con te?»
«Perché vuoi chiedermi aiuto, e credi ci sia
bisogno di convincermi» risponde lui, perfettamente calmo
davanti a tanta furiosa disperazione.
Nadia ansima, si passa una mano sul viso, lascia cadere altre lacrime.
«Stai dicendo che non ho bisogno di convincerti?...»
«Sto dicendo che speri inutilmente che io possa fare
qualcosa. Mi lusinga che tu mi creda tanto potente, ma io non posso
resuscitare i morti».
La ragazza ha un sussulto.
«Tony non è morto» dice, lapidaria.
«Non... non ancora... il reattore Arc non funziona
più e per adesso stanno facendo funzionare il suo cuore con
un qualche macchinario... lui non è cosciente, ma
è vivo».
Loki annuisce. Ancora non capisce però cosa lei si aspetta
che faccia.
«Tu devi aiutarmi» ripete Nadia.
«Non posso fare nien...»
«È colpa tua. Se tu non fossi scappato da qui, lui
non sarebbe corso a cercarti e non sarebbe stato lì quando
lo smagnetizzatore si è acceso. Devi aiutarmi!».
Il dio dell'inganno si scosta una ciocca di capelli dalla fronte e
corruga le sopracciglia, impensierito. Evidentemente, nonostante tutto
il suo sapere, quel tipo di logica gli resterà per sempre
impenetrabile; Stark sapeva che andando in città avrebbe
rischiato di finire nel raggio d'azione della sua stessa macchina, ma
ha deciso ugualmente di andare perché
nessuno si fida di Loki
l'ingannatore, il mostro, il traditore... e a lui sfugge
come questo possa essere anche solo minimamente colpa sua. Tanto
più che quando lui e l'uomo di metallo si erano incontrati,
Loki lo aveva avvisato che non sarebbe accaduto niente, che poteva
andarsene, ma è stato Stark ad attaccare per primo e se Loki
non lo avesse messo fuori gioco non sarebbe arrivato in tempo per
fermare Hope. È stata una scelta di Stark inseguirlo e
restare e aggredirlo...
«Io ho salvato Thor!». Il dio non riesce a fare a
meno di dirlo urlando. «L'ho salvato perché
persino per me che lo detesto e non faccio altro che sognare la sua
disfatta quella era una morte idiota e poco onorevole! Se il tuo amato
Tony Stark ha voluto mettersi in mezzo io non so che farci»
«Se tu gli avessi dato modo di fidarsi di te... non si
sarebbe preoccupato di cosa potessi fare e non sarebbe venuto a
cercarti». Sì questo lo ha già detto,
ma i problemi di fiducia di Stark e dei Vendicatori sono, appunto,
problemi di Stark e dei Vendicatori. E tutti loro sono troppo stupidi e
accecati dal risentimento per capire davvero che non avrebbe fatto del
male a Thor, non in quella situazione.
Ma tentare di far ragionare Nadia in quel momento è inutile,
è troppo sconvolta.
…
e a te che
importa? Lei ha già scelto e non ha scelto te. Alla fine si
è rivelata uguale a tutti gli altri.
Nadia si copre il viso con le mani e ricomincia a piangere.
«È colpa mia...» dice tra i singhiozzi.
«Ho cercato di fermarlo e non ci sono riuscita, l'ho solo
fatto arrabbiare... gli ho detto che tu non eri lì per far
del male a Thor, che lo stavi aiutando, ma lui è andato su
tutte le furie e non ho potuto fermarlo».
Lo ha detto? Lo ha davvero pensato? Lo ha davvero capito?
«Mi dispiace, mi dispiace così tanto!».
Nadia urla contro i propri palmi, e il grido le esce smorzato, quasi un
suono indistinto di amarezza e disperazione frustrata.
Si fionda tra le braccia di Loki, nasconde il viso nel su petto. Lui
può sentire le lacrime della ragazza bagnargli la pelle.
Può non capire molte cose della natura umana, può
non essere del tutto in grado di provare pietà per quelle
lacrime, eppure adesso sente che se avesse potuto fare qualcosa per
evitare che venissero versate lo avrebbe fatto. Non è per
Stark, e in fondo neppure per Nadia, è per se stesso, per
illudersi che, alla fine dei giochi, la sua promessa di non nuocerle
è stata in qualche modo mantenuta, che anche lui non
è privo di onore.
Impiega un po' a sollevare le braccia e chiuderle attorno alle spalle
della ragazza, scosse dai singhiozzi.
Non importa ciò che dice la voce venefica nella
sua testa, non importa il destino che si è scelto.
«Ti prego...» sussurra Nadia. «Devi dirmi
come fare, con l'energia della pietra forse posso riparare il reattore
Arc».
No, non può. Ma tutto quello che Loki può fare
per lei è lasciarle la speranza di poter almeno tentare.
Le scosta i capelli che le lacrime le hanno appiccicato al viso,
«Non devo dirti niente» le dice, «sai
già tutto quello che ti serve. Ma, questo devi capirlo, non
è certo che funzioni».
*
«Non è certo che funzioni».
Nadia si stacca di Loki, frastornata. Sarebbe stato molto
più semplice e confortante dare a lui la colpa di tutto, ma
sarebbe stato anche meschino, e dal fondo della sua disperazione lei sa
che non può fargli questo. Anche se al dio probabilmente non
importerebbe, non del tutto almeno, ma lei gli deve almeno
l'onestà di non riconoscergli più male di quanto
abbia fatto.
Non è certo che funzioni, ha detto Loki, ma lei lo
farà funzionare. Ad ogni costo. Se poteva valere per le armi
di Nornheim, può certamente valere anche per il reattore
Arc.
Le armi di Norheim erano
progettate per quel tipo di energia. Il reattore Arc no.
La ragazza scuote la testa per allontanare quei pensieri sconfortanti.
Loki si alza dal letto di infermeria e si rimette addosso i vestiti. Le
posa una mano sulla schiena e la pilota fuori dalla stanza.
Gli stretti corridoi dalle pareti di alluminio sembrano stringersi
attorno, ondeggiare, e Nadia si sente come se stesse venendo
inghiottita dallo stomaco di un enorme mostro.
È
tutta
colpa sua, fin dall'inizio. È una consapevolezza che la
schiaccia e nella sua mente c'è solo l'immagine dell'enorme
base volante che si accartoccia su se stessa e la ingoia in un morso di
lamiere e cavi per poi esplodere in mezzo al cielo.
Fuori dalla stanza di Tony ci sono tutti. Steve, Clint, Natasha, Fury,
Thor con qualche medicazione che lo fa sembrare una specie di
mongolfiera rattoppata, e Jane al suo fianco. Nessuno si dà
pena di riservare a Loki sguardi ostili; nella confusione generale,
Thor non ha fatto altro che ripetere che è merito suo se
è ancora vivo. E stavolta tutti sanno che non possono
semplicemente dubitare del dio degli inganni, né accusarlo
di niente, nemmeno di quello che è successo a Tony. O almeno
non possono dire che sia
davvero
colpa sua.
Bruce è dentro la camera, con Pepper, a regolare l'affare
che ancora permette al cuore di Tony di non cedere. Una soluzione che
presto smetterà di essere valida, niente può
eguagliare il reattore Arc.
Nadia guarda la porta chiusa, la tenda di plastica abbassata sul vetro.
«Se fossi rimasta a Venezia...». Le parole le
escono di bocca in un sussurro che è più che
altro un pensiero, troppo violento per restarle confinato nella testa.
Steve le prende la mano, le dice di levarsi quell'idea dalla mente. Ma
quell'idea è tutto ciò a cui può
aggrapparsi per sperare di far funzionare l'energia della pietra e
rimettere in sesto il reattore Arc.
Nadia si avvicina a Fury. Ora che deve dire ad alta voce a tutti loro
cosa ha in mente, non si sente poi così sicura, ma deve
farlo.
«Dov'è il reattore di Tony? Io... pensavo che
forse posso provare a...» balbetta.
Fury la guarda imperscrutabile, assottigliando l'occhio sano.
«Banner lo ha portato nel laboratorio» dice Clint.
«Voleva provare a ripararlo, ma non può lasciare
la stanza e...»
«E solo Stark sa mettere le mani su quell'affare»
aggiunge Fury, lapidario. «Agente Romanoff, accompagna la
ragazza dove Banner ha conservato il reattore Arc».
A Nadia sembra intercettare una strana occhiata da parte di Clint,
un'espressione che dura un battito di ciglia.
«Non devi farlo per forza» interloquisce Steve.
«Anzi, io credo che tu non debba farlo per niente».
«Come? Io glielo devo, io...»
«Nadia, stai accusando te stessa di troppe cose, come se
quello che è accaduto fosse solo e soltanto colpa tua. Beh,
non lo è, non lo è per niente. È colpa
degli invasori di Nornheim e di nessun altro. Se Tony potesse parlare,
sono certo che non vorrebbe metterti sulle spalle la
responsabilità che ti stai prendendo dicendo di provare a
rimettere in moto il reattore. Nessuno vorrebbe che tu passassi il
resto della tua vita colpevolizzandoti per non esserci
riuscita»
«Quindi la tua idea sarebbe non tentare affatto? Questo
sarebbe un rimorso ben peggiore da portarmi dietro, Steve!»
replica la ragazza.
«Vorrei solo dirti che non devi addossarti colpe che non hai,
né ora né in futuro» conclude lui,
scuotendo la testa.
Nadia prende un lungo respiro, sente l'aria vibrarle in gola. Non
riesce a credere che anche in quella situazione loro si stiano
preoccupando di proteggerla, e non riuscirà mai a dire
quanta gratitudine provi per questo, ma il tempo delle preoccupazioni e
delle speranze e dei vorrei è finito.
Batte una mano sul braccio di Steve, gli sorride con tristezza, poi
segue Natasha verso il laboratorio.
Alle sue spalle, Loki cammina in silenzio, come un'ombra.
Il reattore Arc è poggiato su un tavolo dal piano di acciaio
lucido, come un pezzo di cadavere dopo un'autopsia.
Nadia si passa una mano sul viso; non aveva idea di come fosse fatto
quell'oggetto, non ne sapeva niente, a parte aver imparato a non
trovare poi tanto strano il cerchio di luce azzurrina che si
intravedeva a volte sotto il tessuto delle magliette di Tony.
La luce azzurrina ora è sparita. Il reattore Arc non
è che un basso cilindro di metallo con una specie di piccola
serie di lampadine sul davanti, e a guardarlo sembra quasi sciocco che
la vita di un uomo possa dipendere da quell'aggeggio tanto piccolo e
apparentemente insignificante.
«Può davvero farlo?» domanda Natasha a
Loki.
Lui inclina la testa e incrocia le braccia sul petto. «Non lo
so. Forse».
La risposta non sembra soddisfare l'agente Romanoff che si riserva
comunque di lanciare al dio dell'inganno un'occhiata in tralice.
Nadia cerca di non pensare a quel rapido scambio di battute, cerca di
dimenticarsi persino della presenza di altre due persone nella stanza.
Cerca di concentrarsi, di sentire l'energia fluire come le ha insegnato
Loki, cerca di nutrire quella forza che avverte agitarsi dentro di lei
con le immagini dei suoi ricordi migliori e con tutta la paura e la
disperazione delle ultime ore.
Alla fine può vederla, come una colonna di fumo che solo i
suoi occhi riescono a contemplare.
Anche Loki la vede. Per sguardi come il suo l'energia non è
solo una forza da sentire, ha anche un corpo, una forma da vedere,
è qualcosa di perfettamente palpabile, è creta
nelle mani di un artigiano.
Il dio dell'inganno solleva gli occhi e li spalanca a guardare quel
fuso perfetto sospeso nell'aria, come se fosse stupito del fatto che
lei sia riuscita ad ottenere un tale risultato.
Natasha sposta lo sguardo crucciato tra la ragazza e Loki, cercando di
intercettare il punto in cui entrambi stanno guardando, sembra persino
un po' turbata dall'idea di non riuscire a vedere nulla, forse vorrebbe
chiedere se sta funzionando ma non ha il coraggio di aprire bocca.
Semplicemente si appoggia con le spalle al muro, con una delle sue
movenze fluide, e resta in attesa.
Nadia sente il cuore battere all'impazzata per lo sforzo e anche per
l'emozione di essere a un passo così dal riuscirci. Sposta
l'energia e le sembra di spostare qualcosa di pesantissimo, per un
attimo ha la sensazione che il suo petto si stia per squarciare nello
sforzo, fa male, ma continua.
L'energia sfiora la superficie del reattore Arc, e poi scivola dentro
il cono di metallo.
Nadia si rilassa, quasi cade bocconi sul tavolo. Si accorge che sta
grondando di sudore.
«Tutto bene?». Natasha si precipita accanto a lei,
le batte una mano sulla spalla e lei si sente quasi bruciare
lì dove la donna l'ha toccata. Ma non importa, Nadia tiene
gli occhi fissi sul reattore.
Un istante. La luce azzurrina si accende.
Loki muove un passo verso il tavolo, con un moto stupito. Natasha
sorride. Anche Nadia sorride, e il sorriso è già
pronto a tramutarsi in un grido di gioia ma la luce trema un secondo e
poi si spegne. Il reattore Arc è di nuovo solo un pezzo di
metallo.
«No! No! No!». Nadia urla, afferra l'oggetto e lo
guarda. L'energia ha reso il metallo quasi incandescente e lei si
brucia le mani, eppure continua a stringere le dita attorno al
dispositivo, quasi certa che se guardasse meglio vedrebbe la luce
ancora accesa.
Natasha glielo strappa via con quanta più gentilezza
può, anche lei si scotta e lo lascia cadere sul tavolo con
una smorfia di dolore.
La ragazza si volta verso Loki.
«Perché?! Perché non ha
funzionato?!» grida. Le mani aperte e tese, rigate di rosso,
ad aspettare di poter afferrare una risposta.
Il dio scuote la testa. «Non so questo tipo di magia come
interagisca con i manufatti di Midgard» asserisce.
«Ti avevo detto che avrebbe potuto non...».
Nadia ha già smesso di ascoltarlo. «D'accordo.
Riproviamo, c'ero andata così vicino» borbotta.
Riprova.
Riprova tre volte di seguito, la luce si accende per un attimo e poi
sparisce.
E lei si sente sempre più debole, ogni volta si sente sempre
più prossima a spaccarsi in due.
La quarta volta la luce non si accende neppure per un istante e quando
tocca il reattore lo trova freddo.
Nadia non si accorge di avere un sottile rivolo di sangue che le cola
dal naso, né che il suo stomaco le si sta ribellando, che
tutto il suo corpo si sta ribellando a quello sforzo che non
è fatto per essere compiuto da una semplice essere umana. Le
labbra secche e screpolate cominciano a coprirsi di piccoli tagli, lei
ci passa su la lingua arida e sente il salato del sangue.
Si passa la manica della maglietta sul labbro superiore, ripulendosi e
preparandosi a riprovare.
Le luci... le luci si sono accese le volte prima, vuol dire che
l'energia può arrivare al rettore, deve solo capire come
fare...
«Nadia...» Natasha la chiama con voce titubante.
«Fermala o si ucciderà». Le parole di
Loki sembrano arrivare da un punto lontanissimo. Ogni suono si conficca
nel suo cranio come una lama.
Natasha si getta su di lei, la circonda con le braccia e l'allontana
dal tavolo.
«No, io devo... devo...» tenta di dire lei. Gli
occhi sbarrati, fissi sul rettore Arc irrimediabilmente spento.
Da quanto tempo sono lì dentro? Il cuore di Tony forse
è vicino ad arrendersi, perché Natasha non
capisce? Lei deve tentare, fin che può, deve tentare.
«Nadia, basta, ora calmati». La donna le passa una
mano tra i capelli umidi di sudore.
«Pepper... cosa dirò a Pepper?» sussurra
lei prima che le gambe le cedano e la facciano ritrovare seduta a
terra, piegata su se stessa, troppo distrutta anche per piangere.
Natasha le si siede di fronte, sul pavimento freddo, con un fazzoletto
le asciuga il sangue colato dal naso, ma Nadia quasi non riesce a
sentire il tocco dell'amica; per quanto ne sa potrebbe anche star
tagliando la sua faccia con un bisturi.
Lancia un'occhiata a Loki, in piedi dall'altro lato della stanza. Lui
non ha parole da dirle.
Con la coda dell'occhio vede una figura in nero stagliarsi contro
l'uscio della porta.
«Allora?» chiede Fury con voce monocorde.
Nadia lo guarda con gli occhi appannati. Natasha scuote la testa in un
cenno negativo.
«Molto bene» replica lui, si volta e si allontana a
grandi passi lungo il corridoio.
Loki arriccia il naso con aria pensosa, poi guarda nella direzione in
cui il direttore dello S.H.I.E.L.D. è sparito e torna a
voltarsi verso Natasha, come colto da un'improvvisa illuminazione.
«Mi sembra abbia accolto con eccessiva calma la notizia che
uno dei suoi più valenti uomini è definitivamente
spacciato» osserva con una punta di bieco sarcasmo.
In un attimo di nebbiosa ilarità involontaria, Nadia pensa
che Tony rabbrividirebbe al pensiero di essere definito ''un uomo di
Fury'' e probabilmente commenterebbe la cosa con una delle sue uscite.
Natasha guarda Loki con la sua solita aria imperturbabile, ma
c'è un velo di agitazione nel suo sguardo, persino per la
ragazza così stravolta e poco lucida appare chiaro. Solo che
non capisce cosa sta succedendo, cosa Loki abbia voluto insinuare e
cosa Natasha debba saperne in merito...
«Nadia, mi dispiace per tutto questo» dice l'agente
dello S.H.I.E.L.D.
La ragazza corruga la fronte e sbatte più volte le palpebre.
Il dispiacere le sembra assolutamente riduttivo come sentimento. O
forse lei non stava parlando della... di quello che è
successo a Tony.
«Fury voleva sapere se eri in grado di usare la pietra e in
che modo, lui voleva esserne sicuro e...» tenta di spiegare
Natasha.
«E così ha pensato bene di fare in modo che Nadia
arrivasse a sostenere una tale prova» conclude Loki.
«Ma il vostro prezioso Tony Stark... ah! Lui non è
mai stato davvero in pericolo, Fury sapeva già come
salvarlo, per questo neppure ha provato a fermarlo quando è
partito per raggiungere me».
«Che... di... di cosa stiamo parlando?». Nadia non
capisce, non riesce a seguire il filo. Persino le parole ''Tony Stark
non è mai stato davvero in pericolo'' le sembrano nuvole che
galleggiano incorporee nella sua testa, senza che lei riesca a dar loro
un senso.
«Oh, agente Romanoff» ghigna Loki con la sua voce
flautata e quel suo tono mellifluo e crudele. «Se non fosse
che gli dei non sono fatti per piegarsi dinnanzi a voi mortali, ora il
signore degli inganni si inchinerebbe alla sadica maestosità
del vostro piano».
Nadia continua a spostare lo sguardo inebetito tra la donna e il dio.
«Nat, di che sta parlando?».
Natasha lancia uno sguardo in cagnesco alla volta di Loki, poi mette su
l'espressione più conciliante e mortificata che riesce a
trovare. Prende la ragazza per mano, la fa alzare e l'accompagna a
sedersi su una sedia.
«Mi dispiace che tu abbia dovuto sopportare tutto questo,
Nadia» le dice, sedendosi sul piano del tavolo di acciaio.
«Mentre eravamo a New York e non sapevamo che fare con lo
smagnetizzatore dato che Tony sarebbe stato nel raggio di azione, se lo
avessimo acceso, Fury mi ha chiamata».
Nadia si massaggia le tempie. Ha idea che detesterà sentire
il resto di quella spiegazione.
«Quando fui mandata da Stark sotto copertura, lui aveva dei
problemi con il reattore Arc e doveva progettare un nuovo modello
altrimenti l'usura della batteria del dispositivo lo avrebbe ucciso. Lo
S.H.I.E.L.D. lo aiutò a trovare il modo, era un procedimento
difficile, quasi impossibile da replicare, per questo lui non aveva un
reattore di riserva...».
La ragazza deglutisce. Sta combattendo contro la nausea, sta impiegando
ogni energia rimasta a rimanere lucida e tentare di capire, ma ora
è tutto così semplice.
«Voi lo avete, un reattore di riserva, avete replicato il
processo per costruirlo» esclama.
Natasha annuisce. «Quando Fury avviò il Progetto
Avengers e si rese conto che, malgrado tutto, prima o poi non avrebbe
potuto fare a meno di Tony Stark, fece costruire un rettore di riserva
e lo tenne segreto. Non glielo ha mai detto perché sperava
che Stark fosse stato meno imprudente sapendo di non avere le spalle
troppo coperte... evidentemente si sbagliava».
Alle spalle di Natasha, Loki non riesce a trattenere uno sbuffo.
«E perché tutto questo?» dice la
ragazza, indicando il reattore abbandonato sul tavolo che lei non
è riuscita a far funzionare.
«Te l'ho detto, Fury aveva bisogno di sapere quanto
sviluppate fossero le tue abilità» dichiara
Natasha. «Non avremmo mai voluto sottoporti a una simile
prova, ma lui non si fida di te, lui...».
Nadia sente la rabbia montarle dentro e sopraffare ogni cosa, ogni
sensazione fisica e ogni altra emozione, quasi ha la meglio anche sul
sollievo di sapere che Tony è comunque in salvo.
«Le mie
abilità?! Fury
aveva bisogno?!»
esclama scattando in piedi con così tanta veemenza da
mandare gambe all'aria la sedia dietro di sé.
«Non era in programma, te lo assicuro, non doveva succedere
così...» tenta di dire Natasha, ma Nadia non
l'ascolta. La rabbia cieca le dà quelle ultime forze
necessarie a correre fuori dalla stanza, gettando per aria altre due
sedie contro le quali va a sbattere e spingendo via anche Loki che
cerca di fermarla e di farle notare che non deve agitarsi in quelle
condizioni.
La ragazza corre, fino alla porta della stanza di Tony.
Gli altri sono ancora lì fuori e Clint si tende verso di
lei, afferrandola prima che crolli a terra.
«Che diavolo è successo?» domanda.
«Fury ha detto che era tutto risolto».
«Non per merito mio» risponde Nadia debolmente.
«Fury è...»
«Uno stronzo? Un bastardo?» la voce del direttore
dello S.H.I.E.L.D. sembra risuonare dalle pareti, ma lui è
qualche metro più in là, e regge tra le mani una
scatola con un etichetta adesiva arancione sulla quale sono segnati
codici e sigle incomprensibili.
«Sì, lo sono, signorina Berton. Questo non mi
impedisce di essere dispiaciuto per lei adesso –
che ci creda o no, ma appena si sarà calmata
capirà che talvolta ciò che conta sono i
risultati, e che è ai risultati che quelli nella mia
posizione devono badare» conclude, agitando cautamente la
scatola davanti agli occhi della ragazza, come un genitore che vuole
farsi perdonare con un regalo il fatto di non essere stato a vedere la
tua recita scolastica.
«Cosa è accaduto?» interviene Thor,
perplesso.
«Il reattore Arc?» chiede Steve.
Natasha arriva trafelata. Clint le lancia uno sguardo e sembra capire,
tutti gli altri continuano a guardare spaesati ora Nadia ora la scatola
che Fury ha in mano.
«Immagino che adesso l'agente Romanoff non possa esimersi dal
fornire i dettagli» borbotta Fury. «Intanto,
signorina Berton, a lei l'onore».
Le porge la scatola e Nadia gliela strappa di mano, la apre e ne estrae
un reattore Arc perfettamente identico a quello che aveva visto prima
nel laboratorio.
«E quello da dove salta fuori?» chiede Steve.
Nadia si volta a guardare Natasha per un secondo. Forse a mente lucida
sarà in grado di pensare che lei non ha colpe, che stava
solo eseguendo gli ordini, che davvero non era previsto che lei
passasse quello che ha passato nelle ultime ore e, soprattutto, che
quello che conta è riuscire a rimettere in sesto Tony. Forse
le cose si sistemeranno e dopo una sana dormita capirà che
non deve avercela con Nat, che lei è stata una buona amica,
come tutti gli altri e che il disappunto del resto della squadra che
ora dovrà affrontare è una punizione sufficiente.
Adesso però non le importa...
Apre la porta. La stanza è vuota, asettica, e Tony
è una sagoma immobile tra lenzuola bianche. Bruce
è in piedi, in una posa rigida a fissare lo schermo di un
macchinario dal quale partono fili di elettrodi attaccati al petto di
Tony. Pepper è seduta su una sedia, la mano appoggiata su
quella del suo uomo, in una posa composta che sembra più che
altro in un tranquillo stato di attesa.
Non può essere altrimenti, nessuno penserebbe mai che Tony
Stark possa essere abbattuto da un'onda elettromagnetica ad alta
densità. Non lo hanno ucciso le armi, è
sopravvissuto persino a Loki...
Quando Pepper sente la porta aprirsi e si volta nella sua direzione
però, Nadia vede il suo sguardo spento e pieno di muta
disperazione. Lei ha fallito nel tentare di riparare il vecchio rettore
Arc, ma l'espressione sollevata che ora la donna le sta rivolgendo un
po' la fa sentire vittoriosa. Forse Fury pensava che sarebbe stata una
piccola ricompensa per lei essere quella che dava a Pepper la buona
notizia.
«Oh, mio Dio...» sussurra la donna.
Nadia riesce a trovare la forza di sorridere.
Anche Bruce si volta a guardarla, non capisce.
«Come hai fatto?» chiede Pepper scattando in piedi.
«L'energia della pietra?» suggerisce Bruce.
Nadia scuote la testa. «Non è importante,
adesso». Si avvicina al letto e dà il reattore
nuovo a Pepper che lo afferra con dita tremanti.
«È solo una dannata lampadina, ma non so come
accenderlo» borbotta. La ragazza e la donna si concedono
qualche secondo di risate isteriche, gli occhi di Pepper si riempiono
di lacrime.
«Tieni, fallo tu, sono certa che nei tuoi lunghi anni di
servizio ti sia capitato anche di dover fare manutenzione»
conclude Nadia allontanando da sé il reattore e spingendo
leggermente Pepper verso il letto.
«Solo una volta... tanto tempo fa, e feci promettere a Tony
che non l'avrei fatto mai più». Altre risate,
sempre all'insegna dell'isteria ma un po' meno tese.
Nadia si affianca a Bruce e insieme osservano Pepper chinarsi e
inserire il rettore con gesti precisi e delicati. Il silenzio sembra
pesare ed è interrotto solo da leggeri scatti quando il
dispositivo fa presa.
«E a te cosa è successo?» domanda il
dottore. Forse è troppo sopraffatto dagli eventi e ha
bisogno di distrarsi prima di cominciare a dare i numeri. In
effetti a Nadia sembra che le sue tempie stiano pulsando in maniera
visibile.
«Non vuoi saperlo, ti farebbe arrabbiare» gli
mormora stancamente.
«Prima o poi qualcuno dovrà dirmelo»
«Non adesso»
«Ok».
Clik. La
luce azzurrina si accende, lancia un riflesso circolare fino al
soffitto. Bruce si volta a guardare i dati sullo schermo del
macchinario e sorride.
Anche Nadia sorride. Poi perde i sensi.
*
Bruce Banner esce dalla stanza con Nadia tra le braccia.
Thor guarda il viso esangue della fanciulla e sbuffa di rabbia. Quello
che ha fatto il comandante Fury è un gesto ai limiti della
crudeltà, ma il dio del tuono ha vissuto la sua vita al
fianco di un grande sovrano e sa quanto sia difficile il comandare, il
dover reggere il peso di decisioni che riguardano il bene di tutti e
che non possono focalizzarsi sulle preoccupazioni per i singoli.
«Sta bene» dice l'amico Bruce. «Anche
Tony sta bene, deve solo riposare... Nadia cioè, deve
riposare. E anche Tony... oh, insomma, avrete capito!».
Jane si fa avanti e si accosta all'uomo di scienza. «Le do
una mano a metterla a letto, dottor Banner».
Il soldato Rogers è andato a cercare di portare via lady
Pepper dalla stanza di Stark per convincerla a riposare, magari
mangiare qualcosa e fare due passi ora che si sono lasciati il peggio
alle spalle e l'uomo di metallo è fuori pericolo. Clint
Barton è con la sua compagna, a cercare di rimettere insieme
i cocci dopo la tempesta che è seguita alle sue spiegazioni
in merito alla provenienza del nuovo cuore di luce per Tony. O forse
l'arciere vuole solo mettere insieme loro due, sé stesso e
la guerriera dell'est, questo Thor ancora non lo ha ben capito.
E lui è solo con i suoi pensieri. Pensieri che, messi da
parte gli eventi tragici ora risolti, ha paura a ritenere belli.
Perché è stato bello combattere insieme a Loki,
schiena contro schiena, è stato bello voltarsi e scoprire
che era stato proprio lui a lanciare la lama che aveva fermato il suo
aguzzino.
È stato bello. Anche se è solo un momento
passato, ma nel cuore di Thor si fa strada la speranza che,
riflettendoci su, anche Loki ritrovi qualcosa di gradevole in quei
momenti che già sembrano lontani.
Thor non vuole riempire le sue speranze di aria e gonfiarle solo per
illudersi che siano più grandi della realtà,
però più ci pensa e più non riesce a
fare a meno di trovare segnali positivi disseminati lungo il cammino
percorso negli ultimi mesi.
Loki compare in fondo al corridoio, segue con lo sguardo Bruce e Jane
allontanarsi insieme a Nadia.
Il dio del tuono esita per un istante, ma poi decide di avvicinarsi al
fratello.
«Bruce dice che sta bene» gli mormora, notando che
il suo sguardo è fisso a guardare la porta della stanza dove
hanno sistemato la ragazza svenuta.
«Lo so» risponde Loki, senza scomporsi.
«Non le avrei permesso di uccidersi per tentare inutilmente
di salvare Stark».
Thor sente una morsa stringergli il petto, il peso di una decisione che
deve prendere in quel preciso istante, una decisione che potrebbe forse
cambiare molte cose. O forse non cambiare assolutamente nulla.
«Allora è così? Tieni davvero a
lei?» domanda.
«Se anche ti dessi la risposta che vuoi sentire, che
differenza farebbe?»
«La differenza tra la speranza e la rassegnazione».
Loki distoglie lo sguardo, ora è di nuovo freddo,
più gelido che mai.
«Non ti ho ancora detto grazie per avermi salvato»
aggiunge Thor. Non riceve alcuna risposta.
Trascorre qualche secondo di silenzio duro come la pietra, poi il dio
dell'inganno torna a guardare verso il suo interlocutore.
«Ho le mie ragioni per averlo fatto» asserisce,
senza alcuna espressione particolare. «Tuttavia, se mi sei
così grato, c'è una cosa che potresti fare per
me, una cosa da poco, solo togliermi una piccola curiosità,
dopotutto direi che me lo sono meritato»
«Chiedi, Loki»
«Quale altro ignobile sotterfugio ha ordito Padre alle mie
spalle, stavolta?».
Thor cerca di non apparire turbato, ma non è mai stato bravo
a nascondere le emozioni come suo fratello, né possiede una
sola briciola della sua capacità di mentire.
Decide semplicemente di non rispondergli, ma Loki ha già
capito, ed è una consapevolezza che riapre vecchie ferite,
getta sale su tagli ancora sanguinanti. Il dio del tuono ora vorrebbe
dirgli che non importa, che non è mai stato d'accordo con
quel particolare piano, anche se la paura e la disperazione lo hanno
portato ad operarsi per cercare di attuarlo.
«Ascolta, fratello...» dice, schiarendosi la voce.
«Non chiamarmi in quel modo!».
«Ascoltami. Mi hai salvato la vita e io non ti
condurrò su Asgard, per quel che mi riguarda, sei libero di
andare».
Alla fine l'ha presa, quella decisione. Sa che è un enorme
azzardo, ma è l'unico modo che gli sovviene per ricordare a
Loki che lui non gli è nemico, che non vuole la sua disfatta
né la sua sofferenza. Se Loki se ne convincesse, forse molte
cose si metterebbero a posto da sole...
Adesso il dio degli inganni sembra persino un po' stupito.
«Credevo che non potessi più fare niente per
cogliermi di sorpresa, figlio di Odino» borbotta in tono
piatto.
«Promettimi solo una cosa»
«Ecco, sapevo che c'era un inganno!»
«Smettila! Non voglio niente per me, vorrei solo che questa
volta non ti limitassi a sparire nel nulla, che avessi la decenza di
salutare la ragazza come si conviene».
Loki alza lo sguardo al cielo.
«Sei uno sciocco sentimentale,
fratello».
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Note:
Su
questo capitolo avrei talmente tante cose da dire che rischierei
di scrivere note più lunghe del capitolo stesso, quindi mi
zittisco
e lascio la parola a chi vorrà commentare...
Piccola
precisazione sul titolo, “l'ultima lampadina”: lamp
forse
non è il termine più preciso per intendere
“lampadina” in
inglese, ma era quello che mi suonava meglio rispetto a varianti come
lightbulb.
Ci
leggiamo mercoledì con l'epilogo, che è un
trafiletto talmente
breve che non mi sembra il caso di farvi aspettare un'intera
settimana.