Naruto-6
Capitolo sesto
Split up
Il Paese della Pioggia era
tecnologicamente più evoluto delle altre Grandi Terre.
Gli alti palazzi che si ergevano verso
il cielo già dimostravano un grado tecnologico enormemente
avanzato, rispetto a, per fare un esempio, il Paese del Vento: da una
parte c’erano grattacieli grigi e cavi che correvano attraverso il
cielo, dall’altra case di roccia squadrata, perennemente spazzate
dalle tempeste di sabbia.
Il Paese della Pioggia era sempre stato
terra di contese e guerre. Probabilmente la necessità di
ricostruire ogni pochi anni aveva spinto i suoi abitanti a progredire
nel campo della scienza e della tecnica, fino a raggiungere nuovi
straordinari livelli.
Da quel punto di vista, non era affatto
strano che l’accesso al Paese fosse assolutamente ristretto, e
sottoposto a rigidissimi controlli.
Tuttavia la tendenza ad attribuire agli
altri le proprie caratteristiche è tipica dell’animo umano,
e laddove gli ingressi al Paese erano sorvegliati fino all’ultimo
centimetro, le zone in cui la natura si sviluppava incontrastata
erano lasciate pressoché al loro destino. Tratti boschivi,
grotte sotterranee, pareti scoscese... non interessavano alle
guardie. Non quanto i canali delle fogne, almeno.
Ma quella volta una semplice debolezza
si sarebbe rivelata un’imprudenza fatale.
Perché non solo il Paese aveva
già involontariamente accolto un elemento di potenziale
instabilità nella figura dell’Akatsuki… ma aveva anche
permesso all’unica cosa in grado di innescare la miccia di fare il
suo ingresso indisturbata.
E quella cosa si incarnava in due
gruppi di quattro persone: il Serpente e il Team Kakashi.
Attualmente erano entrambi nel
Villaggio della Pioggia, il sorvegliatissimo villaggio ninja del
Paese, a pochi metri di distanza ma ignari l’uno della presenza
dell’altro.
Era stato facile entrare nel villaggio,
nettamente più semplice che penetrare nel Paese.
Innanzitutto non avevano dovuto cercare
tramiti né attraversare distese di rovi, e in secondo luogo
avevano trovato nelle grotte sotterranee della foresta un varco
inaspettato. Probabilmente un tempo quei sotterranei erano serviti
come rifugio e via di fuga, ma con gli anni e le generazioni i ninja
della Pioggia li avevano imprudentemente dimenticati.
Il che avrebbe finito per rappresentare
un enorme pericolo.
Kakashi e il suo gruppo camminavano per
le strade del villaggio travestiti da mercanti della Pioggia. I ninja
del Paese erano tanto sicuri del proprio sistema di sicurezza che
quasi sicuramente non avrebbero effettuato controlli, quindi erano
relativamente tranquilli.
Come il resto del territorio, anche il
villaggio mostrava da subito i segni della tecnologia: il palazzo del
capo-villaggio, per fare un esempio, era quanto di più
modernamente squallido ci fosse; un edificio squadrato, grigio,
coperto di vetrate. Anche le guardie sembravano grigie come il
villaggio e il cielo. A loro discolpa si poteva dire che la pioggia
perenne non invoglia al buonumore.
I ninja della Foglia camminarono in
silenzio fino a imbattersi in una locanda frusta che dava sulla
strada principale; l’insegna recitava “Il temporale”, e
nel momento in cui i ninja di Konoha la lessero un tuono rombò
cupo.
«Decisamente azzeccato…»
mormorò Sakura mentre entravano nell’edificio di cemento
che, inutile a dirsi, era di un grigio spento.
All’interno una lampadina fredda
illuminava un atrio sterile, e l’uomo al di là del bancone
leggeva il giornale con aria distratta. Quando li vide arrivare alzò
lo sguardo annoiato.
«Una quadrupla?» chiese
laconico, ricavando dagli abiti la loro disponibilità
economica.
Kakashi scostò appena la tesa
del cappello largo, mostrando soltanto l’occhio destro, e, il resto
del viso avvolto in una sciarpa blu, assolutamente irriconoscibile,
ringraziò e tirò fuori delle banconote usurate.
Le pareti della loro stanza erano
troppo sottili per mettere loro di parlare a volume più alto
di un bisbiglio, così dovettero sedersi sul pavimento non
troppo pulito e preparare un piano d’azione sussurrando.
Con una cartina stesa tra loro, Kakashi
indicava diversi punti del villaggio.
«Il grande Jiraya ha incontrato
Itachi Uchiha qui» mormorò indicando un vicolo ad ovest
del paese. «E ha sconfitto Pain dell’Akatsuki qui» fece
scivolare il dito fino a una zona in periferia, nei pressi di un
corso d’acqua. «Muovendoci attraverso il villaggio ho captato
i discorsi dei ninja: sembra che Pain fosse una sorta di colonna
portante del Paese, e tutti sono molto preoccupati per la sua
scomparsa… il che mi porta a ipotizzare che la notizia della sua
morte non si sia ancora diffusa. Non so se il suo cadavere sia stato
ritrovato o meno, ma se così fosse qualcuno ha ritenuto
opportuno non divulgare la notizia. Per quanto riguarda noi, ci
troviamo qui» additò la strada principale, e un edificio
uguale a tanti altri. «Siamo all’incirca nel centro del
villaggio, e anche se forse non è una posizione molto sicura,
ci permetterà di avere un controllo maggiore su quello che
succede nell’intero paese. Ho già liberato i cani ninja per
le strade, tra qualche ora torneranno a riferire. Questa pioggia li
disturberà parecchio, ma potremmo anche essere fortunati e
scoprire che hanno trovato tracce di Sasuke o Itachi»
«Qual è la base
dell’Akatsuki?» chiese Sai.
«Questa» Kakashi indicò
un grande edificio camuffato tra alti grattacieli. «Ma ora
dovrebbe essere deserta…»
«L’Akatsuki non stava
rinascendo?» lo interruppe Sakura.
«Sì, ma non credo che si
riuniscano ancora nello stesso posto. Sarebbe un’imprudenza troppo
grave da parte loro»
«Però… se a ricostituire
il gruppo è quel ninja “poco preoccupante” di cui ci ha
parlato Tsunade…» ipotizzò Naruto. «Potrebbe
aver commesso un errore del genere»
«Dubito che un membro
dell’Akatsuki sia stupido, per quanto inferiore agli altri»
obiettò Kakashi. «Ma è anche vero che questo Tobi
avrebbe potuto fare lo stesso nostro ragionamento, e tornare in quel
palazzo credendo che noi lo scartassimo… Quindi domani andremo a
controllarlo, per sicurezza. Sempre se i miei cani non portano
notizie interessanti»
Sakura, Sai e Naruto annuirono.
«Non sappiamo cosa ha in mente
esattamente Itachi?» chiese poi il biondo. «Ha detto che
voleva fare una cosa… ma cosa?»
«Il grande Jiraya non lo sapeva.
Ma comunque non ci interessa, perché il nostro obiettivo è
catturarlo non appena lo vediamo, indipendentemente da ciò che
sta facendo. Anche se stesse sviluppando una nuova strabiliante
tecnica, non gli lasceremmo il tempo di completarla»
«Maestro Kakashi… posso
chiederti una cosa?» domandò Naruto, piatto. «Smetti
di chiamare l’eremita porcello “il grande Jiraya”: mi fai
venire i brividi…»
Per ora erano solo in tre.
Tobi, Itachi Uchiha e l’ultimo
acquisto dell’Akatsuki, un ninja della Pioggia a capo coperto,
piuttosto cupo e taciturno.
Si erano radunati in quella stanza buia
per la prima volta da quando Pain e Konan erano stati sconfitti, e
Tobi giocherellava allegro con i sei anelli dell’Akatsuki che ora
gli ornavano le dita.
Itachi e l’altro ninja lo ignoravano.
«Chi stiamo aspettando?»
chiese a un tratto quest’ultimo, rivelando una voce bassa e
gutturale. Nella penombra i tratti del suo viso non erano
distinguibili.
Itachi spostò lentamente gli
occhi su Tobi.
Lui fece saltare un anello in aria e lo
riprese al volo.
«Cosa?» disse accorgendosi
all’improvviso dell’insolita attenzione a lui riservata. «Ah
sì! Chi aspettiamo?»
«Sei stato tu a dire di
radunarci!» ringhiò il ninja aggressivo.
«Io? Ah, è vero! Su,
Kamaro, non essere così spigoloso! Sta per arrivare»
«Chi?» ripeté
l’altro, sempre più irritato. Era onorato di essere entrato
nell’Akatsuki, ma quello stupido ragazzino proprio non lo reggeva.
Come poteva un idiota simile essere nel gruppo?
«Io»
Tutti posarono gli occhi – nel caso
di Tobi qualunque cosa ci fosse dietro la maschera – sull’ingresso
della stanza, nell’angolo più buio.
Un’ombra era comparsa all’improvviso,
perfettamente silenziosa, e aveva parlato con voce neutra.
«Oh» fece Tobi. «Eccolo»
Itachi non commentò. Kamaro
assottigliò gli occhi.
«Fatti avanti» ordinò
secco. «Chi sei?»
«…Per oggi passi…»
mormorò la figura camminando verso di loro, e rendendosi mano
a mano più visibile. «Ma la prossima volta che ti
rivolgerai a me con parole irrispettose…» ormai era nella
penombra leggera, e la sua sagoma era ben delineata. «…Ti
ucciderò»
Non aveva alzato la voce.
Non ne aveva neanche avuto bisogno.
Perché Kamaro aveva riconosciuto
all’istante quelle iridi a cerchi concentrici, il rin’negan di
cui pochi intendevano la natura, e in un secondo momento anche
l’anello al suo indice.
Tutti li avrebbero riconosciuti.
Pain era ancora vivo.
Ci fu un istante di silenzio nella
stanza.
«Credevo foste morto»
mormorò poi Kamaro, passando istantaneamente al voi. «Per
mano di Jiraya della Foglia»
«Eppure sono qui» ribatté
Pain con indifferenza. «Evidentemente qualcuno ha diffuso una
notizia falsa»
A quel punto guardò Itachi. «Non
sembri sorpreso di rivedermi» gli disse.
«Dovrei?» ribatté
l’Uchiha, impassibile. «La pioggia cade ancora»
Pain si limitò a guardarlo senza
ribattere, e posò gli occhi su Tobi per ultimo.
Si fissarono un istante, poi il ninja
mascherato sollevò un pollice nella sua direzione – un
pollice su cui brillava un anello dell’Akatsuki.
«Tobi è un bravo ragazzo!»
affermò orgoglioso. «Li ho portati tutti qui!»
«Hai fatto un buon lavoro»
gli concesse Pain.
Lui sembrò profondamente onorato
dal complimento.
Il capo formale dell’Akatsuki fece
girare lo sguardo su tutti i suoi vecchi e nuovi sottoposti, e prese
fiato per iniziare il discorso che si era proposto; un discorso che
iniziava con:
«Il nostro obiettivo non è
cambiato: la nove code deve ancora essere catturata»
I cani tornarono senza notizie utili.
Se anche Sasuke era passato per il
villaggio, la pioggia aveva cancellato ogni sua traccia.
«Me lo aspettavo» confessò
Kakashi senza troppa sorpresa. «Questo Paese è pessimo
per chi segue il fiuto. Domani ricominceremo a cercare»
annunciò prima di andare a dormire.
E il mattino dopo mantenne la promessa,
svegliandoli all’alba con loro somma gioia.
«Ci divideremo, e ognuno
perlustrerà una zona del villaggio insieme a uno dei cani. Io
andrò ad ovest, nella zona in cui Jiraya ha incontrato Itachi,
Naruto andrà a sud, Sai ad est e Sakura a nord. Voglio che Pak
segua Naruto, e a voi due darò altri cani»
«Perché Pak?» scattò
Naruto, corrucciato.
Non si fidavano di lui?
Kakashi inarcò le sopracciglia.
«Perché a sud c’è il vecchio quartier generale
dell’Akatsuki, che tu dovrai controllare. Non volevo correre
rischi, ma se ti disturba…»
Naruto arrossì, rendendosi conto
della propria totale idiozia.
«No, va bene…» borbottò
rapido, abbassando lo sguardo.
Sakura gli lanciò un’occhiata
veloce.
«Okay, andiamo» ordinò
Kakashi, indossando i suoi abiti da squallido mercante.
Gli altri lo imitarono, e insieme
uscirono dalla locanda come comuni commercianti squattrinati in cerca
dell’affare d’oro. Camminarono per qualche minuto, fino a
raggiungere la piazza del villaggio, davanti al palazzo del capo. Lì,
sotto la pioggia, una fontana zampillava tristemente, e dai quattro
lati dello spiazzo partivano altrettante strade che dividevano il
paese nello stesso numero di zone. A Kakashi bastò un cenno
impercettibile perché i ragazzi capissero dove dovevano
andare, e le guardie davanti al palazzo del capo-villaggio non si disturbarono
a controllare gli uomini cenciosi che camminavano lenti per il
piazzale.
Senza movimenti bruschi Kakashi
condusse il gruppo in una stradina secondaria, un vicolo umido e
deserto in cui la luce scarseggiava. Lì evocò quattro
cani, tra cui Pak, e li affidò a ciascuno di loro.
«Niente colpi di testa»
raccomandò prima che si dividessero. «Se trovate una
traccia limitatevi ad avvisare. Non c’è alcun bisogno di
fare gli eroi… o di lasciarsi prendere dall’emozione» fissò
intensamente Naruto. «Sono stato chiaro?»
Lui annuì, serio.
Niente colpi di testa.
Solo raccolta informazioni.
Certo che aveva capito. Non era uno
stupido.
«Allora andate»
Partirono tutti simultaneamente.
«Andate»
Pain li congedò nella sua
caratteristica maniera fredda e un po’ brusca, voltando loro le
spalle.
Tobi, Itachi e Kamaro rimasero fermi
mentre lui usciva dalla stanza in penombra, e poi ancora quando
furono soli.
Il primo a parlare fu il ninja della
Pioggia.
«Io cercherò nuove reclute
nel paese del Fuoco» annunciò con la sua voce
leggermente roca. «Non intralciatemi»
«E dire che sono il tuo nuovo
compagno di squadra!» piagnucolò Tobi.
Kamaro lo fulminò con lo
sguardo. «Se dipendesse da me saresti solo una pozza di sangue»
ringhiò quasi. «Ma se devi proprio seguirmi, vedi di non
farti notare»
«Che paura!» si lamentò
lui, terrorizzato. «Ma prima di partire mangiamo qualcosa?»
aggiunse subito, allegro come una berta.
Kamaro digrignò i denti. Sarebbe
stato un incubo, se lo sentiva. Lanciò uno sguardo invidioso a
Itachi, che sembrava immerso in qualche profonda riflessione, e
richiamò la sua attenzione. «Sei fortunato» gli
disse risentito. «Tu ora sei in coppia con Pain»
L’Uchiha lo degnò a malapena
di un’occhiata. Sistemò con noncuranza il colletto della
divisa dell’Akatsuki e poi si avviò alla porta.
«Tsk» fece Kamaro
indispettito. Non lo rispettavano abbastanza, lì dentro…
avrebbe dovuto mostrare in fretta di che pasta era fatto. «Muoviti»
abbaiò a Tobi, e si dissolse in un breve mulinello d’aria e
polvere.
«Come?» esclamò Tobi
deluso. «Allora non si mangia? Accidenti…» e, con un
sospiro desolato, scomparve come il compagno.
Itachi, prima di uscire dalla porta,
gettò uno sguardo indietro da sopra la spalla.
E i suoi occhi, all’improvviso
scarlatti, si ridussero a cupe fessure rosseggianti.
Naruto e Pak camminavano silenziosi
sotto la pioggia scrosciante, il cane naso a terra. A un tratto si
fermò e scrollò il pelo bagnato, mugugnando qualcosa
sulla bandana che gli avevano tolto e che invece lo avrebbe riparato
tanto bene.
«Zitto» gli sussurrò
Naruto. «Ora sei un cane normale»
«E’ un insulto, ragazzino»
ribatté Pak offeso. «Al prossimo ti azzanno la caviglia»
«Sei qua per lavorare, non puoi
farlo a bocca chiusa?» ribatté il ninja indispettito.
Il cane abbaiò minaccioso, e un
paio di persone si voltarono nella sua direzione.
Naruto si affrettò ad allungare
il passo, svoltando in una via stretta tra due alti palazzi. Una
volta al sicuro da sguardi indiscreti si lasciò andare a una
ramanzina discretamente farcita di insulti, che Pak accolse
leccandosi il didietro con noncuranza. Alla fine gli rivolse
un’occhiata annoiata, con quei suoi grandi occhi acquosi.
«Hai finito?» chiese
sbadigliando.
Naruto aveva una gran voglia di
portarlo a un ristorante cinese.
«Mentre tu blateravi cose senza
senso» proseguì il cane mettendosi ad annusare in giro
«io ho avvertito una traccia. Se non ti disturba seguirmi,
credo di aver trovato l’ingresso al vecchio quartier generale»
«Davvero?» fece Naruto, suo
malgrado colpito.
«Ti sembro uno che scherza?»
ribatté Pak scoccandogli un’occhiataccia.
“Mi sembri uno che ha una gran voglia
di morire” avrebbe voluto ribattere il ninja, ma si morse la
lingua.
Ora aveva problemi ben più
grandi di un cane rompiballe.
Prima di tutto, adesso avevano iniziato
davvero.
Finché non avevano raggiunto il
villaggio della Pioggia aveva quasi fatto finta che la loro fosse una
missione normale, una di routine.
Che non riguardasse Sasuke.
Ma ora, ora che erano sul campo e che
davvero lo stavano cercando… l’ansia tornò a serrargli lo
stomaco.
Lo voleva rivedere.
Disperatamente.
Anche se l’ultima volta era stato
quasi ucciso da lui.
Anche se rischiava di perdere Sakura.
Lui era il suo migliore amico.
La cosa più vicina ad un
fratello che avesse mai avuto… e lo voleva indietro.
A costo di uccidere tutti coloro che si
fossero messi sulla sua strada.
Niente colpi di testa, gli
risuonò nelle orecchie.
“Ah già” realizzò,
ricordando le parole di Kakashi. “Devo starmene buono… o almeno
provarci”
Pak abbaiò, poco più
avanti, e Naruto si affrettò a raggiungerlo.
«Qua dietro» disse il cane
accennando a una catasta di rifiuti.
Naruto arricciò il naso
disgustato, e lanciò un’occhiata sospettosa al compagno. «Ne
sei sicuro?» indagò.
«Muoviti!» abbaiò
quello.
«Va bene, va bene…»
bofonchiò il ninja, e si diede da fare per spostare la
spazzatura.
Nel giro di due minuti aveva liberato
il muro; e soprattutto la porta di metallo arrugginito che lo
tagliava.
«Entriamo» disse Pak
zampettando avanti, e Naruto aprì, sentendosi inspiegabilmente
la parte debole del gruppo.
All’interno regnava l’oscurità
più completa, e un pungente odore di muffa.
Naruto estrasse dal marsupio la torcia
e l’accese, illuminando una stanza ampia e spoglia. Non c’era
assolutamente nulla, là dentro, solo cemento e calce.
Dall’altra parte del pavimento, però, vide una scala che
saliva verso l’alto.
«Di qua» Pak annusò
il terreno e si diresse verso la gradinata, scodinzolando piano.
Naruto lo seguì, illuminando la
strada davanti a entrambi, e iniziarono a salire gli scalini. I loro
passi rimbombavano nel silenzio, anche le unghie del cane che
graffiavano il pavimento. La pioggia non era nemmeno un mormorio
lontano.
Naruto si sentiva inquieto.
«Le tracce sono fresche?»
chiese quando furono in cima.
«No» ammise Pak fiutando
rumorosamente il pavimento. «E’ passato parecchio tempo
dall’ultima volta che qualcuno ha camminato qui…»
Naruto fece correre la luce della
torcia lungo le pareti della seconda stanza, esattamente identiche
alla sua gemella del piano inferiore. Anche lì, dall’altra
parte della sala, una scala saliva verso l’alto.
Non nutriva molte speranze di trovare
qualcosa, ad essere onesto.
L’agitazione, la trepidazione,
l’ansia… erano state placate dalla delusione.
Lui e Pak salirono al piano superiore,
in fretta. E una volta lì Naruto dovette spegnere la torcia;
erano al capolinea.
«Pak?» chiamò il
ninja.
Il cane fiutò l’aria e scosse
la testa. «Niente. Qui non c’è nessuno»
borbottò.
Naruto si accigliò, inquieto, e
fece correre lo sguardo sui tubi e le colonne che tagliavano l’aria.
Davanti a lui, dove la parete era costituita soltanto da pilastri, la
pioggia scrosciava monotona, e i palazzi si stagliavano nel cielo
plumbeo.
Neanche un mese prima in quello stesso
posto erano stati Pain, Tobi e Konan dell’Akatsuki.
Poi, all’improvviso, Pak drizzò
le orecchie e voltò la testa.
«Arriva qualcuno»
Kakashi era fermo su un tetto,
accucciato e pressoché invisibile dal basso. La pioggia
sferzava il cappello a tesa larga e il vento faceva ondeggiare le
falde del mantello, ma lui non si muoveva.
Era solo.
A un tratto mosse appena il capo, e
colse un’ombra alle sue spalle, accompagnata da un ticchettio
sommesso di unghie. Il cane che lo accompagnava gli si accostò.
«Niente da fare, nessuna traccia»
comunicò scrollando il pelo.
«Andiamo avanti» ribatté
il ninja alzandosi in piedi. «Il prossimo palazzo è alto
più o meno come questo. Dovrebbe essere l’archivio generale
della Pioggia»
Il cane abbaiò piano in segno di
approvazione, e seguì il padrone che correva sul cemento verso
un edificio dall’altra parte della strada.
Spiccarono il balzo insieme, silenziosi
come gatti, e atterrarono contemporaneamente senza il più
piccolo rumore. Dalla via più in basso nessuno aveva notato
nulla.
«Qui c’è una botola»
comunicò il cane dopo una breve esplorazione. «E ci sono
tracce recenti di un passaggio»
«Itachi?» chiese il jonin.
«No, qualcun altro. E’ un odore
totalmente diverso»
«Lo riconosci?»
Il cane scosse la testa.
E in quell’istante uno shuriken
fischiò per l’aria, andando a conficcarsi nel cappello di
Kakashi.
Lui si mosse rapido, ma non abbastanza,
e il cappello gli fu strappato dalla testa. Il cane scattò in
posizione d’attacco, abbassando le orecchie e ringhiando, e il suo
padrone ricambiò il gentile benvenuto con un kunai ben mirato.
L’ombra vestita di nero dall’altra
parte del tetto lo evitò piegandosi di lato, fulminea, e in un
attimo fu davanti a lui, a sua volta kunai alla mano. Incrociò
l’arma di Kakashi a mezz’aria, facendola tintinnare, e a quel
punto entrambi rimasero immobili, i muscoli tesi nello sforzo di non
cedere.
Kakashi, con lo sharingan piantato
negli occhi dell’aggressore, fece un cenno minuscolo al cane.
Il suo avversario, con il volto
completamente coperto, all’improvviso si accigliò.
Saltò indietro all’ultimo
istante, evitando il morso, e per un attimo sembrò confuso.
«Kakashi dello sharingan?»
chiese, con voce di donna.
«Con chi ho l’onore di
parlare?» ribatté lui, senza abbassare il braccio che
stringeva il kunai.
La kunoichi che aveva di fronte portò
una mano alla maschera che le nascondeva naso e bocca, pronta ad
abbassarla, ma un attimo prima che potesse farlo qualcosa catturò
il suo orecchio.
«Maledizione…» imprecò,
interrompendosi bruscamente. Lanciò un’occhiata veloce a
Kakashi. «Vattene, stanno per arrivare quelli della Pioggia»
disse brusca, e in un balzo raggiunse il tetto di un altro edificio.
«Ha ragione» abbaiò
il cane, fiutando intensamente l’aria. «Sta arrivando
qualcuno»
Kakashi esitò per un attimo,
accigliato, poi raccolse in fretta il cappello che gli era stato
tolto e se lo calcò sul capo.
Mentre imitava la kunoichi di prima
saltando fino a un altro palazzo, analizzò la situazione: una
sconosciuta aveva appena cercato di ucciderlo. E l’attimo dopo gli
aveva salvato la vita.
C’era indubbiamente qualcosa che non
andava.
Balzò a un altro tetto ancora,
poi giù in un vicolo, sempre accanto al cane, e una volta lì
corse fino a svoltare in una strada più ampia e confondersi
tra la gente.
Fu allora che vide il piccolo terrier
marrone correre nella sua direzione.
E si accorse che lo conosceva.
Sai aveva controllato metà della
sua zona senza scoprire nulla di interessante.
Il cagnetto che lo accompagnava
annusava freneticamente il terreno, scodinzolando entusiasta, ma lui
non riusciva a condividere la sua emozione.
Pioveva.
Erano in missione.
Di nuovo a caccia di Sasuke.
Un altro fallimento avrebbe potuto
essere fatale per l’orgoglio di Naruto.
No. Non c’era assolutamente nulla per
cui essere allegri. Senza contare che l’ultima volta che erano
incappati nell’Uchiha se l’era vista brutta… l’uomo d’acqua
– così l’aveva soprannominato – che era con lui e che
poteva modificare il proprio corpo fino a decuplicarne la forza, lo
aveva ridotto davvero male. Lui e quella sua pesante e affilata
spada.
Portava ancora le cicatrici sulla
schiena, e, nonostante una piccola parte di lui desiderasse la
rivincita, la parte più grande e razionale riconosceva che
avrebbe fatto molto meglio a tenersi alla larga.
Però Sai era un ninja, e aveva
una missione.
Trovare Sasuke Uchiha. Anche se avesse
significato incontrare di nuovo quel Suigetsu.
Il suo cane abbaiò
all’improvviso, arricciando le labbra in un ringhio contenuto.
In quel momento si trovavano in una
strada abbastanza ampia e affollata, nonostante la pioggia. Sai alzò
lo sguardo e lo fece vagare attorno, alla ricerca di ciò che
aveva messo in allarme l’animale.
Non dovette guardare molto.
Il Serpente era esattamente davanti a
lui.
«Oho…» sogghignò
Suigetsu, snudando i denti affilati. «Che fortuna»
Sai si accigliò
impercettibilmente, registrando al volo i cambiamenti avvenuti in
quell’anno: nessuno, a prima vista. Se non considerava la spada in
più sulle spalle di Suigetsu.
Rimase impassibile, fermo nel flusso
delle persone che camminavano, con il cagnetto fremente al suo
fianco.
Avrebbe dovuto avvisare gli altri.
Il segnale concordato era moltiplicarsi
e trasformare le copie nei propri cani, per spedirli poi agli altri,
e nel frattempo mantenere il contatto visivo.
Ovviamente nessuno aveva previsto che
incappasse nel Serpente in una situazione simile.
“Merda” fu il suo fine pensiero.
«Tu sei di Konoha» disse
Sasuke, senza scomporsi. «Significa che anche Naruto è
qui?» mosse appena gli occhi sulla ragazza al suo fianco.
«Karin»
Lei chiuse gli occhi per qualche
secondo, e alla fine annuì. «A sud» mormorò.
«Non sapete veramente quando
smettere…» sussurrò Sasuke, accigliandosi
impercettibilmente.
Sai tenne ancora la bocca chiusa.
«Posso giocarci un po’?»
chiese Suigetsu, leccandosi le labbra. «Ho anche la spada
nuova»
«No» rispose l’Uchiha
secco.
“Dobbiamo ucciderlo direttamente”
pensò, muovendo le mani sotto il mantello.
Sai vide a malapena la stoffa che
ondeggiava, e in quel momento seppe cosa fare: scartò
bruscamente, infilandosi in un vicolo stretto.
«Tsk» fece Sasuke,
inseguendolo al volo, e Suigetsu scoppiò a ridere e balzò
sul tetto di una casa che correva parallela alla stradina.
«Ora posso giocarci?»
chiese di nuovo.
«Devi ucciderlo, razza d’idiota!»
gli urlò Karin. «Non l’hai ancora capito?»
«E io che ho chiesto?»
Suigetsu ghignò, felice, e saltò
giù dal tetto.
La lama un tempo appartenuta a Zabuza
si conficcò nel cemento crepandolo in profondità, e Sai
fu costretto a fermarsi per non finirci addosso. Si voltò, e
scoprì che Sasuke lo aveva praticamente raggiunto.
Davanti e dietro aveva i nemici. Di
fianco le strette pareti del vicolo.
L’unica sua speranza era il cane che
era rimasto indietro, apparentemente ignorato dagli altri.
Ciò che non sapeva era che Juugo
se ne era già occupato.
Con dolore, sì, ma se ne era
occupato.
A nord del villaggio della Pioggia non
doveva esserci niente, in teoria.
Itachi era stato visto a ovest, l’ex
quartiere generale dell’Akatsuki era a sud, perché Sasuke
avrebbe dovuto essere a nord? Anche se non avesse saputo dell’ultimo
avvistamento di Itachi, per lui sarebbe stato senz’altro più
conveniente trovarsi a est, ovest o sud. Di certo non a nord.
Sakura non credeva che sarebbe davvero
incappata in tracce rilevanti, in quella zona.
Sembrava la parte più povera del
villaggio, quella con l’architettura più arretrata e
fatiscente, le strade più sporche e i bambini più
cenciosi.
L’Akatsuki avrebbe cercato un posto
con più disponibilità tecnologica, sicuramente.
Lei, se fosse stata in loro, lo avrebbe
fatto.
Il piccolo terrier marrone che la
accompagnava annusava scrupolosamente il terreno, per essere certo di
non lasciarsi sfuggire qualche traccia. Sfortunatamente per lui
l’asfalto crepato era un’unica pozzanghera, e il suo lavoro si
preannunciava quanto mai difficile. Ma lei lo lasciava fare senza
mettergli fretta, e intanto si guardava attorno.
Il Paese della Pioggia poteva essere il
più avanzato tecnologicamente, ma le zone di povertà
erano uguali dovunque: aveva perso il conto di tutte le persone che
stavano appoggiate ai muri delle case altrui, chiedendo stancamente
la carità o lanciandole occhiate poco rassicuranti; gli scarsi
negozi erano più che squallidi e deserti, i negozianti fermi
sulla soglia con le mani sui fianchi; la sporcizia era incalcolabile.
Probabilmente quella gente non
conosceva neppure le più elementari norme igieniche.
Sakura, come medico, non poteva che
soffrire per una situazione del genere. Non poteva che provare pietà
per quelle persone e desiderare di aiutarle.
Chi, si chiedeva, potrebbe passare
accanto a questi bambini e non fare qualcosa per loro?
Poco più avanti un uomo coperto
da un mantello scuro camminava. Passò accanto a un bambino, e
proseguì oltre senza nemmeno notarlo.
“Già. C’è sempre
qualcuno che può” si disse lei amara.
Poi notò un lembo della veste
sotto il mantello.
Nera.
Con un frammento di nuvola.
Scarlatta.
Il suo cuore mancò un battito.
Senza pensarci si gettò in una
stradina, trattenendo il fiato, e si appiattì contro il muro.
Il terrier che la accompagnava aveva le orecchie basse e la coda tra
le gambe, nonostante il coraggioso tentativo di snudare le piccole
zanne.
«Lo riconosci?» gli chiese
Sakura in un bisbiglio.
Il cane annuì.
«E’ Itachi Uchiha»
Sakura inspirò bruscamente.
Maledizione.
Proprio lui!
E dire che era stata così sicura
che non avrebbe incontrato nessuno…
…ma non aveva tempo da perdere
piagnucolando.
Niente colpi di testa. Se trovate
una traccia limitatevi ad avvisare. Non c’è alcun bisogno di
fare gli eroi… o di lasciarsi prendere dall’emozione, aveva
detto Kakashi.
Avvisare.
Doveva avvisare gli altri.
Congiunse le mani sotto il mento e creò
tre copie di sé stessa, alle quali fece prendere le sembianze
del piccolo terrier marrone che la accompagnava. Le guardò
partire di corsa, dirette verso i loro obiettivi, e a quel punto
inspirò a fondo.
Adesso doveva trattenere Itachi.
Tornò sulla strada più
ampia, e vide il mantello nero in lontananza. Insieme al cane, che si
sforzava eroicamente di scodinzolare come niente fosse, allungò
il passo sulle sue tracce. Lo raggiunse presto, forse troppo, e si
chiese se non fosse stata imprudente; ma lui non sembrava averla
notata.
Continuava a camminare, e lei sperò
che fosse diretto al nuovo quartier generale, finché a un
tratto non lo vide svoltare in una stradina secondaria.
Lo seguì in fretta, per paura di
perderlo, ma quando imboccò la via presa da lui lo vide fermo
in mezzo alla strada deserta, girato dalla sua parte.
La fissava.
«Tu sei la ragazza che è
con Naruto Uzumaki» commentò, la voce piena di fredda
indifferenza.
Lei sentì un brivido correre
lungo la schiena, mentre il terrier al suo fianco ringhiava
aggressivo.
Deglutì, sotto il cappello dalla
cui tesa le gocce di pioggia cadevano a terra, e corrugò la
fronte.
Lui era l’origine di ogni male.
Per causa sua Sasuke se ne era andato.
Per causa sua Sasuke era ossessionato
dalla vendetta, e metteva ogni altra cosa al secondo posto.
Per causa sua Sasuke aveva sofferto e
soffriva.
«Il mio nome…» mormorò,
stringendo i pugni e sentendo la rabbia che rapidamente sostituiva il
terrore «…è Sakura Haruno. Sono qua per catturarti»
* * *
* ȣ * * *
*
Spazio autore
C'è una cosa che avrei voluto fare da tanto tempo,
e che non ho mai fatto:
ringrazio davvero sentitamente Kaho_chan,
che ogni volta mi lascia commenti lunghi e, onestamente, lusinghieri! =^^=
Leggerli è sempre un vero piacere!
Passando alla storia, ecco che iniziano i preannunciati casini!
In questo momento sto scrivendo il capitolo tredici, e vi anticipo soltanto che nel dodici succede davvero di tutto...!
Ahh, non vedo l'ora di aggiornare! XD
Aya
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