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Epilogue
Il
suo cuore mancò uno, due, tre battiti e quasi credette di svenire.
Sua
madre; la donna che per cinque mesi le era mancata, la donna che per
tutta la vita le era stata accanto e che lei aveva egoisticamente
abbandonato ora si trovava davanti a lei con uno sguardo distrutto,
incredulo, intriso di emozioni contrastanti.
Le
sue mani tremavano e per un momento si chiese se le avesse chiuso la
porta in faccia ma, come aveva sperato fino a quell'istante, la donna
corse verso di lei e la strinse a sé con tutta la forza che aveva
ancora in corpo. Di nuovo quel calore materno che aveva cercato
inutilmente di ritrovare in Germania, di nuovo quel profumo.
Entrambe
scoppiarono in un pianto ininterrotto, che avevano trattenuto per
troppo tempo. Il suo stomaco sembrava voler scoppiare poiché una
bestia continuava ad agitarsi al suo interno.
“Piccola
mia.” ripeteva Kayla come in una cantilena incredula.
Una
parte di lei aveva sempre saputo che sua madre non le avrebbe mai
voltato le spalle, nemmeno in seguito ad azioni terribili, perché
aveva combattuto così tanto per averla, a partire da una gravidanza
difficile. Eppure, per un momento aveva avuto paura perché sapeva
bene di non aver compiuto un bel gesto, fuggendo nel bel mezzo di una
tragedia come quella che avevano dovuto affrontare.
“Scusami.”
sussurrò senza lasciarla andare, sentendosi tremendamente in colpa.
“Non
ti preoccupare, tesoro. Sei a casa.”
***
Sedevano
al tavolo di fronte a una tazza di tè e continuavano a stringersi
una mano a vicenda con affetto, con nostalgia, come avessero paura di
perdersi di nuovo. Le erano mancate le sue mani morbide, il suo
sorriso amorevole, le sue parole sempre dannatamente giuste. Le era
persino mancato parlare in americano, cosa che la fece sorridere
appena.
Entrare
nuovamente in quella casa non era stato per nulla facile. I ricordi
erano tornati a farle visita troppo violentemente, a cominciare da
una foto che la ritraeva con suo fratello Tom, appesa alla parete
della cucina. Non avevano ancora avuto il coraggio di nominarlo e non
seppe dire se fosse qualcosa di positivo o negativo. La sua mente
però fremeva al pensiero di entrare in camera del ragazzo, dove
avrebbe ritrovato il suo letto, il suo computer, i suoi vestiti.
Tutto. Non era sicura di sentirsi pronta. Suo padre Gale era ancora
al lavoro – poiché il fuso orario voleva che fossero le cinque del
pomeriggio – e sarebbe tornato per ora di cena. Per lui, sarebbe
stata una sorpresa poiché, come Kayla, non sapeva del suo ritorno.
“Mi
ha detto Luke che per tutto questo tempo hai vissuto con dei ragazzi
famosi, in Germania.” esordì la madre, dopo aver sorseggiato un
altro po' di tè. L'emozione era ancora tangibile, fra loro.
“Sì.”
annuì sommessamente la ragazza. “Sono stati molto gentili da
ospitarmi. Ho anche trovato un lavoro in un negozio che mi ha aiutato
a mantenermi.”
Si
sentiva a disagio a parlare di tutto ciò perché era stato il motivo
della sofferenza di sua madre, per tutti quei mesi. Si sentiva quasi
in colpa a darle tutti quei dettagli. Pensare che per tutto il tempo
non aveva solamente pianto e sofferto ma aveva anche passato momenti
divertenti e si era innamorata le pareva ancora più egoistico.
“Luke
è stato adorabile. Ci è sempre stato vicino ed ora ti ha riportato
da noi. Non gliene sarò mai abbastanza grata. Sei fortunata ad avere
un ragazzo come lui.” Ingie sorrise appena, incerta. Non era il
caso di rivelare dettagli della sua vita che ormai non avevano più
importanza. “A proposito, perché non è venuto? Non era con te?”
“Ha
preferito andare a casa a riposare, era stanco.” mentì. Non voleva
parlare a sua madre di ciò che era successo nel frattempo con lui.
“Ma sono sicura che passerà a salutarvi nei prossimi giorni.”
aggiunse per rimediare. Qualche attimo di silenzio che parve
un'eternità. Strinse convulsamente le dita attorno alla sua tazza,
poiché non sapeva dove mettere le mani, ma soprattutto perché non
sapeva quali parole fossero le più opportune da pronunciare. Non vi
era la spontaneità che ricordava e sapeva anche che non sarebbe
stato possibile ottenerla senza aver prima affrontato il tema
principale, da cui entrambe si tenevano alla larga. Decise di fare il
primo passo; o prima o dopo, sarebbe stato necessario. “Come stai,
mamma?”
Poteva
sembrare una domanda stupida, già posta in precedenza, ma Kayla
aveva perfettamente capito a cosa si riferisse quella volta, lo
sapeva. La vide fremere, lanciarle uno sguardo come presa in
contropiede. Non passò molto tempo prima di scorgere il suo mento
tremare debolmente e i suoi occhi inumidirsi.
La
donna abbassò lo sguardo e sollevò appena le spalle, come a
disagio.
“È
tutto così strano.” mormorò con voce tremante. “La casa è
strana, senza di lui.” Era la prima volta che facevano anche
solamente un lontano riferimento a suo fratello e ciò la fece
rabbrividire impreparata, nonostante avesse intavolato proprio lei
quel discorso. “Non riesco ancora a capacitarmene.” Si interruppe
poiché un singhiozzo la prese alla sprovvista, portandola a coprirsi
momentaneamente gli occhi con una mano.
Ingie
poté vedere il dolore di una madre, che aveva perso un figlio di
quasi ventiquattro anni. Poteva vedere quanto fosse morta nell'anima,
seppur ancora fisicamente viva. Fu anche lei colta da un magone
pesante ma cercò di tenere duro per la persona che aveva di fronte,
così le afferrò dolcemente la mano che aveva stretto fino a pochi
istanti prima.
“Sai,
andare in Germania per me è stato lungimirante sotto molti punti di
vista.” parlò a fatica, ingoiando il dolore. “Ho incontrato
persone che mi hanno capito, che mi hanno fatto aprire gli occhi e
che mi hanno aiutato a risollevarmi, in qualche modo.” Pausa. “Una
persona in particolare mi ha detto cose che mi hanno aiutato a
riflettere.” La prima lacrima la tradì, ma si affrettò a
scacciarla. “Tom è con noi, mamma.” Al pronunciare il suo nome,
entrambe sussultarono. “Tom non se n'è andato. È semplicemente
partito per una gara di ballo che lo rende tremendamente felice.”
Sorrise appena, tirando su con il naso. “Lui sa che lo pensiamo
sempre e che gli vogliamo bene. E lui prova lo stesso per noi, il che
vuol dire che non vorrebbe mai vederci piangere, distruggerci e
smettere di vivere. Dobbiamo cercare di reagire, mamma, per lui. Io
ci sto provando, tutti i giorni. Non è per niente facile, ma mi
voglio impegnare. Voglio provare a portare avanti il sogno che
abbiamo condiviso fino a poco tempo fa. Non voglio pensare che tutti
i suoi sforzi compiuti fino ad ora siano stati vani. Voglio tenerli
vivi, con noi. Con me.” Sua madre la guardava incredula, con lo
sguardo pieno di lacrime, ma una nuova luce negli occhi. Sapeva di
non aver lenito il loro dolore con le sue parole, ma voleva essere
certa che anche sua madre sapesse in che modo Tom Kaulitz l'aveva
aiutata a risorgere come persona. “Lui ne sarebbe contento.”
Kayla
si asciugò maldestramente le lacrime e cercò di stirare un sorriso.
“Chi
ti ha detto queste cose deve essere una persona speciale.” le disse
in un sussurro.
Ingie
sorrise amaramente.
“Sì,
lo è.” mormorò cercando di ignorare l'ulteriore fitta che il
cuore le aveva dato.
“Ed
ha ragione.” aggiunse la donna. “Cercherò di farlo per il mio
bambino.” Ingie sorrise toccata. Ricordava le risate fra lei, Tom e
sua madre, ogni qual volta Kayla li chiamasse a quella maniera.
Ripeteva sempre che anche a quarant'anni, loro due sarebbero sempre
stati 'i suoi bambini'.
Annuì
serenamente. In quello, Luke aveva avuto ragione. Solamente
sostenendosi, avrebbero potuto aiutarsi a vicenda e sconfiggere il
dolore nel miglior modo possibile. Dovevano solamente pensare
positivo, accantonare l'immagine macabra dell'incidente ed adottare
una nuova filosofia di vita. Avrebbe potuto funzionare.
***
Georg
si sentiva a disagio ma, più di ogni altra cosa, gli mancava il suo
migliore amico.
Tom
non era più la stessa persona da quando Ingie aveva abbandonato la
Germania. Quando gli parlava, lo vedeva sempre sovrappensiero,
nonostante facesse di tutto per fargli credere che stesse attento.
Georg non era stupido; aveva capito perfettamente che qualcosa non
andava. Chiusi in sala di registrazione, provavano per ore ma nemmeno
un fiato sgattaiolava fuori dalle labbra del chitarrista. Nemmeno lui
riusciva più a punzecchiarlo, poiché il suo malumore aveva
contagiato ogni componente di quello studio.
David,
di conseguenza, era sempre più nervoso, se presa in considerazione
anche la gravidanza di Amanda. Questa aveva sofferto molto la
partenza di Ingie e sapeva che non avevano perso i contatti.
Un'ulteriore cosa di cui era a conoscenza era che Bill si sentisse
ancora con la mora, seppur saltuariamente, ed era sicuro che Tom non
lo sapesse. Forse era meglio così, almeno per il momento.
Uscì
in giardino, dove il moro sedeva, intento a fumare una sigaretta ed
osservare i suoi cani giocare fra loro.
“Me
ne offri una?” gli chiese con un mezzo sorriso, prendendolo alla
sprovvista. L'aveva visto sussultare, segno che ancora una volta la
sua testa era altrove. Il chitarrista annuì distrattamente e gli
passò il pacchetto, non appena gli si sedette affianco. “Sai,
pensavo di venire in palestra con te. Isa mi sta seriamente
minacciando di lasciarmi se non dimagrisco un po'.” ridacchiò
all'improvviso, trovando la prima scusa che gli passò per la testa.
Notò
con la coda dell'occhio Tom sorridere appena, senza guardarlo.
“Quando
vuoi.” si limitò a rispondere.
Pensò
ancora.
“Allora,
hai deciso di tagliarli, questi rasta?” buttò lì, dopo la prima
boccata di fumo.
Tom
sembrò sorpreso di quella domanda, come si fosse dimenticato di
averlo accennato qualche tempo prima. Parve riflettervi un attimo.
“Sì.”
rispose come illuminato. “Sì, mi sa proprio che me li taglio.”
Georg
sorrise. Sapeva che dietro quell'affermazione vi era un 'Fanculo
tutto, voglio dare un taglio e cercare di dimenticare'; ma sapeva
anche che non sarebbe stato un semplice taglio di capelli a renderlo
nuovamente sereno.
“Vengo
con te.” sorrise, facendolo voltare incuriosito. “Sono anche io
stufo dei miei capelli. Voglio cambiare.” scrollò le spalle per
dare una spiegazione. A dire il vero, l'aveva deciso in quel preciso
istante, forse più per infondergli coraggio, per affiancarlo in
qualcosa di apparentemente stupido. Non voleva lasciarlo solo.
Avrebbe fatto di tutto per il suo amico, quello era certo. “Anzi...”
esordì nuovamente, buttando la sigaretta a terra, non ancora
terminata. Si sollevò in piedi con decisione. “Vieni.” lo
esortò, sotto il suo sguardo perplesso. Rientrò in studio, seguito
dal chitarrista, e si recò in bagno, mentre si legava i capelli in
una coda. Si posizionò di fronte allo specchio ed estrasse le
forbici dal cassetto del lavabo. Quando le porse al moro, questo
quasi sussultò. “A te l'onore.” gli sorrise.
“Cosa?”
domandò il rasta, confuso.
“Un
taglio netto. La coda.” lo incoraggiò, continuando a porgergli
l'arma del delitto.
“Scherzi?”
sgranò gli occhi Tom.
“Dai,
è un inizio. Poi, insieme, andiamo a tagliarceli come si deve.”
Tom sbatté più volte le palpebre, sorpreso. “Dai, ti sto
chiedendo di tagliare i miei capelli, mica i tuoi.” ridacchiò a
quel punto il bassista e finalmente il ragazzo afferrò le forbici.
Gli
diede nuovamente le spalle e sorrise tranquillo.
Alla
fine, non gli dispiaceva. Lo stava facendo per lui, per distrarlo,
per dimostrargli quanto bene gli volesse, benché fosse un qualcosa
di semplice. Con quel gesto simbolico voleva dirgli di non
preoccuparsi, che non era solo e che lui ci sarebbe sempre stato per
un supporto morale.
Quando
udì il rumore di un taglio netto e veloce, sorrise ancora di più.
Attraverso lo specchio vide i suoi capelli in mano all'amico ed il
suo cuore si scaldò al suono della risata di Tom, che dopo giorni si
era rifatta viva.
***
L'incontro
con suo padre era stato fantastico. Si erano stretti l'uno all'altra
ed avevano versato lacrime che mai aveva visto sul volto di Gale
prima di allora, se non alla morte del figlio. Aveva sempre avuto un
rapporto molto corporale con suo padre che normalmente avrebbe avuto
un figlio maschio. Piccoli pugni giocosi e dispetti erano solamente
un dettaglio, rispetto a ciò che si facevano l'un l'altra. Eppure,
quei momenti riuscivano ad essere affiancati ad altri – altrettanto
belli – fatti di parole, confidenze e sostegno morale reciproco. Il
rapporto che aveva con lui era semplicemente speciale e
riabbracciarlo dopo cinque mesi era stato per lei qualcosa di
indimenticabile ed estremamente emozionante.
Gale,
com'era giusto che fosse, si informò su ogni singolo particolare
della sua breve vita a Berlino e, nonostante avesse sofferto la sua
assenza, non si mostrò ostile a tali racconti. Anche nei suoi occhi
poteva continuamente scorgere il dolore per la perdita di suo figlio,
con il quale aveva un rapporto quasi viscerale – forse dettato dal
fatto che fosse maschio –, ma al tempo stesso notava con quanta
forza di volontà cercasse di non farlo notare a lei ma soprattutto a
sua moglie. L'uomo, in molti casi, è il solo in grado di dare forza
in una famiglia e questo Gale, lo faceva divinamente.
Una
volta finito di cenare, Ingie decise di congedarsi, poiché il
viaggio l'aveva stancata molto ed il fuso orario cominciava a sortire
i suoi effetti più devastanti. Dopo aver baciato i suoi genitori –
routine che le era mancata disperatamente – si ritirò in
corridoio, in direzione della sua stanza. Un brivido però la
travolse non appena, lungo il tragitto, il suo sguardo incrociò la
porta di Tom. Il suo cuore prese a battere all'impazzata e la
salivazione fu all'improvviso un vago ricordo. Non aveva mai più
messo piede nella stanza di suo fratello e non si sentiva nemmeno
lontanamente pronta a farlo poiché aveva paura di crollare di nuovo.
Eppure, una parte di lei si disse che per ricominciare da capo in una
sorta di serenità – seppur vacillante – era necessario fare i
conti con i ricordi, proprio come il chitarrista le aveva sempre
suggerito.
Preso
fiato, posò la mano tremante sulla maniglia, che venne lentamente
abbassata. Quasi smise di respirare non appena fece il suo ingresso
in quella camera, dove nulla era stato tolto o anche solamente
spostato. Tutto si trovava nella stessa posizione in cui l'aveva
lasciato.
Respirò
a fatica, richiudendo la porta alle sue spalle, e si guardò attorno.
Il
letto, di fronte a lei, era fatto; la scrivania, sulla destra, era
perfettamente in ordine. Ricordava quanto suo fratello, al contrario
di lei, fosse tremendamente puntiglioso. Detestava il caos, motivo
per il quale entrava raramente nella stanza di sua sorella che, come
sempre, avrebbe trovato in disordine. L'armadio, sulla sinistra,
conteneva ancora tutti i suoi vestiti, che Ingie annusò appena,
chiudendo gli occhi.
Era
incredibile come l'odore di suo fratello ancora regnasse lì dentro,
come se non se ne fosse mai realmente andato.
Una
lacrima scorse sul suo viso, mentre stringeva a sé una sua maglietta
con la quale ballava. Si avvicinò lentamente al letto e vi si sdraiò
sopra, rannicchiandosi su un lato, senza mai abbandonare quel capo
profumato che le faceva nuovamente apparire Tom davanti agli occhi.
Mi
manchi tanto, fratellino, pensò piangendo silenziosamente.
Nemmeno quella volta era riuscita ad essere forte.
Chiuse
gli occhi e si lasciò trasportare dal suo ricordo, nel mondo dei
sogni.
***
Fissava
da ore il televisore di fronte a sé, senza ben capire cosa stesse
trasmettendo. Vi aveva messo buona volontà, ma non riusciva ad
isolare i suoi pensieri così ridondanti. Era inutile che cercasse di
negarlo agli altri e a se stesso: Ingie era sempre nella sua testa e
non accennava a lasciarlo in pace, nemmeno con tutti gli sforzi che
faceva per cancellarla dalla sua memoria. Forse, una parte di lui non
voleva dimenticarla e probabilmente rappresentava uno dei problemi
più grandi con cui fare i conti. Continuare a ripetersi cose cattive
di lei non lo aiutava a smettere di desiderarla accanto a sé. Si
chiedeva cosa stesse facendo, si chiedeva come la sua vita stesse
proseguendo senza di lui; se fosse felice, se anche lei sentisse la
sua mancanza.
“Hey.”
Sollevò lo sguardo alla sua destra, preso in contropiede. Bill
sostava affianco al divano, dove sedeva lui, e lo guardava con un
piccolo sorriso in volto. “Non mi hai nemmeno sentito arrivare. A
cosa pensi?” gli domandò, sedendoglisi accanto.
Tom
sospirò appena, tornando a posare lo sguardo sullo schermo. Ormai,
era inutile nascondere i proprio sentimenti a suo fratello; in ogni
caso, avrebbe decifrato ogni suo sguardo.
“Alle
solite cose.” mormorò con una lieve scrollata di spalle.
Bill
si prese qualche attimo prima di ribattere.
“E
a che punto siamo con l'analisi?” chiese con una punta di ironia
che lo fece sorridere appena.
“Bill,
per favore.” borbottò.
“Sai,
Tom, mi piace che tu continui a pensare ad Ingie, ma dopo tanto
pensare, non sarebbe bene anche agire?”
Effettivamente,
quel ragionamento non era per niente errato. Certo, sarebbe stato
perfettamente d'accordo con lui se avesse accantonato i sentimenti.
Aveva messo l'orgoglio da parte tante volte con lei ed aveva paura a
farlo per l'ennesima volta.
“Non
so cosa fare, Bill. Sono combattuto. Una parte di me vorrebbe
rivederla, l'altra mi dice che rimarrò nuovamente scottato. È
inutile.” spiegò come poté, gesticolando eccessivamente, come
succedeva quando non sapeva come spiegare il suo stato d'animo o non
si sentiva propriamente a suo agio. “E comunque lei è in America,
sono passati mesi, avrà ripreso la sua vita. Nemmeno ci penserà più
a me.”
“Invece
ti sbagli. Mi chiede sempre di te.”
Una
scarica elettrica gli percorse la colonna vertebrale così
violentemente che si voltò di nuovo verso suo fratello con sguardo
perplesso e quasi risentito.
“Tu
la senti?” domandò esterrefatto.
“Tanto,
prima o poi, l'avresti scoperto.” scrollò le spalle il biondo.
Si
sentiva infastidito. Il fatto che Bill la sentisse e lui no lo
rendeva quasi... Geloso.
“E...
Come sta?” chiese con cautela, senza guardarlo. Il cuore batteva
furioso.
“Diciamo
che cerca di andare avanti. Con i suoi va tutto bene.” Quella
notizia gli trasmise un inaspettato senso di gioia. Il fatto che lei
si ritrovasse con la sua famiglia era una questione che gli era
sempre stata a cuore. “Però, Tom, quando parla di te, le si spezza
ancora la voce.”
Abbassò
lo sguardo torturandosi le mani. D'accordo, una parte di lui era
felice di tale notizia, eppure non riusciva a gioirne pienamente.
Forse, sarebbe stato più facile se gli avesse detto che non pensava
più a lui, che aveva intenzione di rifarsi una vita e fregarsene. A
quel punto, vi avrebbe messo una pietra sopra con più facilità. Ora
che sapeva che le mancava, si sentiva nervoso.
Si
prese la testa fra le mani, con i gomiti poggiati alle ginocchia.
“Bill,
non so che cosa fare.” ammise in difficoltà. “A volte, vorrei
non averla mai conosciuta.”
“Conosco
questa sensazione, ma non devi lasciarti schiacciare di nuovo dalla
paura, Tom. Hai lavorato tanto perché tornassi a fidarti delle
persone, non buttare tutto all'aria.”
“L'ha
fatto lei, non io.”
“Sì,
ma ora tu stai rendendo le cose ancora più complicate di quello che
sono. Lasciati andare, per una volta.”
Tom
rifletté qualche minuto su quelle parole, prima di rispondere.
“Mi
sono già lasciato andare con lei una volta. Al momento, è l'unica
cosa cui riesco a pensare.”
***
Scrutò
per l'ennesima volta il suo cellulare, con sguardo speranzoso, ma non
riusciva a vedere ancora nulla che potesse farla sorridere e gioire.
Non sapeva cosa ancora la spingesse a sperare in una chiamata, in un
semplice messaggio da parte del chitarrista; il fatto era che non
riusciva ad accettare quella loro lontananza fatta di silenzi e
rancore per oltre due mesi, ormai.
A
volte, quando era possibile, sentiva Bill. Era stupido pensarlo, ma
era come se sentire il vocalist le facesse credere di essere più
vicina anche a Tom. Forse per la parentela, forse per il fatto che le
raccontasse ogni suo stato d'animo, ogni sua mossa ed ogni sua
parola. Bill continuava a sostenere di non mollare, poiché pensava
che suo fratello avrebbe presto ceduto all'amore che provava per lei,
ma Ingie non pareva dello stesso avviso. Aveva imparato a conoscere
Tom ed aveva capito che, se deluso, non era facile che tornasse sui
suoi passi.
Ad
ogni modo, doveva cercare di ricostruire nuovamente la sua vita,
anche senza di lui. Motivo per cui aveva preso forse l'avventata,
folle ed inaspettata decisione di partecipare ad un'audizione per
entrare a far parte di una compagnia americana di ballo, che le
permettesse finalmente di realizzare il suo sogno, assieme a quello
di suo fratello.
Il
provino era stato tremendamente emozionante e non vi aveva dormito
per notti intere, passate a fissare il soffitto e ripassare
mentalmente ogni singolo passo, per la paura di dimenticarsene. Ad
esaminarla, i coreografi della compagnia. Non seppe dire
immediatamente quale fosse stato il loro giudizio sulla sua
performance, ma sperò con tutto il cuore di averli almeno un po'
sorpresi. Aveva fatto tutto anche un po' per gioco, poiché era
convinta che ottenere un contratto di lavoro per loro sarebbe stato
impossibile. Vi aveva comunque provato ed aveva sperimentato
un'emozione del tutto nuova ed un'esperienza che l'aveva arricchita.
Ora
doveva solamente attendere il responso.
***
Ormai,
Luglio era giunto. Quasi inaspettatamente.
Quattro
mesi erano passati dall'ultima volta che si erano visti e non vi era
stato giorno in cui Tom non si fosse chiesto se avesse preso la
giusta decisione.
Tante
cose erano accadute nel frattempo: lui ed i ragazzi avevano terminato
il nuovo album, che sarebbe uscito a settimane, inaugurando così
l'anno a venire con il tour. David era in fibrillazione per aver
ottenuto da loro ciò che aveva chiesto, ma soprattutto perché
Amanda aveva finalmente raggiunto il nono mese di gravidanza ed il
piccolo o la piccola sarebbe nato a giorni. L'intero studio era in
tensione a tale pensiero e l'insonnia era divenuta routine, per la
paura di ricevere qualche telefonata nel cuore della notte da parte
di un manager sull'orlo di una crisi isterica.
Tom,
dal suo canto, aveva passato il tempo a cercare di non pensare. In
vano. Aveva avuto modo di confrontarsi più volte con Ivan, Georg,
Gustav e suo fratello. Persino con Amanda e sua madre aveva parlato,
il che era prova tangibile di quanto si sentisse confuso e disperato.
In definitiva, l'unica conclusione cui era giunto era molto semplice,
ma al tempo stesso terrificante: Ingie gli mancava disperatamente. Ed
era stata proprio quella fastidiosa conclusione a spingerlo ad
acquistare un biglietto aereo per New York. Aveva agito d'impulso,
aveva di nuovo accantonato l'orgoglio e seguito il cuore e l'istinto.
Non aveva pensato a nulla nell'esatto momento in cui aveva prenotato
il volo; sperò solamente di non aver commesso qualche cazzata, di
cui si sarebbe pentito in futuro. Inutile dire quanto suo fratello
fosse entusiasta di quella scelta; 'meglio tardi che mai' aveva
prontamente esclamato, facendolo sentire ancora più idiota. Ed ora
che stringeva fra le mani quel biglietto aereo, il panico imperversò.
Fu come rendersi conto per la prima volta di ciò che aveva realmente
fatto. Era pronto a gettarsi nel vuoto a quella maniera, senza
nemmeno immaginare il riscontro che avrebbe avuto dalla ragazza?
D'altronde, non era certo che anche lei pensasse ancora a lui e lo
attendesse a casa sua.
Oddio.
Cominciava
a vedere nero e la cosa lo agitava all'inverosimile.
Che
diavolo ho fatto?
Hai
fatto ciò che qualsiasi persona innamorata avrebbe fatto,
avrebbe risposto Bill e non era sicuro che ciò gli piacesse.
Sarebbe
partito l'indomani mattina e sperò vivamente che il figlio di David
non nascesse proprio durante la sua assenza. Se non altro, una cosa
aveva capito: il tempismo non era decisamente il suo forte.
L'indirizzo
della casa di Ingie, era riuscito ad ottenerlo grazie ad Amanda,
sempre in contatto con lei, con la scusa di andarla a trovare con il
bambino non appena fosse stato possibile. Se l'avesse chiesto Bill,
avrebbe immediatamente sospettato. In ogni caso, Tom non conosceva
New York, se non di passaggio, e sperò con tutto il cuore di non
perdersi in quell'immensa metropoli. Aveva implorato Bill di
accompagnarlo, ma il suo adorabile fratellino aveva gentilmente
declinato l'offerta.
I
vantaggi di avere un gemello altruista.
Sbuffò
agitato, gettando uno sguardo alla radiosveglia accanto al suo letto.
Erano le due di notte ed ancora non riusciva a prendere sonno. Il
biglietto era ancora stretto fra le sue mani, nonostante dovesse
cercare di dormire almeno qualche ora.
Si
chiedeva cos'avrebbe pensato Ingie di tale gesto. Doveva ammettere
che era la prima volta che faceva qualcosa di così eclatante per una
ragazza; nemmeno con Ria gli era mai capitata l'occasione. Non a quei
livelli, almeno. Eppure, se tralasciata la paura, non gli pesava
affatto. Era un qualcosa che era quasi venuto da sé; aveva
semplicemente seguito l'istinto, senza porsi troppe domande.
Improvvisamente,
sentì bussare alla porta. Accigliato, diede il permesso ad entrare.
Suo
fratello Bill si affacciò nella stanza.
“Sapevo
che non dormivi.” sorrise soddisfatto, prima di richiudere la
porta. Tom non si mosse di un muscolo; attese semplicemente che si
sdraiasse accanto a lui. “Agitato?” gli domandò, retoricamente.
“No.”
fece con sarcasmo il moro, facendolo sorridere. “Me la sto solo
facendo sotto.”
“Perché?”
chiese ancora il vocalist.
“Perché
non so come la possa prendere.”
Rigirava
il biglietto fra le mani, senza guardarlo.
“Come
la dovrebbe prendere? Sicuramente sarà senza parole.”
Tom
sospirò strofinandosi la fronte.
“Non
so, è la prima volta che faccio qualcosa di simile. Mi sembra un po'
un salto nel vuoto.” ammise.
“Tu
pensa che Ingie ne ha fatto uno molto più grande e rischioso,
venendo in Germania.” Effettivamente, era vero. Ingie aveva avuto
un grande coraggio ad abbandonare tutto e tutti ed immergersi in una
dimensione sconosciuta e pericolosa per una ragazza giovane e sola.
Inoltre, l'aveva fatto in un periodo di grandissima fragilità
psicologica; ciò che avrebbe fatto lui non poteva essere così
traumatico. “Tom, stai facendo una cosa bellissima, credimi.”
cercò di tranquillizzarlo, a quel punto. “Ed io ti ammiro molto
per questa tua scelta.”
“Magari
sono solamente stupido ed avventato.”
“Tom,
tu la ami.” Quell'affermazione secca, dura ed improvvisa lo fece
sobbalzare, ma non fece in tempo a ribattere, che suo fratello
continuò. “E lei ama te. Non vedo nulla di stupido o avventato.”
Tom
sorrise appena, abbassando lo sguardo. Era grato a suo fratello per
stargli sempre vicino, per sostenerlo in ogni sua decisione, per non
farlo sentire un idiota in ogni cosa facesse.
“Ti
voglio bene, Bill.” gli venne spontaneo dire. Era raro che
manifestasse a parole il suo affetto, ma a volte ne aveva davvero
bisogno.
“Anch'io.”
***
Non
appena quella lettera era giunta a casa sua, il suo cuore si era
fermato. Quella doveva essere la risposta da parte della
compagnia. Era al corrente del suo arrivo, ma non avrebbe mai
immaginato sarebbe accaduto proprio quel giorno. Non si sentiva
pronta.
Prese
a respirare velocemente ed a fatica. Era sola a casa e mai come in
quel momento ebbe bisogno di sostegno, di vicinanza con qualcuno. In
quell'esatto istante, sentì il vuoto che suo fratello aveva
lasciato; lo percepì nelle vene e nelle ossa. Avrebbero dovuto
affrontare insieme quel momento, avrebbero dovuto gioire o piangere,
stringendosi con forza, e quasi si sentì in colpa. Un senso di colpa
fortissimo che la fece esitare sul prossimo passo. Era veramente
giusto vivere tutto questo senza di lui?
Sospirò
pesantemente, sperando che il cuore non le sfondasse il petto.
Con
mani tremanti, prese a scartare la busta.
***
Aveva
trovato casa sua; alla fine, non si era rivelato troppo difficile.
Tutte le ore d'aereo non erano nulla in confronto alla paura
incontenibile ed inevitabile che lo facevano tremare, respirare con
affanno davanti a quella porta che attendeva solamente di essere
aperta.
L'aveva
fatto per lei. Solo per lei e pregò che tutto ciò non si rivelasse
inutile.
Si
sfregò la fronte con una mano, sentendo quasi gli occhi pizzicare
per la potenza con cui l'ansia lo stava assediando.
Forza.
Prese
un bel respiro e quasi morì, non appena sentì il suono del
campanello levarsi nell'aria.
The
end… For now.
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Note
finali
Siamo
giunti alla fine di questa prima storia. Vorrei prendermi qualche
minuto per dirvi poche cose.
Innanzitutto
– anche se mi sembra ovvio – questa storia avrà un sequel, come
avevo già detto all'inizio della pubblicazione. Questo sequel, che
posterò presto, si intitolerà Sinners; quindi, tenete gli
occhietti aperti, se vi farà piacere seguire ancora le vicende di
questi personaggi. Spero di trovarvi ancora tutti e magari anche
qualche new entry (:
Finite
le comunicazioni di servizio, passiamo a quelle più sentimentali (:
Che
dire, grazie. Non immaginate nemmeno quanta gioia e quanto sprone mi
avete dato per continuare questa storia, cui mi sono affezionata
tantissimo, così come ai suoi personaggi. Duecento e passa
recensioni per alcuni sono poche; per me sono un'infinità. Ma poi, è
ciò che scrivete, è il contenuto che mi lascia sempre senza parole,
quindi mi ritengo fortunata. Mi avete sempre sostenuto dall'inizio e
ve ne sono davvero grata. Inoltre, volevo ringraziare, oltre ai
recensori queste altre persone: le 82 che hanno inserito
questa storia fra seguite, ricordate e preferite
e le 76 che hanno inserito me fra gli autori preferiti.
Io non so cosa ne pensate voi, ma per me quest'ultimo è un numero
stratosferico e spero vivamente di meritarmelo. Essere fra gli autori
preferiti è qualcosa di, non so, grande. Quindi, ancora grazie
mille.
Fatemi
sapere che ne pensate di questo epilogo (:
Mi
avete tenuto tanta compagnia in questi mesi e spero che continuerete
a farlo fra poco, con Sinners. Non mi dilungo troppo, perché
tanto non è finita e torno fra qualche giorno. In ogni caso, vi
mando tantissimi baci.
A
presto!
Kyra.
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