Would you know my name if I saw
you in heaven?
Would it be
the same if I saw you in heaven?
I must be strong and
carry on,
'cause I know I don't
belong here in heaven.
(Tears in Heaven - Eric Clapton.)
Capitolo uno - Nuovi
incontri
Piccole fastidiose gocce d'acqua gelata s'infrangevano contro i vetri
delle finestre dell'Emerald College, quell'uggiosa domenica mattina.
Daniel, a differenza dei suoi compagni irritati, ne era quasi felice.
C'era un qualcosa di magico, per lui, nella pioggia.
Lo rilassava, gli dava modo di poter pensare o, più
semplicemente, un motivo valido per dormire.
Buttò i vestiti appena usati sul letto, ancora vuoto, di
colui
che sarebbe dovuto essere il suo compagno di stanza e, infilati dei
vecchi pantaloni di una scolorita tuta, si buttò sul morbido
materasso, lasciandosi cullare dalle braccia di Morfeo.
Si trovava su un'arida
altura, in un
luogo a lui sconosciuto che una consapevolezza dalla provenienza
incerta individuava nel Tibet.
Sotto ai piedi vi era
solo terra
bruciata, di un nero pece, come le punte dei suoi biondi capelli, ed
uno sgradevole e forte odore di fumo aleggiava nell'aria.
Provava un sentimento
disperato;
La sconfitta gli
scorreva nelle vene come il sangue, sangue in ebolizione a causa della
rabbia provata in quel momento.
L'aveva persa. L'aveva
persa un'altra volta.
Ecco di nuovo quella consapevolezza sconosciuta che s'impadroniva della
sua mente.
No, non poteva
più andare avanti così.
Non era giusto.
Non era giusto per lui,
non era giusto per lei. Ma lei
chi?
La punta del piede
destro si posa
una decina di centimetri dietro, poi il resto della pianta
s'appoggia all'arido terreno, mentre il sinistro compie lo stesso
gesto. E di nuovo il destro.
Tre passi indietro e poi
.. poi la rincorsa a passi veloci, seppur la distanza con il baratro
fosse breve.
E salta.
Salta nel vuoto.
E cade.
Cade, cade, cade per
centinaia di metri.
L'aria fredda gli si
staglia
contro, pungendolo sulla pelle, come se fosse stato in mezzo al
più pericoloso dei tornadi.
Sente che c'è
qualcosa che può, che deve
fare, ma
non vuole.
Poi il botto.
Lo scontro con il suolo.
- Toc toc -
Furono dei violenti battiti alla porta della stanza a
svegliare Daniel da quello strano sogno.
Non ebbe, però, nemmeno il tempo di soffermarsi a pensare a
tutto ciò che un altro colpo lo spinse ad andare ad aprire.
Si
passò una mano sui capelli biondi scompigliati dal sonno e,
ancora un
po' frastornato, si avvicinò alla porta d'entrata, aprendola
con uno
sbadiglio.
- Ah, com'è bello poter dormire tranquilli, senza
preoccupazioni del tempo che scorre, dei giorni che passano, senza
fretta che ogni giorno possa essere troppo tardi! - una voce maschile
profonda e divertita esclamò quelle strane parole, che
Daniel a stento
capiì.
- Che? - rispose, quindi, quest'ultimo, stropicciandosi gli occhi e
fissando accigliato la figura che gli si stanziava davanti.
Era
un ragazzo moro, alto all'incirca quanto lui, il colore della pelle
pallido e due occhi verdi, di un verde intenso che suscita speranza,
che ti colpiscono a primo impatto.
Un paio di jeans neri gli
fasciavano le gambe e calzava ai piedi delle converse rosse usurate dal
tempo, una maglia anch'essa nera, con uno scollo a V, risaltava sul suo
torace una catetina d'argento, un plettro verde appeso ad essa.
-
Youhuu! Terra chiama Daniel, scendi dalle nuvole! -
cantilenò il
ragazzo, scansando il biondo e andando a buttarsi sul letto vuoto e
ancora intatto presente nella stanza.
Daniel chiuse la porta alle proprie spalle e con un'espressione a
metà tra l'irritazione e la sorpresa guardò il
ragazzo.
- Chi sei? E come sai il mio nome? -
-
Sono il tuo nuovo compagno di stanza, amico! E chi non conosce il
famosissimo Daniel Grigori? - rispose il moro, un ghigno divertito che
gli illuminava il viso - La segreteraria mi ha detto come ti chiami. -
si affrettò a ribadire, notando lo sguardo ancor
più confuso del biondo.
-
Senti. - una mano di Daniel si posò sul proprio viso, il
pollice e
l'indice che si massaggiavano le tempie. - Fai come ti pare. Non mi
sono svelgiato nel migliore dei modi, non sono in vena di scherzare. -
-
Il piccolino ha fatto un brutto sogno? - lo schernì il nuovo
arrivato,
imitando la voce di una madre apprensiva nei confronti del suo cucciolo.
-
Non prendermi per scemo. - ripose l'altro, non sapendo nemmeno
perchè
si stava lasciando andare a certe bizzare confidenze con uno
sconosciuto - Ma non capita tutti i giorni di sognare di buttarsi
giù
da un burrone e sfracellarsi al suolo.-
- I sogni sono il riflesso
del nostro incoscio, secondo Freud. Un uomo un po' eccentrico e
bizzaro, ma simpatico. - rispose il suo nuovo compagno di stanza,
mentre un sorriso compiaciuto si dipinse sul suo viso. -
Comunque io
sono Cam e sono certo che diventeremo ottimi amici. -
continuò questi,
portandosi a sedere e allungando una mano verso Daniel, per suggellare
quel nuovo incontro con il più antico simbolo d'amicizia,
tregua e
conoscenza al mondo: la stretta di mano.
~
Lucinda
fissava fuori dalla finestra con una smorfia mentre la sua compagna di
stanza, Nora, era intenta a darsi l'ennessima mano di smalto fucsia
sulle unghie, distesa sul proprio letto.
- Uff. - sbuffò la prima stringendosi nella sua felpa nera -
Che noia 'sto tempo! Odio il freddo. -
-
Sisi, Lù. Certo. - rispose l'amica sventolando con fare
distratto una
mano - Odii il freddo o odii il fatto di non poter uscire e ricontrare
"Sciarpa rossa"? -
- Forse. Può essere. Okei è così. - si
ritrovò ad
ammettere Luce, voltandosi verso l'amica con sguardo sconsolato - Ma
perchè biologia cellulare? Cioè .. con tutti i
corsi che ci sono! Ora
chissà quando lo ricontrerò.-
- Suvvia, non essere così pessimista! Ci sono tanti party,
quasi uno ogni sera, vedrai che prima o poi lo beccherai di nuovo!-
- Non mi piacciono i party.-
- Eeeh, ma se vuoi incontrarlo davvero mi sa che devi farteli piacere,
mia cara Luce.-
- Vabbè.. - la ragazza si avviò verso la porta,
uscendo - vado a fare un giro, ci vediamo per ora di cena!-
Una
volta fuori dalla stanza, Lucinda andò letteralmente a
sbattere contro
una ragazza dai lunghi capelli mori e gli occhi nocciola da cerbiatto.
Vestiva
con una t-shirt bianca, lunga e semplice, i leggins neri strappati le
fasciavano le magre gambe ed ai piedi portava un paio di anfibii,
anch'essi neri.
- Scusami, non ti ho vista uscire! Oh, ma che bei
capelli! - disse la ragazza scrutando attentamente Lucinda, un sorriso
contento stampato in volto. - Mi piace il tuo taglio. Io comunque sono
Arriane. Sono nuova. E .. oddio, non so praticamente nulla di come sia
fatto questo posto! Non è che potresti aiutarmi? Ti prego,
ti prego, ti
prego.- continuò ella, prendendo sotto braccio la giovane.
Lucinda rimase piuttosto interdetta, la mano libera che si grattava il
capo con fare imbarazzo e confuso.
- A dire il vero io .. -
- Ti prego, ti prego, ti prego! Qualsiasi persona tu debba vedere la
ricontrerai dopo, sicuramente!-
- Okei .. che stanza hai? - sospirò rassegnata Lucinda,
costretta ad assecondare la nuova conosciuta.
L'angelo
sorrise, tenendo stretta per un braccio la giovane umana, mentre questa
la scorazzava per i corridi della scuola, spiegandole un po' a
ciò che
serviva ogni stanza.
Sapeva che quel faceva era maledettamente
sbagliato, che sicuramente prima o poi qualcuno se ne sarebbe accorto e
sarebbe stata punita, ma non le importava.
Non le importava nemmeno di essere sola in quella sua "missione", ma
doveva in qualche modo riuscirsi.
Non
aveva idea di come fare in questa vita, di quanto era diversa dalle
altre, ma era sicura che avrebbe presto scoperto come fare.
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