Eccovi il nuovo e penultimo capitolo.
Ho notato che la storia non sta prendendo, quindi è inutile sia portata
avanti per troppo. Dunque nel prossimo finalmente la conclusione ;)
Buon inizio settimana a tutti <3
Dolore.
Un dolore che la
percuote, che l’attanaglia, sino a rendere flebile il suo respiro,
mentre il
suo cuore corre, verso i suoi ultimi battiti. Una corsa attesa, la cui
conclusione è quasi invocata, in quel tunnel oscuro ed apparentemente
senza
fine. Bella aveva immaginato, quel preciso istante, avviluppata dalla
paura e
dalla rabbia.
Si era costretta a
pensare, a quel momento,
conscia di essere ormai in prossimità di quel precipizio, in bilico tra
la vita
e la morte, condotta lì da quella malattia, che le ha strappato,
lentamente,
ogni speranza.
Anni ed anni a lottare,
per rinviare
quell’istante. Anni ed anni a fingere, di poter pensare al futuro, ad
una vita
normale.
Anni ed anni, in realtà,
con il morso della
consapevolezza, a tormentarla, come un tarlo di cui era impossibile
disfarsi.
E lì, mentre le ultime
forze scivolano via,
in un magma di bruciante dolore, che sembra scorrere nelle sue vene,
lei tenta
di accettare il suo destino, con quella pacatezza che agogna. Una
pacatezza ed
una rassegnazione ben lontana.
Troppe parole mai
pronunciate.
Troppe opportunità perse
ed ignorate.
Troppe speranze disilluse
e confessioni
rinviate.
Ma, in fin dei conti, è
sempre così, no?
Nessuno è mai pronto,
nessuno accetta il fato
ed il sopraggiungere della fine, con un sorriso sulle labbra. Nessuno
ha colto
ogni occasione, affrontando così con stoicismo la morte, senza alcun
rimpianto.
Forse i rimpianti sono
parte di ogni essere
umano, quanto la sua anima ed i suoi ingarbugliati pensieri.
Sono intrinseci ad essa,
componenti di un
pacchetto completo, condito da paure, timori, gioie ed entusiasmi. –
pensa,
tentando di respirare, di dischiudere le labbra, per alleviare il
bruciore alla
gola ormai arida.
-Deve essere la febbre. –
Una spiegazione
come un’altra, un vano tentativo di razionalizzare, qualcosa che in
realtà non
ha senso.
Una parte di lei si
chiede se suo padre ha
rintracciato il dottore, come le aveva annunciato.
Malgrado il cambiamento
di stato infatti si
era dichiarato disposto a raggiungerli, senza alcuna riluttanza. Un
pensiero
che l’aveva inevitabilmente terrorizzata, conscia delle sue possibili
implicazioni.
Come possano aver
taciuto, ad Edward, la sua
condizione, è un vero mistero.
E lei, nonostante tutto,
ancora spera che
quella notizia gli sia celata.
La sola idea di essere
oggetto di inutile
compassione, forse di rimpianto è…
Quasi assurdo è che lei
tenti di rinnegare la
sua stessa volontà anche in punto di morte. È una sciocca, una mocciosa
incapace di ammettere i suoi sentimenti, solo perché non le sarà data
la
possibilità di coltivarli. Quante volte ha posato il suo sguardo su
Edward,
desiderosa di confessargli le emozioni covate nel suo petto? Avrebbe
voluto
ammettere la verità, renderlo partecipe della sua tragedia, poggiarsi a
lui,
come non era mai stata disposta a fare con nessuno, per il timore di
tramutarsi
in un insostenibile fardello.
Ha sorriso, tanto spesso,
da rendere la sua
mascella dolorante ed i suoi nervi tesi. Sorrisi che hanno increspato
le sue
labbra tumide, con il solo scopo di rassicurare la sua famiglia, i
dottori e le
infermiere che, gentilmente, si prendevano cura di lei. Sorrisi atti a
celare
la sua sofferenza, la sua paura ed il terrore. Ma, soprattutto, il
bisogno di
una spalla sulla quale piangere.
E, in momenti di follia
o, forse,
semplicemente di razionalità, lei era stata pronta a piangere sulla
spalla di
Edward.
-Sarebbe stato egoista,
ma avresti voluto. –
rimugina tra sé, inconsapevole del nome di lui che le sfugge, in un
ansito
colmo di dolore.
Il suo corpo arde, il suo
cuore corre… sino
ad arrestarsi.
E l’ultimo battito,
l’ultimo pulsare di quel
cuore ingenuo, riecheggia nel silenzio di una stanza, dove alcuni
vampiri la
osservano, con gli occhi colmi di terrore, a sua insaputa.
Edward è lì, con le mani
sul volto, e le
lacrime che non gli è concesso versare.
La camera silenziosa, il
vociare indistinto
nella mente di Alice, la preoccupazione dipinta sul volto di suo padre
e la
speranza che vela gli occhi di Esme. Un quadro, che nella sua
immobilità,
sembra intrappolare una miriade di emozioni, mentre tutti gli sguardi
son
puntati sul minuto corpo di Isabella.
Ha compiuto una follia e
per di più un rapimento.
– si rammenta, conscio che la sua famiglia avrebbe affrontato il tutto
con
maggiore logica. Ma lui si è lasciato guidare dall’istinto, dalla
paura, dalla
consapevolezza che anche un solo minuto avrebbe potuto fare la
differenza, tra
la vita e la morte.
«Rilassati.»
l’ammonizione di Alice, risuona
in quel silenzio. Un silenzio in cui non si percepisce più il ronzio di
un
debole respiro o di un cuore pulsante. Il silenzio della morte.
«Mi dispiace di avervi
trascinati qui.» ammette,
a malincuore, lieto però di avere la sua famiglia, accanto, in un
momento
simile. Una parte di lui si pente di averla morsa, senza aver concesso
a Bella
alcuna possibilità di scelta. Ha reclamato la sua anima, l’ha strappata
a suo
padre ed al suo mondo, in un gesto dettato prettamente dall’egoismo, da
quel
bisogno di lei, acuitosi di istante in istante, negli ultimi tempi.
È stata solo la prontezza
di Alice ed il suo
dono, a salvarli da uno scontro con Charlie.
«A breve si sveglierà. –
gli comunica,
posando sulla spalla di lui, la sua manina delicata. – Noi ci
allontaneremo, per
il momento. Non è opportuno si ritrovi circondata, soprattutto
considerando la
sua ovvia confusione.» conclude Alice, facendo cenno a tutti loro di
uscire. Nessuno
la contraddice e lui stesso, benché desideroso di un cuscinetto di
salvataggio
tra lui e Bella, non proferisce parola. È colpa sua e sarà lui a
concederle le
spiegazioni dovute.
Il tonfo leggero della
porta alle sue spalle,
con i pensieri che divengono man mano più lontani ed il potere di
Jasper su di
lui, che si affievolisce, accompagnano i passi della sua famiglia,
ormai
lontana. Ma i suoi occhi non si scostano, neppure per un istante, dal
volto di
Bella. Un volto ora non più scarno e debilitato, sebbene il suo pallore
non sia
mutato.
Le labbra tumide son
increspate in una lieve
smorfia, celando appena i canini appuntiti, simbolo della sua nuova
vita. Non può
ancora scorgere i suoi occhi rossi, né quel sorriso forse morto con la
sua
umanità. Edward era stato in punto di morte, quando sua madre aveva
pregato il
vampiro di salvarlo.
Non era stato lui a
scegliere ed aveva
odiato, con ogni parte di sé, la condizione impostagli.
«Vorrei poter dare la
colpa a te, per le mie
azioni. Vorrei accusarti, perché non mi hai concesso la possibilità di
parlarti
di tutto questo, concedendoti la scelta che meritavi. Ma sono
consapevole che
forse non avrei agito diversamente, neppure dinanzi ad un tuo divieto.
Ti avrei
trasformata ugualmente, perché sono egoista, uno sciocco che vive di
illusioni,
che si nutre di aspettative mal riposte. – mormora, con voce sommessa,
sfregando il pollice sul palmo sottile di Bella, lì dove non percepisce
più
alcuna pulsazione. – Eppure vorrei ugualmente tu non mi odiassi. Vorrei
che
vivessi con noi, seguendoci da un paese ad un altro, permettendomi di
beneficiare della tua presenza, anche solo come sorella. “Il cuore
conosce
ragioni che la ragione non conosce”.» recita beffardo, espirando a
fondo, con
il capo pesante chino su quella mano che stringe, in attesa del
risveglio di
Bella. Ciò che non pare aver notato sono gli occhi socchiusi di lei,
che
osservano ogni suo gesto.
«Dove… dove sono?»
Il sobbalzo di lui è
seguito da un pesante
silenzio, che egli non sa colmare. Non con il timore che lo scuote, né
con le
parole che non è in grado di pronunciare.
«Edward?» continua lei,
nel tentativo di
ridestarlo da quello strano tepore o semplicemente indurlo ad alzare lo
sguardo, così da incrociare gli occhi rossi della nuova vampira. Lei
che,
incapace di comprendere cosa accade, rimugina sulle strane parole
appena udite.
«Un albergo! Siamo a
Phoenix.» le annuncia, biascicando,
mentre un tremulo sospiro lo abbandona, alleviando leggermente la
tensione. Aveva
temuto di non poter più udire la sua voce. Mai più.
«Perché siamo in un
albergo?» tenta
nuovamente, parlando con la dolcezza di chi si rivolge ad una persona
sconvolta. Ed è assurdo, considerando che è lei a ritenersi in punto di
morte,
lei ad aver appena perduto la sua anima, attraverso il fuoco della
transizione.
Eppure le è bastato cogliere il turbamento di lui, per non desiderare
altro che
alleviare la sua pena. In fin dei conti, benché una parte di lei lo
ritenga un
sonno, la presenza di Edward ha il potere di confortarla.
E forse, se lui potesse
leggere la sua mente,
il suo terrore si affievolirebbe consentendogli di pronunciare quelle
parole
trattenute e quella confessione, che penzola sul suo capo, come una
spada da
Damocle.
«Forse dovremmo nutrirti…
- svia, il
discorso, ben consapevole dell’assurdità delle sue stesse affermazioni.
Come potrebbe
indurla a nutrirsi senza averle comunicato la sua nuova natura ed il
perché dei
canini appuntiti, al di là di quelle labbra morbide? – Avresti dovuto
dirmi
della tua malattia.»
L’irrigidirsi del corpo
di lei è una risposta
più che eloquente, ma Edward non commenta.
«Non sarebbe stato giusto
costringerti a
sopportare un simile fardello. E poi nessuno ne era a conoscenza.»
«Io non sono nessuno.»
Stronzate e lui ne è
conscio. Tra di loro non
vi è stato nulla, se non un bacio rubato e qualche chiacchiera, che lui
ha mal interpretato.
«Lo so, ma avevo paura.»
un’ammissione
semplice, candida, come lei. Un’ammissione che finalmente ha il potere
di
indurlo ad alzare lo sguardo, per incontrare quegli occhi colmi di un
dolore
che lo strazia.
Un dolore coltivato in
anni di sofferenza
taciuta. «Avrei voluto essere accanto a te, per rendere tutto meno
spaventoso.»
«Ed io avrei voluto avere
il tuo appoggio. Ma
le buone intenzioni non bastano, le speranze non salvano vite, la
possibilità
di sfogarsi renderà migliore qualche istante, solo perché saranno due
le
persone costrette a sopportare la realtà ed il suo peso. – lo
redarguisce dolcemente.
- Non sarebbe giusto e non ne sarebbe valsa la pena. Il mio tempo è
poco ed una
volta che mi sarò spenta quel peso sarà nuovamente sulle spalle di uno.»
«Il tuo tempo è molto.»
la corregge mesto,
rammentando a sé stesso i benefici di quella nuova vita, quello che le
ha
offerto e non solo ciò a cui l’ha strappata.
«Edward, i medici…»
«Avverti un qualche
dolore? Debolezza?
Fiacchezza?» la interrompe con veemenza, posando i suoi occhi color oro
sul
quel viso, improvvisamente corrucciato, ma di una bellezza devastante.
Se un
tempo l’aveva considerata meravigliosa ora, sbocciata alla nuova vita e
scacciata la debilitante malattia ed i suoi segni, appare eterea e
meravigliosa, tanto da mozzare il respiro. E lui la osserva,
abbeverandosi di
quella visione. La scruta, mentre con le labbra increspate in una
smorfia
meditabonda e quel nasino arricciato, sembra vagliare lo stato del suo
corpo,
quasi a voler ricercare quegli antichi dolori, di cui ora non vi è
traccia.
«Solo la gola… che sembra
ardere.» replica,
titubante, con quelle labbra conturbanti dischiuse per lo stupore.
«Quale
medicinale…»
«Chiudi gli occhi,
porgimi le tue dita e… non
temermi.» una supplica la sua, una preghiera veemente, colma di
preoccupazione.
Poche parole, intrise della sua disperazione. Una paura che Bella non
comprende, ma che non la induce ugualmente ad esitare. Le dita leggere
si
posano sulle labbra di lui, provocandole uno strano brivido, che le
percorre la
schiena. Inconsueto ma le pare quasi che i suoi sensi, sovra stimolati,
siano
in grado di cogliere tutto con una maggiore intensità. I suoi occhi non
le
hanno mai concesso di cogliere tutto, con una tale nitidezza. Il suo
olfatto
non ha mai colto il profumo di Edward tanto intensamente.
Ma quelle elucubrazioni
presto si dissipano e
la sua concentrazione si rivolge tutta alla punta che le sfiora i
polpastrelli,
invitandola a riaprire gli occhi, malgrado la tacita promessa
pronunciata.
Per un istante quasi si
pente di aver
disobbedito, sobbalzando alla vista dei canini appuntiti e ritraendo la
mano
con una velocità incredibile. Ulteriore dettaglio che la terrorizza,
mentre
confusa si raddrizza, sedendosi su quel morbido letto, il più lontano
possibile
da lui, nonostante l’espressione ferita che si dipinge sul viso di
Edward. Una reazione
comprensibile, destata dallo shock, un dettaglio che però il ragazzo
sembra
voler ignorare, chinando il capo turbato da quello che ha colto come un
rifiuto. «Sono un vampiro e sei una vampira. Sono stato io a
trasformarti,
prima che il tuo cuore si fermasse.» poche parole, pronunciate quasi
con
rabbia, forse con l’istintivo desiderio di turbarla o forse solo per
porre fine
a quella conversazione, a quella confessione che l’allontanerà per
sempre, che
gli strapperà tutto ciò che ha desiderato, senza neppure saperlo.
E si alzerebbe, se non
fosse conscio di
doverle più di questo. Se non fosse consapevole dell’importanza di
affidarla
alle cure di qualcuno, come la sua famiglia, capace di introdurla
gradualmente
in quel mondo, prima che lei compia qualche gesto di cui potrebbe
pentirsi.
Quanto a lei, lo osserva
in silenzio,
percependo quasi il lavorio del suo cervello, che velocemente lavora.
Ed i tasselli di quel
puzzle, colmo di
incongruenze, sembrano finalmente sistemarsi al loro posto, dando un
significato a dettagli che ora le appaiono ovvi ma che un tempo aveva
bellamente ignorato.
La tendenza ad evitare la
luce del sole, le
loro giornate di trekking, il pallore dei visi di ognuno di loro, di
quella
strana ed inconsueta famiglia, dall’aria eterea.
Vampiri.
E lei… vampira.
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