Capitolo
7.
I giorni trascorsero
lenti, come la ripresa delle proprie forze da parte di Bill. Si sentiva
costantemente debole, non era stato in grado di alzarsi dal letto per un paio
di giorni, e un dottore continuava a fargli visita almeno una volta ogni dieci
ore.
Nel giro di una
settimana, però, era quasi come nuovo. Finalmente poté tornare a guidare la sua
auto, ma i suoi riflessi non erano ancora scattanti come prima, per cui non poteva
ancora partecipare alle gare.
Durante tutta la
convalescenza, comunque, la sua mente non era stata rivolta alle corse, ma a
suo fratello. Sebbene la sua testa facesse di tutto per negarlo, nel suo cuore
sentiva una voragine allargarsi sempre di più ogni volta che pensava a Tom. Avvertiva
un vuoto sempre maggiore inghiottirlo, annientarlo, spingerlo a gridare
interiormente il nome del gemello. Tutto di lui desiderava riaverlo accanto,
tranne quella piccola, testarda, parte che si ostinava ad accusarlo, ad
odiarlo, a pretendere di poter fare a meno di lui.
In quei giorni,
tuttavia, quella parte si stava indebolendo sempre di più, e il suo cuore
iniziava a tremargli in petto ogni volta che il viso del fratello si faceva
strada nella sua mente - il che accadeva decisamente spesso -
e quasi gli faceva male, urlandogli il desiderio di riaverlo accanto, di
provare ancora una volta quel tepore che era certo di aver sentito la notte
dell’ “incidente”.
E infine, un giorno
decise.
Si recò a passi decisi
nella stanza di Andreas, aprendo con forza la porta senza nemmeno annunciare la
sua presenza, ignorando le proteste dell’amico e le sue richieste di
spiegazioni. Estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans e compose quel numero
che le sue dita conoscevano a memoria, senza nemmeno il bisogno di cercare
nella rubrica - dalla quale, nonostante tutto, il nome non era mai
stato cancellato.
Rimase immobile ad
ascoltare gi squilli provenienti dl ricevitore, gli occhi puntati in quelli del
suo amico, finché non sentì quella voce così famigliare pronunciare un flebile
ed esitante: «Pronto?». Per un attimo ebbe la
sensazione di aver perso la voce, ma ritrovando la sua risolutezza riuscì a
riappropriarsene:
«Ti sfido.» sentenziò, ripetendo le stesse parole che aveva
pronunciato proprio Tom mesi prima. «Ma
non posso ancora correre personalmente. Dovrai gareggiare contro Chad.»
Vide Andreas sgranare
gli occhi quando cominciò ad intuire con chi stesse parlando, ma non gli diede
retta, e senza lasciare al suo interlocutore il tempo di replicare, proseguì: «Ci vediamo domani notte al
solito posto alle due.» E con
questo, chiuse la chiamata.
Ripose il cellulare
nella tasca posteriore dei jeans e continuò a fissare i suoi occhi in quelli
attoniti del suo migliore amico.
«Vai a dire a Chad che
domani dovrà correre contro Tom. E voglio che ce la metta tutta.»
Con queste parole,
abbandonò la stanza così come era arrivato, richiudendosi la porta alle spalle
e lasciando l’amico a fissarla a bocca aperta, ancora attonito.
hbag
Tom stava ancora
fissando a bocca aperta il suo cellulare, nonostante il display si fosse spento
ormai da parecchi istanti. Gli sembrava ancora di vedere il nome di Bill
illuminarsi ad ogni squillo, e sebbene la chiamata fosse stata breve e quasi
confusa - dal momento che ancora non si capacitava che fosse
realmente accaduta - continuava a ripetersi nella sua mente all’infinito,
in una strana e sinistra cantilena.
«Ehi, Tom, tutto a posto?»
Georg era entrato nella
stanza, e gli aveva dato una leggera pacca sulla spalla in saluto, lanciandogli
poi un’occhiata interrogativa notando il suo sguardo perso nel vuoto e l’espressione
assente, lontana.
Si riscosse dalla trance
e guardò il suo amico come se non l’avesse mai davvero notato. Riuscì ad
annuire lentamente, ma Georg continuava a lanciargli occhiate indagatrici,
ovviamente insoddisfatto della risposta.
«Devo-» si
schiarì la gola. «Devo tornare a
Tokyo. Domani. Bill …» incespicò nelle
parole, e il suo amico capiva sempre meno. Alla fine tacque, trasse un profondo
respiro e puntò i suoi occhi fermamente in quelli di Georg, questa volta con
risolutezza.
«Chiama Gustav, per
favore. Devo spiegarvi alcune cose.» disse
infine. Il ragazzo lo fissò stupito, poi annuì lentamente ed uscì dalla stanza,
ritornando qualche minuto dopo con il suo migliore amico. Si sedettero entrambi
di fronte a lui, e Gustav scrutò immediatamente l’espressione seria di Tom con
apprensione.
«Ehi, c’è qualcosa che
non va?»
Dopo alcuni attimi di
silenzio, il rastaro optò per la verità diretta, partendo dall’inizio.
«Io non mi chiamo Tom
Kramer.» asserì. Gli sguardi che si
scambiarono i due ragazzi di fronte a lui erano sgomenti.
«Ah» commentò soltanto Georg, ancora a bocca aperta.
«E saresti …?» lo invitò a continuare Gustav. Tom trasse l’ennesimo
sospiro, quasi volesse farsi forza con quella quantità di ossigeno, prima di
rispondere:
«Tom Kaulitz.»
Questa volta il silenzio
cadde davvero pesante, tombale, inquietante, quasi. Poi si levò una breve
risata, dapprima naturale, poi leggermente più isterica. Infine Georg smise del
tutto, tornando a fissare il suo sguardo penetrante in quello del ragazzo.
«Ma stai scherzando??» si decise a chiedergli, quasi terrorizzato dalla
sua mancanza di ironia.
Tom si limitò a scuotere
la testa.
L’amico stava per
controbattere ancora, ma glielo impedì, precedendolo:
«Sì, quel Tom
Kaulitz.»
Dal momento che Georg
aveva a quel punto perso completamente la parola, fu Gustav finalmente a
parlare:
«Ok … uhm, va bene. E …
come mai sei qui?» azzardò.
Questa volta era
arrivato il momento di tirare fuori l’intera verità. Sapeva di potersi fidare
di loro due, si erano dimostrati due ottimi amici per tutto il tempo che aveva
trascorso con loro, ed era solo giusto rivelare loro il proprio passato. Inoltre,
lui stesso sentiva di averne bisogno, voleva qualcuno con cui condividere quei
fantasmi che ancora lo tormentavano, per cui non si impose alcun freno, e iniziò
a raccontare.
«Mesi fa, io e il mio
migliore amico volemmo fare una gara. Una cretinata, una semplice competizione
di velocità e bravura. Una pazzia. Mio fratello aveva cercato di farci capire
che era stupido, che avremmo potuto farci male … ma noi eravamo spensierati,
volevamo solo divertirci, quella curva tanto pericolosa, che poteva essere
fatale, per noi era solo una sfida … non gli demmo retta, e partimmo,
sgommando, stuzzicandoci, spingendo le nostre auto al limite, divertiti,
assaporando l’adrenalina … ma alla fine …»
Tom raccontò tutto, il
tragico incidente, suo fratello che non gli aveva più rivolto la parola, che
alla fine lo aveva costretto a lasciare la città, mostrandogli tutto il suo
odio. E poi ancora, la sera che era andato da lui, quando Andreas lo aveva
chiamato dicendogli che aveva quasi rischiato la vita. Tutti i sentimenti che
aveva provato nella sua intera vita, e in particolare le emozioni degli ultimi
giorni si riversarono nel suo fiume di parole, manifestandosi di fronte ai due
ragazzi, che ascoltavano rapiti, in silenzio, registrando tutto quanto con
sgomento, ma anche comprensione.
Fu solo molto tempo dopo
che la sua voce si affievolì, fino a spegnersi del tutto in seguito al
riferimento all’ultima telefonata che aveva ricevuto. Il silenzio tornò a
governare l’atmosfera per diversi attimi, finché Gustav non lo ruppe. Si alzò,
con un sorriso sulle labbra, e disse:
«Be’, che aspettiamo? Ci
conviene andare a dormire, domani notte ho l’impressione che faremo tardi! Forza,
a nanna! Tu devi essere in forma, hai una gara da vincere, e noi … be’, noi
siamo invitati, no?»
Tom lo fissò con
incredulità per qualche istante, infine si lasciò andare anche lui ad un
sorriso. Annuì, e infine lo ringraziò sinceramente. L’amico si limitò ad
allargare il suo sorriso e a fargli un cenno in risposta, prima di sparire
insieme a Georg nell’altra stanza.
La sera seguente, i tre
ragazzi erano pronti a partire. Tom aveva detto a Georg di prendere la sua
Ford, e così al momento lui e Gustav erano a bordo della vettura rossa, mentre
Tom aveva messo in moto la sua Audi. Insieme partirono e si lasciarono alle
spalle la piccola casa di periferia, imboccando la strada che li avrebbe
portati verso Tokyo. Viaggiarono per un paio d’ore, ingaggiando brevi gare di
velocità e agilità sull’autostrada, prima di arrivare finalmente in città. Tom
superò i suoi amici, guidandoli attraverso i vicoli che solo lui conosceva,
finché non giunsero nel posto indicato. Erano in anticipo, e la strada era
ancora deserta. Spensero i motori e le luci e rimasero in attesa.
Non ci volle molto perché
sentissero rombi e stridii provenire da poco distante, e ancora meno perché
alcune paia di fari comparissero a fendere l’oscurità all’estremità della via.
Tom riconobbe subito la
vettura nera di suo fratello, e il cuore fece una strana capriola nel suo
petto, mettendosi a battere all’impazzata premendo con forza quasi volesse
uscire e ricongiungersi a quello di Bill.
Accanto ad essa, poco più
indietro, scorse l’auto di Andreas, blu come l’oceano.
Infine, a chiudere il
corteo, avanzava nella loro scia Chad.
Si fermarono a un paio
di metri da loro, e Bill fu il primo a scendere. Indossava un lungo impermeabile
nero, soliti jeans scuri e stivali, capigliatura ancora più aggressiva del
solito, occhiali scuri nonostante fosse notte e una cintura la cui fibbia aveva
la forma di un teschio che spiccava sul resto. Avanzava con la solita grazia
intrisa di determinazione, sicuro ma affascinante, intrigante e attraente. Sicuro
di sé.
Una maschera che Tom
conosceva bene, una facciata che odiava, perché nascondeva la vera fragilità
del gemello, quella che lui adorava, della quale si prendeva sempre cura.
Scese a sua volta,
incontrando Bill a metà percorso, fermandosi a meno di mezzo metro da lui,
fissandolo con un’intensità tale da poter quasi infrangere le lenti degli
occhiali del fratello. Sapeva che li aveva indossati per schermarsi, e questo
lo irritava. Ma dopotutto, poteva ricorrere a qualsiasi trucco volesse, a
qualsiasi recita: lui conosceva bene il vero Bill, non sarebbe mai riuscito a
nascondersi da lui.
«Il percorso è il
solito, verso il centro commerciale, il parco e il tunnel. Unico giro. Sei
pronto?»
Le sue parole riscossero
Tom dai suoi pensieri, e abbandonò la ricerca delle parole adatte per salutare
il fratello. Si limitò ad annuire, ma quando Bill fece per girarsi per fare un
cenno al suo sfidante, lo fermò.
«Aspetta.»
Il ragazzo si voltò con
un sopracciglio alzato interrogativamente.
«Non mi pare una sfida
in parità, se lasci correre me. Non voglio vincere in questo modo.» disse Tom, poi si voltò a fece un cenno ai due
amici alle sue spalle che stavano osservando la scena attentamente. «Georg, vorrei che corressi tu per me.»
Quella decisione stupì l’intera
compagnia.
«C- co- cosa?» balbettò il ragazzo a bocca aperta, iniziando
improvvisamente a sudare freddo. Tom si limitò a riportare il suo sguardo su
Bill e a chiedergli se fosse d’accordo. Anche lui ci mise qualche secondo a
riprendersi dalla sorpresa, ma infine annuì, prima di far cenno a Chad di
prendere posto alla partenza e spostarsi a lato della strada, appoggiandosi
alla fiancata della sua auto, in attesa.
Tom si voltò nuovamente
e si avviò verso i suoi amici. Georg aveva iniziato a tremare leggermente e
Gustav gli aveva posato una mano sul braccio, cercando di rassicurarlo. Il
rastaro fece lo stesso, stringendogli leggermente una spalla.
«È la tua occasione,
amico.» gli disse, sorridendogli
lievemente. «Fai vedere tutto quello
che hai imparato sul drift.»
«Ma - ma io non
so se … cioè, io … Tom, non …»
«Tranquillo. Fai la tua
gara, e non preoccuparti del risultato. Divertiti, mettiti alla prova, e
sfrutta le tue capacità.» lo incoraggiò
Tom.
Alla fine, l’amico
accettò. Tom gli illustrò il percorso, e quando lo ebbe memorizzato, trasse un
respiro profondo, salì in macchina, riavviò il motore e si posizionò accanto
all’auto di Chad.
Due paia di fari
fendevano la notte, puntando verso l’asfalto pronto per essere divorato dalle
gomme affamate delle due vetture.
Andreas era avanzato tra
di esse, un braccio alzato a segnalare l’imminente avvio della gara.
Chad e Georg stringevano
convulsamente i volanti, le nocche bianche per la tensione, gli occhi fissi
sulla strada di fronte a loro.
Bill, Tom e Gustav
rimanevano su un lato della via, in attesa dell’inizio.
Infine, Andreas abbassò il
braccio, e la gara ebbe inizio.
NdA.
Ta-da-da-dan!
E siamo praticamente alla fine!
I
due gemellini si sono rivisti, Georg ha la sua occasione, Gustav e Andreas
supportano i loro amici… e la gara deciderà il futuro di tutti! Eheh, cattiva a
terminare così il capitolo, eh? Be’, potrei però aggiornare più in fretta dell’ultima
volta (anche se dipenderà da quanto tempo avrò per farlo…)
Ma
prima di tutto, ringrazio Quoqquoriquo, Lidiuz93, SweetPissy e anonima
per le recesnsioni! E grazie a tutti quelli che hanno continuato a leggere
questa fic fino a qui! Vi adoro!
Al
prossimo – ultimo – capitolo, prima dell’epilogo.
Bacioni
Fedy
J