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Autore: Daisy Potter    15/12/2007    4 recensioni
“Stridio di gomme sull’asfalto, fumo, grida, scommesse. […] Il lato oscuro di Tokyo … i drifters. […] Un ragazzo occidentale, avvolto in larghissimi indumenti hip-hop, fissava intensamente le belle giapponesi che sfilavano accanto alla sua auto […] «Ti sfido.» […] «Ci sto.» […] ” Tra corse clandestine e gare di velocità, due fratelli portano le loro divergenze sulla strada: chi vince, deve lasciare la città. Difficoltà, affetto, odio, un legame spezzato che vuole soltanto ricostruirsi … Detto ciò, leggete e commentate! XD
Genere: Triste, Drammatico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7

Capitolo 7.

 

I giorni trascorsero lenti, come la ripresa delle proprie forze da parte di Bill. Si sentiva costantemente debole, non era stato in grado di alzarsi dal letto per un paio di giorni, e un dottore continuava a fargli visita almeno una volta ogni dieci ore.

Nel giro di una settimana, però, era quasi come nuovo. Finalmente poté tornare a guidare la sua auto, ma i suoi riflessi non erano ancora scattanti come prima, per cui non poteva ancora partecipare alle gare.

Durante tutta la convalescenza, comunque, la sua mente non era stata rivolta alle corse, ma a suo fratello. Sebbene la sua testa facesse di tutto per negarlo, nel suo cuore sentiva una voragine allargarsi sempre di più ogni volta che pensava a Tom. Avvertiva un vuoto sempre maggiore inghiottirlo, annientarlo, spingerlo a gridare interiormente il nome del gemello. Tutto di lui desiderava riaverlo accanto, tranne quella piccola, testarda, parte che si ostinava ad accusarlo, ad odiarlo, a pretendere di poter fare a meno di lui.

In quei giorni, tuttavia, quella parte si stava indebolendo sempre di più, e il suo cuore iniziava a tremargli in petto ogni volta che il viso del fratello si faceva strada nella sua mente - il che accadeva decisamente spesso - e quasi gli faceva male, urlandogli il desiderio di riaverlo accanto, di provare ancora una volta quel tepore che era certo di aver sentito la notte dell’ “incidente”.

E infine, un giorno decise.

Si recò a passi decisi nella stanza di Andreas, aprendo con forza la porta senza nemmeno annunciare la sua presenza, ignorando le proteste dell’amico e le sue richieste di spiegazioni. Estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans e compose quel numero che le sue dita conoscevano a memoria, senza nemmeno il bisogno di cercare nella rubrica - dalla quale, nonostante tutto, il nome non era mai stato cancellato.

Rimase immobile ad ascoltare gi squilli provenienti dl ricevitore, gli occhi puntati in quelli del suo amico, finché non sentì quella voce così famigliare pronunciare un flebile ed esitante: «Pronto?». Per un attimo ebbe la sensazione di aver perso la voce, ma ritrovando la sua risolutezza riuscì a riappropriarsene:

«Ti sfido.» sentenziò, ripetendo le stesse parole che aveva pronunciato proprio Tom mesi prima. «Ma non posso ancora correre personalmente. Dovrai gareggiare contro Chad.»

Vide Andreas sgranare gli occhi quando cominciò ad intuire con chi stesse parlando, ma non gli diede retta, e senza lasciare al suo interlocutore il tempo di replicare, proseguì: «Ci vediamo domani notte al solito posto alle due.» E con questo, chiuse la chiamata.

Ripose il cellulare nella tasca posteriore dei jeans e continuò a fissare i suoi occhi in quelli attoniti del suo migliore amico.

«Vai a dire a Chad che domani dovrà correre contro Tom. E voglio che ce la metta tutta.»

Con queste parole, abbandonò la stanza così come era arrivato, richiudendosi la porta alle spalle e lasciando l’amico a fissarla a bocca aperta, ancora attonito.

 

hbag

 

Tom stava ancora fissando a bocca aperta il suo cellulare, nonostante il display si fosse spento ormai da parecchi istanti. Gli sembrava ancora di vedere il nome di Bill illuminarsi ad ogni squillo, e sebbene la chiamata fosse stata breve e quasi confusa - dal momento che ancora non si capacitava che fosse realmente accaduta - continuava a ripetersi nella sua mente all’infinito, in una strana e sinistra cantilena.

«Ehi, Tom, tutto a posto?»

Georg era entrato nella stanza, e gli aveva dato una leggera pacca sulla spalla in saluto, lanciandogli poi un’occhiata interrogativa notando il suo sguardo perso nel vuoto e l’espressione assente, lontana.

Si riscosse dalla trance e guardò il suo amico come se non l’avesse mai davvero notato. Riuscì ad annuire lentamente, ma Georg continuava a lanciargli occhiate indagatrici, ovviamente insoddisfatto della risposta.

«Devo-» si schiarì la gola. «Devo tornare a Tokyo. Domani. Bill …» incespicò nelle parole, e il suo amico capiva sempre meno. Alla fine tacque, trasse un profondo respiro e puntò i suoi occhi fermamente in quelli di Georg, questa volta con risolutezza.

«Chiama Gustav, per favore. Devo spiegarvi alcune cose.» disse infine. Il ragazzo lo fissò stupito, poi annuì lentamente ed uscì dalla stanza, ritornando qualche minuto dopo con il suo migliore amico. Si sedettero entrambi di fronte a lui, e Gustav scrutò immediatamente l’espressione seria di Tom con apprensione.

«Ehi, c’è qualcosa che non va?»

Dopo alcuni attimi di silenzio, il rastaro optò per la verità diretta, partendo dall’inizio.

«Io non mi chiamo Tom Kramer.» asserì. Gli sguardi che si scambiarono i due ragazzi di fronte a lui erano sgomenti.

«Ah» commentò soltanto Georg, ancora a bocca aperta.

«E saresti …?» lo invitò a continuare Gustav. Tom trasse l’ennesimo sospiro, quasi volesse farsi forza con quella quantità di ossigeno, prima di rispondere:

«Tom Kaulitz.»

Questa volta il silenzio cadde davvero pesante, tombale, inquietante, quasi. Poi si levò una breve risata, dapprima naturale, poi leggermente più isterica. Infine Georg smise del tutto, tornando a fissare il suo sguardo penetrante in quello del ragazzo.

«Ma stai scherzando??» si decise a chiedergli, quasi terrorizzato dalla sua mancanza di ironia.

Tom si limitò a scuotere la testa.

L’amico stava per controbattere ancora, ma glielo impedì, precedendolo:

«Sì, quel Tom Kaulitz.»

Dal momento che Georg aveva a quel punto perso completamente la parola, fu Gustav finalmente a parlare:

«Ok … uhm, va bene. E … come mai sei qui?» azzardò.

Questa volta era arrivato il momento di tirare fuori l’intera verità. Sapeva di potersi fidare di loro due, si erano dimostrati due ottimi amici per tutto il tempo che aveva trascorso con loro, ed era solo giusto rivelare loro il proprio passato. Inoltre, lui stesso sentiva di averne bisogno, voleva qualcuno con cui condividere quei fantasmi che ancora lo tormentavano, per cui non si impose alcun freno, e iniziò a raccontare.

«Mesi fa, io e il mio migliore amico volemmo fare una gara. Una cretinata, una semplice competizione di velocità e bravura. Una pazzia. Mio fratello aveva cercato di farci capire che era stupido, che avremmo potuto farci male … ma noi eravamo spensierati, volevamo solo divertirci, quella curva tanto pericolosa, che poteva essere fatale, per noi era solo una sfida … non gli demmo retta, e partimmo, sgommando, stuzzicandoci, spingendo le nostre auto al limite, divertiti, assaporando l’adrenalina … ma alla fine …»

Tom raccontò tutto, il tragico incidente, suo fratello che non gli aveva più rivolto la parola, che alla fine lo aveva costretto a lasciare la città, mostrandogli tutto il suo odio. E poi ancora, la sera che era andato da lui, quando Andreas lo aveva chiamato dicendogli che aveva quasi rischiato la vita. Tutti i sentimenti che aveva provato nella sua intera vita, e in particolare le emozioni degli ultimi giorni si riversarono nel suo fiume di parole, manifestandosi di fronte ai due ragazzi, che ascoltavano rapiti, in silenzio, registrando tutto quanto con sgomento, ma anche comprensione.

Fu solo molto tempo dopo che la sua voce si affievolì, fino a spegnersi del tutto in seguito al riferimento all’ultima telefonata che aveva ricevuto. Il silenzio tornò a governare l’atmosfera per diversi attimi, finché Gustav non lo ruppe. Si alzò, con un sorriso sulle labbra, e disse:

«Be’, che aspettiamo? Ci conviene andare a dormire, domani notte ho l’impressione che faremo tardi! Forza, a nanna! Tu devi essere in forma, hai una gara da vincere, e noi … be’, noi siamo invitati, no?»

Tom lo fissò con incredulità per qualche istante, infine si lasciò andare anche lui ad un sorriso. Annuì, e infine lo ringraziò sinceramente. L’amico si limitò ad allargare il suo sorriso e a fargli un cenno in risposta, prima di sparire insieme a Georg nell’altra stanza.

 

La sera seguente, i tre ragazzi erano pronti a partire. Tom aveva detto a Georg di prendere la sua Ford, e così al momento lui e Gustav erano a bordo della vettura rossa, mentre Tom aveva messo in moto la sua Audi. Insieme partirono e si lasciarono alle spalle la piccola casa di periferia, imboccando la strada che li avrebbe portati verso Tokyo. Viaggiarono per un paio d’ore, ingaggiando brevi gare di velocità e agilità sull’autostrada, prima di arrivare finalmente in città. Tom superò i suoi amici, guidandoli attraverso i vicoli che solo lui conosceva, finché non giunsero nel posto indicato. Erano in anticipo, e la strada era ancora deserta. Spensero i motori e le luci e rimasero in attesa.

Non ci volle molto perché sentissero rombi e stridii provenire da poco distante, e ancora meno perché alcune paia di fari comparissero a fendere l’oscurità all’estremità della via.

Tom riconobbe subito la vettura nera di suo fratello, e il cuore fece una strana capriola nel suo petto, mettendosi a battere all’impazzata premendo con forza quasi volesse uscire e ricongiungersi a quello di Bill.

Accanto ad essa, poco più indietro, scorse l’auto di Andreas, blu come l’oceano.

Infine, a chiudere il corteo, avanzava nella loro scia Chad.

Si fermarono a un paio di metri da loro, e Bill fu il primo a scendere. Indossava un lungo impermeabile nero, soliti jeans scuri e stivali, capigliatura ancora più aggressiva del solito, occhiali scuri nonostante fosse notte e una cintura la cui fibbia aveva la forma di un teschio che spiccava sul resto. Avanzava con la solita grazia intrisa di determinazione, sicuro ma affascinante, intrigante e attraente. Sicuro di sé.

Una maschera che Tom conosceva bene, una facciata che odiava, perché nascondeva la vera fragilità del gemello, quella che lui adorava, della quale si prendeva sempre cura.

Scese a sua volta, incontrando Bill a metà percorso, fermandosi a meno di mezzo metro da lui, fissandolo con un’intensità tale da poter quasi infrangere le lenti degli occhiali del fratello. Sapeva che li aveva indossati per schermarsi, e questo lo irritava. Ma dopotutto, poteva ricorrere a qualsiasi trucco volesse, a qualsiasi recita: lui conosceva bene il vero Bill, non sarebbe mai riuscito a nascondersi da lui.

«Il percorso è il solito, verso il centro commerciale, il parco e il tunnel. Unico giro. Sei pronto?»

Le sue parole riscossero Tom dai suoi pensieri, e abbandonò la ricerca delle parole adatte per salutare il fratello. Si limitò ad annuire, ma quando Bill fece per girarsi per fare un cenno al suo sfidante, lo fermò.

«Aspetta.»

Il ragazzo si voltò con un sopracciglio alzato interrogativamente.

«Non mi pare una sfida in parità, se lasci correre me. Non voglio vincere in questo modo.» disse Tom, poi si voltò a fece un cenno ai due amici alle sue spalle che stavano osservando la scena attentamente. «Georg, vorrei che corressi tu per me.»

Quella decisione stupì l’intera compagnia.

«C- co- cosa?» balbettò il ragazzo a bocca aperta, iniziando improvvisamente a sudare freddo. Tom si limitò a riportare il suo sguardo su Bill e a chiedergli se fosse d’accordo. Anche lui ci mise qualche secondo a riprendersi dalla sorpresa, ma infine annuì, prima di far cenno a Chad di prendere posto alla partenza e spostarsi a lato della strada, appoggiandosi alla fiancata della sua auto, in attesa.

Tom si voltò nuovamente e si avviò verso i suoi amici. Georg aveva iniziato a tremare leggermente e Gustav gli aveva posato una mano sul braccio, cercando di rassicurarlo. Il rastaro fece lo stesso, stringendogli leggermente una spalla.

«È la tua occasione, amico.» gli disse, sorridendogli lievemente. «Fai vedere tutto quello che hai imparato sul drift.»

«Ma - ma io non so se … cioè, io … Tom, non …»

«Tranquillo. Fai la tua gara, e non preoccuparti del risultato. Divertiti, mettiti alla prova, e sfrutta le tue capacità.» lo incoraggiò Tom.

Alla fine, l’amico accettò. Tom gli illustrò il percorso, e quando lo ebbe memorizzato, trasse un respiro profondo, salì in macchina, riavviò il motore e si posizionò accanto all’auto di Chad.

 

Due paia di fari fendevano la notte, puntando verso l’asfalto pronto per essere divorato dalle gomme affamate delle due vetture.

Andreas era avanzato tra di esse, un braccio alzato a segnalare l’imminente avvio della gara.

Chad e Georg stringevano convulsamente i volanti, le nocche bianche per la tensione, gli occhi fissi sulla strada di fronte a loro.

Bill, Tom e Gustav rimanevano su un lato della via, in attesa dell’inizio.

Infine, Andreas abbassò il braccio, e la gara ebbe inizio.

 

NdA.

Ta-da-da-dan! E siamo praticamente alla fine!

I due gemellini si sono rivisti, Georg ha la sua occasione, Gustav e Andreas supportano i loro amici… e la gara deciderà il futuro di tutti! Eheh, cattiva a terminare così il capitolo, eh? Be’, potrei però aggiornare più in fretta dell’ultima volta (anche se dipenderà da quanto tempo avrò per farlo…)

Ma prima di tutto, ringrazio Quoqquoriquo, Lidiuz93, SweetPissy e anonima per le recesnsioni! E grazie a tutti quelli che hanno continuato a leggere questa fic fino a qui! Vi adoro!

Al prossimo – ultimo – capitolo, prima dell’epilogo.

Bacioni

Fedy J

  
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