17
anni:
“Daniel,
ma a casa non ti aspetta nessuno?”
Il
ragazzo non rispose, rivolgendole un sorriso enigmatico.
Marisa
era una prostituta. La conosceva da un paio di settimane: quando ti
ritrovi a
battere le strade è sempre meglio avere qualche conoscenza,
così almeno un
giorno se venissi fatto fuori sai che ci sarà qualcuno a
piangerti o, se mai
riuscisse ad arrivare in tempo per salvarti la pelle, disposto a
rompere una
bottiglia in testa al bastardo.
Marisa
era stata costretta a diventare una prostituta: non aveva famiglia e
tantomeno
amici disposti a darle una mano. Aveva dovuto trovare un modo per
sopravvivere
dopo essere fuggita dall’Italia per salvarsi dagli istinti
omicidi dell’ex
fidanzato geloso. Neanche allora nessuno l’aveva aiutata.
“Sicuro
che non vuoi venire da me? È piccolo e un po’
squallido, ma sempre meglio di
niente.” Insisté la donna, scostandosi una ciocca
di capelli dagli occhi scuri
e fissando il ragazzo che le stava difronte. Non le aveva mai
raccontato nulla.
Sapeva solo il suo nome.
E
sapeva
che era solo.
“Non
preoccuparti.” Rispose infine lui senza perdere il sorrisetto
storto: “Trovo sempre un
posto dove stare.”
Era
vero.
Tutti sapevano che era vero. Daniel era molto bello: spendeva tutti i
soldi che
guadagnava in prodotti di bellezza. Lui doveva
essere sempre perfetto, altrimenti avrebbe anche potuto morire e tanti
saluti a
tutti.
Non
gli
serviva un posto dove tornare a fine turno come agli altri. Qualcuno se
lo
portava sempre a casa. Qualcuno da
ingannare e derubare. Qualcuno cui vendere l’unica cosa che
gli rimaneva: se
stesso.
Alla
fine
era rimasto in Groenlandia, ma presto se ne sarebbe andato. Di nuovo.
Doveva
solo trovare i contatti giusti e anche Daniel sarebbe sparito, proprio
come
Aphrodite.
Già,
Aphrodite.
Ormai
non
era altro che un lontano ricordo cui preferiva non pensare: era solo un
burattino tenuto in piedi da sogni di gloria. Sogni impossibili. Non
sapeva
affrontare la vita. Daniel, invece, sì.
Daniel
era forte, freddo e senza sogni. Sognare era inutile, lo aveva imparato
a
proprie spese. Era da stupidi, e lui non lo era.
Marisa
se
ne andò: si aiutavano fra loro, ma quando Daniel si
rifiutava, era impossibile
fargli cambiare idea.
E
poi,
in fondo, la cena per lei sarebbe stata più abbondante senza
qualcuno con cui
doverla dividere. Ma questo, Marisa non lo avrebbe mai ammesso: era
ancora
troppo aggrappata alla vecchia sé.
Daniel,
invece, aveva completamente distrutto Aphrodite: lo aveva ucciso con le
proprie
mani per assicurarsi che quel ragazzino debole e pieno di aspirazioni
non tornasse
mai più a farlo innervosire.
A
farlo
soffrire.
Quando
la
macchina nera si avvicinò, sorrise. L’auto si
fermò, il finestrino scese e
l’uomo gli fece segno di salire.
“No,
dietro!” sbottò quando Daniel aprì la
portiera del passeggero.
Il
ragazzo esitò: i finestrini dietro erano oscurati. La strada
era deserta. E
Marisa non c’era.
Sbuffò,
accontentando il nuovo cliente. La sua voce non gli piaceva: era
stridula e
nervosa. Nemmeno lo aveva guardato.
“Dove
stiamo andando?”
“Sta’
zitto, puttana!”
Per
la
prima volta, Daniel ebbe paura. Paura di aver sbagliato, di aver
rischiato
troppo. Paura che nessuno, nemmeno Marisa, lo avrebbe pianto.
Provò
ad
aprire la portiera: bloccata.
Quando
la
macchina si fermò in un vicolo buio, isolato e deserto,
ormai Daniel aveva capito
di aver sbagliato sul serio.
Poi
fu
tutto troppo veloce perché capisse veramente cosa stava
succedendo: l’uomo, uno
di quei vecchi che tanto lo avevano disgustato i primi tempi che era
per
strada, spalancò la portiera e lo trascinò fuori
dalla macchina. Sentì
perfettamente la sua mano stringersi attorno al proprio collo, mentre
con
l’altra gli strattonava i morbidi boccoli celesti, tanto
quanto sentì il
proprio respiro spezzarsi e i polmoni urlare per il dolore.
Poi
tutto
divenne confuso, come se osservasse la scena dall’esterno: si
vide sbattere
contro il muro, mentre cercava inutilmente di urlare, dibattersi,
liberarsi. Si
vide colpire con la violenza di un animale, si vide sanguinare,
piangere.
Voleva
poter essere di nuovo Aphrodite, anche solo per un giorno, e sapere che
anche
se stava male, anche se avrebbe voluto sparire, qualcuno che lo amava
c’era
sempre.
Voleva
poter sentire un’ultima volta il profumo delle sue rose, le
prediche dei suoi
genitori, le risate degli amici. Tutti loro avevano provato ad
aiutarlo, ma lui
si era sempre sentito così diverso, così vuoto.
Era fuggito inseguendo un
sogno, inseguendo il paradiso. Aveva creduto di poter raggiungere il
successo e
la bellezza, aveva creduto che sarebbe stato ricordato in eterno.
Ma
chi
avrebbe più pensato a quel ragazzino picchiato a morte in un
vicolo e buttato
in un cassonetto come spazzatura?
Credette
di vedersi morire.
Daniel,
Aphrodite, non sarebbe
più esistito per
nessuno.
***
Faceva
freddo. Stava tremando. Aveva dolori ovunque. Doveva essere
all’inferno.
“Pezzo
d’idiota! Sei uno stupido coglione!”
Quelli
dovevano essere i diavoli, che andavano a ricordargli chi era
veramente. Lo
avrebbero punito? Avrebbe sofferto per l’eternità?
Come
prospettiva non era delle migliori.
“Stupido,
stupido, stupido! Come ti sei fatto ridurre? Oh, Aphrodite…
se muori giuro che
ti ammazzo!”
Come
se muori? Lui era
morto! O no? Si era visto morire.
“Ti
prego, apri gli occhi…”
Conosceva
quella voce. Conosceva quel ragazzo.
“Phro,
ti
prego, non morire…”
Stava
piangendo.
Stava piangendo per Aphrodite, non per Daniel.
Si
sforzò
di svegliarsi del tutto. Voleva vedere chi fosse.
La
luce
gli ferì gli occhi chiari, facendoglieli lacrimare, ma non
li richiuse.
Doveva
sapere
chi fosse.
C’era
solo bianco intorno a lui, tranne le pozze profonde che si fissarono
nei suoi
occhi quasi subito.
“Aphrodite…”
Occhi
scuri, capelli neri, accento italiano…
“Angelo…”
la voce gli uscì appena, o forse fu solo una sua impressione
e in realtà non
aveva parlato: “Death…”
riprovò, per assicurarsi che l’altro si accorgesse
di
lui.
Non
voleva essere solo mai più.
Non
voleva… pianse.
Piane
mettendosi a sedere, ignorando il dolore che lo trafiggeva ad ogni
respiro e
gettando le braccia al collo dell’altro ragazzo.
Angelo,
da tutti conosciuto come Death Mask perché odiava il suo
nome, era suo amico.
No,
era
amico di Aphrodite.
Daniel
era solo.
Erano
cresciuti insieme, in Svezia, ed erano amici fin da quando erano
bambini. Death
aveva passato dieci anni in Italia prima di trasferirsi nella patria
del
freddo. Era un bambino strano, ma anche Aphrodite lo era e si erano
trovati
bene insieme.
In
quei
due anni d’inferno, Angelo era la persona che gli era mancata
di più, con tutta
la sua rozza gentilezza e la sua innata bastardaggine.
“Come
mi
hai trovato?” chiese fra i singhiozzi, talmente sconvolto da
non provare più
nulla: “Come?”
“Ora
non
ha importanza. Dio, sei un coglione! Uno stupido imbecille! Sono quasi
morto
quando sei sparito! E sono quasi morto quando ti ho visto in quel
fottuto
vicolo… Phro, perché lo hai fatto?”
Era
strano. Era come essere proiettati in un sogno. Quella non era
più la sua vita:
Aphrodite era morto. Daniel lo aveva ucciso.
Ma
quella
notte anche Daniel era morto, ucciso da un mostro. E allora chi era?
Aveva
desiderato poter tornare indietro.
Stava
bene fra le braccia di Angelo.
Erano
secoli che qualcuno non lo abbracciava in quel modo.
Erano
secoli che nessuno non lo amava.
Non
era
come essere catapultati in un sogno, si era sbagliato. Era come
svegliarsi da
un incubo.
In
quel
vicolo non era morto, era rinato. Come una fenice: aveva raggiunto il
limite e
si era bruciato.
Ora
poteva tornare.
Daniel,
invece, era morto davvero in quel vicolo. Marisa lo avrebbe pianto, o
forse no,
non aveva importanza.
Daniel
era morto, Daniel era stato ucciso da un mostro. Daniel era stato
ucciso dai
suoi stessi errori. Daniel non avrebbe mai lasciato la Groenlandia.
“Riposati.”
La voce di Death Mask era la più dolce delle melodie.
Daniel
aveva dimenticato il cuore nel bagno di uno sconosciuto.
“Poi
ti
spiegherò…” il sorriso di Death era
l’unica luce che poteva eliminare tutto
quel dolore.
Daniel
era morto. Nessuno lo avrebbe mai salvato. Ma Aphrodite era
sopravvissuto.
“Death?”
sussurrò tornando a sdraiarsi e cercando di sorridere.
Aphrodite
era vivo. Aphrodite era rimasto lì, per due anni, in attesa
che qualcuno lo
salvasse.
Daniel
era morto perché non aveva un Angelo Custode. Lui
sì che lo aveva. Lui era
amato. Lui era vivo.
Nessuno
avrebbe pianto per Daniel, nemmeno lui.
“Portami
a casa.”
Questi
sono tre capitoli che avevo pronti da tempo e che aspettavano solo di
essere
pubblicati… sono indecisa se farne un altro in cui parlo dei
17 anni e spiegare
meglio il rapporto di Aphrodite con Death Mask e magari anche Marisa o
passare
subito ai 18… secondo voi? Grazie a tutti!
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