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Autore: La Kurapikina    23/06/2013    1 recensioni
Aphrodite è un semplice ragazzo Svedese che sente qualcosa di sbagliato in sè... sono capitoli in cui descrivo pezzi della sua vita anno dopo anno.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio, Pisces Aphrodite
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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17 anni:

 

“Daniel, ma a casa non ti aspetta nessuno?”

Il ragazzo non rispose, rivolgendole un sorriso enigmatico.

Marisa era una prostituta. La conosceva da un paio di settimane: quando ti ritrovi a battere le strade è sempre meglio avere qualche conoscenza, così almeno un giorno se venissi fatto fuori sai che ci sarà qualcuno a piangerti o, se mai riuscisse ad arrivare in tempo per salvarti la pelle, disposto a rompere una bottiglia in testa al bastardo.

Marisa era stata costretta a diventare una prostituta: non aveva famiglia e tantomeno amici disposti a darle una mano. Aveva dovuto trovare un modo per sopravvivere dopo essere fuggita dall’Italia per salvarsi dagli istinti omicidi dell’ex fidanzato geloso. Neanche allora nessuno l’aveva aiutata.

“Sicuro che non vuoi venire da me? È piccolo e un po’ squallido, ma sempre meglio di niente.” Insisté la donna, scostandosi una ciocca di capelli dagli occhi scuri e fissando il ragazzo che le stava difronte. Non le aveva mai raccontato nulla. Sapeva solo il suo nome.

E sapeva che era solo.

“Non preoccuparti.” Rispose infine lui senza perdere il sorrisetto storto: “Trovo sempre un posto dove stare.”

Era vero. Tutti sapevano che era vero. Daniel era molto bello: spendeva tutti i soldi che guadagnava in prodotti di bellezza. Lui doveva essere sempre perfetto, altrimenti avrebbe anche potuto morire e tanti saluti a tutti.

Non gli serviva un posto dove tornare a fine turno come agli altri. Qualcuno se lo portava sempre a casa. Qualcuno da ingannare e derubare. Qualcuno cui vendere l’unica cosa che gli rimaneva: se stesso.

Alla fine era rimasto in Groenlandia, ma presto se ne sarebbe andato. Di nuovo.

Doveva solo trovare i contatti giusti e anche Daniel sarebbe sparito, proprio come Aphrodite.

Già, Aphrodite.

Ormai non era altro che un lontano ricordo cui preferiva non pensare: era solo un burattino tenuto in piedi da sogni di gloria. Sogni impossibili. Non sapeva affrontare la vita. Daniel, invece, sì.

Daniel era forte, freddo e senza sogni. Sognare era inutile, lo aveva imparato a proprie spese. Era da stupidi, e lui non lo era.

Marisa se ne andò: si aiutavano fra loro, ma quando Daniel si rifiutava, era impossibile fargli cambiare idea.

E poi, in fondo, la cena per lei sarebbe stata più abbondante senza qualcuno con cui doverla dividere. Ma questo, Marisa non lo avrebbe mai ammesso: era ancora troppo aggrappata alla vecchia sé.

Daniel, invece, aveva completamente distrutto Aphrodite: lo aveva ucciso con le proprie mani per assicurarsi che quel ragazzino debole e pieno di aspirazioni non tornasse mai più a farlo innervosire.

A farlo soffrire.

Quando la macchina nera si avvicinò, sorrise. L’auto si fermò, il finestrino scese e l’uomo gli fece segno di salire.

“No, dietro!” sbottò quando Daniel aprì la portiera del passeggero.

Il ragazzo esitò: i finestrini dietro erano oscurati. La strada era deserta. E Marisa non c’era.

Sbuffò, accontentando il nuovo cliente. La sua voce non gli piaceva: era stridula e nervosa. Nemmeno lo aveva guardato.

“Dove stiamo andando?”

“Sta’ zitto, puttana!”

Per la prima volta, Daniel ebbe paura. Paura di aver sbagliato, di aver rischiato troppo. Paura che nessuno, nemmeno Marisa, lo avrebbe pianto.

Provò ad aprire la portiera: bloccata.

Quando la macchina si fermò in un vicolo buio, isolato e deserto, ormai Daniel aveva capito di aver sbagliato sul serio.

Poi fu tutto troppo veloce perché capisse veramente cosa stava succedendo: l’uomo, uno di quei vecchi che tanto lo avevano disgustato i primi tempi che era per strada, spalancò la portiera e lo trascinò fuori dalla macchina. Sentì perfettamente la sua mano stringersi attorno al proprio collo, mentre con l’altra gli strattonava i morbidi boccoli celesti, tanto quanto sentì il proprio respiro spezzarsi e i polmoni urlare per il dolore.

Poi tutto divenne confuso, come se osservasse la scena dall’esterno: si vide sbattere contro il muro, mentre cercava inutilmente di urlare, dibattersi, liberarsi. Si vide colpire con la violenza di un animale, si vide sanguinare, piangere.

Voleva poter essere di nuovo Aphrodite, anche solo per un giorno, e sapere che anche se stava male, anche se avrebbe voluto sparire, qualcuno che lo amava c’era sempre.

Voleva poter sentire un’ultima volta il profumo delle sue rose, le prediche dei suoi genitori, le risate degli amici. Tutti loro avevano provato ad aiutarlo, ma lui si era sempre sentito così diverso, così vuoto. Era fuggito inseguendo un sogno, inseguendo il paradiso. Aveva creduto di poter raggiungere il successo e la bellezza, aveva creduto che sarebbe stato ricordato in eterno.

Ma chi avrebbe più pensato a quel ragazzino picchiato a morte in un vicolo e buttato in un cassonetto come spazzatura?

Credette di vedersi morire.

Daniel, Aphrodite, non sarebbe più esistito per nessuno.

 

***

Faceva freddo. Stava tremando. Aveva dolori ovunque. Doveva essere all’inferno.

“Pezzo d’idiota! Sei uno stupido coglione!”

Quelli dovevano essere i diavoli, che andavano a ricordargli chi era veramente. Lo avrebbero punito? Avrebbe sofferto per l’eternità?

Come prospettiva non era delle migliori.

“Stupido, stupido, stupido! Come ti sei fatto ridurre? Oh, Aphrodite… se muori giuro che ti ammazzo!”

Come se muori? Lui era morto! O no? Si era visto morire.

“Ti prego, apri gli occhi…”

Conosceva quella voce. Conosceva quel ragazzo.

“Phro, ti prego, non morire…”

Stava piangendo. Stava piangendo per Aphrodite, non per Daniel.

Si sforzò di svegliarsi del tutto. Voleva vedere chi fosse.

La luce gli ferì gli occhi chiari, facendoglieli lacrimare, ma non li richiuse.

Doveva sapere chi fosse.

C’era solo bianco intorno a lui, tranne le pozze profonde che si fissarono nei suoi occhi quasi subito.

“Aphrodite…”

Occhi scuri, capelli neri, accento italiano…

“Angelo…” la voce gli uscì appena, o forse fu solo una sua impressione e in realtà non aveva parlato: “Death…” riprovò, per assicurarsi che l’altro si accorgesse di lui.

Non voleva essere solo mai più.

Non voleva… pianse.

Piane mettendosi a sedere, ignorando il dolore che lo trafiggeva ad ogni respiro e gettando le braccia al collo dell’altro ragazzo.

Angelo, da tutti conosciuto come Death Mask perché odiava il suo nome, era suo amico.

No, era amico di Aphrodite.

Daniel era solo.

Erano cresciuti insieme, in Svezia, ed erano amici fin da quando erano bambini. Death aveva passato dieci anni in Italia prima di trasferirsi nella patria del freddo. Era un bambino strano, ma anche Aphrodite lo era e si erano trovati bene insieme.

In quei due anni d’inferno, Angelo era la persona che gli era mancata di più, con tutta la sua rozza gentilezza e la sua innata bastardaggine.

“Come mi hai trovato?” chiese fra i singhiozzi, talmente sconvolto da non provare più nulla: “Come?”

“Ora non ha importanza. Dio, sei un coglione! Uno stupido imbecille! Sono quasi morto quando sei sparito! E sono quasi morto quando ti ho visto in quel fottuto vicolo… Phro, perché lo hai fatto?”

Era strano. Era come essere proiettati in un sogno. Quella non era più la sua vita: Aphrodite era morto. Daniel lo aveva ucciso.

Ma quella notte anche Daniel era morto, ucciso da un mostro. E allora chi era? Aveva desiderato poter tornare indietro.

Stava bene fra le braccia di Angelo.

Erano secoli che qualcuno non lo abbracciava in quel modo.

Erano secoli che nessuno non lo amava.

Non era come essere catapultati in un sogno, si era sbagliato. Era come svegliarsi da un incubo.

In quel vicolo non era morto, era rinato. Come una fenice: aveva raggiunto il limite e si era bruciato.

Ora poteva tornare.

Daniel, invece, era morto davvero in quel vicolo. Marisa lo avrebbe pianto, o forse no, non aveva importanza.

Daniel era morto, Daniel era stato ucciso da un mostro. Daniel era stato ucciso dai suoi stessi errori. Daniel non avrebbe mai lasciato la Groenlandia.

“Riposati.” La voce di Death Mask era la più dolce delle melodie.

Daniel aveva dimenticato il cuore nel bagno di uno sconosciuto.

“Poi ti spiegherò…” il sorriso di Death era l’unica luce che poteva eliminare tutto quel dolore.

Daniel era morto. Nessuno lo avrebbe mai salvato. Ma Aphrodite era sopravvissuto.

“Death?” sussurrò tornando a sdraiarsi e cercando di sorridere.

Aphrodite era vivo. Aphrodite era rimasto lì, per due anni, in attesa che qualcuno lo salvasse.

Daniel era morto perché non aveva un Angelo Custode. Lui sì che lo aveva. Lui era amato. Lui era vivo.

Nessuno avrebbe pianto per Daniel, nemmeno lui.

“Portami a casa.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questi sono tre capitoli che avevo pronti da tempo e che aspettavano solo di essere pubblicati… sono indecisa se farne un altro in cui parlo dei 17 anni e spiegare meglio il rapporto di Aphrodite con Death Mask e magari anche Marisa o passare subito ai 18… secondo voi? Grazie a tutti!

  
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